venerdì 19 agosto 2011

- POTA CONTRO PATO di Marco Travaglio per Il Fatto Quotidiano.


Ma sì, in fondo che sarà mai. La Borsa di Milano perde un altro 6%, consolidandosi all'ultimo posto in Europa, ma solo perché Africa e Asia non sono pervenute. La Fiat di quel genio di Marchionne che piace a destra ma pure a sinistra ("un vero socialdemocratico", lo benedisse Fassino) chiude a -11,8 per questioni di dettaglio: la gente non compra le sue auto nemmeno a spararle. Tonica anche Fondiaria-Sai di quell'altro gigante di Ligresti (-4,7).

TREMONTITREMONTIberlusconi merkelBERLUSCONI MERKEL

Quando si dice la classe dirigente. La famosa manovra-bis da 20 miliardi o giù di lì che doveva rassicurare l'Europa e i mercati, mettendo in fuga gli speculatori cattivi, è evaporata nel breve spazio di cinque giorni: la rapina ai fessi che pagano le tasse non piace al rapinatore per motivi elettorali (pare che lo voti anche qualche contribuente onesto), la rapina agli statali non piace agli statali, i tagli agli enti locali non piacciono alla Lega (che controlla molti enti locali), Tremonti è talmente suonato che non riesce neppure a spostare due o tre festività.

I Responsabili, o come diavolo si chiamano, si fanno vivi dalle località balneari proponendo "emendamenti al decreto": e certo la notizia che si muove anche Scilipoti deve aver ulteriormente elettrizzato i mercati. Rimane la liberalizzazione di alcuni canili municipali, se ce la fanno. Si era pensato tassare un pochino i ladroni scudati, ma qualcuno al governo s'è sentito chiamato in causa e non se n'è fatto nulla.

BOSSIBOSSI

Alla parola "scudo" il Cainano ha avuto un sussulto e, ridestatosi improvvisamente come ai bei tempi quando arrivava la Carfagna, ci ha preso gusto e ha proposto di farne un altro. Ma gli è andata buca pure quella: e se non riesce più nemmeno a fare la cosa che gli veniva meglio - i condoni - la situazione dev'essere seria. In compenso il premier si consola con una bitumatura parietale nuova di zecca: come ogni estate, s'è rifatto il manto stradale. Senza badare a spese: gli asfaltatori ci hanno dato giù pesante sul capino del Capo, ora mancano solo le striscioline pedonali per Brunetta.

Umberto Bossi - foto di Stefano CavicchiUMBERTO BOSSI - FOTO DI STEFANO CAVICCHIIL 'COMPAGNO' MARCHIONNEIL 'COMPAGNO' MARCHIONNE

Bossi intanto non esce più di casa. L'altroieri ha dovuto annullare il comizio a Calalzo: non tanto perché la metà del pubblico non ci avrebbe capito niente, quanto perché l'altra metà avrebbe capito tutto. Insomma, rischiavano di materializzarsi i famosi "trecentomila padani pronti alle armi", ma per sforacchiargli i pantaloni. Ieri poi è apparso in Cadore per alcuni secondi: l'hanno osteso brevemente come la Sindone, in canotta di ordinanza, poi l'hanno prontamente ritirato, prima che ridesse del nano a Brunetta e rimostrasse il manico alla "Boniver bonazza", che ora siede al governo insieme con lui. Subito sul luogo del disastro sono accorsi alcuni pensionati della bocciofila, tra i quali Calderoli in salopette tirolese e Tremonti in maniche di camicia, che ieri compiva gli anni: 64 prima della chiusura dei mercati, 84 dopo.

Era prevista anche una cena di compleanno, ma è stata annullata perché alcuni elettori padani avevano scoperto il ristorante. L'astuto Calderoli, in arte Pota, ha frattanto individuato il buco nero che inghiotte le migliori risorse del Paese: gli stipendi dei calciatori. Sono loro, insieme agli speculatori, a cospirare contro la nostra sanissima economia: bisognerà tosarli come meritano. Chissà che ne pensa Pato, fidanzato di Barbara B. Ecco: un duello rusticano Pota-Pato è proprio quel che ci vuole per rassicurare i mercati.

