Appoggiato allo schienale dei banchi del governo, il volto provato, gli occhi inferociti, Giuseppe Conte si accorge di essere solo. È venuto qui, nell’aula del Senato, per informare il Parlamento di quel che sa dell’affare russo. Tutti lo ringraziano, ne apprezzano la buona volontà. Ma è lui stesso a premettere che non può “presagire se questa mia informativa sarà in grado di soddisfare appieno l’urgenza di essere informati” dell’opposizione che ne ha fatto richiesta. Perché del Metropol, delle missioni a Mosca, del ruolo di quel Gianluca Savoini può dire solo quel che risulta dai suoi uffici a Palazzo Chigi. “Non ho ricevuto informazioni dal ministro competente” dice. Eppure le aveva chieste ufficialmente, voleva che Matteo Salvini gli consegnasse per iscritto la sua versione su quell’audio diffuso da BuzzFeed. Il Viminale non ha buttato giù neanche una riga: tutto può tornare indietro e fare male, meglio non lasciare tracce.
Non ha fogli in Aula, Giuseppe Conte. E non ha quasi amici. Lo assiste il titolare dei Rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro, qualche poltrona più in là è seduta la collega Giulia Bongiorno, a fine giornata arriva il ministro Giorgio Bonisoli. Poca roba: la maggioranza che lo sostiene, lì, non si vede. I leghisti sono sul banco degli imputati e hanno un solo mandato: buttarla in caciara. Ci riescono benissimo, tant’è che lo stenografico della seduta alle 17.35 segna il punto di non ritorno della discussione: “Bibbiano!”, “Mitrokhin!”, “Soldi all’Unità!”, “Ciaone!”, urla il capogruppo del Carroccio Massimiliano Romeo, mentre Mosca, Savoini e il Metropol diventano un puntino lontano. Ma non ci sono nemmeno i 5 Stelle, che hanno improvvisato la sciagurata mossa di uscire dall’Aula per protestare contro Salvini: qualcuno esegue l’ordine di Di Maio, molti altri no (si vedono, tra gli altri, Paola Taverna, Primo Di Nicola, Elio Lannutti, Alberto Airola).
Il risultato è che mezzo dibattito si esaurisce a parlare del fatto che non sono venuti ad ascoltare il presidente del Consiglio nemmeno quelli che gli hanno dato la fiducia un anno fa. Se lo ricorda lui, quel 5 giugno del 2018. E in apertura del suo intervento, butta lì l’unica frase che fa davvero indispettire Salvini: “A questo consesso siate pur certi tornerò – dice Conte a Palazzo Madama – ove mai dovessero maturare le condizioni per una cessazione anticipata dal mio incarico”. “Le maggioranze non si raccolgono come funghetti. Non mi presto a operazioni di palazzo”, gli risponderà in serata il suo vice: “Malevolo”, è la reazione off di Palazzo Chigi, che fa sapere che ieri mattina Conte aveva incontrato Salvini per avvertirlo di quel che avrebbe detto.
“Chiacchierate di aria fritta”, le giudicherà il leader della Lega. Eppure qualche fatto sul Rubli-gate, Conte lo ha messo in fila. Tre, per la precisione. Primo, Savoini non ha mai avuto incarichi o consulenze con il governo e “tuttavia era presente in una missione ufficiale a Mosca, avvenuta nei giorni 15 e 16 luglio 2018, al seguito del ministro dell’Interno”. Secondo, agli appuntamenti col presidente russo Vladimir Putin – il forum e la cena a Villa Madama – Savoini è venuto su invito di Claudio D’Amico, lui sì “consigliere per le attività strategiche e di rilievo internazionale” del vicepremier Salvini. Terzo, il viaggio di Salvini a Mosca del 17 e 18 ottobre (in contemporanea all’incontro del Metropol registrato) è stato organizzato dal Viminale solo per la partecipazione all’assemblea di Confindustria Russia: il resto degli incontri erano di “carattere privato”.
Conte aggiunge che la sua fiducia nel ministro dell’Interno “non è incrinata”. Eppure sente il bisogno di chiarire che nonostante non abbia motivo di “dubitare” di possibili “deviazioni rispetto ai nostri interessi nazionali”, la “piena garanzia” che questo non sia avvenuto la dà anche “il fatto che alla Presidenza del Consiglio sia stato chiamato il sottoscritto, persona terza rispetto alle due formazioni politiche di maggioranza”. E d’ora in poi, conclude riferendosi alla riunione tra Salvini e il ministro dell’Interno russo a cui ha partecipato anche Savoini, “mi adopererò affinché negli incontri governativi a livello bilaterale siano presenti solo persone accreditate ufficialmente”. Non esattamente un attestato di stima per il comportamento tenuto dalla Lega fin qui.
L’opposizione annuncia una mozione di sfiducia a Salvini. “Il suo sforzo – dice a Conte il dem Dario Parrini – è ammirevole sul piano dell’impegno fisico ma è disdicevole sul piano politico”. Conte se ne va: i senatori 5 Stelle provano ad avvicinarlo. Lui, pacatamente, gli ricorda quella parola che usavano ai V-day.
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