giovedì 7 giugno 2012

BERREMO ANCHE QUESTA ? - Marco Cedolin



L'esplosione avvenuta dinanzi alla scuola Morvillo di Brindisi, nella quale trovò la morte la sedicenne Melissa, sembrò fin dal primo momento figlia di quella strategia della tensione alla quale in Italia siamo purtroppo tristemente abituati. In tutta evidenza qualcosa non aveva però funzionato a dovere, come dimostrano le tantissime inconguenze emerse riguardo all'attentato. Stando alle dichiarazioni degli inquirenti a scoppiare furono tre bombole di gas collegate fra loro, ma i risultati della deflagrazione non sembravano affatto compatibili con un elemento di questo genere. Gli inquirenti in un primo tempo dichiararono che la bomba artigianale era comandata da un timer programmato per provocare lo scoppio nel momento di maggior afflusso degli studenti, "fortunatamente" bloccatosi anticipatamente. Poi invece del timer non si fece più menzione e l'artefice dell'attentato diventò una persona anziana ripresa dalle telecamere, con in mano un telecomando a distanza. Poco importa se l'uso di un telecomando a distanza fosse un elemento scarsamente in sintonia con un ordigno di costruzione artigianale (e il timer bloccato che fine aveva fatto?) e se, come ben sa chiunque abbia una minima competenza nel campo degli esplosivi, per provocare la deflagrazione di tre bombole del gas sarebbe stato necessario disporre di una certa quantità di esplosivo ad alto potenziale, difficilmente reperibile e assai poco artigianale.
Alle incongruenze si sommò la caducità del clamore mediatico. Dopo la sovraesposizione iniziale sui giornali e nei TG, abortita sul nascere la pista mafiosa che vaticinava improbabili ritorsioni ed evaporata altrettanto lestamente la pista terroristica che ventilava un collegamento con l'attentato occorso a Genova al manager Ansaldo, la bomba di Brindisi fu rinchiusa in tutta fretta nel cassetto dell'oblio mediatico.
Per ricomparire solo oggi, con la fulgida veste del caso risolto (o in via di risoluzione) dove esiste un colpevole con nome e cognome, con annessa chiara dinamica di come si svolsero i fatti e di quale fosse il movente all'origine degli stessi.....

Gli inquirenti e la buona stampa ci raccontano che a far scoppiare la bomba di Brindisi sarebbe stato un anziano benzinaio di 68 anni, ormai reo confesso, che avrebbe confezionato in proprio l'ordigno nella sua abitazione in provincia di Lecce, per poi trasportarlo dinanzi alla scuola a bordo della sua Fiat Punto. Dove con la potenza muscolare degna di un culturista e la perizia accumulata in tanti anni passati alla pompa di benzina, tutto solo, ha provveduto a collocarlo all'interno del cassonetto incriminato (insieme all'esplosivo ad alto potenziale di cui nessuno ha fatto menzione) ed a predisporre con cura certosina tutti i contatti, affinché lo scoppio potesse avenire senza sbavature.

Il movente che, stando agli inquirenti, avrebbe portato l'anziano benzinaio a prodursi in un'azione complessa anche per un robusto artificiere di lungo corso, non sarebbe ancora stato definito con chiarezza adamantina. Si tratterebbe comunque inequivocabilmente di una vendetta privata.
O nei confronti del preside della scuola Morvillo. Ma perché non limitarsi allora a tirargli una fucilata nel buio di un vicolo, anziché assemblare una "bomba atomica" e farla esplodere in mezzo agli studenti con il rischio di fare una strage?
O nei confronti della "giustizia", rea di non avergli dato soddisfazione in occasione di un vecchio processo di molti anni fa. Cosa c'entra la giustizia con la scuola e gli studenti, si domanderebbe di riflesso ogni persona normodotata? Il fatto che la scuola fosse intitolata a Morvillo o l'ubicazione dell'edificio a poche centinaia di metri dal tribunale, sarebbero secondo stampa ed inquirenti il "logico" collegamento. Ma se avesse voluto vendicarsi della giustizia, l'anziano benzinaio, non avrebbe fatto meglio a piazzare la bomba nei pressi del tribunale, dal momento che le capacità fisiche, tecniche ed intellettuali in tutta evidenza non gli facevano certo difetto?