CALDEROLI   IL TROTA   UMBERTO BOSSI   FABIO RIZZI   TREMONTICALDEROLI IL TROTA UMBERTO BOSSI FABIO RIZZI TREMONTICALDEROLI E BOSSI NUOVE SEDI MINISTERIALI PONTIDACALDEROLI E BOSSI NUOVE SEDI MINISTERIALI PONTIDA

Peccato che rischi di incrinare i già fragili equilibri nella Real Casa di Arcore. Manca ancora che il pover'ometto, nel fuggifuggi generale, venga scaricato pure dalla prole. L'ex ministro Martino, all'alba del 18° anno, ha finalmente scoperto che B. non è liberale ("Con Frattini, Brunetta, Tremonti, Sacconi, altro che partito liberale di massa: questo è il partito socialista di Carrara..."). Pure Ostellino è colto dai primi, timidi dubbi sul liberalismo di B., mollato persino da Belpietro, il che è tutto dire. Resistono Sallusti e Fede, che finiranno come i gatti: a leccarsi il culo da soli.

http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/1-ma-s-in-fondo-che-sar-mai-la-borsa-di-milano-perde-un-28840.htm

Lega contestata, Bossi “scappa” nella notte. - di Davide Vecchi


Dopo due giorni di insulti e proteste, il leader del Carroccio decide di lasciare il Cadore. "Brutto, brutto, brutto: andiamo via", si sfoga con pochi intimi all'interno di un hotel Ferrovia blindato. Il clima è talmente pesante che la cena per il 64esimo compleanno di Tremonti è spostato all'ultimo secondo nella baita a Lorenzago del ministro dell'economia

“Brutto, brutto, brutto: andiamo via”. Umberto Bossi nella notte decide di lasciare l’hotel Ferrovia di Calalzo di Cadore per timore di altre proteste. Ci sono voluti due giorni di contestazioni dell’ormai ex popolo leghista bellunese e decine di insulti dei passanti, per far comprendere al leader del Carroccio che la base ha superato il limite di sopportazione. Tornare indietro ora è difficile. Da contadino della politica quale è, Bossi ha compreso che non più salvarsi dal Titanic: affonderà insieme a Silvio Berlusconi.

Mercoledì sera ha dovuto cancellare il comizio in piazza per timore delle proteste leghiste, capitanate dal presidente della Provincia di Belluno che si è presentato con la bandiera dell’ente listata a lutto. Ieri ha ricevuto insulti dalle auto che passavano davanti all’albergo. Si è nascosto per tutto il giorno all’interno insieme a Roberto Calderoli. E i dieci minuti che è uscito per accogliere l’amico Giulio Tremonti, i tre sono stati costretti a farsi circondare da una decina di uomini della scorta. Prigionieri a casa loro. Tanto che ieri sera la tradizionale festa di compleanno del ministro dell’economia all’hotel Ferrovia è stata trasferita all’ultimo minuto (nella speranza di depistare proteste e giornalisti) nella baita di Tremonti a Lorenzago. La stessa baita dove i quattro saggi del centrodestra stilarono il federalismo che fu poi bocciato dagli elettori con il referendum.

La baita è raggiungibile solo attraversando un cancello ovviamente ieri notte sigillato e sotto stretta sorveglianza. Nascosti nella loro terra, in fuga dagli ex elettori che per venti anni hanno regalato alla Lega la sensazione di potere e immortalità che adesso comincia a franare. Alberto da Giussano non può fare nulla, l’inesistente padania comincia a essere ridimensionata agli occhi di Bossi. Le proteste fanno male. Anche ieri per tutto il giorno è stato un continuo susseguirsi di manifestazioni e contestazioni davanti all’albergo. Dal sindaco Pdl del Comune di Calalzo al presidente provinciale di Confcommercio, dagli ex leghisti e autonomisti, al Pd ai cittadini. Qui era impensabile fino a pochi mesi fa che qualcuno potesse criticare il Capo. All’hotel Ferrovia di Gino Mondin era un continuo pellegrinaggio di complimenti, mani da stringere, baci e foto ricordo tutti sorridenti col ministro leghista di turno. Dalle macchine che passavano davanti all’albergo è sempre stato un “viva Bossi, viva la Lega”. Da due giorni invece la strada è piena di contestatori e manifestanti. E dalle auto il conducente più delicato gli ha gridato contro “cialtrone”.

