«Umberto Bossi vuole le elezioni? Alla fine dovrà fare quello che gli dice Silvio Berlusconi. Anche perché già da qualche anno il simbolo della Lega Nord appartiene al Cavaliere». La storia non è nuova. Un’indiscrezione che gira da tempo a Palazzo: nel 2005 il premier avrebbe finanziato il Carroccio, a un passo dalla bancarotta. In cambio, avrebbe chiesto e ottenuto la titolarità del logo del partito. Lo «spadone» di Alberto da Giussano. A confermare la vicenda è Rosanna Sapori, già consigliere comunale della Lega, membro del direttivo provinciale di Bergamo e, soprattutto, (ormai ex) celebre giornalista di Radio Padania Libera. «Nessuna invenzione - spiega la diretta interessata - l’ho detto più volte, anche in tv. E finora nessuno si è mai permesso di smentirmi».
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
venerdì 30 settembre 2011
«Vi racconto perché Bossi è prigioniero di Berlusconi». di Marco Sarti
«Umberto Bossi vuole le elezioni? Alla fine dovrà fare quello che gli dice Silvio Berlusconi. Anche perché già da qualche anno il simbolo della Lega Nord appartiene al Cavaliere». La storia non è nuova. Un’indiscrezione che gira da tempo a Palazzo: nel 2005 il premier avrebbe finanziato il Carroccio, a un passo dalla bancarotta. In cambio, avrebbe chiesto e ottenuto la titolarità del logo del partito. Lo «spadone» di Alberto da Giussano. A confermare la vicenda è Rosanna Sapori, già consigliere comunale della Lega, membro del direttivo provinciale di Bergamo e, soprattutto, (ormai ex) celebre giornalista di Radio Padania Libera. «Nessuna invenzione - spiega la diretta interessata - l’ho detto più volte, anche in tv. E finora nessuno si è mai permesso di smentirmi».
La Casta reintroduce la maxi diaria all’estero E la camuffa dentro la ‘legge comunitaria’. - di Thomas Mackinson
A distanza di un anno, ritorna il super rimborso per le missioni dei
funzionari ministeriali oltreconfine, peraltro mascherato all'interno di
un provvedimento che decide tutt'altro. Il 31 maggio del 2010, il governo
l'aveva eliminata in nome del taglio ai costi alla politica.
Politici, sottosegretari e portaborse devono dunque accontentarsi del solo rimborso per le spese di viaggio e soggiorno. Arrotondare prolungando la permanenza all’estero non è più possibile. Forse. Perché poco più di un anno dopo la diaria cancellata con un tratto di penna con un tratto di penna ricompare. E’ contenuto tra le righe di una legge che nulla ha a che fare con i costi della politica. E’ il disegno di legge riguardante “Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla Comunità Europea-legge comunitaria 2010″, relatrice la senatrice della Lega Nord Rossana Boldi. E’ la cosiddetta “legge comunitaria”, quella cioè che serve a recepire le direttive europee.
Il testo ha avuto un iter a dir poco tormentato e dopo vari passaggi è approdato in terza lettura al Senato dove alcuni onorevoli del Pd si sono accorti della sorpresa. L’articolo 4 cancellato nel 2010 è stato ripristinato nel 2011 con la formula: “il nuovo articolo 4 esclude dalla soppressione delle diarie per missioni all’estero, le missioni indispensabili ad assicurare la partecipazione a riunioni nell’ambito dei processi decisionali dell’Unione europea e degli organismi internazionali di cui l’Italia è parte, nonché alle missioni nei Paesi beneficiari degli aiuti erogati da parte dei medesimi organismi e dell’Unione europea”. Da qui la domanda a governo e maggioranza in commissione Affari Istituzionali: “Onorevoli colleghi di Pdl e Lega, state reintroducendo la diaria per le missioni all’estero che è stata tagliata lo scorso anno?”. “Con questo articolo – ha precisato la senatrice Marilena Adamo – si fanno tali e tante deroghe al taglio della diaria per le missioni all’estero – da vanificare quanto deciso lo scorso anno con il DL 78. A parte il fatto che l’articolo non ha la necessaria copertura di spesa e la materia è del tutto estranea alla legge comunitaria, la sua formulazione incomprensibile sembra più che altro voler nascondere una modesta furbata: è anche per questi mezzucci che perdiamo credibilità all’estero”.
