giovedì 18 dicembre 2025

FARMACI CONTRO IL TUMORE DEL FEGATO: IL SANT'ORSOLA DI BOLOGNA ESEGUE LA SUA PRIMA ELETTROCHEMIOTERAPIA SU EPATOCARCINOMA.

 

Un'équipe di radiologi interventisti dell'IRCCS bolognese ha portato a termine con successo una procedura che combina impulsi elettrici controllati e farmaci chemioterapici per aggredire più efficacemente un epatocarcinoma. Grazie alla nuova Sala Angiografica realizzata con un investimento di 800mila euro di fondi PNRR, l'IRCCS si iscrive nel ristretto gruppo di centri capaci di eseguire l'intervento su questo tipo di lesioni. "Con questo approccio possiamo aggredire anche tumori del fegato finora incurabili".

A prima vista, tra geometrie azzurre e rossastre in continua evoluzione e scie luminose che attraversano il monitor, sembra di assistere ad un film di fantascienza. In realtà, nulla di più diverso. Quella che compare sullo schermo, infatti, è la procedura di posizionamento di sottili elettrodi ad ago, inseriti all'interno del fegato di un paziente per aprire (attraverso brevissimi impulsi elettrici) minuscoli varchi nelle membrane cellulari di un tumore. Varchi che consentono al farmaco oncologico di entrare più facilmente all'interno delle cellule neoplastiche, potenziandone l'effetto. E che permettono dunque di aggredire lesioni neoplastiche che non potrebbero essere trattate con tecniche tradizionali.
È il principio dell'Elettrochemioterapia, tecnica innovativa e minimamente invasiva che potenzia drasticamente l'efficacia della terapia chemioterapica grazie all'impiego di impulsi elettrici controllati. Già impiegata nella cura di diverse neoplasie benigne e maligne, al Policlinico di Sant'Orsola pochi giorni fa è stata eseguita per la prima volta su un epatocarcinoma, tumore maligno del fegato. Grazie alla nuova Sala Angiografica della Radiologia Addomino-pelvica Diagnostica e Interventistica diretta dalla prof.ssa Cristina Mosconi, infatti, l'IRCCS Policlinico di Sant'Orsola si iscrive nel ristretto gruppo di centri specialistici nazionali capaci di eseguire il trattamento su questo tipo di lesione.
La procedura è sicura, caratterizzata da altissima precisione e dal basso impatto sui tessuti circostanti. Risulta particolarmente indicata per pazienti con lesioni del fegato non candidabili a interventi chirurgici più invasivi né a trattamenti di ablazione percutanea tradizionali (come l'ablazione a radiofrequenza o a microonde). "Ci consente di aggredire anche lesioni del fegato che finora venivano considerate non trattabili con le tecniche disponibili", spiega in merito la prof.ssa Mosconi.
L'intervento è stato eseguito dall'équipe guidata dai radiologi interventisti Antonio De Cinque, Lorenzo Braccischi e Francesco Modestino in collaborazione con gli specialisti dell'Anestesia Polispecialistica e Rianimazione diretta da Andrea Zanoni. Il paziente, che è seguito da tempo dalla Medicina Interna per il trattamento delle gravi insufficienze d'organo dell'IRCCS, è stato dimesso dopo pochi giorni. "Questo nodulo in particolare sia per la posizione che per la peculiare vascolarizzazione non poteva essere trattato con altre tecniche – spiega la dottoressa Federica Mirici Cappa – L'intervento è andato bene e il paziente non ha avuto complicanze, ma per valutare l'efficacia del trattamento bisognerà attendere i controlli dei prossimi mesi".