Il livello di sopportazione è ampiamente superato, ma la realtà non ha ancora preso forma nella mente del Carroccio. Il nervosismo è palpabile. A un giornalista della Rai regionale che lo segue imperterrito persino all’inaugurazione di una piccolissima centrale elettrica, Bossi si mostra molto infastidito. “Vaffanculo, siete anche qui”.

Così, dopo essersi nascosto per tre giorni, Bossi sceglie di scappare. Lo fa di notte. Mentre cenava nella baita, poco dopo le una di questa mattina, i sei uomini della scorta del leader leghista hanno pagato il conto dell’albergo (che era prenotato per Bossi fino a venerdì), fatto le valigie, caricato le macchine. Poi sono andati a prelevare il Capo e lo hanno portato lontano dalle contestazioni. Presumibilmente a Gemonio, a casa sua. Dove almeno una bandiera della Lega rimarrà alta: quella che ha nel suo giardino.

Calderoli è invece rimasto a dormire in albergo perché G., il figlio della compagna Gianna Gancia(presidente della Provincia di Cuneo) ha undici anni ed era stanco. Partiranno all’alba, ha fatto sapere il ministro per la semplificazione. Quando i giornalisti presumibilmente dormono e, soprattutto, i contestatori non saranno tornati qui davanti.

A ripercorrere gli eventi di questi tre giorni appare evidente come la Lega deve fare i conti con una inaspettata realtà: non ha più il polso del territorio. La base è stanca, non ne può più di leggi ad personam, nuove tasse. Da mesi gli elettori del Carroccio chiedono a Bossi di staccare la spina al governo e lasciare Berlusconi. La base lo ha chiesto talmente ad alta voce attraverso i canali consueti, che il Carroccio invece di dialogare con i malpancisti, ha preferisco censurarli chiudendo persino gli interventi liberi a Radio Padania. Ora è troppo tardi. Berlusconi non si può più scaricare. Ed è lo stesso Senatùr ad averlo compreso. “Silvio ha vinto grazie a noi e ora noi perdiamo grazie a lui”, si è confidato in uno sprazzo di spietata lucidità. Il gioco è finito. Le proteste fanno male. Meglio tornare a casa, durante la notte. Al buio, di soppiatto, senza farsi vedere da nessuno.




giovedì 18 agosto 2011

Ecco gli enti pubblici che finanziano Cl Così il Meeting ha raccolto un milione e mezzo


Il Lazio, il Friuli e la Sardegna (governo di centrodestra) sponsorizzano con 100.000 euro. La Lombardia ne tira fuori direttamente 84.000, ma fa aprire uno stand anche Trenord. Soldi da Roma anche attraverso gli enti previdenziali: E alla fine quella che i detrattori definiscono la "Lobby di Dio" fattura in una settimana 8 milioni e 400 mila euro.


Il vento della crisi, i ponti che saltano, le manovre grandi e piccole. “Un Paese in ginocchio”, spiega Romano Prodi. Lo stesso premier, Silvio Berlusconi, per la prima volta da 17 anni a questa parte non nega che ci siano difficoltà, anche se l’uomo continua a ripetere che il governo è solido e che lui ha tanta fiducia.

Gli unici che sembrano godere di ottima salute sono gli uomini della Evidentia Communication srl, sede legale a Rimini, operativa a Milano, cassaforte di Comunione e Liberazione, società nella quale confluiscono i finanziamenti per il Meeting di Cl, la macchina da 3.400 volontari e 8 milioni e 400.000 euro di fatturato. Numeri da grande industria che vengono polverizzati in una settimana, dal 21 al 27 agosto.

Una montagna di soldi che per il 70 % arrivano dalle sponsorizzazioni. Grandi colossi privati, come Intesa San Paolo, Finmeccanica, Enel e Wind. Ma anche da tanti enti pubblici: Comuni (tre, tra cui Roma), Regioni (sette), Province (due) e Ministeri (due), società partecipate dal pubblico come Poste Italiane, Trenitalia, Ferrovie Nord, per un totale di almeno un milione e mezzo di euro di sponsorizzazioni.

Nonostante la crisi, la Sardegna, che non se la passa benissimo (30 % di turisti in meno, la giunta di centrodestra che barcolla un giorno sì e l’altro pure) ha messo a disposizione di Cl 100 mila euro (più Iva) con una delibera firmata dal presidente Ugo Cappellacci il 26 luglio. L’Isola avrà a disposizione uno stand di 180 metri quadri gestiti dall’Assessorato al turismo, artigianato e commercio.

