Immagina una biblioteca dove i libri, una volta messi sugli scaffali, iniziano a scivolare piano piano in un buco sul pavimento. Nessuno sa dove vadano, nessuno li rivede più… ma qualcuno giura di sentire, ogni tanto, il fruscio di una pagina sfogliata dal nulla.
Questo è il buco nero: una creatura cosmica nata dal peso del tempo e dalla curvatura dello spazio.
Fino al 1974 lo consideravamo un carceriere assoluto, uno che prende ma non restituisce. Poi arrivò Stephen Hawking, e come ogni vero narratore della fisica, scompaginò la trama.
Hawking dimostrò — con penna precisa e mente audace — che i buchi neri parlano, emettono radiazione, e che lo fanno attraverso un sussurro quantistico: impercettibile, ma reale.
La chiamarono radiazione di Hawking, ma in verità è una poesia termica dell'universo, composta tra relatività generale e meccanica quantistica, due linguaggi che prima di lui sembravano incompatibili come il latino e il cinese mandarino.
Secondo la fisica quantistica, il vuoto è un’illusione: è abitato da coppie effimere di particelle, come amanti condannati a scomparire. Ma se una di loro cade nel buco nero, l’altra può sfuggire — e l’universo se ne accorge. Quel soffio, quella fuga, è ciò che noi percepiamo come radiazione del buco nero.
E come insegnava Einstein, se perdi energia, perdi massa. Il buco nero dimagrisce. E un giorno, forse, svanisce del tutto.
Perché ci cambia tutto?
Perché rovescia una certezza: anche l’oscurità più profonda può avere una voce.
Perché ci pone una domanda inquietante: che fine fanno le informazioni di tutto ciò che il buco nero ha inghiottito?
E perché avvicina la scienza al suo Graal: una teoria che unisca tutto, la gravità quantistica.
Il buco nero non si confessa.
A differenza della radiazione ordinaria, che racconta storie sul corpo che l’ha emessa, la radiazione di Hawking è mutismo codificato: parla solo di massa, carica, rotazione. Il buco nero non lascia trasparire nulla del suo passato. È come se ogni anima inghiottita venisse dimenticata, e questa è una bestemmia per il pensiero scientifico.
Una fine esplosiva.
Man mano che evapora, il buco nero si scalda — non si raffredda. È l’unico corpo dell’universo con questo strano destino. Alla fine, potrebbe dissolversi in un lampo di raggi gamma, una morte spettacolare come un ultimo racconto gridato al cielo.
E qui servirebbe una nuova grammatica: la teoria del tutto, che ancora nessuno ha completato.
Hawking era uno che sapeva scrivere equazioni come altri scrivono versi. Una delle sue formule più belle — quella che lega la temperatura alla massa del buco nero — è oggi incisa sulla sua lapide a Westminster. Non per caso: è un testamento.
Nessuno ha ancora visto questa radiazione, troppo debole per gli occhi attuali. Ma i fisici la cercano, la simulano, la inseguono come si inseguono i sogni veri. Nei laboratori si usano condensati di Bose-Einstein, fluidi strani, geometrie d’acqua e silenzio. E ogni tanto, qualcosa risponde.
Così, tra particelle fugaci, buchi neri che evaporano e parole che resistono al vuoto, ci accorgiamo che l’universo è forse un libro. E ogni tanto, qualcuno — come Hawking — riesce a leggere ad alta voce una sua riga. Un’epigrafe per l’eternità.
https://www.facebook.com/photo/?fbid=1082755540547415&set=a.556218583201116