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venerdì 23 marzo 2018

Risorge il Cnel con le 48 nomine del governo Gentiloni. - Concetto Vecchio

Risorge il Cnel con le 48 nomine del governo Gentiloni

L'organo consultivo delle Camere e dell'esecutivo in materia economica è sopravvissuto al voto referendario del 2016 e si appresta a riunire il suo parlamentino di 64 esperti. Il presidente Treu: "Tutti a dire che non serve a niente ma poi c'era la fila ad entrare".

Dato per morto durante la campagna referendaria ("voglio essere chiaro sul Cnel: anche basta!", diceva Matteo Renzi prima del voto del 4 dicembre 2016), al punto che a poche settimane dal voto gli uffici di Villa Lubin a Roma erano ingombri degli scatoloni di chi si apprestava a fare un trasloco, risorto nella notte del No, festeggiata con pasticcini e champagne, il Cnel ha celebrato oggi la sua definitiva resurrezione con le 48 nomine varate dal governo Gentiloni in uno dei suoi ultimi atti.
 
L'organo consultivo del Parlamento e del governo in materia economica, che da un anno è retto dal professor Tiziano Treu, che fu ministro del Lavoro nel primo governo Prodi, e ministro dei Trasporti con D'Alema a Palazzo Chigi ("mi sono preso il miglior D'Alema", dice), e che al referendum aveva votato Sì ("ma sul Cnel non ero d'accordo"), quindi riparte: il parlamentino è composto da 64 esperti, dieci dei quali sono di nomina del Quirinale e i rimanenti sei dal Terzo Settore. Ridefinite le regole d'ingaggio: niente stipendi, solo un rimborso spese per chi non vive nella Capitale.
 
Quella del governo Gentiloni è una presa d'atto, nel senso che i nomi sono tutti indicati dalle varie organizzazioni sociali o sindacali. Nel giugno scorso le nomine erano già state decise, ma a quel punto piovvero una trentina di ricorsi di chi si era sentito escluso. "Tutti a dire che non serve a niente - fa notare Treu - ma poi c'era la fila ad entrare". Per sbrogliarne la matassa l'avvocatura di Stato è stata costretta a occuparsene per nove mesi.
 
"C'è la corsa dei renziani a farne parte", denunciava giorni fa il neosenatore leghista Alberto Bagnai. "Suvvia", dice Treu. "E' tutta gente competente, di cui non si conosco la casacca politica. Un tempo ci parcheggiavano i dinosauri, quel tempo è passato. E fa i nomi di alcuni esperti nominati oggi: l'ex ministro montiano Mario Catania; Paolo Peluffo, già sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio con Monti; l'ex presidente dei giovani industriali, Marco Gay; Gianna Fracassi, segretaria confederale della Cgil.
 
Il Cnel, la notte del 4 dicembre 2016, fu al centro di molti commenti ironici sui social, dopo che il 60 per cento degli italiani si era espresso a favore del No, a dispetto degli allarmismi di Renzi, che aveva quantificato "in un miliardo in 70 anni", il costo dell'organismo per le casse pubbliche.


http://www.repubblica.it/politica/2018/03/21/news/nomine_cnel_treu-191878843/

Leggi anche: 
http://www.corriere.it/elezioni-2018/notizie/cnel-nomine-dell-ultimo-istante-faeef6e2-2d48-11e8-af9b-02aca5d1ad11.shtml

giovedì 27 settembre 2012

Le nomine in extremis di Polverini. - Ernesto Menicucci


Renata Polverini (Ansa)

Il governatore vuole un rimpasto: i nemici interni rischiano di uscire.