Sponsor storico è anche la Regione Lombardia targata Roberto Formigoni, una delle tessere più importanti di Cl, che parteciperà anche quest’anno doplo la polemica sollevata lo scorso anno dalla Lega Nord e dall’Italia dei Valori sui 168 mila euro “donati” al Meeting.

Il consigliere dipietrista Stefano Zamponi, in un’interrogazione dello scorso 30 settembre, chiese i motivi di un finanziamento così ingente in un “momento in cui diventa difficile riuscire a far quadrare il bilancio della Regione”. Tuttavia, proseguiva Zamponi, “sono noti i collegamenti e i legami che ci sono fra Formigoni, buona parte degli assessori e una consistente parte del Pdl, con il movimento ecclesiale che organizza ogni anno il Meeting”. Un finanziamento, concludeva il consigliere Idv, che non ha “nessun legame, nessuna inerenza con le attività della giunta regionale della Regione Lombardia”.

L’assessore al bilancio e alle finanze, Romano Colozzi, rispose che l’evento è un “unicum per le sue caratteristiche, per la sua dimensione e per la sua partecipazione”, ed “è di gran lunga l’evento che genera maggiore risonanza mediatica durante l’intero anno. Tra l’altro quest’anno era particolarmente bello”, ricordava Colozzi.

Così, dopo la bufera dello scorso anno, i soldi del Pirellone quest’anno saranno dimezzati: lo stand sarà di 255 metri quadri e la cifra deliberata direttamente dalla presidenza di 84 mila euro. Certo un prezzo di favore vista la grandezza dello stand.

Tuttavia altri soldi della Regione Lombardia arriveranno in Riviera per altre vie, in maniera indiretta. Tra gli sponsor dell’evento che si apre domenica per esempio compare Trenord, compagnia ferroviaria partecipata dalla Regione Lombardia tramite la sua Ferrovie Nord Milano, la quale a sua volta avrà uno stand.

Intanto, proprio la Lega Nord, che si era scagliata contro la sponsorizzazione, fa lo stesso dalle sue parti, in Veneto, dove le aziende hanno difficoltà a trovare soldi anche per chiudere. Il 16 agosto – e non doveva essere una seduta affollatissima – la giunta guidata dal leghista Luca Zaiaha deliberato lo stanziamento di 37.600 euro Iva inclusa, ripartita tra la Regione stessa e ilMagistrato delle Acque.

Spiccioli, che però lo stesso Zaia ha sostenuto con forza: “Il Meeting di Rimini, nel corso degli anni, si è caratterizzato come una manifestazione dal carattere spiccatamente internazionale, capace di attirare l’interesse di migliaia di visitatori ed è una fondamentale occasione di scambio e di crescita”. Nessuna opposizione, la delibera è stata protocollata come numero 61 del 16 agosto 2011.

Il Lazio tramite l’assessorato alle Attività Produttive, come negli anni precedenti, impegnerà 100 mila euro per uno stand di 130 metri quadri che ospiterà le imprese laziali e altre iniziative dei diversi assessorati. Anche l’Abruzzo avrà un suo piccolo stand, per una spesa di 20.000 euro.

Parteciperà anche l’Emilia Romagna che con un suo stand di 172 metri quadri pubblicizzerà i prodotti locali. Tutto è stato pagato dall’Apt (l’azienda turistica controllata dalla Regione al 51 %), che però ha un bilancio e scelte di investimento autonomi. La Regione, pur essendo ente patrocinatore del Meeting, direttamente non metterebbe un euro. Ad ogni modo la spesa sarà di100 mila euro in soldi pubblici.

A spendere sarà anche la Provincia di Rimini, che per l’occasione ha stanziato 37 mila eurotramite l’Agenzia per il Turismo: “Andiamo a varie fiere ed eventi per promuoverci, non solo al Meeting”, spiega Fabio Galli, assessore al Turismo, che ammette l’importanza per il territorio dell’enorme afflusso che si crea in quei giorni. La Provincia parteciperà all’interno di un gruppo di enti pubblici che comprende Comune, Camera di Commercio, Fiera di Rimini (che finanzia con 20 mila euro, oltre ad ospitare l’evento), Aeradria spa. Totale: 100 mila euro per 108 metri quadri di stand.

