venerdì 10 agosto 2012

Giallo sul tesoro del Trivulzio nessuno sa che fine ha fatto. - Franco Vanni


Giallo sul tesoro del Trivulzio nessuno sa che fine ha fatto
(l'armadio cassaforte del Trivulzio)

Collane di perle, pietre preziose, fedi nuziali e bracciali antichi. Sono donazioni rimaste nell'antica cassaforte per anni. Il sindacato denuncia e chiede un inventario dei gioielli.

Collane di perle, anelli con zaffiri, fedi nuziali e bracciali antichi. Orecchini, monili e ciondoli d’oro, tramandati di generazione in generazione e donati nei secoli alla casa di riposo. Il tesoro del Pio Albergo Trivulzio, o quel che ne resta, è sepolto in un armadio-cassaforte polveroso. Un armadio che ufficialmente non esiste, la cui collocazione fino a pochi giorni fa era ignota persino agli stessi vertici del Pat. E come succede in tutte le storie di pirati, il tesoro è avvolto nel mistero: gli amministratori che si sono succeduti nei decenni alla guida della residenza per anziani, spesso spodestati da scandali e inchieste giudiziarie, non si sono mai premurati di stilare un elenco rigoroso degli oggetti donati all’ente. E nemmeno hanno preso nota della fine che abbiano fatto nei decenni.

«Che ci risulti non è mai stato fatto un inventario dei gioielli, eppure da qualche parte devono esserci i certificati originali delle donazioni, ora vogliamo vederci chiaro», dice Piero Lagrassa, presidente della rsu dei lavoratori della casa di riposo. Due giorni fa ha chiesto al presidente e al direttore generale del Pat di rendere pubblici tutti i dati sul valore attuale e sulla storia della collezione di gioielli e pietre della Baggina. Lagrassa ha anche posto un ultimatum: se entro il 30 di agosto non sarà fornita «una relazione chiara ed esauriente» si rivolgerà alla Procura. 

Collane di perle, anelli con zaffiri, fedi nuziali e bracciali antichi. Orecchini, monili e ciondoli d’oro, tramandati di generazione in generazione e donati nei secoli alla casa di riposo. Il tesoro del Pio Albergo Trivulzio, o quel che ne resta, è sepolto in un armadio-cassaforte polveroso. Un armadio che ufficialmente non esiste, la cui collocazione fino a pochi giorni fa era ignota persino agli stessi vertici del Pat. E come succede in tutte le storie di pirati, il tesoro è avvolto nel mistero: gli amministratori che si sono succeduti nei decenni alla guida della residenza per anziani, spesso spodestati da scandali e inchieste giudiziarie, non si sono mai premurati di stilare un elenco rigoroso degli oggetti donati all’ente. E nemmeno hanno preso nota della fine che abbiano fatto nei decenni.

«Che ci risulti non è mai stato fatto un inventario dei gioielli, eppure da qualche parte devono esserci i certificati originali delle donazioni, ora vogliamo vederci chiaro», dice Piero Lagrassa, presidente della rsu dei lavoratori della casa di riposo. Due giorni fa ha chiesto al presidente e al direttore generale del Pat di rendere pubblici tutti i dati sul valore attuale e sulla storia della collezione di gioielli e pietre della Baggina. Lagrassa ha anche posto un ultimatum: se entro il 30 di agosto non sarà fornita «una relazione chiara ed esauriente» si rivolgerà alla Procura. 

"Il sospetto, che poi è una certezza, è che nella distrazione generale buona parte del patrimonio sia stato sottratto o venduto sottobanco nei decenni passati - dice Lagrassa - il Trivulzio ha 1.400 appartamenti, realisticamente donati assieme all’argenteria. Dov’è finita?». Ed è difficile immaginare che le centinaia di lasciti testamentari che affidavano al Pat case e terreni non comprendessero anche i preziosi. Di sicuro nel patrimonio del Pat c’erano, e in parte ci sono ancora, mobili antichi e quadri, alcuni di valore, come il dipinto Passatempo 1871 di Filippo Carcano. 

Quello intrapreso ora dai vertici del Trivulzio è un lavoro di scavo non facile, dal momento che viene fatto per la prima volta, e vista l’esiguità della documentazione esistente. «Abbiamo affidato il mandato alla direzione del museo - dice Giovanni Soro, direttore generale fresco di nomina - contiamo di riuscire a ricostruire ogni cosa sulle donazioni di gioielli e opere d’arte». Circa l’attuale valore della collezione, la cui stima è in corso, dice: «Non saprei fornire una cifra, ma abbiamo visto quello che c’è nell’armadio e purtroppo non contiamo di sanare i bilanci del Pat vendendo anelli e bracciali». I sindacati esigono che i preziosi, qualunque sia il valore, siano comunque messi in vendita. Per Lagrassa, «non è accettabile che un ente che taglia servizi e posti di lavoro per sanare i conti si dimentichi in cassaforte oro e pietre preziose». 

Laura Iris Ferro, presidente del Pat, assicura che «l’inventario sarà fatto nel modo più scrupoloso possibile, in un’ottica di totale trasparenza. Nel caso dovesse emergere il ragionevole dubbio che qualcosa in passato sia sparito, ci rivolgeremo immediatamente alla Procura della Repubblica». Sempre che, alla scadenza del 30 di agosto, alla porta del magistrato non bussino i sindacati. Il sospetto dei lavoratori è che gli oggetti di maggiore pregio «siano finiti nei decenni nelle case di parenti e amici di chi si è succeduto alla guida dell’istituzione o dei politici che li hanno nominati». Un’ipotesi realistica, se si considerano gli scandali che hanno interessato la gestione del patrimonio del Pat: da Affittopoli, con le case date a basso prezzo a potenti e amici, alle ristrutturazioni affidate senza gara di appalto, su cui indagano i pubblici ministeri.

L’antico armadio-cassaforte, a memoria dei dipendenti, dai tempi della gestione del socialista Mario Chiesa è stato aperto ufficialmente due volte. La prima sei anni fa, quando presidente del Pat era il berlusconiano Emilio Trabucchi, dimessosi nel febbraio 2011 sulla scia di Affittopoli. «Fu indetta un’asta interna di gioielli - ricorda una dipendente - ma i prezzi erano troppo alti per le nostre tasche». La seconda volta è stata aperta l’altro ieri, dopo la richiesta dei sindacati. La procedura è complessa: «Ogni volta che viene aperta la cassaforte bisogna compilare un verbale, alla presenza del legale dell’ente - spiega Soro - e lo stesso riguarda le cessioni: se un gioiello viene venduto, l’operazione va registrata». Quei verbali, come le bolle che documentano le donazioni, potrebbero aiutare a ricostruire la storia del tesoro. Sempre che la carta non sia sparita insieme all’oro.

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