Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
lunedì 7 novembre 2011
domenica 6 novembre 2011
Italia 2020, un Paese senza mestieri. A rischio 385 mila posti di lavoro.
Cgia di Mestre: allarme estinzione per sarti e falegnami. Mancato turn over di saperi e competenze.
Artigiani al lavoro al Teatro alla Scala di Milano (Ansa) |
MILANO – Trovare un falegname tra dieci anni? Per chi vive in città sarà come cercare un ago in un pagliaio. Andrà meglio con gli elettricisti? Macché. Soprattutto ristrutturare casa diventerà una corsa a ostacoli. Pochi piastrellisti e stuccatori. Rifare la facciata del palazzo? Bisognerà per forza di cose affidarsi alla manodopera immigrata che almeno mitiga questa fuga dai mestieri. Mancheranno i ponteggiatori. Manovali e carpentieri saranno merce rara. Ma almeno avremo a disposizione chi ci dà una mano con le faccende domestiche? Tutt'altro. Addetti alle pulizie con il contagocce, colf e badanti per i più anziani avranno maggiore potere contrattuale in un mercato in cui la domanda crescerà esponenzialmente (per via dell'invecchiamento della popolazione) e l'offerta comincerà a latitare, se non adeguatamente compensata da una massiccia immigrazione.
Il RAPPORTO – Scrive la Cgia di Mestre che nell'Italia del 2020 c'è il rischio di un mancato ricambio per oltre 385mila posti di lavoro. Una città di piccole-medie dimensioni a rischio estinzione. I saperi e le competenze manuali – tradizionalmente trasmesse per via ereditaria – dilapidate in poco più di una generazione. Dai baby-boomers ai Millennials, da una società che da agricola diventava industriale (e manifatturiera) a una post-terziaria il conto alla cassa sembra poter dare ragione ai detrattori della cosiddetta economia dei servizi. «Tornare alla terra!», il grido che da più parti comincia a sollevarsi per riappropriarsi di uno stile di vita, per così dire, più bucolico, sembra riverberarsi anche sulle dinamiche occupazionali. Mancheranno gli allevatori di bestiame nel settore zootecnico e anche i braccianti agricoli.
FUGA DALL'ARTIGIANATO – Ma sono soprattutto i mestieri manuali dell'artigianato a determinare questo «smottamento» di competenze. Nell'Italia che sul tessile e sul manifatturiero ha costruito la sua crescita economica il risultato è che si troverà sempre più con il lanternino sarti, pellettieri, valigiai, borsettieri. Con inevitabili ricadute sulla produttività e sull'export. Dice Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, che il problema è culturale: «Bisogna rivalutare il lavoro manuale e le attività imprenditoriali che offrono queste opportunità. Per molti genitori – prosegue – far intraprendere un mestiere al proprio figlio in un'azienda artigiana è l'ultimo dei pensieri. Si arriva a questa decisione solo se il giovane è reduce da un fallimento scolastico». In attesa di una rivoluzione culturale qualcosa si muove in termini legislativi. Il Testo Unico per l'apprendistato – diventato operativo alla fine di ottobre anche se in attesa di tutti i decreti attuativi – incentiva le aziende assumere giovani con questo particolare contratto di inserimento, consentendo particolari vantaggi fiscali e contributivi. Ancora poco, se mancano i giovani potenzialmente interessati
Fabio Savelli
Il "ristorante" degli italiani.
Qui vediamo un italiana che sta scegliendo cosa mangiare dal menù di un ristorante "slow food" dopo essere passata all'agenzia viaggi, per prenotare l'aereo per Antigua.
(Salvatore Danilo Peddis e Pat)
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Mezzo milione per il La Russa show. - di Gianluca Di Feo
Una valanga di denaro pubblico gettato per manichini, televisori, modellini, bandierine e altra chincaglieria. Ecco tutti i costi della festa delle Forze Armate nel Circo Massimo, voluta dal ministro per celebrare se stesso, alla faccia della crisi. E il bello è che Roma ha un'intera città militare che poteva ospitare gratis l'evento.
Da una settimana su molte strade della capitale si incontrano convogli con carri armati e semoventi, che hanno mandato il traffico in tilt, mentre elicotteri atterrano davanti alla zona archeologica: una piccola replica della parata del 2 giugno. Come accade da tre anni, le forze armate mettono in mostra i loro mezzi di pace e di guerra, esibendoli in uno show con prezzi discutibili. La lista della spesa è impressionante. Si parte con settemila euro di bandierine. Oltre 25 mila euro per l'impianto di illuminazione, 3.650 per la ghiaia da spargere sul terreno, cinquemila per noleggiare la recinzione, 14 mila per affittare i wc chimici. Insolita l'uscita di 15 mila euro per il noleggio di pulman: le forze armate ne possiedono centinaia, a che servono questi rinforzi? Forse per garantire confort extralusso a qualche autorità che non è abituata ai sedili spartani dei normali torpedoni?