Al carrozzone, new entry assoluta, si è unito anche il Friuli Venezia Giulia, rigorosamente amministrato dal centrodestra, con 100 mila euro. Nel pacchetto, firmato sempre con la concessionaria Evidentia communication, è compreso il montaggio dello stand da parte dei volontari ciellini, la sponsorizzazione sulle brochure: “Andiamo lì per pubblicizzare il nostro territorio e in particolare le infrastrutture che si stanno costruendo o si costruiranno”. Nessuna remora nel partecipare a un evento di carattere fortemente politico e religioso come il Meeting. Del resto, fanno capire dagli uffici friulani “un sacco di gente passa da quelle parti”.

Per rimanere nel Nordest anche la Provincia autonoma di Trento guidata dal cattolico del Pd,Lorenzo Dellai, parteciperà, ma con una spesa di “appena” 15 mila euro.

Al Meeting ci sarà anche la Casa del Welfare. Qui a pagare saranno tutti i cittadini italiani: Ministero del lavoro, Inps, Inpdap, Inail, Italia Lavoro e la commissione di vigilanza sui fondi pensione (Covip) saranno infatti presenti con il loro stand dedicato ai temi del lavoro e la previdenza. Avranno a disposizione 240 metri quadri, che visti i prezzi praticati ad altre regioni (Emilia Romagna e Sardegna circa 500 euro a metro quadro) potrebbero costare 120 mila euro. Il ministero delle Infrastrutture avrà invece uno stand di 104 metri quadri: e questo potrebbe costare intorno ai 50 mila euro. Totale ministeri: 170 mila euro

di Emiliano Liuzzi, David Marceddu e Nicola Lillo

Ecco chi sono i delinquenti della politica italiana (Dossier)


Non so a voi, ma a me prudono le mani, e pure tantissimo. Certa gente, eletta in Parlamento o nei consigli regionali, ha pendenze passate e presenti con la Giustizia davvero scandalose. Repubblica ha preparato un dossier per farci conoscere bene questa gentaglia che vive nell'oro grazie alle nostre tasse.

Ecco a voi
IL PARLAMENTO DEGLI INQUISITI
Sono 84 i rappresentanti del popolo che hanno questioni aperte con la giustizia. Tra i reati ci sono quelli tipici della politica (corruzione, concussione ecc.), ma crescono quelli da legami con organizzazioni mafiose. Alcuni, invece, si portano dietro condanne legate agli anni di piombo, Il record in Sicilia

Tra condanne, prescrizioni e processi nei palazzi quanti guai giudiziari
di ENRICO DEL MERCATO, ANTONIO FRASCHILLA, EMANUELE LAURIA
Sembra di vivere nei primi anni Novanta quando, durante tangentopoli, fioccavano le richieste d'arresto sul tavolo della giunta per le autorizzazioni a procedere. Dall'inizio del 2011 sono state nove, compresa quella del Pdl Alfonso Papa (nella foto). Tra il 1992 e il 1994 furono 28. Ma l'elenco va oltre: 84 parlamentari oggi hanno pendenze con la giustizia

ROMA - Se non sono i numeri del parlamento di tangentopoli, poco ci manca. Quella che ha spedito in carcere il deputato del Pdl Alfonso Papa è stata la nona richiesta di arresto sul tavolo della giunta per le autorizzazioni a procedere dall'inizio della legislatura. Tra il 1992 e il 1994, gli anni in cui le inchieste dei pm terremotarono la Prima Repubblica, furono 28. Se però si scorre l'elenco di deputati e senatori attualmente in carica che hanno pendenze con la giustizia, allora si scopre che i numeri di oggi non sono poi così lontani da quelli della stagione di Mani Pulite. Tra Montecitorio e Palazzo Madama siedono, in questo momento, 84 parlamentari sotto inchiesta, già con sentenze di condanna sulle spalle, in attesa di processo oppure rinviati a giudizio. E tra questi, ben 34 risultano condannati per reati che vanno dalla diffamazione fino all'associazione mafiosa o per una cattiva gestione di fondi pubblici di cui ora devono rispondere di tasca propria. Altri nove legislatori sono stati beneficiati dalla prescrizione dei reati.