Molto spesso, come si suol dire, la toppa risulta assai peggiore del buco. In questo caso i buchi sembrano quelli di uno scolapasta e la toppa lascia intuire che chi gestisce pro domo sua la vita e la morte in questo disgraziato paese, stia mettendo in atto un test volto a verificare fino a che punto gli italiani sono disposti ad abbeverarsi alla fonte della menzogna mediatica, con il capo chino e senza battere ciglio.

E' Mister Ikea l'uomo più ricco d'Europa. Al settimo posto Ferrero.




Berna - (Adnkronos) - Con un patrimonio di circa 35 miliardi di dollari lo svedese Ingvar Kamprad si aggiudica la prima posizione nella classifica stilata dal periodico svizzero Billan. 
Berna, 7 giu. (Adnkronos) - Con un patrimonio di circa 35 miliardi di dollari il fondatore dell'Ikea, lo svedese Ingvar Kamprad, si aggiudica il titolo di più ricco d'Europa. Il settimo posto della classifica, stilata dal periodico svizzero Billan, è invece occupato dalla famiglia Ferrero: gli inventori della Nutella, infatti, possiedono circa 19 miliardi di dollari di capitale.
Tra i paperoni del Vecchio Continente ci sono anche lo spagnolo Amancio Ortega Gaona, proprietario della catena d'abbigliamento Zara e di un patrimonio pari a quasi 33 miliardi di dollari, e la numero uno di L'Oreal, la novantenne francese Liliane Bettencourt, al quinto posto con la sua fortuna pari a 20 miliardi di dollari.
La prima posizione in classifica di Kamprad, spiega Billan, è in realtà controversa per la decisione del magnate svedese di trasferire la maggior parte del suo patrimonio alla Fondazione Ikea, impegnata in attività filantropiche. Per questo motivo, infatti, la rivista Forbes aveva stimato a "soli" 3 miliardi di dollari il patrimonio personale di Kamprad. La 'soglia di sbarramento' utilizzata da Billan per stilare la classifica è rappresentata da un patrimonio di almeno 5 miliardi di dollari.
http://www.adnkronos.com/IGN/News/Esteri/E-Mister-Ikea-luomo-piu-ricco-dEuropa-Al-settimo-posto-Ferrero_313382615445.html

Nuovo massacro di civili ad Hama Siria, l'Occidente condanna Assad Fuoco sugli osservatori dell'Onu.


Clinton: violenza inconcepibile, se ne deve andare.  Cameron: «E' stata una strage disgustosa».
Ma la Russia e la Cina frenano.

Cresce la pressione su Bashar el-Assad perchè lasci il potere. Ad accelerare la crisi è la notizia di un nuovo massacro di almeno 55 civili (ma c’è chi parla di 86 vittime e chi addirittura di 100) avvenuto mercoledì nella zona di Hama, in Siria centrale: una piccola enclave, un villaggio sunnita, abitato da poche decine di pastori e agricoltori, che mercoledì è stato prima bombardato per ore, e poi messo a ferro e fuoco dalle milizie filo-regime. Lo hanno denunciato gli attivisti e mancano ancora conferme indipendenti, perchè agli osservatori Onu è stato impedito l’ingresso nel villaggio.

Una tv pro-governativa ha annunciato che gli osservatori hanno raggiunto il villaggio. Ma il segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon, che ha definito l’accaduto «scioccante e riprovevole», ha confermato che sono stati attaccati con armi da fuoco. In queste ore comunque su Youtube si possono vedere immagini terribili dei massacri dei miliziani filo-regime. L’inviato dell’Onu e della Lega Araba Kofi Annan ha espresso «orrore e condanna».

Russia e Cina hanno ripetuto ancora oggi di essere contrari ad un intervento armato, ma Mosca accetterebbe una transizione del potere politico in stile ’yemenità «se decisa dalla gente», ha detto un diplomatico russo. E gli Usa si sono detti disponibili a lavorare con Mosca per l’uscita di scena di Assad. La Russia finora ha usato ogni mezzo, compreso il suo diritto di veto in Consiglio di Sicurezza per proteggere Assad, considerato un punto d’appoggio nello scacchiere medio-orientale, e un acquirente delle armi russe.

