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martedì 23 aprile 2024

Alzheimer, scoperto il gene che protegge dalla malattia: come funziona. - Federico Mereta - GIORNALISTA SCIENTIFICO

 

Il gene, una specie di “scudo” protettivo per il cervello, è stato identificato dagli esperti dell’Università Columbia, analizzando il patrimonio genetico di circa 11.000 persone.

A volte, ci sono notizie che offrono molte speranze. Ma che vanno prese con le pinze. Perché dalla semplice lettura di uno studio scientifico, che pure riporta un’indicazione di grande importanza, può essere difficile passare alla realtà pratica. Così occorre osservare con grande attenzione lo studio apparso su Acta Neuropathologica in cui si descrive l’identificazione di un gene in grado di ridurre il rischio di sviluppare la patologia di Alzheimer fino al 70%.

L’osservazione è di grande importanza scientifica, ma in tempi brevi difficilmente potrà diventare la base per modificare qualcosa nell’approccio alla malattia. Insomma, ci vorrà tempo per pensare ad un utilizzo pratico di questa scoperta. E soprattutto non si può immaginare che questa osservazione consenta di porre uno “scudo” per tutte le persone destinate ad ammalarsi. Per questo è importante continuare a puntare sulla classica prevenzione del decadimento cognitivo.

Cosa accade in chi soffre di Alzheimer e quanti sono i malati

Pensate ad una nebbia che lentamente avvolge, il cervello e smorza la possibilità di interagire delle cellule, portandosi via ricordi, affetti e più in generale la memoria. Ecco, attraverso la perdita progressiva dei neuroni e delle loro connessioni, la malattia di Alzheimer conduce al decadimento cognitivo, che si realizza per l’ammassarsi di proteina beta-amiloide, appunto questa nebbia, che danneggia i neuroni. Anche perché non sempre, e non solo, è la malattia di Alzheimer a determinarlo. Stando a quanto riporta l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), più di un milione di persone in Italia farebbe i conti con una forma più o meno grave di decadimento cognitivo. E sarebbero circa 600.000 i pazienti con vera a propria malattia di Alzheimer.
Attenzione: non bisogna fare l’errore di considerare che questa condizione colpisca solamente chi ne soffre. In qualche modo, infatti, sempre in base a quanto segnalato sul portale Epicentro dell’ISS, considerando tutte le demenze sarebbero circa tre milioni i soggetti che nel nostro paese vengono coinvolte nell’assistenza a chi è malato.

Cos’è e come agisce il gene protettivo.

La variante genetica ad attività protettiva è implicata nella produzione di una particolare componente che entra in gioco nella formazione della barriera emato-encefalica. Questa sorta di “posto di blocco”, come un vero e proprio passaggio di frontiera, ha il compito di evitare che sostanze potenzialmente nocive, virus o batteri passino dal sangue al cervello. In pratica, quindi, la variante genetica che codifica per la fibronectina (questo il nome della sostanza che si ritrova in questa forma di “frontiera” biologica), aiuterebbe a realizzare un’ottimale pulizia del sistema nervoso, favorendo quindi il miglioramento dell’ambiente in cui questo opera.

Il gene che si può considerare una specie di “scudo” protettivo per il cervello è stato identificato dagli esperti dell’Università Columbia, analizzando il patrimonio genetico di circa 11.000 persone. Ma non basta. Oltre a identificare il piccolo tratto di Dna, gli studiosi hanno anche cercato di valutare in che modo questa potrebbe diventare un obiettivo per nuove terapie, capaci di avere un’azione simile a quella del gene stesso e quindi di mantenere “pulito” il cervello dalla beta-amiloide, sostanza che si accumula, proprio come un rifiuto, andando ad avvolgere progressivamente i neuroni. La fibronectina, inoltre, in genere tende ad aumentare significativamente nei soggetti con malattia di Alzheimer. La variante genetica che fa da “scudo” potrebbe impedire questo accumulo. Al momento gli studi sono stati condotti solo su modelli di laboratorio. E la teoria sembra reggere, facendo sperare in una cura che certo non appare dietro l’angolo.

Quanto conta la genetica nella malattia di Alzheimer.