La lista. E' una lunga teoria che racconta un pezzetto di storia d'Italia. Un elenco nel quale si può trovare la radicale eletta nelle liste del Pd, Rita Bernardini, condannata per aver distribuito marijuana durante una manifestazione per la liberalizzazione delle droghe leggere (pena estinta con l'indulto), ma soprattutto un nutrito drappello di rappresentanti del popolo con ben più gravi condanne di primo e secondo grado sul groppone: c'è, per esempio, il ministro delle Riforme e leader della Lega Umberto Bossi (condannato in via definitiva a 8 mesi di reclusione per finanziamento illecito nell'ambito dell'inchiesta sulla maxi-tangente Enimont) e c'è il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri che i giudici di Palermo hanno condannato in primo grado a nove anni, e in appello a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Del resto, è proprio il Pdl - quello che il neo segretario Angelino Alfano ha dichiarato di voler trasformare nel "partito degli onesti" - il gruppo parlamentare con il maggior numero di eletti alle prese con vicende giudiziarie. E poi? Da chi è composta la poco lusinghiera classifica delle fedine penali sporche?

Il partito degli onesti. Un anno fa chi aveva provato a mettere in colonna i numeri degli inquisiti non era riuscito a contarne più di 24: oggi i parlamentari del Pdl nei guai con la giustizia sono 49. Più che raddoppiati. Ventinove alla Camera e 20 al Senato. Il drappello lo guida ovviamente Silvio Berlusconi, con sei processi in corso. Ma oltre al leader, a ministri in carica e non, a ex presidenti di Regione e coordinatori regionali, ci sono anche i peones dell'avviso di garanzia o del rinvio a giudizio. Giulio Camber è un senatore che nel 1994 ottenne 100 milioni di lire dalla banca Kreditna dicendo che poteva comprare i favori di pubblici ufficiali e evitare il commissariamento dell'istituto: condannato a otto mesi per millantato credito. Fabrizio Di Stefano, invece, è stato eletto in Abruzzo e proprio ad aprile scorso i magistrati hanno chiesto il suo rinvio a giudizio per corruzione nel processo che riguarda la realizzazione di un impianto di bioessicazione di rifiuti a Teramo. Claudio Fazzone, che siede anche lui a Palazzo Madama, ex presidente del consiglio regionale del Lazio è stato rinviato a giudizio per abuso d'ufficio: gli contestano di aver raccomandato, via lettera, alcuni suoi amici a un manager della Asl. A Montecitorio, invece, tra i banchi Pdl c'è Giorgio Simeoni rinviato a giudizio per truffa all'Ue nell'inchiesta sui corsi di formazione fantasma nella Regione Lazio. Per tacere, infine, del deputato Giancarlo Pittelli che, oltre a essere coinvolto nell'inchiesta sugli ostacoli posti alle indagini dell'ex pm di Catanzaro Luigi De Magistris, deve rispondere in tribunale di lesioni e minacce dopo avere aggredito un suo collega avvocato. Spiccano, poi, l'ex comandante della Guardia di Finanza Roberto Speciale condannato in appello a 18 mesi per peculato (è accusato di essersi fatto arrivare un carico di spigole nel paesino trentino in cui era in vacanza) e Luigi Grillo condannato a un anno e 8 mesi per reati bancari.

E gli altri. Dal gruppo del Pd è appena uscito Alberto Tedesco, il senatore pugliese indagato per corruzione e salvato dagli arresti domiciliari grazie al voto di Palazzo Madama, ma l'elenco dei democratici sotto inchiesta o con condanne comprende comunque quattro senatori e sette deputati. Numeri che però raccontano di reati più lievi: l'accusa di diffamazione che pende sul capo del senatore Giuseppe Lumia, querelato dal suo ex addetto stampa, per esempio. Però fra i democratici c'è anche chi deve fare i conti con contestazioni più gravi: Antonio Luongo è stato rinviato a giudizio per corruzione nell'inchiesta su affari e politica a Potenza, mentre Maria Grazia Laganà - la vedova di Fortugno - è a processo per falso e abuso d'ufficio ai danni della Asl di Locri. Nino Papania, senatore siciliano, patteggiò nel 2002 una condanna a due mesi per aver scambiato regali con assunzioni. Ma anche la Lega che in questi giorni si lacera sulla questione morale annovera quattro deputati e due senatori inquisiti. L'Udc ne ha cinque. Per carità: il calcolo delle probabilità penalizza i gruppi parlamentari più numerosi. Sorprende invece l'alta incidenza di deputati e senatori con problemi giudiziari in formazioni più piccole: i "responsabili", per esempio, su 29 esponenti alla Camera contano un condannato (Lehner, diffamazione nei confronti del pool di Mani Pulite), un rinviato a giudizio per truffa (il piemontese Maurizio Grassano che venne arresto nel 2009 per una truffa al comune di Alessandria e che oggi è sotto processo) e due sui quali pende una richiesta di processo per mafia e camorra (il ministro Romano e il deputato campano Porfidia).


