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lunedì 16 dicembre 2019

Manovra, Mattarella ha firmato. Niente tagli alle pensioni d’oro. - Marco Rogari e Gianni Trovati

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Il capo dello Stato Sergio Mattarella ha firmato l'autorizzazione alla presentazione alle Camere del disegno di legge di bilancio. Esce in extremis dalla manovra la tassa sulla pesca sportiva. Sul filo di lana sale invece sul treno del provvedimento un rifinanziamento da tre milioni per il fondo destinato alle politiche migratorie. A differenza del taglio alle pensioni d’oro, che non è riuscito a farsi largo nel testo ma che dovrebbe rientrare attraverso un emendamento nel corso dell’iter parlamentare.

Sale dal 30% all’80% il taglio ai fondi extra-sanità e welfare per le Regioni che entro 6 mesi non aboliranno i vitalizi. Salta l’articolo dedicato al fondo per la famiglia ma lo stanziamento da 100 milioni, assicurano fonti ministeriali, è nei rifinanziamenti scritti nella seconda sezione della legge di bilancio. Sono queste le ultime novità del testo bollinato dalla Ragioneria generale dello Stato per l’invio al Quirinale e firmato in serata dal capo dello Stato.

I due fondi per pensioni e reddito di cittadinanza.
I 108 articoli arrivati al Colle confermano insomma l’impianto sostanziale della manovra. E in particolare il fatto che per il momento su riforma delle pensioni e reddito di cittadinanza, le due misure chiave del contratto di governo, ci si limita a due fondi. Le regole sono affidate a disegni di legge collegati che dovranno rispettare i tetti di spesa fissati dalla manovra. Anzi: le eventuali economie rispetto agli stanziamenti «possono essere» redistribuite fra pensioni e reddito, ma portanno essere dedicate anche ad altri scopi. Per esempio un freno al deficit in caso di problemi.

Ora, dopo la firma del presidente Mattarella, il testo approderà alla Camera con le tabelle sui saldi di bilancio. Il primo passo sarà rappresentato dagli eventuali stralci di norme considerate ordinamentali, e quindi fuori linea rispetto alle regole imposte dalla riforma della contabilità. Poi si passerà al merito con il primo tour di audizioni e l’esame in commissione Bilancio, che non sarà breve. Il testo arriverà in Aula a Montecitorio fra il 29 e il 30 novembre.

Niente taglio alle pensioni d’oro.
Sulle “pensioni d’oro”, l’ultima ipotesi di modifica circolata era quella di un contributo di solidarietà articolato in tre fasce: tra 90 e 120mila euro (6% di prelievo), 120-160mila euro (12%), oltre i 160mila euro (18%). Il taglio alle pensioni d’oro avrebbe potuto garantire risparmi compresi tra i 200 e i 300 milioni l’anno. La decisione di non procedere al taglio sarebbe stata determinata dai rischi di incostituzionalità della norma.

Pensioni d’oro potrebbero rientrare con un emendamento.
Secondo fonti di governo del M5S la norma sulle pensioni d'oro sarà introdotta in commissione durante l'esame della legge di bilancio. Su questo ci sarebbe l'accordo con la Lega. Il taglio escluderà le pensioni maturate con il sistema contributivo e le casse complementari. Riguarderà solo gli assegni a partire dai 90 mila euro.

https://www.ilsole24ore.com/art/manovra-mattarella-ha-firmato-niente-tagli-pensioni-d-oro-AEv7MrYG?fbclid=IwAR06gpc5pe99qM4ZnlQBQYbSRPamUhaUP7-00eHkyaivs1T9SQPS9Fbr7Ok&refresh_ce=1

sabato 12 agosto 2017

Sulle pensioni anche la mina perequazione. - Davide Colombo

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Tra le incognite d’autunno che possono condizionare dimensioni e contenuti della manovra non c’è solo la questione dell’adeguamento o meno dei requisiti di pensionamento alla speranza di vita. Sul tavolo c’è anche il nodo dell’indicizzazione delle pensioni all’inflazione, tema in discussione al tavolo governo-sindacati (se ne parlerà giovedì 7 settembre) ma sul quale grava la pesante attesa della Consulta. Il 24 ottobre, infatti, saranno discusse le questioni di costituzionalità delle regole sulla perequazione messe a punto dal governo Renzi con il decreto legge 65/2015 in risposta alla bocciatura delle norme precedenti, arrivata sempre dalla Corte costituzionale con la famosa sentenza 70/2015. E come nel caso degli adeguamenti automatici, anche la soluzione sulle perequazioni rischia di innescare nuova spesa previdenziale.