Le stime dicono che mediamente un 10% dei casi di malattia di Alzheimer sembra avere un preciso percorso genetico. Soprattutto, non bisogna considerare che le forme di demenza di questo tipo interessino esclusivamente le persone molto anziane. O meglio: il rischio appare associato all’età che avanza, ma non si può considerare la carta d’identità l’unico parametro da tenere presente.

In questo senso, Amalia Cecilia Bruni, allora Presidente della SINdem (Società Italiana di Neurologia per le Demenze), qualche tempo fa ha raccontato come esistano, pur se molto rare, forme di demenza giovanili (Young Onset Dementia o YOD). La prevalenza di queste forme prevalenza cresce con l’età: tra i 30 e i 34 anni siamo a 6 soggetti su 100.000, tra i 34 e i 64 si sale a 119 su 100.000 per arrivare a 853 su 100.000 tra i 60 e i 64 anni”. Ovviamente, queste forme possono manifestarsi diversamente rispetto alle classiche patologie della terza età.

“I quadri clinici in queste forme sono prevalentemente atipici, spesso con disturbi psichiatrici col conseguente rischio di essere spesso misdiagnosticate – è il parere dell’esperta. Una quota non irrilevante ha un’importante componente metabolica come per esempio la malattia di Niemann Pick di tipo C, una forma tipicamente infantile che però presenta anche forme Late Onset (a tarda comparsa) che ricadono nelle YOD. Diversa è la situazione nelle demenze ad esordio tardivo, dopo i 65 anni, pur se l’allungamento della vita ha permesso di comprendere che anche in questo gruppo esiste una forte eterogeneità e che esistono forme negli oldest-old (>80 anni) particolari, identificate solo da studi neuropatologici. La malattia di Alzheimer è certamente la forma di demenza più prevalente, ma individuare le cure, nonostante i progressi degli ultimi tempi, è estremamente difficile”.

Le diverse “malattie” di Alzheimer.

La malattia di Alzheimer può iniziare come processo biologico nel cervello anche venti e più anni prima dell’esordio dei primi sintomi. Questo è ormai noto dagli studi condotti proprio su soggetti pre-sintomatici portatori di mutazioni genetiche. Queste è il grande problema in chiave di cura: anche instaurare una terapia all’esordio potrebbe rivelarsi una misura tardiva poiché l’esordio dei sintomi non corrisponde al vero inizio della malattia ed è da considerare piuttosto come il momento in cui il cervello non riesce più a compensare la malattia, un po’ come il vaso che trabocca quando ormai si è riempito da tempo. La stessa esperta spiega come non siamo affatto certi che il quadro che si manifesta nella Malattia di Alzheimer genetica sia lo stesso che si vede nella malattia di Alzheimer “sporadica”.  Non esisterebbe quindi una malattia di Alzheimer ma probabilmente occorre parlare di malattie di Alzheimer (diverse per localizzazioni e tipo di proteine aggregate).

Una formula matematica per la prevenzione.

Andiamo oltre la genetica. Il cervello è una struttura plastica in continua evoluzione e modulazione durante tutto l’arco della vita ed è dunque sensibile ad interventi che anche dall’esterno si possono riflettere sulla genetica, sul metabolismo e sulle connessioni neurali. In questo senso, si può riproporre una formula matematica semplice da ricordare: 12 per 40. Si tratta di un’informazione utile per prevenire le difficoltà cognitive in età avanzata, prima tra tutte la Malattia di Alzheimer. Se si riesce a controllare con le giuste abitudini gli elementi che potenzialmente possono favorire l’insorgenza di questi quadri, infatti, si può arrivare a ridurre anche del 40 per cento il pericolo di sviluppare quadri di questo tipo.