Che dire invece dei manifesti sugli autobus pubblici? Ne sono stati stampati cento, poi buttati via e rifatti perchè era cambiata la sede del concerto: 1.100 euro. Solo per "riparare e lavare" le bandiere tricolori sono andati via mille euro. E il rancio? Cinquemila di materiali da cucina "da impiegare al Circo Massimo". Stupiscono i tremila per "il funzionamento dei sistemi informatici": specificando che si tratta di "parti di ricambio" per le attrezzature impiegate nell'area. Difficile capire quali pezzi si logorino nei computer che serviranno per due giorni di festa nel centro di Roma: Esercito e Marina hanno sistemi informatici costruiti per funzionare in mezzo al deserto e sotto i bombardamenti ma temono di perdere i pezzi al Circo Massimo?
Alcune voci appaiono singolari. Oltre 12 mila euro per la "stampa di banner per allestimento portale". duemila di materiale odontoiatrico, duemila di attrezzature tipografiche, 5.500 di "monouso e pulizia" per la mensa da campo. Insospettiscono i dodici manichini per "esposizione uniformi storiche" sono costati 6600 euro: 550 euro per sagoma, neanche fossero automi... Forse al vertice della Difesa dimenticano che a Roma esistono almeno cinque musei militari e centinaia di manichini pronti al trasferimento sul nuovo fronte: granatieri, carabinieri, fanti, carristi, genieri d'epoca, senza bisogno di arruolare altre reclute immoobili.
Anche la tecnologia è cara. Per noleggiare cinque tv color da 50 pollici escono cinquemila euro, tremila per un videowall, 6000 per allestire gli impianti elettrici, 2500 per "implementare l'impianto di diffusione sonora". C'è poi la tendona-tensostruttura, che è costata 28 mila euro. E l'esposizione dei modelli in scala reale di aerei da ventimila euro. Trentamila euro se ne vanno in rappresentanza e promozione. E quattromila per "spese di cancelleria, telefoniche e postali".
Anche la truppa riceverà degli extra per la spedizione romana. Circa 18 mila euro di straordinari, 9000 per spese di trasporto e missione, Mille euro di "indennità di marcia" per l'Ottavo Reggimento Casilina: i tempi in cui i bersaglieri correvano senza sosta e senza supplementi forse sono superati dalla storia. Alla fine si contano 355 mila euro solo di uscite fuori bilancio. A cui vanno aggiunti i carburanti. E l'esibizione delle Frecce Tricolori che, meteo permettendo, segnerà i sette colli con il loro spettacolo di acrobazie. Non è chiaro invece se Ennio Morricone dirigerà gratuitamente la fanfara dei bersaglieri per il gran finale di Piazza del Popolo.
C'era bisogno di questo show? Le nostre forze armate hanno appena concluso una guerra voluta dal parlamento e dal capo dello Stato: la campagna in Libia dove Aeronautica e Marina sono state impegnate in pattugliamenti e nei più massicci bombardamenti della storia repubblicana. Sono impegnate in Afghanistan, dove giovedì si è combattuto alle porte del nostro comando di Herat. E garantiscono la pace in Libano e Balcani. E' giusto che vengano festeggiate. Ma non si capisce la necessità di questo doppione della festa del Due giugno, dove hanno già sfilato tutti i mezzi e tutti i reparti. Non era più efficace mantenere la tradizione delle caserme aperte? Alle porte di Roma esiste la città militare della Cecchignola, con mezzi, veicoli, cannoni, computer e cucine che funzionano tutti i giorni senza bisogno di spese ulteriori. La capitale è poi costellata di basi e ministeri, con le loro raccolte storiche, i modellini e i cimeli delle imprese epiche. Lo spreco di denaro pubblico per il campo d'armi nel circo degli imperatori tanto caro al ministro La Russa va invece a incidere su bilanci dove anche la Difesa stenta a tirate avanti.
Oggi molte caserme non riescono nemmeno a pagare la bolletta della luce. L'ordine del ministero è di saldare il conto solo quando arriva la minaccia di distacco per morosità. In un caso, nella base di un reparto del genio trasmissioni, sono stati allestiti i gruppi elettrogeni da prima linea per fronteggiare l'eventualità del distacco. Quanti conti si sarebbero saldati con il mezzo milione del La Russa Imperial Show?