Ma non è solo questo il motivo della polemica. L’Europa aspettava la legge comunitaria 2010 e l’avrà (forse) nel 2011. Il motivo del ritardo è presto detto: da novembre 2010 a luglio 2011 il governo è stato senza ministro per le Politiche comunitarie. Così la legge fa la navetta tra commissioni di Camera e Senato e nel suo peregrinare si riempie di articoli che nulla hanno a che fare con la legge. “Alla fine è una di quelle leggi-treno alle quali si aggiungono vagoni sperando che nessuno se ne accorga”, sostiene la senatrice ricordando che la legge nasceva con 11 articoli quando a novembre dello scorso anno è arrivata in Senato in prima lettura. Dal Senato esce con 18 articoli, sette in più. Torna alla Camera il 6 aprile e viene accantonata dalla maggioranza per lasciar spazio al processo breve.
Mentre la legge staziona in commissione arrivano i nuovi vagoni: il Pdl ne approfitta per inserire nuovi articoli che portano a 41 i punti della legge, molti del tutto estranei al suo scopo. Troppo. Così quando la legge torna all’ordine del giorno, stravolta, riceve emendamenti soppressivi e inaspettatamente passa il primo emendamento sul primo articolo che è quello istitutivo della legge stessa. Risultato: tutto il provvedimento decade. Si ricomincia. La legge viene riformulata e torna a 24 articoli ma tra questi compare qualcosa di nuovo, ma forse neppure troppo: quell’articolo 4 che reintroduce la diaria soppressa solo un anno prima.
D'Avanzo, Berlusconi e la vertigine dell'onnipotenza
Un documento speciale: un'intervista video a Giuseppe D'Avanzo, giornalista sempre esposto ma che non amava apparire, morto all'improvviso a 58 anni due mesi fa. In questa registrazione del dicembre 2001 parla alla tv olandese Rtl e analizza il secondo governo Berlusconi, insiediatosi sei mesi prima. Leggi ad personam, giudici nemici e processi milanesi, progetti per riforme incostituzionali: è già l'Italia del Cavaliere
di Paulina Valkenet e Francesco Viviano
http://tv.repubblica.it/politica/d-avanzo-berlusconi-e-la-vertigine-dell-onnipotenza/77113?video&ref=HRER2-1
Giulio tira uno scherzo da prete a Silvio e Marina: si, quella norma fiscale su Mondadori era ad personam. di Franco Bechis
Per una volta chi pensava male ci ha quasi azzeccato. Quando nel marzo 2010 fu approvato un emendamento parlamentare per estinguere le liti fiscali pendenti da più di dieci anni in Cassazione con il pagamento di una somma pari al 5% del valore della controversia, quasi nessuno ci fece caso. Poi i giudici dell’inchiesta sulla P3 ipotizzarono pressioni in Cassazione per ottenere una sentenza fiscale favorevole alla Mondadori, e il fatto fu smentito proprio dall’esistenza di quella legge. Insorse l’opposizione, sia pure in ritardo, sostenendo che allora la norma votata era “ad personam”. Replicò Marina Berlusconi, presidente della Mondadori spiegando che decine e decine di aziende ne avrebbero usufruito come la Mondadori e fra i beneficiari c’era pure il gruppo di Carlo De Benedetti. A sollevare un velo su cosa davvero è accaduto è stato il ministero dell’Economia guidato da Giulio Tremonti. Che ha inviato alla commissione Finanze del Senato una nota delle Agenzie delle Entrate che rischia di mettere in un certo imbarazzo il premier Silvio Berlusconi e la sua primogenita. Perché è vero che a richiedere di pagare quel 5% per chiudere il contenzioso non fu solo la Mondadori: le domande sono state 191 e quelle accolte per regolare pagamento nei termini della somma solo 67. La nota spiega che il valore delle controversie condonate in quel modo ammontava a 225 milioni di euro, senza tenere conto di “interessi, indennità di mora ed eventuali sanzioni collegate al tributo”. Secondo il ministero dell’Economia “le somme complessivamente versate all’erario per effetto delle predette istanze ammontano a circa 13 milioni di euro”. Quindi sono state 67 le società che hanno beneficiato del piccolo condono fiscale, la Mondadori ha versato 8,7 milioni di euro (i 2/3 del condono), le altre 66 società hanno versato 4,3 milioni di euro (1/3 del condono). Scherzo da prete quello tirato da Tremonti ai Berlusconi con questa noterella: perché senza dirlo espressamente, ha mostrato quella contestata legge (per cui volevano dimettersi gli autori Mondadori) come una legge se non proprio ad personam, per due terzi sì…
http://www.libero-news.it/blog.jsp?id=1721#.ToSdtqRpUbY.email%20
Gruppo scultoreo di potenti che si salvano.
