martedì 21 marzo 2023

Fallujah. La strage nascosta.

 

Fallujah. La strage nascosta è un documentario di Sigfrido Ranucci e Maurizio Torrealta andato in onda per la prima volta sulle reti televisive della Rai l'8 novembre 2005.

L'inchiesta

L'indagine documenta le prove dell'uso di armi chimiche, in particolare ordigni incendiari e armi basate sul fosforo bianco e altre sostanze simili al napalm, come la bomba incendiaria Mark 77, e l'uso indiscriminato della violenza contro i civili da parte delle forze militari statunitensi nella città irachena di Falluja durante l'offensiva del novembre 2004.

Le interviste con ex militari statunitensi che affermano di essere stati presenti all'offensiva di Falluja supportano l'ipotesi dell'uso di armi da parte degli Stati Uniti, mentre i giornalisti che erano in Iraq discutono dei tentativi degli Stati Uniti di bloccare la diffusione delle notizie.

Vi sono filmati di armi al fosforo bianco sparate da elicotteri in aree urbane, così come riprese dettagliate mostrano i resti di persone che si suppone siano state uccise da quelle armi, tra cui donne e bambini. Nel documentario viene intervistato l'ex soldato statunitense, ora attivista contro la guerra, Jeff Englehart, il quale discute dell'uso del fosforo bianco, chiamato “Willie Pete” (nome alternativo per "White Phosphorus" "WP"), da parte degli Stati Uniti in aree edificate e descrive l'offensiva di Falluja come «un'uccisione di massa di arabi». Englehart ha trascorso due giorni a Falluja durante la battaglia.[1]

Nel reportage si afferma che i militari statunitensi hanno deliberatamente mirato a civili iracheni e bambini durante l'offensiva di Falluja per debellare l'opposizione all'occupazione statunitense. Viene intervistato l'ex soldato statunitense Garret Reppenhagen il quale afferma che le morti civili erano frequenti e intenzionali.

Per le rivelazioni in anteprima il documentario è stato ripreso dalle maggiori testate mondiali, fra le quali Le Monde[2]El País[3], il New York Times[4], il Guardian[5], oltre alle italiane La Repubblica[6] e Corriere della Sera[7]; su quest'ultimo, Enzo Biagi richiamò il filmato e i suoi autori nella sua rubrica “Strettamente personale”[8].

Nel 2006 Ranucci ha vinto per il documentario il premio Alpi con la seguente motivazione: «Sigfrido Ranucci svela in esclusiva l'utilizzazione del fosforo nei bombardamenti americani su Falluja. L'inchiesta di Rai News 24 ha fatto il giro del mondo denunciando un drammatico retroscena della guerra in Iraq.»[9]


https://it.wikipedia.org/wiki/Fallujah._La_strage_nascosta

Ricordando Falluja. - Viviana Vivarelli














La battaglia di Falluja nel novembre del 2004, fu la battaglia più imponente, sanguinosa e disconosciuta della guerra irachena: 10 giorni di assedio e distruzione di una città di 350.000 abitanti. Su di essa gli USA imposero il più assoluto silenzio e ancor oggi il Pentagono nega questo crimine enorme.

L’operazione rase al suolo 36.000 case e uccise con armi al fosforo 5000 persone.
Dopo la strage, una squadra di medici volontari entrò per ripulire la città delle migliaia di vittime civili che nessuno ha mai contato. Si aspettavano di trovare una carneficina, visto che i bombardamenti erano stati fittissimi col divieto di acqua, cibo e soccorsi, ma quello che i medici trovarono superò ogni orrore.
Di cos’era morta tutta quella gente? I ripulitori fecero dei filmati che girarono il mondo, rompendo la pesante censura americana. Il filmato fu visto dai nostri parlamentari che tacquero, come tacquero di fronte alle foto del cadavere di un imam perforato orrendamente dai buchi del trapano, strumento molto usato degli americani.
Il filmato passò su Rainews24 di Sky e su Al Jazeera che le mostrò al mondo intero. È di una ferocia senza limite. La menzogna più cinica ha coperto tutto. Hanno tentato in ogni modo di secretare la verità: il falso dossier SISMI sull’uranio nigeriano con un B complice, la battaglia dei ponti dove i nostri soldati massacrarono civili e uccisero anche una partoriente in un’ambulanza, il vero carattere di una missione umanitaria, in cui abbiamo aiutato stragi feroci, con i nostri elicotteri che indicavano alle truppe Usa dove colpire, facilitando l’avanzata delle truppe distruttive, la consegna di civili inermi, donne e ragazzi ai torturatori di Abu Graib, la complicità e il silenzio.
Bush passerà alla storia come uno dei più feroci criminali di tutti i tempi, ma governi italiani e opposizione figureranno come i suoi complici.