I 12 fattori di rischio

La segnalazione viene da un documento della Lancet Commission on Dementia Prevention, Intervention and Care. A parte la complessità scientifica delle informazioni, vale la pena di ricordare i dodici fattori di rischio su cui possiamo agire in chiave preventiva: si parte con la pressione alta, l’obesità, il fumo, il diabete, lo scarso movimento, l’abuso di alcol. Si passa attraverso veri e propri elementi medici, come la perdita dell’udito, che viene considerata particolarmente significativa tanto da diventare in quanto a “peso” statistico l’elemento in testa alla classifica, per arrivare alla depressione, ai traumi cranici, e all’abuso di alcolici. Infine, occorre prestare attenzione all’ambito sociale in cui vivono le persone: isolamento, istruzione carente e inquinamento ambientale.
Secondo gli esperti, non “sentire” come si dovrebbe, significa aumentare significativamente i rischi. Attenzione va prestata anche all’inquinamento, pur se le ricerche per valutare la correlazione tra i due elementi sono state condotte soprattutto sugli animali. Stando agli studi, infatti, l’esposizione ad inquinanti particolati nell’atmosfera accelererebbe i processi neurodegenerativi. E, come se non bastasse, il biossido d’azoto figlio dei tubi di scappamento quando in alte concentrazioni potrebbe essere, secondo la scienza, associato ad un maggior pericolo di sviluppare demenza.
Sia chiaro: si parla solamente di rischi più elevati che sarebbe meglio contrastare.

https://quifinanza.it/salute/alzheimer-gene-protettivo-scoperta/811500/

martedì 26 settembre 2023

e stavolta chi lo ha sottoscritto il patto? - Cetty Pillitteri

 

sì, d'accordo, sono una malpensante, ma io non riesco a credere allo sbandieramento di rammarico per la negata collaborazione di Matteo Messina Denaro
io (cattiva!) penso che il silenzio sia il prezzo che l'anima nera dello Stato gli ha richiesto in cambio dell'assistenza nella fase finale della sua vita
non si poteva certo correre il rischio che quell'insolito mafioso prima di morire decidesse di vuotare il sacco!
e allora?
allora l'unico rimedio era offrirgli quell'arresto farsa (basta guardare il filmato dell'evento - pure mal recitato, senza neppure un accenno di sorpresa - a cui mancano solo i titoli di coda con i nomi del soggettista e del regista) a cui sarebbe seguito un comodo
ricovero ospedaliero anzichè il disagio del carcere, e poi una dolce agonia abbracciato dalle cure mediche e dagli affetti più cari: madre, figlia, nipote avvocato (e chissà chi altri)
e non raccontiamoci la balla della dovuta umanità verso un moribondo: a Riina e Provenzano abbiamo forse fatto lo stesso regalo? ma quelli non occorreva pagarli, non avrebbero comunque parlato
ora che il rischio è passato possiamo gettare un'altra palata di terra su tante verità che - checchè ne pensiamo noi - è meglio non si sappiano.

giovedì 8 settembre 2022

Napoli. Scoperta al Pascale la molecola che uccide le cellule tumorali.

 

Una semplice molecola in grado di esercitare un ruolo fondamentale nel melanoma maligno. Si tratta della miR-579-3p, appartenente alla classe dei microRNA.

A scoprirla il gruppo di ricerca dell’Istituto Pascale di Napoli, guidato dal direttore scientifico, Gennaro Ciliberto, e dal direttore della struttura complessa di Oncologia medica Melanoma, Paolo Ascierto in uno studio finanziato da Airc ed in collaborazione con il laboratorio di Carlo Croce all’Università di Columbus negli Stati Uniti.

Cosa fa questa molecola? I ricercatori hanno dimostrato che essa funziona da soppressore della crescita tumorale. E’ presente in abbondanza nei normali nei ma la sua quantità diminuisce man mano che il tumore diventa più aggressivo.

Inoltre riduce i melanomi resistenti ai farmaci inibitori di Braf e di Mek. Il miR-579-3p controlla la produzione di due proteine “oncogeni” che facilitano la produzione tumorale. Se questa molecola viene somministrata alle cellule tumorali queste iniziano a morire. Se i suoi livelli si abbassano quello dei due oncogeni salgono e viceversa. Inoltre la somministrazione di questa molecola insieme agli inibitori di Braf e Mek impedisce la formazione di cellule resistenti ai due farmaci.

Fonte: Pubblicazione sulla rivista scientifica PNAS

https://www.vesuviolive.it/ultime-notizie/161010-napoli-scoperta-al-pascale-la-molecola-uccide-le-cellule-tumorali/?fbclid=IwAR0ovCi97KyJKHakJy42jA0Bk6UI7rkcTuUd90ZTz5rMdB6cIMDipx7zbLQ

lunedì 18 maggio 2020

Artrite reumatoide.

