mercoledì 28 agosto 2019

Le famiglie dei Malavoglia al governo del loro scontento. - Antonio Padellaro

Le famiglie dei Malavoglia al governo del loro scontento

Il governo dei Malavoglia ha il broncio di Andrea Orlando (forse scocciato dal ruolo di superfluo vice di Nicola Zingaretti e forse anche di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi) e indossa i bermuda di Luigi Di Maio in ostentata vacanza dalla crisi, su una spiaggia campana.
Il governo del loro scontento si agita nel M5S con i contrariati Alessandro Di Battista e Gianluigi Paragone e nel Pd con il nevrile Carlo Calenda (privo di cigno), che vivono l’alleanza tra movimento e partito con lo spirito di un funerale a ferragosto.
Che l’umore prevalente del negoziato giallorosso sia una sottile scocciatura condita da un robusto senso di allarme, si direbbe dall’andamento dubbioso, circospetto dei protagonisti di entrambi i colori, come se una forza primordiale della natura li avesse strappati ad alpeggi e ombrelloni per precipitarli nella calura romana e costringerli a fare qualcosa di cui non appaiono per nulla convinti. Forse, caso raro nella storia repubblicana, la nascita di un nuovo esecutivo, più che solleticare ambizioni e candidature, sembra alimentare ritrosie e perplessità, almeno nelle prime linee.
Il fatto è che, nel cratere creato dall’improvvisa deflagrazione del Salvini al mojito e dal successivo blitzkrieg di Matteo Renzi, si è appalesata una bizzarra creatura politica che qualcuno ha definito Frankenstein, ma che al momento è un Topo Gigio che non fa paura a nessuno. Non un horror, ma una commedia degli equivoci con una strepitosa performance del fratello di Montalbano che per due ben volte avrebbe rassicurato Salvini sulla decisione pidina di andare a elezioni, tutti insieme e senza indugio alcuno (ha raccontato Enrico Mentana citando “fonti dirette”). “Sei sicuro che Renzi non farà scherzi?”, insisteva il capitano sospettoso. “Fidati”, rispondeva l’altro. Applausi. Fatto sta che, come in tutti matrimoni di convenienza, ruggini e dissapori rischiano di rovinare la futura convivenza, alla luce degli insulti sanguinosi che 5Stelle e dem si sono scambiati fino all’altro giorno.
Ecco allora che l’unica spiegazione plausibile all’unione forzata (e forzosa) va ricercata non nel cortile di casa, ma in quell’altrove che vigila sui destini di un Paese considerato strategicamente molto più importante del livello della sua classe dirigente. Se si mettono insieme il forte sostegno manifestato a Giuseppe Conte dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen (eletta con i voti determinanti del M5S) con il caloroso tweet di Donald Trump a favore del premier uscente (e probabilmente rientrante), si comprende come certi distinguo che agitano il Nazareno e la Casaleggio, difficilmente impediranno la celebrazione delle strane, e interessate, nozze giallorosse. Quanto a Vladimir Putin, agli osservatori più attenti non è sfuggita la recente visita in Vaticano, con il colloquio definito “cordiale” tra Francesco e lo zar che sul tema dell’immigrazione non sembra voler dare sponda a certi furori leghisti. Tutto il resto è noia.


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