“Soltanto chi lascia il labirinto può essere felice, ma soltanto chi è felice può uscirne”.
Michael Ende, “Lo specchio nello specchio”
Lo scorso 23 giugno, con apposita disposizione a tutte le compagnie aeree, l’Enac ha vietato ai passeggeri l’uso delle cappelliere, quegli utili vani posti sopra i sedili dove riporre i trolley e le altre borse di piccole dimensioni. “La misura”, recita rigoroso ma giusto il comunicato, “è per evitare assembramenti delle persone nel momento in cui devono posizionare il proprio bagaglio a bordo dell’aeromobile”. Infatti, chi avesse la disavventura di frequentare lo scalo di Fiumicino per motivi (indovinate un po’) di viaggio sarà costretto a file mostruose per raggiungere gli sportelli del check-in (pur essendo già provvisto di check-in) onde spedire nella stiva il bagaglio (se eccedente la misura 36 per 45 per 20, praticamente la calza della befana). Si posizionerà accanto ad altri sventurati, che avranno almeno la soddisfazione di imbarcare degli armadi a quattro ante. Infatti, in forza della prima legge della termodinamica, secondo la quale dei corpi umani in fila (anche soltanto un paio) tendono comunque a premere gli uni sugli altri, per evitare qualche assembramento a bordo se ne creano altri, di massa, in aeroporto, perfetti per la trasmissione di eventuali contagi (coronavirus o peste bubbonica). Infatti, stremati, accaldati e incazzati dalle attese, una volta seduti e allacciate le cinture condivideremo una distanza di circa venti centimetri con il passeggero accanto, che potrà tranquillamente starnutirci addosso milioni di germi, naturalmente protetto dall’indispensabile mascherina (che va tenuta comodamente sulla bocca e sul naso fino ad avvenuta asfissia). È il “Comma 22” del comitato tecnico scientifico: il modo migliore per evitare gli assembramenti è crearne di nuovi.
Capitolo sotto la banca il cliente crepa. Come sanno i comuni mortali, negli istituti di credito si può entrare uno alla volta. Capita quindi che sul marciapiede, e sotto il saettante sole estivo si creino vasti assembramenti, con anziani stramazzati sull’asafalto. Del resto, può capitare che proprio nel bar accanto si creino davanti al bancone degli allegri assembramenti (e senza mascherina non potendosi altrimenti sorbire il caffè). Del resto, siamo il paese dove negli stadi, rigorosamente senza pubblico, i giocatori, dopo ogni segnatura, festeggiano con veri e propri amplessi, poco profilattici. Siamo il paese dove ci si assembra e senza precauzione alcuna nelle strade della movida. E dove nelle spiagge carnaio ci si assembra gli uni sugli altri (tanto, come dice Jair Bolsonaro, tutti dobbiamo morire). Siamo il paese dove il dibattito politico si accende sullo stato d’emergenza che il governo intende prorogare a fine 2020, con politici e giornalisti dell’opposizione che evocano (senza ridere) la dittatura di Pinochet. Siamo il paese della Fase Come Vi Pare. Dove per uscire dal labirinto delle proibizioni basta non entrarci, direbbe Michael Ende. Perché siamo il paese dove sarebbe bello se il ministro della Salute, Roberto Speranza, con codazzo di esperti, prima di escogitare nuove misure per tormentare inutilmente il prossimo, si facessero un giretto negli aeroporti, tra le cappelliere, davanti alle banche, al bar sottocasa, sulla spiaggia di Ostia (ma anche Fregene e Ladispoli vanno bene). Per vedere l’effetto che fa.
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