Post su Fb di Viviana Vivarelli del 21.3.2023

lunedì 20 marzo 2023

Perché negli USA il mercato del GNL è cresciuto così in fretta. - Antonino Neri

 

I piani e le previsioni dell’industria statunitense del GNL si basano sul presupposto di una crescita continua e robusta sia dall’Europa che dall’Asia

L’anno scorso, gli Stati Uniti hanno scavalcato il Qatar e l’Australia come maggior esportatore mondiale di gas naturale liquefatto (GNL). Ciò è stato possibile grazie all’aumento della domanda di GNL dall’Europa, che cercava urgentemente un’alternativa alla fornitura di gas russo.

Dopo un anno così eccezionale per i produttori statunitensi di GNL, nonostante l’interruzione di mesi dell’impianto di Freeport, in Texas – che ha influito sul volume totale esportato – era prevedibile che l’industria avesse dei seri piani di crescita della capacità.

Tre nuovi impianti di produzione GNL potrebbero prendere le loro decisioni finali di investimento già quest’anno. Entro il 2027, gli Stati Uniti potrebbero avere una capacità di 169 milioni di tonnellate, superando il Qatar, che sta espandendo la propria capacità in questo momento, puntando a 110 milioni di tonnellate entro lo stesso anno.

LA DOMANDA DI GNL IN EUROPA E LE RIPERCUSSIONI SUL MERCATO GLOBALE

Va ricordato, però, che nel settore dell’energia non vi è nulla di certo. I piani e le previsioni dell’industria statunitense del GNL si basano sul presupposto di una crescita continua e robusta sia dall’Europa che dall’Asia. Tuttavia, anche prima che la maggior parte di questa nuova capacità inizi ad essere costruita, emergono delle preoccupazioni per le minacce di fonti energetiche alternative a basse emissioni di carbonio e per l’affidabilità stessa dell’approvvigionamento globale di GNL.

Gli analisti di recente hanno avvertito che, se tutti gli impianti di produzione di GNL proposti verranno costruiti, entro il 2030 la capacità globale potrebbe aumentare del 67%, a 636 milioni di tonnellate all’anno. Questo, secondo l’agenzia Reuters, potrebbe portare alla saturazione del mercato e far scendere i prezzi.

Alla luce delle carenze di elettricità e dei conseguenti blackout che il Pakistan, ad esempio, ha vissuto lo scorso anno a causa dei prezzi proibitivi del GNL per l’insaziabile domanda europea, un futuro con prezzi bassi non sarebbe una cosa così negativa per tutti. Considerando le ambizioni delle compagnie energetiche di entrare nel mercato GNL proprio a causa dei prezzi del 2022, è improbabile che la saturazione del mercato venga apprezzata ovunque.

Per quanto riguarda la concorrenza delle fonti a basse emissioni di carbonio, il timore per il momento è più facile da accantonare, visto che i costi sia dell’eolico che del solare sono aumentati notevolmente, gettando un’ombra sull’ipotesi che siano e saranno sempre la fonte a minor costo di energia. Basti pensare che gli Stati Uniti e l’Unione europea sono bloccati in una corsa ai sussidi che punta molto proprio su queste due  fonti di energia.

LE PROSPETTIVE DEL GNL NEL BREVE PERIODO

Il futuro immediato del GNL sembra abbastanza certo. Secondo Refinitiv, quest’anno le importazioni in Europa e Turchia aumenteranno del 10% rispetto ai volumi record dello scorso anno, per raggiungere un altro livello record di circa 190 miliardi di metri cubi. Fin qui tutto bene. Tuttavia, guardando un po’ più avanti nel futuro, sempre con l’ipotesi di una forte crescita delle rinnovabili, secondo alcuni in Germania questo record potrebbe verificarsi una tantum. Di recente l’amministratore delegato di RWE, Markus Krebber, ha avvertito che parte della capacità di importazione di GNL che si sta sviluppando nel Paese potrebbe finire per essere inutilizzata. “Può darsi che i terminal GNL non siano completamente utilizzati, ma ne abbiamo bisogno come premio assicurativo”, ha dichiarato Krebber ai media tedeschi ad inizio marzo.