Tangenti, mafia e "peccati di gioventù" quei verdetti figli di un passato lontano
di ENRICO DEL MERCATO, ANTONIO FRASCHILLA, EMANUELE LAURIA
Nel background dei parlamentari italiani non c'è solo la stagione delle mazzette. Ma anche le collusioni con le organizzazioni criminali e la militanza durante la stagione delle lotte giovanili

ROMA - Vite onorevoli con il fiato degli inquirenti sul collo. E, per molti, con l'onta di una condanna già pronunciata. Chi sono? Alcuni verdetti sono figli della stagione di tangentopoli: al Senato, per esempio, nel gruppo misto siede ancora Antonio Del Pennino che ha patteggiato per la tangente Enimont. Del resto, la madre di tutte le tangenti ha lasciato in eredità condanne anche a Umberto Bossi, a Giorgio La Malfa, all'ex segretario del Psdi (oggi senatore del Pdl) Carlo Vizzini, che si è poi salvato con la prescrizione. Ma la scia di Tangentopoli è ben più lunga: Giampiero Cantoni, ex presidente della Bnl e altro senatore del Pdl, ha patteggiato nel '95 una condanna a due anni per concorso in corruzione e bancarotta fraudolenta.

Massimo Maria Berruti, ex consulente Fininvest, è stato condannato in appello a 2 anni e dieci nell'ambito del processo sui fondi neri del gruppo. Enzo Carra (nella foto), l'ex portavoce di Forlani che ai tempi di Tangentopoli finì in manette davanti alle telecamere, è stato condannato in via definitiva a 16 mesi per false dichiarazioni ai pm. Altre vicende si sono definite di recente: Aldo Brancher, per esempio, il 3 marzo è stato condannato in appello a 2 anni per appropriazione indebita e ricettazione, nell'ambito di un'inchiesta sulla scalata Bpi-Antonveneta che l'anno scorso lo costrinse a dimettersi da ministro. Il recordman, fra i condannati, è Giuseppe Ciarrapico, ex democristiano oggi nel Pdl, che conta quattro pronunce definitive a proprio carico: è stato sanzionato per aver violato la legge che "tutela il lavoro dei fanciulli e degli adolescenti" ma anche per il crac della casina Valadier. Sono le procure del Sud le più impegnate nelle indagini sui politici.

Mafia, camorra & c. C'è Marcello Dell'Utri che è stato condannato anche in appello per concorso esterno, ma l'elenco dei parlamentari sotto inchiesta per collusioni con le organizzazioni criminali è lungi dall'essersi esaurito. A Saverio Romano, leader del Pid e responsabile dell'Agricoltura, potrebbe toccare in sorte il poco onorevole record di essere il primo ministro della Repubblica a finire sotto processo per mafia. Un suo collega di schieramento, il deputato del Pdl e leader del partito in Campania, Nicola Cosentino, invece, sotto processo c'è già. È indagato per concorso esterno in associazione mafiosa anche il senatore Antonio D'Alì, tessera numero uno di Forza Italia a Trapani. Mentre la procura di Palermo ha da qualche mese messo sotto inchiesta il senatore Pdl Carlo Vizzini che, nell'indagine sul tesoro di Ciancimino, è chiamato in causa per corruzione aggravata dall'aver favorito Cosa nostra.

Peccati di gioventù. Nel background dei parlamentari non c'è solo la stagione delle mazzette. Il certificato penale di alcuni di loro è rimasto sporco dagli anni delle lotte giovanili. Marcello De Angelis, oggi deputato del Pdl e in passato militante dell'organizzazione di destra Terza posizione, è stato condannato a 5 anni e mezzo per sovversione e banda armata, tre dei quali scontati in carcere. L'ex missino Domenico Nania, che oggi è vicepresidente del Senato in quota Pdl, si porta appresso una condanna per lesioni volontarie emessa nel 1969 in seguito ad alcuni scontri con giovani comunisti. Nel gruppo parlamentare della Lega alla Camera siede invece Matteo Bragantini, condannato in appello nel 2008 per "propaganda di idee razziste".