Artrite reumatoide

L'artrite reumatoide è una malattia infiammatoria autoimmune permanente (cronica) che provoca dolore, gonfiore, rigidità e perdita delle funzioni delle articolazioni. Può colpire qualsiasi tipo di articolazione ma ad essere più frequentemente coinvolte sono quelle delle dita delle mani, dei polsi, dei piedi, delle ginocchia e delle caviglie (Video); più raro, è il coinvolgimento di spalle, gomiti e colonna vertebrale (rachide e annessi).
In Italia, il numero di casi di artrite reumatoide presenti nella popolazione generale (prevalenza) è pari a circa lo 0,5% e si stima che i malati siano tra i 200.000 e i 300.000.
È più frequente nelle donne, colpite in misura tre volte superiore agli uomini.
Può manifestarsi a qualsiasi età, ma si verifica più spesso negli adulti e nelle persone anziane: inoltre, nel 70% dei casi la malattia compare tra i 40 e i 60 anni di età.
L’artrite reumatoide può svilupparsi anche nell’infanzia o nell’adolescenza e può essere difficoltoso distinguerla da altre forme reumatiche (problemi di diagnosi differenziale).
L’evoluzione della malattia varia da persona a persona. I disturbi (sintomi) possono comparire in forma graduale, anche nel corso di diverse settimane o di alcuni mesi.
Gran parte dei malati attraversa periodi caratterizzati da disturbi (sintomi) acuti alternati a periodi in cui il dolore è pressoché assente.
Sebbene l’articolazione sia la parte dell’organismo più coinvolta, l’infiammazione può svilupparsi anche in organi interni (come, ad esempio, polmoni, reni, cuore, sistema nervoso, vasi sanguigni, occhi).
Non si conoscono le cause dell’artrite reumatoide. Sembra che possano influire fattori genetici, ambientali o ormonali.


Non esiste una cura (terapia) definitiva per l’artrite reumatoide, ma le terapie disponibili possono ridurre l’infiammazione e il dolore nelle articolazioni, prevenire o rallentare i danni a loro carico, limitare la disabilità e consentire una vita attiva.
L’artrite reumatoide è una malattia che persiste nel tempo (cronica), necessita di terapie prolungate e, in alcuni casi, continuative. Infatti, solo pochi malati giungono a completa guarigione mentre la maggior parte di essi deve curarsi per tempi lunghi.
La terapia va iniziata il più rapidamente possibile, prima che le articolazioni infiammate siano danneggiate in modo permanente.
I medicinali utilizzati possono essere divisi in due grandi gruppi:
  • farmaci sintomatici, adatti ad alleviare i disturbi causati dalla malattia. Includono analgesici, farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS) come ibuprofene, naprossene, diclofenac, ketoprofene, i più recenti COX2-inibitori (celecoxib, etoricoxib) e i cortisonici
  • farmaci anti-reumatici modificanti il decorso della malattia, chiamati disease modifying anti-rheumatic drugs (DMARD) nei paesi anglosassoni, migliorano notevolmente i disturbi, la funzionalità delle articolazioni e la qualità di vita della maggior parte dei malati.
    I DMARD utilizzati sono: il metotrexato, la leflunomide, gli antimalarici, la ciclosporina, la sulfasalazina e i sali d’oro.
    Il metotrexato, di solito è il primo farmaco utilizzato. Può produrre effetti indesiderati (effetti collaterali) quali inappetenza, diarrea e mal di testa e può incidere sull’emocromo e sulla funzionalità epatica. Questi parametri durante la cura dovrebbero essere controllati regolarmente attraverso le analisi del sangue. Più raramente, il metotrexato può provocare disturbi a livello respiratorio.
    La terapia con DMARD richiede alcuni mesi per manifestare la sua efficacia ed è importante continuare a prendere regolarmente il farmaco prescritto anche se in un primo momento sembri non fare effetto. A volte, è necessario provare due o tre tipi di DMARD prima di trovare quello più adatto
Farmaci biologici
Negli ultimi anni la cura dell’artrite reumatoide si avvale dell’uso di farmaci biologici, medicinali che agiscono specificatamente su alcune molecole prodotte da cellule del sistema immunitario. Sono somministrati qualora le terapie convenzionali non si siano dimostrate efficaci. Le cure approvate dalle agenzie del farmaco sono: adalimumab, anakinra, etanercept, infliximab, abatacetp e rituximab. In alcuni casi, tali medicinali sono prescritti da soli ma, in genere, per ottenere una maggior efficacia, sono somministrati contemporaneamente al metotrexato.
Gli effetti indesiderati (effetti collaterali) di solito sono lievi e consistono in reazioni della pelle nella zona delle iniezioni, febbre e mal di testa. Raramente, si è verificata la riattivazione di un’infezione tubercolare già esistente.
La cura (terapia) ideale dell’artrite reumatoide richiede un approccio multispecialistico, con la collaborazione tra reumatologi, medici di medicina generale, ortopedici, fisiatri, psicologi.