È interessante notare che Krebber ha detto che la Russia sta ancora fornendo gas naturale alla Germania per obblighi contrattuali, però non attraverso il gasdotto Nord Stream – che nel settembre scorso è stato sabotato – ma attraverso l’Ucraina. Questo nonostante le assicurazioni dei leader tedeschi secondo cui il Paese si è ormai liberato con successo del petrolio e del gas russi.

Comunque sia, non c’è dubbio che la domanda di GNL rimarrà robusta, almeno nel medio termine. E, se il tema delle rinnovabili a basso costo verrà smentito, anche nel lungo termine. E questo è il momento in cui l’affidabilità dell’offerta globale di GNL potrebbe iniziare a raccogliere più attenzione della domanda.

LA QUESTIONE DELLA MANUTENZIONE DEI TERMINAL GNL

Come ha recentemente notato la società di analisi energetica Kayrros, “l’approvvigionamento di GNL è intrinsecamente soggetto a interruzioni. Gli incidenti e la manutenzione non pianificata sono un evento comune nei terminal GNL di tutto il mondo e uno dei principali fattori di volatilità del mercato”. La società ha riferito che il 32% degli impianti di produzione globali di GNL, pari al 55% della fornitura globale, subisce interruzioni non pianificate oltre 5 volte l’anno, con una durata media dell’interruzione di 90 giorni.

Teoricamente, questo non è ciò che si potrebbe definire affidabile, soprattutto in vista della domanda futura, che è considerata notevolmente superiore alla domanda attuale. Ci sono poi anche i ritardi e il superamento dei costi degli impianti futuri. La maggior parte dei progetti di GNL su larga scala nel mondo ha subito notevoli ritardi e massicci superamenti dei costi. Con un mondo che chiede più GNL, questo potrebbe diventare un problema.

È probabile che la soluzione a questo problema sia la stessa soluzione al problema del prezzo del GNL, che ha fatto precipitare il Pakistan in seri blackout: il carbone. Quando il carburante più pulito non è disponibile, per qualsiasi motivo, i consumatori tendono a ricorrere all’alternativa più economica, anche se più sporca, piuttosto che a quella più pulita, anch’essa presumibilmente più economica ma più complicata da costruire. Sia che ci sarà un eccesso di GNL o una penuria prolungata, il futuro di quel combustibile sarà sicuramente interessante.

https://energiaoltre.it/perche-negli-usa-il-mercato-del-gnl-e-cresciuto-cosi-in-fretta/

Natura meravigliosa.

 

E, se invece di costruire il già costosissimo e, probabilmente, pericolosissimo "Ponte sullo Stretto di Messina" decidessero di mettere a norma tutte la infrastrutture del paese?

Otterremmo risultati migliori sotto tutti i punti di vista!!!

Conte lo aveva pensato, attuando il "SuperBonus 110%, ma non è piaciuto a chi non si adopera per realizzare il nostro benessere, ma per mantenere il proprio interesse.

cetta.

domenica 19 marzo 2023

L'Arte dei muretti a secco.

 

Nella foto qui sotto Richard Clegg e Lewyn, due costruttori di muretti a secco hanno realizzato "l'albero di pietra" in granito e ardesia.

https://www.facebook.com/ScuolaAmbulanteAgricoltura/photos/a.396752570508226/2202035116646620/

Il Medio Oriente punta a diventare una potenza energetica con l’idrogeno verde. - Chiara Muresu

 

Sono diversi i paesi del Medio Oriente stanno investendo molto in energie alternative rinnovabili, con l’intenzione di raggiungere una quota del 25% del mercato globale dell’idrogeno a basse emissioni di carbonio entro il 2030

Mentre molti paesi in tutto il Medio Oriente continuano a perseguire programmi per petrolio e gas, rispondendo alla forte domanda globale di combustibili fossili, diversi paesi in tutta la regione stanno anche investendo pesantemente in alternative rinnovabili; scrive Oilprice.com. Per molti paesi, come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, il petrolio e il gas continuano a fornire le entrate per sostenere un’economia forte e contribuiscono ai loro fondi nazionali per garantire la loro ricchezza per il futuro. Tuttavia, i leader di tutta la regione sono consapevoli che il petrolio e il gas non saranno per sempre i principali motori economici e molti stanno ora tentando di diversificare le proprie economie ed espandere i propri settori non petroliferi. Con una vasta esperienza nel settore energetico, il Medio Oriente è visto come il luogo perfetto per sviluppare operazioni di energia verde, dall’idrogeno verde all’energia eolica e solare.

IL MEDIO ORIENTE PUNTA ALLE ENERGIE ALTERVATIVE RINNOVABILI.

