Proseguono le lezioni di giornalismo al Fatto da “colleghi” che non hanno mai visto una notizia vera. Il rag. Cerasa, sul Foglio, ci accusa senza nominarci (tanto nessuno gli domanderà con chi ce l’ha, non avendo lettori) di aver costruito “il principale cluster italiano della macchina del fango”: altro che la Bestiola renzian-rondolina. Non sa, perché ai tempi ciucciava ancora il biberon, che il Foglio nacque nel ’96 coi soldi di B. (pardon, della moglie) e nel ’97 col falso scoop su un’indagine farlocca del Gico contro Di Pietro, imperniata su un’intercettazione manipolata col taglia-e-cuci: quella che faceva dire al banchiere Pacini Battaglia “Io da Mani Pulite sono uscito perché ho pagato” e “Di Pietro e l’avvocato Lucibello mi hanno sbancato”, cioè estorto una tangente (seguiva la frase “Io a Di Pietro i soldi non glieli ho dati”, ma fu sapientemente tagliata). Uno scoop su parole mai dette (il verbo era “sbiancato”) e su un delitto mai avvenuto, infatti l’ex pm fu prosciolto da ogni accusa. Su quella patacca l’allora direttore del Foglio, Giuliano Ferrara, imbastì tutta la sua campagna elettorale di candidato del centrodestra nel Mugello contro Di Pietro (centrosinistra), appellandolo graziosamente “scespiriana baldracca”, “troia dagli occhi ferrigni”, “protettore di biscazzieri”, “megalomane golpista”. Risultato: Di Pietro 68%, Ferrara 16%.
Altre lezioni ci giungono da un noto portatore di chatouche che, sull’autorevole Libero, mi accusa di aver inventato “la fake news propagandistica più falsa e dannosa del Dopoguerra: la famosa intercettazione in cui Berlusconi definiva la Merkel ‘culona inchiavabile’… mai esistita… balla inescusata”. Naturalmente non abbiamo mai pubblicato la suddetta intercettazione, né affermato che esistesse: forse faceva parte di quelle penalmente irrilevanti distrutte dalla Procura di Bari nell’inchiesta Puttanopoli su Tarantini&B., forse era solo una voce di Transatlantico. E come tale la registrò una nostra collaboratrice in un trafiletto di curiosità nell’ottobre 2010. In Parlamento non si parlava d’altro tra i forzisti terrorizzati dall’uscita di qualche conversazione contenente il soprannome che B. aveva affibbiato alla Merkel, convinto com’era che la cancelliera complottasse contro di lui. Infatti la stessa voce fu raccolta da Selvaggia Lucarelli (che ancora non scriveva sul Fatto) nel suo blog. E rimbalzò sui giornali tedeschi, dalla Bild al Die Welt, senza che da B.&C. arrivassero smentite. Un anno più tardi, subito dopo la celebre risata congiunta di Merkel e Sarkòzy, il Caimano perse la maggioranza e si dimise. Poi prese ad accusare apertamente la Merkel di aver ordito un “golpe” contro il suo governo a colpi di spread.
E i suoi giornali, parlando con cognizione di causa e sapendo di fargli cosa gradita, iniziarono a chiamare la cancelliera con quel leggiadro vezzeggiativo. Libero: “Angela è davvero una culona. Il primo a dirlo fu Kohl” (27.11.2011). Giornale: “La caduta di Berlusconi: è stata la culona” (31.12.’11). E così via, persino sugli eventi sportivi. Tipo quando la Nazionale azzurra eliminò la Germania agli Europei del 2012: “Ciao ciao culona” (Giornale, 29.6.’12). “Vaffanmerkel”, “Due calci nel culone” (Libero, 29.6.’12). Quando Angela rivelò il suo passato di ragazza squatter, Libero la fulminò: “Balla paraculona della Merkel: ‘Da ragazza occupavo le case’” (4.9.’13). Quando si schiantò sulle nevi dell’Engadina, Libero sparò: “Il lato B più potente d’Europa si frattura sulle piste di fondo” (7.1.’14). E quando perse 10 chili di peso, Libero si congratulò: “Merkel a dieta: anche lei si vede culona” (7.5.’14). E ancora quattro anni dopo, quando il ministro Horst Seehofer la contestò sulla politica migratoria, Libero titolò: “Chi è il Salvini tedesco, che manda la Germania a culona all’aria” (3.7.’18).
Il soprannome made in Arcore era ormai un fatto notorio a livello mondiale. Finché il 20 maggio 2014, intervistando l’ex Cavaliere per la Bbc, il giornalista Jeremy Paxman osò dove i colleghi italiani mai avevano osato: “Scusi, è vero che ha definito Angela Merkel ‘culona inchiavabile’?”. L’interrogativo sortì sul gentiluomo brianzolo lo stesso effetto del gas paralizzante: una lunga, interminabile paresi, tipo fermo-immagine (il tempo per l’interprete di riaversi dallo choc e trovare le parole per tradurre un’espressione non proprio tipica del linguaggio diplomatico), seguita da un moto ondulatorio e sussultorio della mano destra che invitava l’intervistatore di passare alla domanda successiva. Anche lì nessuna smentita. Anzi, un anno dopo arrivò la conferma: ad Alan Friedman, che lo intervistava per l’agiografia My Way, B. rivendicò la paternità della geniale definizione e raccontò che l’ex cancelliere Gerhard Schröder se n’era complimentato con lui: “Hai fatto benissimo: è totalmente vero!”. Ma, nella fretta, si scordò di avvertire il mèchato.
Ps. A proposito di bufalari. Ieri l’Innominabile, dopo aver condannato ai playoff la Nazionale di calcio con il beneaugurante “Forza Italia!” di venerdì, ha sostenuto che B. “iniziò a recuperare” dopo la famosa ospitata da Santoro con spolverata di sedia il 14 gennaio 2013: “Travaglio fu il principale sponsor della ripresa di Berlusconi che arrivò a tanto così dal vincere le elezioni”. Per la cronaca, alle elezioni del 2013, B. perse 6,5 milioni e mezzo di voti e 178 seggi. E senza nemmeno gli auguri di bin Rignan.
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