venerdì 10 giugno 2016

Sanità, 11 milioni di italiani rinunciano alle cure per difficoltà economiche.

Attesa in ospedale per visite mediche

Code e costi in aumento. Il dato emerge dalla ricerca Censis-Rbm, presentata oggi in occasione del Welfare Day: "L'universo della sanità negata tende a dilatarsi".

Roma, 8 giugno 2016 - Aumenta il numero degli italiani che hanno dovuto rinviare o rinunciare a prestazioni sanitarie a causa di difficoltà economiche. È quanto emerge dalla ricerca Censis-Rbm, presentata oggi in occasione del Welfare Day. Per molti pagare vuol dire più qualità, sicurezza e minore attesa. Ma non tutti possono permetterselo e devono rinunciare alle cure: dai 9 milioni nel 2012, sono diventati 11 milioni nel 2016, gli italiani che hanno dovuto rinviare o rinunciare, per motivi economici, a prestazioni sanitarie.
Tra chi non può più finanziarsi le prestazioni di cui avrebbe bisogno, in particolare troviamo 2,4 milioni di anziani, ma anche 2,2 milioni di millennials, ovvero i nati tra gli anni '80 e il 2000. 
"L'universo della sanità negata tende a dilatarsi", tra "nuovi confini nell'accesso al pubblico e obbligo di fatto di comprare prestazioni sanitarie", spiega la ricerca. Ma meno sanità vuol dire anche "meno salute per chi ha difficoltà economiche o comunque non riesce a pagare di tasca propria le prestazioni nel privato o intramoenia (cioè le prestazioni erogate al di fuori dell'orario di lavoro dai medici di un ospedale, che utilizzano le strutture ambulatoriali e diagnostiche dell'ospedale stesso a fronte del pagamento da parte del paziente di una tariffa)".
Negli ultimi due anni è aumentata di 80 euro a persona la spesa di tasca propria destinata alla salute, e non rimborsata dal Servizio Sanitario Nazionale. Dal 2013 al 2015 si è passati infatti da 485 a 569 euro procapite. 
Nello stesso arco di tempo invece è salita a quota 34,5 miliardi di euro la spesa sanitaria privata, con un incremento del 3,2%: il doppio dell'aumento della spesa complessiva per i consumi delle famiglie nello stesso periodo (pari a +1,7%). 
Dei 7,1 milioni gli italiani che nell'ultimo anno hanno fatto ricorso all'intramoenia, il 66,4% lo ha fatto proprio per evitare le lunghe liste d'attesa. Un 30,2% invece si è rivolto alla sanità a pagamento anche perché i laboratori, gli ambulatori e gli studi medici sono aperti nel pomeriggio, la sera e nei weekend. 
Ma il fattore che pesa di più è il declino della qualità del servizio sanitario pubblico. Per il 45,1% degli italiani il servizio sanitario della propria regione è pegggiorato negli ultimi due anni: lo pensa il 39,4% dei residenti nel Nord-Ovest, il 35,4% nel Nord-Est, il 49% al Centro, il 52,8% al Sud. Per il 41,4% è rimasta inalterata e solo per il 13,5% è migliorata.

lunedì 25 aprile 2016

Olio di cocco: qualità benefiche, risparmio, innumerevoli usi. - dr. J. M. Mercola