Come molti altri paesi in tutto il mondo, diversi stati del Medio Oriente hanno annunciato ambiziosi piani di decarbonizzazione in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Sulla base di una valutazione del 2019 – scrive Oilprice.com – il mercato delle energie rinnovabili in Medio Oriente dovrebbe raggiungere un CAGR del 13,43% tra il 2019 e il 2028, una cifra che sarà probabilmente molto più alta a seguito dell’accelerazione di diversi progetti di energia verde in risposta ai vertici sul clima della COP.

Nonostante i piani per aumentare la produzione di petrolio e gas in linea con la domanda globale, molti paesi della regione hanno grandi progetti per alternative ecologiche. La capacità di energia rinnovabile del Medio Oriente è raddoppiata a 40 GW tra il 2010 e il 2020 ed è destinata a raddoppiare nuovamente entro il 2024.

I PROGETTI PER I PROSSIMI ANNI.

Anche il Medio Oriente sta cercando di battere i suoi principali concorrenti, Europa e Asia, per dominare il mercato dell’idrogeno verde. Nel 2021 – continua Oilprice.com – gli Emirati Arabi Uniti hanno annunciato diversi nuovi progetti. Masdar, azienda francese di energia rinnovabile con sede a Engie e Abu Dhabi, ha dichiarato che avrebbe investito 5 miliardi di dollari nell’industria dell’idrogeno verde del paese, puntando a una capacità dell’elettrolizzatore di 2 gigawatt entro il 2030. E Dubai ha lanciato il “primo impianto di idrogeno verde su scala industriale” della regione . Gli Emirati Arabi Uniti hanno dichiarato di voler raggiungere una quota del 25% del mercato globale dell’idrogeno a basse emissioni di carbonio entro il 2030. Nel frattempo, l’Arabia Saudita ha annunciato un accordo da 7 miliardi di dollari per produrre idrogeno verde nella zona franca di Salalah in Oman con ACWA Power e Omanoil and Air Products. . L’Oman ha anche annunciato di sperare di stabilire un un’economia incentrata sull’idrogeno entro il 2040, con 30 GW di idrogeno verde e blu.

E dal 2021, il mercato dell’idrogeno verde della regione è cresciuto in modo significativo. Grazie a importanti investimenti in ricerca e sviluppo, l’Arabia Saudita è riuscita ad abbattere i costi di produzione dell’idrogeno verde per renderla più appetibile. Lo stato punta ora a raggiungere $ 1 al kg per renderlo il produttore di idrogeno verde più economico al mondo. E diverse società private stanno cercando un pezzo dell’azione, con Siemens che identifica 46 progetti fattibili di idrogeno verde nella regione con un  valore combinato di 92 miliardi di dollari . Sia gli Emirati Arabi Uniti che l’Oman sono stati identificati come quelli che mostrano un grande potenziale di investimento, così come l’Arabia Saudita.

GLI OBIETTIVI DEGLI EMIRATI ARABI.

E i piani per l’energia pulita non si fermano all’idrogeno verde, poiché gli Emirati Arabi Uniti mirano ad aumentare il contributo delle energie rinnovabili al loro mix energetico totale al  75% entro il 2050 . Ad Abu Dhabi, il progetto solare Al Dhafra dovrebbe entrare in funzione  prima della COP28 . Il parco solare avrà una capacità di 2 GW e fornirà elettricità sufficiente per 160.000 famiglie. Le società emiratine di proprietà statale TAQA e Masdar possiedono il 60% del progetto, mentre il resto è di proprietà di un consorzio di EDF Renewables e della cinese Jinko Power Technology. Le aziende sperano di creare 4.000 posti di lavoro attraverso il progetto. Questo sarà supportato da altri importanti progetti solari, tra cui il  parco Noor Energy 1 da 950 MW da 3,9 miliardi di dollari e il primo parco eolico del paese,  l’Hatta Wind Power Project, entrambi a Dubai.

L’Arabia Saudita mira inoltre a generare il 50% della sua energia da fonti verdi entro il 2030. Ciò sarà guidato dall’accelerazione dei progetti di energia solare in tutto il paese, come la centrale solare Sudair da 1.500 MW a Riyadh e Manah I & II impianti solari a Manah. Gli investimenti nelle tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS) aiuteranno anche l’Arabia Saudita a decarbonizzare le sue operazioni di petrolio e gas. E forse il più ambizioso di tutti, l’Arabia Saudita mira a costruire una gigantesca città futuristica chiamata NEOM. Il Regno mira a spendere  $ 80 miliardi per lo sviluppo del megaprogetto nel nord-ovest del paese, per creare una città delle dimensioni del Belgio. L’obiettivo è quello di creare uno spazio futuristico senza auto, strade o emissioni di gas serra che sarà alimentato al 100% da energia rinnovabile, con il 95% del territorio preservato per la natura.

https://energiaoltre.it/medio-oriente-potenza-energetica/

Basilicata regina del Sud per le energie rinnovabili. - Massimo Brancati

 

Qui il maggiore accumulo in un anno: più 514 per cento.

