Combattere l'evasione fiscale è una priorità fondamentale per qualunque intervento strutturale di risanamento economico e fiscale del nostro paese. Purtroppo, nonostante l'enfasi, i provvedimenti contenuti nella terza versione della manovra non ci consentiranno di avvicinarci significativamente a quest'obiettivo.
La novità che ha ricevuto maggiore attenzione è l'obbligo di indicare nella dichiarazione dei redditi i riferimenti agli intermediari finanziari con cui il contribuente ha intrattenuto rapporti. Tuttavia questa informazione è già disponibile all'amministrazione finanziaria, poiché ogni intermediario è già tenuto a comunicarla all'anagrafe dei conti.
La questione rilevante non è chi debba fornire questa informazione, ma che uso farne. L'amministrazione intende ricostruire per ogni contribuente la consistenza dei patrimoni e confrontarla con la dichiarazione dei redditi, per identificare eventuali inconsistenze, oppure no? Nei provvedimenti governativi la risposta è negativa. L'uso delle informazioni finanziarie è previsto solo per alcune liste selettive di categorie o di contribuenti, sospette di evasione sulla base di altre informazioni. Ma questo cambia ben poco rispetto alla situazione attuale, perché l'accesso ai dati finanziari è già previsto, previa autorizzazione, negli accertamenti fiscali.
La minaccia di usare le informazioni finanziarie anche prima del vero e proprio accertamento, ma pur sempre in maniera selettiva, è quindi soprattutto un deterrente psicologico di dubbia efficacia.
Cosa ben diversa sarebbe la ricostruzione del patrimonio di ogni nucleo familiare, nelle forme della ricchezza immobiliare e mobiliare, per verificarne la coerenza con i redditi dichiarati e con le informazioni sui consumi di beni durevoli.
La dichiarazione annuale dovrebbe pertanto fornire non solo i dati dei redditi conseguiti ma anche quelli della consistenza del patrimonio. I rapporti con gli intermediari finanziari dovrebbero essere documentati con l'attestazione delle disponibilità detenute dal contribuente, comprese quelle in strumenti finanziari, alla data di riferimento della dichiarazione. Nell'era dell'informazione digitale, questa strada sarebbe facilmente percorribile anche nei controlli, e non avrebbe solo un effetto psicologico, ma consentirebbe davvero di identificare le situazioni irregolari e quantitativamente rilevanti. Eppure di questa impostazione non vi è traccia nei provvedimenti governativi.
Una seconda novità è la facoltà data ai comuni di pubblicare le dichiarazioni dei redditi dei residenti. Questo provvedimento è non solo inutile, ma anche dannoso. È inutile, perché non è ragionevole ipotizzare che i vicini diventino delatori in modo sistematico di eventuali evasori. Ma soprattutto è dannoso, perché potrebbe costituire un incentivo per iniziative delittuose e potrebbe inoltre affievolire le già scarse propensioni meritocratiche nel nostro paese. Alla base della bassa crescita della produttività in Italia, sta anche un relativo appiattimento dei redditi all'interno delle imprese e delle organizzazioni, a tutti i livelli e indipendentemente dal merito e dal talento individuale. Rendere pubbliche le dichiarazioni, specie se con specificazioni delle fonti dei redditi, aggraverebbe questa tendenza. Eventuali differenze tra colleghi all'interno della stessa organizzazione genererebbero inevitabili gelosie e riflessi nei rapporti di collaborazione. Ciò scoraggerebbe ulteriormente l'esigenza di dare di più a chi se lo merita.