Per millenni l'olio di cocco è stato utilizzato come prodotto dietetico e cosmetico. 
Si tratta di un potente distruttore di ogni tipo di microbo: virus, batteri, protozoi (molti potenzialmente nocivi). L'olio di cocco è oltretutto un naturale apportatore di grasso di alta qualità, fondamentale per una salute ottimale dell'organismo.
Circa il 50 per cento del grasso contenuto nell'olio di cocco è acido laurico, elemento estremamente raro in natura. L'olio di cocco contiene acido laurico più di qualsiasi altra sostanza sulla Terra.
Il nostro organismo converte l'acido laurico in monolaurin, un monogliceride capace di distruggere i virus lipido rivestiti come HIV, herpes, influenza, morbillo, batteri gram-negativi e protozoi come la Giardia lamblia. Di certo è uno dei motivi che rendono l'olio di cocco così utile in medicina, sia nell'uso esterno che in quello interno.
L'olio di cocco è composto da acidi grassi a catena media (MCFAs) i quali sono facilmente digeribili e le cui membrane cellulari sono facilmente incrociabili. Gli MCFAs sono immediatamente convertiti dal fegato in energia, anziché essere immagazzinati sotto forma di grasso. Ecco perché consiglio l'olio di cocco come ideale sostituto dei carboidrati non vegetali.

L'olio di cocco viene assorbito senza fatica dal sistema digestivo e non produce picchi di insulina nel sangue, quindi per ottenere un immediato apporto energetico si può semplicemente ingerire un cucchiaio di olio di cocco, o aggiungerlo al cibo.
Per incrementare la presenza dell'olio di cocco nella propria dieta, si può sostituirlo al dolcificante per il the o il caffè. Dal momento che tra le sue proprietà vi è quella di migliorare l'assorbimento delle vitamine liposolubili, si può assumerne un cucchiaio per rafforzare l'efficacia delle vitamine assunte tramite il cibo o durante un trattamento specifico.
L'olio di cocco è ideale per tutti i tipi di cottura, in quanto resiste a temperature molto elevate senza subire deterioramenti, come invece avviene in molti altri tipi di oli (l'olio di oliva, per esempio, proprio per questo motivo non è adatto alla cottura).
Inoltre, l'olio di cocco non diventa rancido, il che è un enorme vantaggio se lo si utilizzi per intrugli fatti in casa. E' provato che dopo essere stato conservato a temperatura ambiente per un anno, l'olio di cocco non denoti il minimo irrancidimento.

Benefici generici per la salute apportati dall'olio di cocco.L'olio di cocco offre una lunghissima lista di benefici per la salute, se viene incluso nella dieta quotidiana. Oltre alle proprietà antimicrobiche, è utile per:

- Supportare la salute del cuore ed una corretta funzione tiroidea
- Apportare benefici al cervello
- Rafforzare il sistema immunitario
- Fornire un ottimo carburante all'organismo
- Rinforzare a accelerare il metabolismo quando si ricerca una perdita di peso 
- Mantenere la pelle sana e giovane

Ma l'olio di cocco ha anche un numero impressionante di altri usi, dalle applicazioni topiche di bellezza, ai trattamenti di primo soccorso, alla pulizia in generale.
L'olio di cocco può sostituire decine di prodotti di bellezza e cura del corpo.
Un articolo di Delicious Obsessions elenca anche non meno di 122 usi creativi dell'olio di cocco, di cui 21 ricette per la cura della pelle.
Di seguito vado ad elencarne alcuni.