POTENZA - Il 2022 è stato un anno d’oro per i sistemi di accumulo in particolare in Basilicata e nelle regioni del Sud. Il settore non solo è cresciuto ma ha stabilito nuovi record rispetto al passato. La Basilicata in un anno (2022) ha installato 1517 unità di energy storage (più 514%), per una capacità totale di 9 MWh (più 522%) e una potenza pari 18 MWh (più 512%). Complessivamente le unità sono 1880 con una capacità totale di 13 MWh e una potenza di 24 MHw. Sono numeri diffusi da Anie Federazione nell’ aggiornamento dedicato agli impianti di stoccaggio energetico in Italia. Il report è commentato positivamente dal gruppo Cestari che con base operativa a Moliterno, attraverso proprie società specializzate in Italia e all’estero, opera nel settore della produzione elettrica da fonti rinnovabili, realizzando impianti ecocompatibili e valutando gli impatti ambientali e sociali connessi all’implementazione di tecnologie alimentate da fonti alternative di energia. Il presidente del gruppo, l’ing. Alfredo Carmine Cestari rileva l’accelerazione del comparto in tutta Italia.

Lo confermano i dati soprattutto delle regioni del Sud sempre nel 2022: Puglia 8.213 unità di energy storage (più 327%), per una capacità totale di 419 MWh (più 419%) e una potenza pari 100 MWh (più 395%); Campania 6327 unità di energy storage (più 325%), per una capacità totale di 41 MWh (più 324%) e una potenza pari 76 MWh (più 383%). Confrontando 2021 e 2022 si nota come i sistemi di accumulo siano passati da media di 3.000 nuove unità installate ogni mese ad una di ben 13.000 unità al mese. Pari ad una crescita del 333%. La quasi totalità dei sistemi di accumulo in Italia risulta abbinato ad un impianto fotovoltaico, per lo più di taglia residenziale.

Il merito va cercato nei bonus edilizi. Interventi come il celebre 110% o la detrazione del 50% hanno spinto gli acquisti, forti del meccanismo di sconto in fattura o cessione del credito. Un traino potente il cui blocco (fronte cessioni) oggi spaventa il comparto, rendendo incerto il futuro a breve termine. Il gruppo Cestari in proposito condivide le preoccupazioni espresse da Anie: «Se originariamente le previsioni 2023 per questo segmento di mercato erano positive, con il blocco della cessione del credito istituito con il Decreto Legge n. 11 del 16 Febbraio 2023 esse sono da rivedersi in forte ribasso», spiega Anie. «La prospettiva è un 2023 in cui si raccoglieranno i frutti degli investimenti già in corso prima dell’entrata in vigore del decreto, qualora si sbloccherà per esse la possibilità di cedere il credito agli istituti finanziari, mentre vi sarà un blocco dei nuovi investimenti, perché il cittadino e le imprese dovranno adattarsi al nuovo scenario normativo.

Sicuramente si prevede un forte rallentamento di questo segmento di mercato». L’incertezza normativa è il fattore che pesa di più sul comparto, ma per i sistemi di accumulo di piccola e media taglia un aiuto potrebbe arrivare a breve con le nuove norme sulle comunità energetiche rinnovabili. Ma anche i prezzi di mercato dell’energia elettrica oggi costituiscono una leva. Di qui l’impegno ribadito dal gruppo Cestari in direzione delle comunità energetiche rinnovabili.

Soprattutto il Sud – dice Cestari - è ricchissimo di comuni e borghi, spesso distanti dai grandi nuclei urbani e dalle grandi centrali. Creare una misura ad hoc per spingere la realizzazione di impianti diffusi in periferia, incentivando peraltro anche l’aggregazione di cittadini, aziende, enti locali ha un valore non solo di risparmio energetico ma anche etico, di stimolo alla coesione di cittadini e imprese ed attività produttive locali. È un’ulteriore opportunità di riscatto per il Sud.

https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/basilicata/1388348/basilicata-regina-del-sud-per-le-energie-rinnovabili.html