Sino a ricorrere nei prossimi giorni all’arma da fine del mondo, cioè al voto di fiducia, così da legare la tenuta di questa larghissima maggioranza alla riforma del processo penale. E sarebbe la porta sbarrata a qualsiasi modifica, ma soprattutto un modo per portare sul ciglio del burrone Conte. Perché i ministri del M5S dal governo non hanno alcuna voglia di uscire, questo ormai è chiaro a tutti. Ma come farebbe l’avvocato a dire sì senza cambiare una virgola del testo della ministra Cartabia, che stravolge una riforma del suo governo? “Conte deve evitare che si arrivi alla fiducia, ma non può lasciare gli emendamenti della Cartabia così come sono, è evidente” conferma una fonte che segue il dossier.
Tradotto: deve evitare che lo si costringa a una scelta, definitiva. Secondo i 5Stelle di governo, già evocata da Draghi a ridosso del Cdm di giovedì, quando avrebbe minacciato le dimissioni in caso di astensione dei quattro ministri (ma è una versione dei fatti molto discussa). Quindi, “in questi giorni bisogna lavorare per cambiare il testo, ma con intelligenza, serve una battaglia a bassa intensità” dicono sempre dal M5S. Insomma serve Conte, avvocato e mediatore, che la sua carriera l’ha costruita sugli arbitrati. Nei prossimi giorni incontrerà i parlamentari grillini della commissione Giustizia, per scambiare idee. Ma gli altri partiti sono già agitati. Tanto che in commissione parlano di pressioni delle altre forze di maggioranza per cambiare la relatrice del disegno di legge delega che ha in pancia la riforma del processo penale, la 5Stelle Giulia Sarti: contrarissima alle nuove norme della Cartabia, tanto da aver “strapazzato” i ministri domenica in assemblea (“Dovete chiedere scusa, la mediazione non è una vittoria”). E dall’aver ventilato l’uscita dal governo Draghi. Ma ora a gestire la palla dovrà essere innanzitutto Conte, che ha già pronte le sue proposte di mediazione. “Le aveva già inviate ai ministri del Movimento prima del Cdm di giovedì, ma non sono mai state prese in considerazione” sostiene una fonte vicina all’ex premier.
Ora l’avvocato potrebbe ripescarle per mostrarle, o quanto meno farle arrivare, al presidente del Consiglio. Ma la strada è stretta, anzi di più. “Se forziamo in Parlamento il rischio concreto è che il testo possa addirittura peggiorare” sospira un veterano vicino a Conte. E d’altronde, anche lo stesso ex premier sa di non poter sfidare Draghi sulla permanenza nel governo. “Giuseppe sa che ora l’uscita dalla maggioranza non la capirebbe nessuno” continua il 5Stelle di rito contiano. Soprattutto, non lo seguirebbero i big.
A partire da Luigi Di Maio, centrale nella mediazione con Grillo, che lo ripete ogni volta che può: “Questo governo deve arrivare al 2023”. La stessa opinione degli altri maggiorenti, come quel Roberto Fico che è stato l’altro perno della trattativa con il Garante. In questo scenario, Enrico Letta lo ha sentito per telefono e gli ha manifestato sostegno.
Invece in settimana, tra mercoledì e giovedì, l’ex premier incontrerà Grillo, per sancire anche di persona la pace. Non è ancora chiaro se sarà il garante a scendere a Roma, ma di certo i due si vedranno. Subito dopo, verrà convocata la votazione per il nuovo Statuto, che si dovrà tenere dopo 15 giorni. Ci vorrà quindi qualche altra settimana, prima di avere Conte come capo formale del M5S. Ma questa non è più una preoccupazione per l’avvocato: che ne ha ben altre.
ILFQ
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