- Strucco: imbevendo di olio di cocco un batuffolo di cotone pulito o un panno umido.
- Detersione viso: massaggiando viso e collo con un cucchiaio di olio di cocco su viso e collo.
- Scrub corpo: mescolando parti uguali di olio di cocco e zucchero di canna biologico in un barattolo di vetro e applicandolo sulla pelle asciutta prima della doccia o del bagno.
- Scrub viso: al posto dello zucchero, mescolando l'olio di cocco con bicarbonato di sodio o farina d'avena.
- Lozione per la rasatura: applicando un sottile strato di olio di cocco sulla zona da radere. 
L'acido laurico contenuto nell'olio di cocco servirà anche come antisettico per eventuali tagli da rasatura.
- Idratante per il viso ed il corpo: sia da solo, che mescolandolo con l'olio essenziale preferito (assicurarsi di utilizzare un olio essenziale di alta qualità per l'applicazione topica). E' possibile produrre una crema idratante soffice e spalmabile anche a basse temperature frustando l'olio di cocco con un miscelatore elettrico
- Antirughe: se applicato localmente l'olio di cocco aiuta a ridurre segni e rughe sottili, contribuendo a mantenere i tessuti connettivi forti ed elastici.
- Crema per le cuticole: una piccola quantità di olio di cocco strofinata intorno alle cuticole ammorbidisce le zone secche.
- Deodorante: una piccola quantità di olio di cocco applicata sulle ascelle aiuta a tenere a bada gli odori, grazie alle sue proprietà antibatteriche. Se si preferisce, è possibile aggiungere una piccola quantità di bicarbonato di sodio, o creare un vero deodorante usando olio di cocco, bicarbonato e polvere di radice. Ulteriori info nel seguente video (lingua inglese con sottotitoli in automatico attivabili su YouTube)
Il sito Delicious Obsessions elenca altre ricette per la preparazione di deodoranti a base di olio di cocco.
- Olio da bagno: Aggiunto all'acqua nella vasca da bagno vostro bagno aiuta a idratare la pelle secca causa di pruriti (rimuovere i residui dal fondo della vasca per evitare successivi scivolamenti). Assicurarsi che l'acqua sia più calda di 25 gradi Celsius per evitare che l'olio si solidifichi.
- Sapone: l'olio di cocco è uno degli ingredienti fondamentali di molte ricette per la preparazione di sapone fatto in casa.
- Burrocacao: sia applicando una piccola quantità di olio di cocco, così come è sulle labbra, oppure realizzando un sostituto del burrocacao attraverso una delle molte ricette presenti online.
- Dentifricio: Miscelato al bicarbonato di sodio l'olio di cocco può sostituire il dentifricio. Il bicarbonato di sodio pulisce delicatamente, mentre l'azione antibatterica dell'olio di cocco può mantenere sotto controllo i batteri nocivi.
- Repellente per insetti nocivi: una miscela di olio di cocco con oli essenziali di alta qualità può aiutare a tenere a bada gli insetti nocivi se applicato sulle porzioni di pelle esposte alle punture. Tra gli oli da miscelare si consigliano: menta piperita, melissa, rosmarino, olio di albero del the, citronella, geraniolo, olio di erba gatta e / o estratto di vaniglia chiara.

Amico dei capelli.L'olio di cocco è anche noto per i suoi effetti benefici sui capelli. La maggior parte delle donne che ne fatto uso lo utilizzano come balsamo pre-shampoo. Basta massaggiare l'olio di cocco sui capelli asciutti e lasciare in posa per circa un'ora o più. Si può anche lasciare agire per un'intera notte, indossando una cuffia per proteggere il cuscino dalle macchie. Applicato in questo modo l'olio contiene il danneggiamento della superficie del capello da cui derivano  indebolimento e rotture. Se applicato come trattamento pre-lavaggio, una piccola quantità di olio di cocco è in grado di penetrare in profondità nel fusto del capello rendendolo più resistente al lavaggio.

Benefici per la salute orale.Come accennato l'olio di cocco miscelato al bicarbonato di sodio diventa un semplice, economico, ma efficace dentifricio. E' anche un'ottima alternativa per chi desideri un dentifricio senza aggiunta di fluoro, ma non ha intenzione di spendere di più.
Un'altra tecnica per la salute orale in cui l'olio di cocco si rivela molto utile sono gli sciacqui. Questa tecnica ha ridotto significativamente il mio accumulo di placca, cosa che mi permette di andare meno spesso dall'igienista dentale.
Lo sciacquo con l'olio è una pratica che risale a migliaia di anni fa, avendo avuto origine con la medicina ayurvedica. L'olio di sesamo, tradizionalmente consigliato per questo scopo contiene una concentrazione di oli omega-6 relativamente elevata. Pertanto, a mio avviso l'olio di cocco è di gran lunga più adatto all'uso, oltre al fatto che nella mia mente ha un sapore migliore.
E' sufficiente sciacquare energicamente la bocca con l'olio, proprio come si farebbe con un collutorio. E' necessario far lavorare l'olio in bocca per un periodo di 15 minuti. Chi sia ossessivo come me e cerchi il massimo risultato può proseguire anche per 30-45 minuti. Questo processo permette all'olio di 'tirare fuori' batteri, virus, funghi e altri detriti. Il momento migliore è al mattino prima di mangiare la prima colazione, ma può essere fatto in qualsiasi momento. Io cerco di farlo due volte al giorno. Una volta fatto, è necessario sputare l'olio e sciacquare la bocca con acqua. Evitare di deglutire l'olio in quanto si ingerirebbe una sostanza popolata dai batteri e qualsiasi altra potenziale tossina e detrito appena rimossi.
Se fatto correttamente, lo sciacquo comporta una notevole pulizia, disintossicazione ed effetti curativi, non solo per la bocca ma per tutto il corpo. Candida e Streptococchi popolano comunemente la cavità orale; germi che possono contribuire all'accumulo di placca e carie, oltre a infezioni secondarie ed infiammazioni croniche in tutto il corpo. Lo sciacquo con olio di cocco può contribuire a ridurre il carico tossico totale sul sistema immunitario, impedendo la diffusione di questi organismi dalla bocca al resto del corpo, tramite il flusso sanguigno.