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/mezzo-milione-per-il-la-russa-show/2165568
Leggi anche:
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/le-spese-per-la-parata-militare/2165585
http://speciali.espresso.repubblica.it/interattivi/numeri-armata/index.html
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Forze-disarmate/2126103
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/armamenti-la-super-casta/2160322
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/e-se-invece-tagliassimo-le-armi/2159634
"Sapeva che l’ostello in realtà era diventato hotel di lusso"
Ravenna, 4 novembre 2011 - Fra gli indagati nell’ambito dell’inchiesta per la gestione dei fondi del Giubileofinalizzati alla trasformazione dell’ex orfanotrofio in un ostello per giovani e pellegrini, c’è anche il vescovo monsignor Giuseppe Verucchi. La notizia è filtrata ieri, a indagine già conclusa. Il nome dell’alto prelato sembra sia stato iscritto solo recentemente nel registro degli indagati. Nel provvedimento con cui il gip ha autorizzato alcuni mesi fa, l’ultima proroga alle indagini, infatti, risultano solo i primi due nominativi iscritti, ovvero quelli di monsignor Guido Marchetti, tesoriere della curia e quello di Raffaele Calisesi, titolare della Ayr, la società che dal 25 gennaio 2005 ha assunto la gestione della struttura prima affidata all’Archidiocesi ravennate.
E sempre ieri si è appreso che l’ipotesi di reato formulata dal pm Monica Gargiulo, il magistrato titolare dell’indagine, è per tutti quella di malversazione ai danni dello Stato, un reato previsto dall’articolo 316 bis la cui pena va da sei mesi a quattro anni. La condotta punita è quella di chi avendo ricevuto finanzimenti pubblici «destinati a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere o allo svolgimento di attività di pubblico interesse, non li destina alle predette finalità».
Al momento nessuno dei tre indagati è stato sentito dal pm. Posto che un indagato ha il diritto di essere interrogato, se lo chiede, una volta che gli sia stato notificato l’avviso di conclusione delle indagini, nel caso in questione, pur risultando scaduto il termine per effettuare indagini, il pm può ancora procedere all’interrogatorio degli indagati. E in questa ottica non si può escludere che ai tre venga presto notificato il cosiddetto avviso a comparire per rendere l’interrogatorio. Va da sè che gli interessati possono sempre avvalersi del diritto al silenzio anche in questa fase.
Ripercorriamo, per una migliore comprensione della vicenda, le tappe che vedono protagonista, negli anni fra il 1998 e il 2007, il ‘Galletti Abbiosi’. Il 20 marzo 1998 la Presidenza del Consiglio- Ufficio per Roma capitale, deliberò, assieme a tanti altri, il finanziamento di cinque miliardi di lire all’Archidiocesi, per la ristrutturazione dell’ex orfanotrofio di via di Roma 140 finalizzata alla realizzazione di un ostello per i pellegrini e che, concluso il Giubileo, avrebbe dovuto svolgere la funzione di struttura ricettiva a basso costo una-due stelle, vale a dire uno studentato. Il 9 giugno 1998 gli uffici comunali rilasciarono alla ‘Istitutizioni assistenze riunite Galletti Abbiosi’ la concessione edilizia n. 1050 per i lavori. Il 28 ottobre fu rilasciata una concessione in variante.
L’11 agosto 2000 il Sedrvizio commercio del comune autorizzò l’archidiocesi all’esercizio dell’ostello. Il 24 luglio 2001 la gestione passò all’Opera di Religione della Diocesi. Il 25 gennaio 2005 la gestione passò alla società Ayr. Il 16 novembre 2007 fra Ayr e Comune venne firmata la convenzione relativa alla gestione della struttura, così come previsto dall’atto unilaterale d’obbligo collegato alla concessione edilizia. Nella convenzione si faceva riferimento alla destinazione della struttura come studentato. Tant’è che della bozza della convenzione fu resa partecipe anche il polo universitario. Il fatto è che la struttura già allora (e fin dalla conclusione dei lavori di ristrutturazione) aveva le caratteristiche dell’albergo di lusso; di lì a poco, gli studenti, furono ‘cacciati’ e la struttura fu adibita esclusivamente ad albergo di gran classe. Pur senza averne la licenza perchè solo nell’agosto del 2010 il consiglio comunale ha approvato il nuovo Rue che prevede per quella zona un nuovo esercizio alberghiero.
Redazione.
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