"Bologna si conferma un punto di riferimento per il trattamento della patologia epatica: dalla presa in carico alle procedure interventistiche avanzate, dall'eccellenza oncologica fino al trapianto e alle più moderne tecniche di riperfusione – commenta la direttrice del Dipartimento Medico chirurgico delle malattie digestive, epatiche ed endocrino-metaboliche dell'IRCCS, Maria Cristina Morelli - La multidisciplinarietà e la vocazione all'innovazione del Policlinico consentono di seguire il paziente a 360 gradi sperimentando, quando possibile, anche tecniche innovative".
"Si tratta di un'operazione che richiede un ambiente altamente specializzato, perché il paziente deve rimanere completamente immobile per il corretto posizionamento degli elettrodi e per gestire l'erogazione degli impulsi controllati ad alta tensione - aggiunge la prof.ssa Mosconi – Le tecnologie in dotazione alla nuova Sala Angiografica del Policlinico di Sant'Orsola sono state fondamentali per la buona riuscita dell'operazione". Inaugurata ad ottobre grazie ad un investimento di quasi 800mila euro mila euro garantiti da fondi PNRR, la sala è infatti dotata di sistemi di navigazione 3D di ultima generazione e di dispositivi che consentono la fusione delle immagini di ecografia, TAC e risonanza: innovazioni fondamentali per ottenere il massimo della precisione e della sicurezza della procedura, pur preservandone le caratteristiche di mininvasività.
Come funziona l'Elettrochemioterapia. L'approccio elettrochemioterapico sfrutta il fenomeno dell'elettroporazione reversibile. Gli impulsi elettrici prodotti dagli aghi posizionati con precisione attorno alla lesione inducono infatti la formazione di pori transitori nella membrana cellulare ionica del tumore. Ed è proprio attraverso questi varchi temporanei che il farmaco somministrato per via endovenosa riesce a infilarsi: in condizioni normali le molecole chemioterapiche sarebbero troppo grandi per superare in forze questa barriera, ma grazie a questo aiuto la loro concentrazione all'interno della cellula aumenta in misura esponenziale (di diverse migliaia di volte). Di conseguenza, l'azione citotossica risulta drasticamente più efficace: il farmaco riesce a interrompere efficacemente la proliferazione delle cellule neoplastiche, portandole alla morte.
La Radiologia Addomino-pelvica Diagnostica e Interventistica esegue sia procedure diagnostiche (Tac, risonanza magnetica ed ecografia), principalmente per malattie, oncologiche e non, del fegato, delle vie biliari, dell'intestino e delle vie urinarie, che procedure interventistiche sotto guida radiologica ed ecografica. Grazie alla ventennale esperienza acquisita nelle procedure di radioembolizzazione, per le quali è centro di riferimento nazionale, e all'introduzione di tecniche innovative come la TAME (embolizzazione delle arterie genicolate), sottopone a trattamento ogni anno circa 1.800 pazienti.
La Medicina Interna per il Trattamento delle Gravi Insufficienze d'Organo è strutturata in servizi di competenza specialistica e ultraspecialistica e si occupa della diagnosi e del trattamento integrato delle patologie acute e croniche severe del fegato e delle vie biliari. Afferisce al Programma Aziendale di Trapianto Epatico, che si configura come importante momento di incontro interdisciplinare di consolidate competenze plurispecialistiche. 