ROMA - L'ultimo atto di Renata Polverini, alla fine, sarà il più politico: «Taglio gli assessori e mi dimetto: i consiglieri non li posso ridurre, la mia giunta la posso diminuire. Non serve lo stesso numero di assessori per l'amministrazione ordinaria. Ho lavorato all'accorpamento delle deleghe, domani (oggi, ndr ) le riassegnerò e allora potrò dimettermi».
È l'effetto dei veleni nel Pdl. Perché a fare le spese del rimpasto quasi «postumo» saranno, molto probabilmente, i membri di giunta più vicini ai rivali interni della Polverini, in particolare quelli legati ad Antonio Tajani. «Ballano» quasi tutti gli ex forzisti: Fabio Armeni (Patrimonio), Marco Mattei (Ambiente) e Stefano Zappalà (Turismo). Ma rischiano anche Angela Birindelli (Agricoltura), indagata a Viterbo, e gli ex An Pietro Di Paolo (Rifiuti) e Luca Malcotti (Lavori pubblici). Uomini, questi ultimi, vicini ad Alemanno il primo e al senatore Andrea Augello il secondo.
Salvi tutti gli assessori vicini alla Polverini. I due dell'Udc (Ciocchetti e Forte), «er pecora» Teodoro Buontempo (La Destra), l'ex Ugl Stefano Cetica, gli amici di Renata come Mariella Zezza, Pino Cangemi e Fabiana Santini che con lei vanno a correre la domenica mattina. Ha tutta l'aria di un regolamento di conti: la Regione è caduta, ma la guerra col Pdl non è finita. La governatrice, in una riunione-lampo con gli assessori, è chiara: «Tengo solo quelli di cui mi fido». Deciso anche il percorso: azzeramento dell'esecutivo regionale e rinomina con nuove deleghe. Mossa che scatena i malcontenti nel Pdl. Tanto che, di nuovo, è intervenuto Berlusconi, avvertito dagli uomini del Lazio a lui più vicini: «Evitiamo di esasperare gli animi», il tentativo in extremis del Cavaliere. Che, però, come nel caso delle dimissioni della governatrice, ha poi mollato la presa. La Polverini è determinata: «Sono il presidente uscente della Regione Lazio, ma non sono ancora uscita. Stiamo concordando con il ministro Cancellieri alcuni aspetti: mi spiace non essere rimasta cinque anni». E aggiunge: «Sono dettagli per chi fa demagogia, ma continuo ad agire con senso di responsabilità. Aspetto ancora le dimissioni annunciate dai consiglieri». Ma la diminuzione da 70 a 50 rimane lettera morta? Al mattino, Gianni Alemanno si sbilancia: «La Polverini, prima di uscire, vuole convocare il consiglio in seduta straordinaria e approvare i tagli». Lei prima lo gela («è l'ennesima invenzione di Alemanno»), poi - a Porta a Porta - conferma: «Il consiglio rimane in carica e può essere chiamato per questioni straordinarie. C'è la proposta della giunta sul taglio dei consiglieri e degli assessori. Oppure se arriva un decreto governativo condiviso, si può approvare la proposta». Ringrazia Napolitano «perché non si può circoscrivere tutto al Lazio», loda un consigliere di Rifondazione («una persona perbene») e poi torna all'attacco, sulle spese della Pisana: «Questa Regione è talmente indebitata che dovevamo trasferire i fondi al Consiglio regionale quando ce li chiedevano, altrimenti rischiavano il pignoramento, di non pagare gli stipendi o di essere commissariati e fare la fine della Campania». E ancora: «Ai gruppi 14 milioni? Non esiste. Ne mancherebbero 10 all'appello».
Il penultimo atto della giunta, ieri, è stato però la conferma di una serie di direttori: sette interni, uno esterno (il capo dell'avvocatura) e uno proveniente da un'altra amministrazione (Raffaele Marra, altro ex Ugl). Angelo Bonelli (Verdi) ed Esterino Montino (Pd) attaccano: «La Polverini vada via, è un bluff. Una di queste nomine è stata già bocciata dal Tar due volte». Tra i provvedimenti anche il ricorso alla Consulta sull'accorpamento delle Province previsto nella spending review . È sotto pressione, la governatrice. I fotografi la inseguono, lei rischia di finire sotto l'auto di servizio e sbotta: «Basta, sono dieci giorni che mi state appresso». E il futuro politico? In molti la vedono in Parlamento con Casini, possibile ministro di un governo tecnico ma con una spruzzata di politici. Ma, da ieri, circola un'altra voce: la tentazione del Campidoglio con Alemanno dirottato sul rinnovamento del Pdl. Fantapolitica? Chissà.