Olio di cocco alla riscossa.Oltre tutti gli utilizzi descritti finora, l'olio di cocco merita anche un posto nell'armadietto dei medicinali, sempre per via della sua attività antimicrobica e anti-virale. Ad esempio, l'olio di cocco può essere utile nel trattamento di:
- Infezioni dell'orecchio. Un paio di gocce in ciascun canale uditivo. In caso di olio soliifcato si può facilmente liquefare mettendone una piccola quantità in un bicchiere o altro piccolo contenitore e poi immergendo quest'ultimo in una tazza d'acqua calda.
- Eruzioni e irritazioni cutanee, tra cui la varicella e herpes zoster: Basta applicare una piccola quantità sulle zone anatomiche interessate.
- Infezioni fungine, come piede d'atleta e tigna, miscelandolo con un pò di olio di origano o di olio di albero del the.
- Punture di insetti, punture di api, herpes labiale con la stessa miscela descritta sopra.
- Epistassi: può aiutare se applicato regolarmente all'interno delle narici
- Emorroidi: per un risultato più efficace aggiungere un pò di olio essenziale di lavanda.
- Secchezza vaginale.
- Massaggio perineale: le donne in gravidanza possono utilizzarlo per massaggiare quotidianamente il perineo, a far capo da circa un mese prima del parto, per contribuire a ridurre le probabilità di strappi e / o la necessità di una episiotomia.
- Anti-pidocchi: l'olio di cocco è più efficace della permetrina contro i pidocchi. Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista European Journal of Pediatrics una combinazione di olio di cocco e anice è risultata quasi due volte più efficace della lozione permetrina comunemente prescritta per il trattamento dei pidocchi.

Non è meraviglioso vedere come la natura offra tante soluzioni efficaci per molti dei nostri mali? E lo fa in un modo spesso più efficace dei nostri intrugli chimici!

Usi sorprendenti dell'olio di cocco nella gestione domestica.
Ultimo ma non meno importante, l'olio di cocco può essere usato per espletare una serie di funzioni domestiche normalmente svolte da alternative più costose e potenzialmente tossiche.
1 Disinfettare il tagliere in legno. Da usare ogni volta che il legno comincia a sembrare secco.
3 Utilizzare come smalto metallico. E' consigliato testarlo prima su una piccola area.
4. Idratare e ammorbidire la pelletteria come si farebbe con altri prodotti da negozio.
5. Lubrificare cerniere cigolanti e meccanismi con olio di cocco, al posto di altri prodotti.
6. Pulire e lucidare i mobili in legno. Sempre meglio testarlo prima su una piccola area.
7. Lubrificare le corde della chitarra.
8. Rimuovere i residui di sapone con un panno inumidito con una piccola cucchiaiata di olio di cocco. Spruzzare la zona con aceto bianco e infine asciugare con un panno privo di lanugine.
10. Pulire mani e pennelli dopo l'uso di vernici a base d'olio, in luogo dell'acquaragia.
11. Pulire il cruscotto dell'auto con una piccola quantità su un panno morbido e privo di lanugine.
12. Pulire e disinfettare la dentiera applicando un sottile strato di olio di cocco se non è in uso. Sciacquare prima dell'uso.
13. Pulire e lucidare le foglie delle piante d'appartamento strofinandole con una piccola quantità di olio di cocco su un panno privo di lanugine.
14. Rimuovere la gomma da masticare da qualsiasi zona, compresi tappeti e capelli.


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