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Il narcisista. -

 

Il narcisista non ha solo bisogno di essere ammirato: ha bisogno che nessuno possa mettere in crisi la narrazione che fa di sé.
La sua immagine pubblica non è un accessorio: è la sua armatura. Quando sente che una vittima potrebbe raccontare la verità,
non cerca il dialogo, non cerca il confronto, non cerca la riparazione. Cerca la delegittimazione. È un meccanismo preciso, antico, automatico: trasformare chi potrebbe rivelare la sua ombra in qualcuno che non verrà creduto. Così la vittima diventa “esagerata”,
“instabile”,
“gelosa”,
“vendicativa”,
“fragile”,
“confusa”,
“problematica “
Il narcisista costruisce intorno a sé una reputazione tanto impeccabile quanto fragile.
Sa che basta una crepa per far crollare il castello, e allora lavora in anticipo: protegge la sua immagine screditando chi potrebbe minacciarla. Non lo fa per cattiveria.
Lo fa per sopravvivenza psicologica.Smontare l’altro serve a conservare il personaggio.
Ridicolizzare la vittima serve a neutralizzare la sua voce. Creare sospetto serve a difendere la sua facciata pubblica. La dinamica è sempre la stessa: se non posso controllarti,
posso almeno renderti non credibile. E in questo schema la vittima resta doppiamente ferita: prima nella relazione, poi nella narrazione. Ma la verità clinica è semplice:
quando qualcuno ha disperato bisogno di screditare gli altri per salvare se stesso,
non è forte, è in frantumi. E ogni volta che una vittima ritrova la sua voce, l’immagine del narcisista traballa. Perché non c’è maschera abbastanza solida da resistere a una verità finalmente detta. Il narcisista e l’immagine pubblica: la difesa contro la vergogna. Per comprendere perché il narcisista scredita le vittime, bisogna capire una cosa essenziale:
la sua identità non è stabile. È costruita su un equilibrio fragile, mantenuto da continue difese contro la vergogna. La vergogna, nel narcisismo, non è un’emozione: è un baratro.
Un vuoto identitario che il soggetto non può tollerare. Per questo deve impedire, a ogni costo, che qualcosa o qualcuno lo avvicini a quel punto di frattura. Quando una vittima comincia a parlare,a nominare l’abuso,
a mostrare ciò che accade dietro le quinte,
il narcisista non vive questo come un confronto: lo vive come una minaccia alla sua sopravvivenza psichica. La sua prima difesa è quella più antica: screditare l’altro prima che l’altro possa rivelare la sua vulnerabilità.
È una dinamica di proiezione e inversione:
ciò che teme dentro di sé lo attribuisce all’altro. Così la vittima diventa “instabile”, “manipolatrice”, “ossessiva”.Le accuse servono a creare un contenitore esterno
per la vergogna interna che non può essere mentalizzata. Il narcisista non mente sempre in modo consapevole. Spesso dissocia.
Scinde le parti di sé: da una parte il Sé grandioso, impeccabile, competente;
dall’altra il Sé fragile, vergognato, impotente.
La vittima, quando denuncia o racconta,
riattiva proprio la parte dissociata:
quella che non deve esistere. Per difendersi, il narcisista deve separarsi dalla responsabilità
e trasferirla altrove. La narrazione pubblica diventa allora un modo per mantenere
una continuità del Sé: coerente all’esterno, scissa all’interno. La vergogna è l’emozione più temuta dal narcisista.
Non la colpa, la colpa ammette un atto.
La vergogna, invece, riguarda l’essere.
Per questo l’attacco alla vittima è così feroce e capillare: serve a evitare che emergano aspetti del Sé che lui stesso non può tollerare.
La logica interna è questa:
“Se tu mi esponi, io ti distruggo.
Se tu racconti, io nego la tua credibilità.
Se tu mostri la mia ombra, io ti dipingo come ombra. Non è cattiveria. È difesa identitaria.
L’immagine esterna per il narcisista funziona come una seconda pelle. È il suo modo di tenere insieme ciò che dentro è frammentato.
Per questo la cura dell’apparenza è ossessiva:
non riguarda il desiderio di piacere,
ma il bisogno di non crollare.
Quando la vittima racconta la verità,
minaccia questa pelle simbolica.
E il narcisista reagisce come se fosse in gioco la sua sopravvivenza.
La vittima viene screditata perché dice qualcosa che il narcisista non può sopportare. Da un punto di vista clinico,
il discredito serve a rendere innocua la testimonianza e a mantenere il controllo della narrazione. Perché dove la vittima parla,
il narcisista perde potere sulla realtà. Screditare non è solo un attacco:
è un tentativo di ricostruire un senso interno di coerenza, compromesso dalla possibilità del giudizio altrui. Il narcisista attacca la vittima
perché l’alternativa sarebbe affrontare la propria vergogna, e questo, per la sua struttura psichica, sarebbe un crollo.
Per questo il lavoro clinico non consiste nello smascherare, ma nel comprendere come queste difese si sono formate
e cosa proteggono. E per questo le vittime
non devono interpretare il discredito come una colpa o una debolezza,
ma come la prova più chiara
dell’incapacità del narcisista di sostenere la verità sul proprio Sé.
Dr. Carlo D’Angelo
Il narcisista esiste in varie persone , nasce per distruggere le sue vittime e vive sereno nella sua cattiveria ❤️

mercoledì 17 dicembre 2025

MA MATTARELLA DA CHE PARTE STA?