Stop alle indicizzazioni.
Per capire la posta in gioco bisogna tornare alla riforma Monti-Fornero (dl 201/2011), quando si decise non solo il definitivo passaggio al contributivo per tutti e l’innalzamento dei requisiti ma anche, con una norma transitoria, di bloccare parzialmente l’adeguamento all’inflazione degli assegni già in pagamento. Nel 2012 e nel 2013 venne così riconosciuto l’adeguamento pieno solo per le pensioni di importo fino a 3 volte il trattamento minimo, mentre nulla è stato pagato per gli importi superiori. Con la sentenza 70, la Corte ha dichiarato illegittima questa norma innescando una mina per i conti pubblici, dato che il costo di un pieno riconoscimento, a posteriori, della mancata perequazione venne stimato in 24 miliardi di euro. Di fronte a questo scenario il governo, nella primavera di due anni fa, ha varato il decreto 65/2017, con cui è stato introdotto un nuovo meccanismo di perequazione riferito al biennio 2012-2013 che ha stabilito un adeguamento al 100% per gli assegni fino a 3 volte il minimo; del 40% tra 3 e 4 volte; del 20% tra 4 e 5; del 10% tra 5 e 6; nullo per importi oltre sei volte il minimo. Inoltre è stato definito un meccanismo di “consolidamento” parziale degli effetti di tali arretrati negli anni seguenti. Costo dell’operazione “solo” 2,8 miliardi di maggiore spesa previdenziale. 
Ovviamente chi è rimasto escluso ha fatto ricorso in tribunale e in diversi casi sono state poste questioni di legittimità costituzionale sia sul biennio di mancata perequazione sia sul cosiddetto “mancato trascinamento” sul periodo 2014-2018, ritenuto penalizzante per gli importi più elevati. Il 24 ottobre il giudice delle leggi dovrà discutere una dozzina di ordinanze che puntano, a vario titolo, a smantellare la soluzione low cost del decreto legge 65/2015. L’esito è tutt’altro che scontato.

Il confronto sindacale.
L’attuale meccanismo di indicizzazione è oggetto, come si diceva, della “fase due” del confronto sindacale. L’impegno del governo è di introdurre un sistema di perequazione basato sugli “scaglioni di importo” e non più sulle “fasce di importo” a partire dal 2019, lo stesso anno in cui scatterebbe il nuovo adeguamento alla speranza di vita dei requisiti di pensionamento.In pratica si tornerebbe al meccanismo previsto dalla legge 388 del 2000. Ma nel protocollo siglato l’anno scorso si parla anche della possibilità di valutare l’utilizzo di indici diversi di inflazione, più rappresentativi della spesa dei pensionati, e non manca l’ipotesi di un recupero di parte della mancata indicizzazione passata per una rivalutazione “una tantum” del montante del 2019

Spesa per pensioni e inflazione.
L’Italia non è l’unico paese in cui le leve della riduzione o del differimento dell’indicizzazione delle pensioni sono state utilizzate per mitigare la spesa. Basta uno sguardo agli ultimi rapporti Ocse per scoprire che in almeno altri dieci paesi dell’area, negli ultimi anni, i meccanismi di perequazione sono stati toccati, ridotti o temporaneamente congelati. La ragione è sempre la stessa: tenere bassa la traiettoria di una spesa in costante crescita. Gli interventi sono stati dei più vari, calibrati tenendo conto sia delle esigenze di sostenibilità finanziaria dei sistemi previdenziali sia della dovuta protezione del potere di acquisto di pensioni.


L’adeguamento negli altri Paesi.
Vediamo qualche esempio recente. In Francia nel 2014 l’adeguamento delle prestazioni all’indice dei prezzi è stato spostato dal mese di aprile a ottobre per le pensioni che sono sopra i 1.200 euro al mese, mentre in Grecia il congelamento delle indicizzazioni è iniziato nel 2011 ed è durato quattro anni. In Giappone nel 2015 è stato chiuso un temporaneo stop delle indicizzazioni, mentre in altri Paesi gli interventi sono stati di più lungo termine, con la scelta di indicizzare le pensioni non più ai salari ma ai prezzi o a coefficienti che contengono un mix di inflazione e salari. È il caso dell’Ungheria (dal 2012) o della Repubblica di Slovenia (dal 2013 al 2017) mentre in Australia è previsto il passaggio all’indicizzazione all’inflazione e non più agli stipendi a partire dal 2017. In Finlandia nel 2015 l’indicizzazione è stata temperata, passando da un fattore dell’1% a uno dello 0,4%, un “fattore di riduzione” degli adeguamenti è stato introdotto anche in Lussemburgo nel 2013 e in Polonia nel 2012 mentre meccanismi di riduzione degli adeguamenti per le pensioni di vecchiaia e invalidità sono stati varati nella Repubblica Ceca nel 2012 per una durata prevista fino alla fine del 2015. In Spagna, infine, l’indicizzazione è stata calibrata anche sulla base dei contributi versati ed ogni cinque anni, a partire dal 2019, gli assegni saranno adeguati anche sulla base dell’aspettativa di vita.