Dopo il voto alla Camera che ha respinto la sfiducia a Romano, l'abbraccio plastico fra il ministro e Silvio Berlusconi, immortalato dai fotografi
Il telefono bollente del ministro Romano. - di Andrea Cottone
Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”. Nella massima di Wolfgang Goethe, il grande scrittore tedesco dell’Ottocento autore del Viaggio in Italia, c’è una piccola verità. Soprattutto quando si applica a esponenti politici con responsabilità ministeriali. Prendiamo Saverio Romano.
E torniamo indietro nel tempo. Attorno all’ora di pranzo del 9 novembre 1997, quando i carabinieri del suo paese, Belmonte Mezzagno, fermano per un controllo quattro persone. Mario Vittorio Bacione, di cui ha parlato il pentito Nino Giuffrè. Giacomo Greco – genero di Ciccio Pastoia, braccio destro di Bernardo Provenzano, morto suicida in carcere subito dopo l’arresto nel 2005 – oggi pentito. Pietro Martorana, ucciso nel 2000, ritenuto legato all’altro capomafia di Belmonte, Benedetto Spera. E con loro viene fermato anche Francesco Saverio Romano, già all’epoca presidente dell’Ircac (Istituto regionale per il credito alla cooperazione) e consigliere provinciale di Palermo.
L’informazione è contenuta in un appunto tramesso ai pm palermitani il 7 luglio 2003 dall’allora consulente della procura Gioacchino Genchi. L’uomo dei telefoni, infatti, aveva fatto la sua parte anche nelle indagini sull’attuale ministro dell’Agricoltura, concludendo che nelle elaborazioni dei dati di traffico di persone indagate per reati di mafia risultavano rilevate le utenze di Romano. Il gip, nel provvedimento di rigetto della richiesta di archiviazione del caso Romano, si chiede “cosa esattamente significhi che le utenze dell’on. Romano ‘risultano rilevate nelle elaborazioni dei dati di traffico’”. Andiamo a vedere.
Secondo la consulenza di Genchi, il cellulare intestato e in uso a Romano era in contatto con tutta una serie di soggetti che, a loro volta, erano finiti in inchieste antimafia. Si tratta di Vincenzo Randazzo, titolare della Co.Ge.Co., condannato per turbativa d’asta e corruzione. Vincenzo Virga di Marineo, paese a 30 chilometri da Palermo, col quale “Romano ha avuto strettissimi e continuativi rapporti” come scrive Genchi. Imprenditore edile “chiacchierato” per una presunta vicinanza al boss Pastoia, è stato assolto dalle accuse.
Da ultimo il Consiglio di Stato, nel 2010, ha rigettato un ricorso presentato dall’azienda di famiglia contro il provvedimento del comune di Palermo di estromettere la ditta da un appalto, in seguito a una relazione negativa della prefettura per rischio di infiltrazioni mafiose. Romano risultava in contatto, tra gli altri, anche con la “Costruzioni Salamone di Aragona” di cui Genchi, nella sua consulenza, sottolinea “l’importanza in relazione al ruolo di raccordo che l’usuario dell’utenza ha rappresentato fra gli imprenditori agrigentini, palermitani, nisseni, trapanesi in vario modo collegati a Cosa Nostra”. Ancora nei contatti di Romano c’è pure Gaetano Chinnici, imprenditore di Belmonte, fratello dell’Antonino ucciso nel maggio del 1999. È stato indagato per mafia a causa delle dichiarazioni dei pentiti Brusca e Siino, ma non risulta avere condanne. Nei tabulati risulta pure Giovanni Pavone, della “Società Cooperativa il Progresso” di Misilmeri, paese poco distante da Belmonte, condannato in via definitiva a 6 anni e sei mesi per associazione mafiosa. Poi c’è Giuseppe Cordone che, in quanto funzionario del comune di Trabia, sarebbe stato a disposizione della locale organizzazione mafiosa e per questo è stato indagato e poi archiviato. Infine, in questa breve rassegna, c’è anche Salvatore Lanzalaco, con cui Romano si tiene in contatto nell’aprile del 1992. L’ingegnere Lanzalaco, arrestato nel 1993 e passato nelle fila dei pentiti, ha svelato ai magistrati il sistema mafioso-politico delle tangenti in Sicilia.
I pm palermitani sottolineano, a buon ragione, che in questi dati non ci sia nulla di penalmente rilevante. Lo stesso Genchi, autore della consulenza, concorda con la procura di Palermo. “Quando gli elementi non sono utili e sufficienti a sostenere l’accusa – dice – è un atto di onestà intellettuale e di grande correttezza che il pm richieda l’archiviazione del procedimento. Certo non sono titoli di merito per diventare un ministro della Repubblica”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/30/il-telefono-bollente-del-ministro-romano/161045/
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