 

Mattarella continua a ripetere che i confini di uno stato non si cambiano con la forza. Ha una certa età e la memoria non lo sostiene. Ma Travaglio gli ricorda l’esempio del Kossovo! Credo che Mattarella, o i collaboratori che gli hanno scritto il discorso, dimenticano che c’è una guerra in corso e da che mondo è mondo con le guerre i confini si cambiano. In genere li cambia chi vince il conflitto e li cambiano a loro favore. Avevamo tutta l’Istria ma perdemmo la guerra …. Avevamo Rodi ed il Dodecanneso ed anche l’Etiopia e la Libia ma perdemmo la guerra …. Che senso ha uscire oggi dicendo che i confini sono inamovibili!! Perché non lo dice agli israeliani che stanno occupando tanti territori dei paesi limitrofi? Pretende forse che la Russia abbia combattuto e perso centinaia di migliaia di soldati e si ritiri dalle regioni dove la maggioranza della popolazione è russofona e che ora sono occupate? Ma chi è il capo di stato che accetterebbe questa soluzione? Zelensky ha poco da pensarci!! Non è riuscito a sconfiggere la Russia con l’aiuto degli americani figuriamoci ora che è stato abbandonato. Se tentenna ancora i russi avanzeranno e toglieranno lo sbocco al mare all’Ucraina saldando i territori già conquistati con i territori dove c’è una maggioranza russofona in Moldavia!! Ed insistere che i confini non si cambiano significa volere continuare il conflitto!! Che bravi sono quelli che chiedono agli ucraini di continuare a morire per una causa già persa!!
E DIRLO PRIMA ?
MARCO TRAVAGLIO – IL FATTO – 16.10.2025
Mentre Mattarella si iscrive al club dei sabotatori del negoziato perché i confini ucraini sono sacri e intoccabili (mica come quelli di Serbia e Kosovo che da vicepremier bombardò per 78 giorni), Zelensky pare sempre più ragionevole perché conosce l’unico verdetto che conta: quello disastroso del campo. In pochi giorni ha rimosso i due moventi fondamentali di questi 11 anni di guerra con la Russia: il Donbass e la Nato. La pillola amara dell’addio al Donbass, peraltro quasi tutto perso, l’ha indorata con l’annuncio che “Trump ci impone di rinunciarvi” (dobbiamo obbedire agli Usa, come sempre) e col caveat del referendum in loco. Ma tutti sanno che gli abitanti del Lugansk (tutto occupato) e del Donetsk (occupato all’85%) già prima della guerra erano quasi tutti russi o filorussi, e tantopiù lo sono ora, dopo 46 mesi di evacuazioni delle province occupate (in parte già ricostruite), dov’è rimasto quasi solo chi vuol restare russo o attende l’arrivo dei russi. Se si votasse, l’esito sarebbe scontato, quindi è improbabile che si voti: sennò si certificherebbe che da quattro anni rischiamo la terza guerra mondiale per difendere dai russi una popolazione che vuole stare coi russi. Ieri poi Zelensky, sempre con l’aria di chi fa un gran sacrificio, ha rinunciato anche alla Nato: bella forza, visto che Trump (come l’ultimo Biden) non perde occasione di fargli sapere che la Nato se la scorda, anzi nel nuovo piano di Difesa ha messo nero su bianco che l’espansione a Est è morta e sepolta. Per chi, come noi, pensa all’inutile sacrificio di centinaia di migliaia di persone, le rinunce di Zelensky a ciò che ha già irrimediabilmente perduto ricordano la fiaba della volpe e dell’uva. Ma anche ciò che si diceva subito prima e subito dopo l’invasione del 2022. Per scongiurarla, Macron e Scholz imploravano Zelensky di rinunciare alla Nato e promettere l’autonomia del Donbass promessa negli accordi di Minsk: parlavano con Putin e sapevano che con quei due impegni non ci sarebbe stata invasione. Zelensky tentennò, poi su pressione Usa-Uk rifiutò e Putin invase. Ma il negoziato russo-ucraino partì subito, in Bielorussia e poi a Istanbul. Putin chiedeva sempre le stesse cose: no alla Nato e sì a Minsk in cambio del ritiro russo, cioè di un’Ucraina tutt’intera (parola dei negoziatori ucraini). E Zelensky ripeté due volte: “La Nato non è pronta ad accoglierci”, “Non possiamo entrare nella Nato”. Non solo: “Neutralità e intesa su Crimea e Donbass per la pace”. Ma Usa e Uk si rimisero di traverso e Zelensky li seguì, alzandosi dal tavolo mentre si discutevano le garanzie per Kiev e le dimensioni del suo esercito. Sembrerebbe il film Il giorno della marmotta, se sotto quei ponti non fosse passato un fiume di sangue.