Le mani in tasca ai condannati. Poi ci sono i reati portati in eredità dai parlamentari che in passato sono stati amministratori locali. Francesco Rutelli, ad esempio, è stato condannato dalla Corte dei Conti a risarcire il Comune di Roma per circa 60 mila euro per alcune consulenze da lui assegnate quando era sindaco. Il senatore dell'Mpa Giovanni Pistorio è stato chiamato dalla magistratura contabile a rispondere di un danno erariale di 50 mila euro per la propaganda anti-aviaria fatta quando ricopriva il ruolo di assessore alla Sanità in Sicilia. Ben più salato il conto presentato all'ex presidente della Croce Rossa Maurizio Scelli: 900 mila euro per irregolarità nell'acquisizione di servizi informatici. Può costare cara, nel senso proprio del termine, anche l'attività di ministro: la magistratura contabile ha condannato al pagamento di circa 100mila euro l'ex Guardasigilli Roberto Castelli (ora sottosegretario alle infrastrutture) per il danno procurato attraverso la stipula di due contratti di consulenza alla società Global Brain. Castelli, per lo meno, è stato chiamato a dividere la spesa con due suoi ex collaboratori. Fra i quali c'è un nome ricorrente, nelle cronache di questi giorni: quello di Alfonso Papa, che del ministro leghista fu vice capo di gabinetto.


La Sicilia dei record: uno su tre è indagato
di ENRICO DEL MERCATO, ANTONIO FRASCHILLA, EMANUELE LAURIA
Nell'Assemblea regionale 28 deputati su 90 hanno avuto o hanno ancora a che fare con la giustizia. L'ultimo della lista è Cateno De Luca. Arrestato dai Pm per "tentata concussione". Non mancano i condannati con sentenza definitiva

PALERMO - Uno su tre è indagato, sotto processo oppure è già stato condannato per reati che vanno dal peculato alla truffa, passando per associazione mafiosa e abusi d'ufficio vari. Un record, quello dell'Assemblea regionale siciliana, che vede 28 deputati su 90 nella poco onorevole lista di persone che hanno avuto o hanno ancora a che fare con la giustizia.

L'ultimo in ordine di tempo a essere finito agli arresti domiciliari è stato il deputato autonomista di Sicilia Vera, Cateno De Luca: i pm lo hanno arrestato per "tentata concussione" nella compravendita di un terreno nel suo Comune, Fiumedinisi, del quale è anche sindaco. A precedere De Luca, il Pid Fausto Fagone, finito in carcere per concorso in associazione mafiosa nell'ambito dell'inchiesta Iblis: la stessa inchiesta che vede indagato il presidente della Regione Raffaele Lombardo e il deputato Giovanni Cristaudo.

Ma le cronache siciliane ormai settimanalmente raccontano di politici regionali coinvolti in inchieste giudiziarie: agli arresti domiciliari è finito pure Riccardo Minardo, esponente dell'Mpa accusato di truffa ai danni dello Stato e dell'Unione europea. In manette anche Gaspare Vitrano, parlamentare del Partito democratico arrestato mentre intascava una presunta tangente per il fotovoltaico. Tra gli scranni dell'Assemblea regionale non mancano poi i condannati con sentenza definitiva e quelli che per evitare lunghi processi hanno patteggiato la pena. In questo secondo elenco c'è a esempio il deputato e sindaco di Messina, Giuseppe Buzzanca, che nel suo palmares vanta una non onorevole condanna definitiva per peculato: utilizzò l'autoblu fino in Puglia per partire in crociera con la moglie. Mentre Salvino Caputo, collega del Pdl che presiede la commissione Attività produttive, è stato condannato a due anni (pena sospesa) per abuso d'ufficio e falso ideologico in atto pubblico: secondo il Tribunale di Palermo, l'ex sindaco di Monreale nel 2004 avrebbe dispensato dal pagamento di multe automobilistiche un assessore e l'autista del vescovo.

Il Campione

La Galleria dei Pezzenti


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