sabato 5 dicembre 2020

La Signora del Grillo. - Marco Travaglio

 

I cosiddetti professori dell’Università per stranieri di Perugia a colloquio sulla promozione del calciatore uruguaiano Luis Suárez, promessa alla Juventus per fargli avere la cittadinanza subito anziché nei quattro anni canonici e consentirne l’ingaggio immediato: “Ma te pare che lo bocciamo!?”. “Oggi c’ho l’ultima lezione e me la devo preparare perché non spiccica ’na parola”, “e che livello dovrebbe passa’ ’sto ragazzo… B1?”, “Eee, non dovrebbe, deve, passerà, perché con 10 milioni a stagione di stipendio non glieli puoi far saltare perché non ha il B1”. Il campione madrelingua che rassicura la prof: “Stai tranchilla porché io lo estudio in l’aviòn”. I vertici bianconeri che convocano i presunti docenti come fossero raccattapalle. E chiamano la ministra dei Trasporti Paola De Micheli, che con molto trasporto non dice “come vi permettete?”, ma li indirizza al capo di gabinetto del Viminale, perché i clandestini sono un guaio solo sotto un certo reddito (“10 milioni a stagione”!).

Al di là degli illeciti penali e sportivi, tutti da accertare nelle indagini, il caso Juve-Suárez è tutto qui. Una storia di ordinario privilegio, una volta si diceva “arroganza del potere”. L’ennesimo capitolo della saga infinita del Marchese del Grillo, personaggio romanzato da scrittori e sceneggiatori, eppure molto più realistico di qualunque figura realmente esistita, nell’Italia della scorciatoia, del “chi conosciamo?”, del “lei non sa chi sono io”, anzi dell’“io so’ io e voi nun siete un cazzo”. L’Italia che celebra Maradona non solo come un prodigio del pallone, ma anche come una via di mezzo fra Robin Hood e Che Guevara sempre in lotta con i poteri forti, a parte i camorristi del clan Giugliano, e sempre correttissimo in campo, a parte i gol con la mano, perché lui era lui e noi non siamo un cazzo. C’era una volta lo “stile Juventus”: ipocrita finchè si vuole, ma attento a salvare almeno le apparenze. Luciano Moggi segnalava i talenti del calcio, perché lo sapeva fare benissimo, ma nella sede della Signora non metteva piede perché Boniperti non ce lo voleva e l’Avvocato lo chiamava “il nostro stalliere”. Poi cadde anche il velo dell’ipocrisia, “la tassa che il vizio paga alla virtù” (La Rochefoucauld). Lucianone entrò dalla porta principale, come direttore generale. E fu subito Calciopoli: condanne penali (poi prescritte), radiazioni sportive, retrocessione in B, revoca dei due scudetti truccati. Eppure ancora 15 anni dopo Andrea Agnelli, che dell’Avvocato ha solo il cognome, rivendica i due trofei sporchi. Poi, quando vince 3-0 a tavolino contro il Napoli assente perché bloccato dall’Asl, dichiara che “la Juventus rispetta sempre le regole”. Come no. Era dall’ultimo film di Totò che non si rideva tanto.

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