Yoshinori Ōsumi, il biologo giapponese che, nel 2016, ha vinto il premio Nobel per la Medicina «per le sue scoperte dei meccanismi di autofagia»..

 

Ha scoperto l'esistenza dell'autofagia nei lieviti, utilizzando questi ultimi per individuare i geni coinvolti nel processo stesso. Grazie a questo sempre più accurato screening genetico, ha individuato alcune delle importanti funzioni dell'autofagia nei processi fisiologici umani. Altre funzioni sono ancora oggetto di ricerca. Dal 2014 è professore onorario presso l'Istituto di Tecnologia di Tokyo.

Ha vinto il premio Nobel per la medicina nel 2016 «per le sue scoperte dei meccanismi di autofagia».[1]

https://it.wikipedia.org/wiki/Yoshinori_%C5%8Csumi

martedì 16 dicembre 2025

E dirlo prima? - Editoriale di Marco Travaglio.

 

Mentre Mattarella si iscrive al club dei sabotatori del negoziato perché i confini ucraini sono sacri e intoccabili (mica come quelli di Serbia e Kosovo che da vicepremier bombardò per 78 giorni), Zelensky pare sempre più ragionevole perché conosce l’unico verdetto che conta: quello disastroso del campo. In pochi giorni ha rimosso i due moventi fondamentali di questi 11 anni di guerra con la Russia: il Donbass e la Nato. La pillola amara dell’addio al Donbass, peraltro quasi tutto perso, l’ha indorata con l’annuncio che “Trump ci impone di rinunciarvi” (dobbiamo obbedire agli Usa, come sempre) e col caveat del referendum in loco. Ma tutti sanno che gli abitanti del Lugansk (tutto occupato) e del Donetsk (occupato all’85%) già prima della guerra erano quasi tutti russi o filorussi, e tantopiù lo sono ora, dopo 46 mesi di evacuazioni delle province occupate (in parte già ricostruite), dov’è rimasto quasi solo chi vuol restare russo o attende l’arrivo dei russi. Se si votasse, l’esito sarebbe scontato, quindi è improbabile che si voti: sennò si certificherebbe che da quattro anni rischiamo la terza guerra mondiale per difendere dai russi una popolazione che vuole stare coi russi.
Ieri poi Zelensky, sempre con l’aria di chi fa un gran sacrificio, ha rinunciato anche alla Nato: bella forza, visto che Trump (come l’ultimo Biden) non perde occasione di fargli sapere che la Nato se la scorda, anzi nel nuovo piano di Difesa ha messo nero su bianco che l’espansione a Est è morta e sepolta. Per chi, come noi, pensa all’inutile sacrificio di centinaia di migliaia di persone, le rinunce di Zelensky a ciò che ha già irrimediabilmente perduto ricordano la fiaba della volpe e dell’uva. Ma anche ciò che si diceva subito prima e subito dopo l’invasione del 2022. Per scongiurarla, Macron e Scholz imploravano Zelensky di rinunciare alla Nato e promettere l’autonomia del Donbass promessa negli accordi di Minsk: parlavano con Putin e sapevano che con quei due impegni non ci sarebbe stata invasione. Zelensky tentennò, poi su pressione Usa-Uk rifiutò e Putin invase. Ma il negoziato russo-ucraino partì subito, in Bielorussia e poi a Istanbul. Putin chiedeva sempre le stesse cose: no alla Nato e sì a Minsk in cambio del ritiro russo, cioè di un’Ucraina tutt’intera (parola dei negoziatori ucraini). E Zelensky ripeté due volte: “La Nato non è pronta ad accoglierci”, “Non possiamo entrare nella Nato”. Non solo: “Neutralità e intesa su Crimea e Donbass per la pace”. Ma Usa e Uk si rimisero di traverso e Zelensky li seguì, alzandosi dal tavolo mentre si discutevano le garanzie per Kiev e le dimensioni del suo esercito. Sembrerebbe il film Il giorno della marmotta, se sotto quei ponti non fosse passato un fiume di sangue.

lunedì 15 dicembre 2025

NATO obsoleta.

 

"Che la Nato si è obsoleta, non l'ha detto Trump ieri, lo sanno tutti, è la realtà, la Nato è obsoleta da quando è caduto il patto di Varsavia, il muro di Berlino, l'Unione Sovietica, la Nato non avendo nemici avrebbe dovuto sciogliersi perché era nata in funzione anti blocco sovietico, sparita l'Unione Sovietica e sparito il patto di Varsavia, Andreotti disse che cosa ci sta a fare la Nato? In tempi più recenti lo dissero Macron, che parlò di morte cerebrale della Nato, e Angela Merkel. Francia e Germania, quando ancora esisteva un'Europa autonoma dagli Stati Uniti, dissero che la Nato non aveva più alcun senso. Terzo, non è vero che a Trump non serve l'Europa o che rinuncia all'Europa. Sa di averla in tasca. È per quello che se ne frega. Li ha a rimorchio, a prescindere, ha detto Dazi al 10%, è arrivata la Von De Leyen e li ha firmati al 15%. Ha detto 5% Nato, avremmo potuto trattare un 4,5%, un 3,5%, no, abbiamo firmato il 5%. L'Europa, lui la dà per scontata con queste classi dirigenti che fanno finta di contestarlo quando sono lontane e poi vanno a leccargli il c**o quando sono alla Casa Bianca. Non ha problemi".

sabato 13 dicembre 2025

Nero su bianco la confessione di un reato.

 

Guido Carli: 'Aggirato il Parlamento per sottomettere l'Italia alla Comunità Europea' (NdR a guida tedesca)
L'altro ... ha fatto e continua a fare molto di peggio, lavorando apertamente per conto della Goldman Sachs e delle altre multinazionali finanziarie sioniste.
Nero su bianco la confessione di un reato.
Nelle parole di Guido Carli, non uno qualsiasi ma uno che nel tempo ha rivestito gli incarichi di Ministro del Tesoro, Ministro del Commercio con l'estero, Presidente di Confindustria, Governatore della Banca d'Italia e infine Senatore della Repubblica, viene affermato chiaramente e con una percepibile soddisfazione, che il trattato di Maastricht è stato firmato non solo fuori dalla Costituzione ma addirittura contro la stessa Costituzione italiana.
Carli dichiara che il Parlamento è stato "aggirato" per imporre un vincolo esterno.
Questa è eversione.
Un episodio più grave del tentato Golpe Borghese, più grave del progetto delle BR, più grave dello scandalo P2, le parole di Carli ci devono spingere a valutare la nullità dell'adesione stessa alla UE e la messa in stato di accusa dei suoi autori come traditori del proprio Paese.
Non dovrebbe esserci neanche bisogno di avviare procedure per l'uscita dall'Unione Europea e dall'Euro perché quell'adesione non è mai stata valida.
Qui di seguito le parole confessione di Guido Carli.
"Il trattato di Maastricht è stato ratificato dal nostro Paese, prima di altri Paesi della Comunità. Eppure, ancora una volta, dobbiamo ammettere che un cambiamento strutturale avviene attraverso l’imposizione di un “vincolo esterno”. Ancora una volta, come già nel caso del trattato di Roma, come nel caso del sistema monetario europeo, un gruppo di italiani ha partecipato attivamente, lasciando tracce importanti del proprio contributo, all’elaborazione di quei trattati che hanno poi rappresentato “vincoli esterni” per il nostro Paese.
Ancora una volta, si è dovuto aggirare il Parlamento sovrano della Repubblica, costruendo altrove ciò che non si riusciva a costruire in patria."