Il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton - che nelle ultime ore ha mandato un emissario a Mosca, un alto funzionario del Dipartimento di Stato esperto di Siria - oggi ha ripetuto che una strategia di transizione deve prevedere il completo trasferimento del potere. La violenza di cui è teatro oggi la Siria è «inconcepibile» e il presidente siriano Bashar al-Assad se ne deve andare: ha poi ripetuto la Clinton, da Istanbul dove partecipa ad un forum internazionale sulla sicurezza anti-terrorismo.

Il memoriale choc di Gotti Tedeschi: “Se mi ammazzano cercate queste carte”. - Marco Lillo

gotti tedeschi interna interna nuova


L'ex presidente della banca vaticana temeva di essere ucciso e aveva preparato - come polizza sulla vita - un memoriale sui i segreti dello IOR e lo aveva consegnato a due amici fidati. Nel corso della perquisizione della casa del banchiere.

Ettore Gotti Tedeschi temeva di essere ucciso e aveva preparato – come polizza sulla vita – un memoriale sui i segreti dello IOR. L’ex presidente della cosiddetta banca vaticana, dal settembre 2009 al maggio 2012, aveva consegnato un paio di esemplari del dossier agli amici più fidati, con una postilla a voce: “Se mi ammazzano, qui dentro c’è la ragione della mia morte”. Martedì scorso, una copia del dossier sullo IOR è stata trovata dagli uomini del capitano Pietro Raiola Pescarini, il comandante del Nucleo Operativo del NOE, quando i Carabinieri dell’ambiente hanno perquisito l’abitazione di Gotti su delega della Procura di Napoli. Proprio per approfondire il contenuto del dossier sullo IOR ieri sono decollati alla volta di Milano i vertici della Procura di Roma. I quattro pm,Giuseppe Pignatone e Nello Rossi di Roma, Henry J. Woodcock e Vincenzo Piscitelli di Napoli, hanno interrogato per tre ore e mezza l’ex presidente dello IOR, visibilmente impressionato dalle informazioni raccolte dagli investigatori, anche grazie alle intercettazioni.
Padre Georg e BertoneI pm sono in possesso persino di conversazioni che riguardano il segretario del Papa, Georg Ganswein e il Segretario di Stato Tarcisio Bertone, su argomenti delicatissimi. Inoltre a casa di Gotti Tedeschi sono stati trovati una serie di dossier su personaggi importanti che potrebbero avere avuto rapporti con il banchiere e con lo IOR. Centinaia di pagine che sono state fotocopiate, nome per nome, dossier per dossier, e consegnate ai pm romani. Al termine di questo primo interrogatorio, che si è tenuto nella caserma del NOE immersa nel verde di via Pasuvio, alla periferia di Milano, concluso alle 18 anche per la stanchezza di Gotti Tedeschi, i magistrati si sono aggiornati a nuovi separati appuntamenti con il banchiere nella veste di indagato a Roma e di testimone a Napoli. I pm di Roma hanno preso le carte attinenti alla loro indagine sulla violazione formale delle norme antiriciclaggio da parte dello IOR che sonnecchiava da un anno e mezzo, dopo il dissequestro di 23 milioni dello IOR, e che sembrava destinata all’archiviazione, per Ettore Gotti Tedeschi.
La svolta è arrivata dopo le perquisizioni ordinate all’insaputa della Procura di Roma che indagava sullo IOR dal 2010. Dopo l’interrogatorio di martedì condotto dai pm di Napoli (che dovrebbero indagare su Finmeccanica) era montata una certa “sorpresa” dei titolari dell’inchiesta romana, il procuratore aggiunto Nello Rossi e il sostituto Stefano Rocco Fava. Una serie di telefonate tra due magistrati di grande esperienza come il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e il reggente della Procura di Napoli, Alessandro Pennasilico, avevano stemperato gli animi. Martedì sera è stato organizzato un interrogatorio congiunto di Gotti Tedeschi nella veste di indagato alla presenza del suo avvocato. Le carte trovate a casa di Gotti sono considerate di grande rilievo investigativo. Non capita tutti i giorni che un procuratore capo di Roma, per di più protetto con il massimo grado di allerta per le sue inchieste a Palermo e Reggio, si sposti in aereo dalla sera alla mattina. E non capita tutti i giorni che si faccia accompagnare dal comandante del Noe dei Carabinieri, il colonnello Sergio De Caprio, alias Ultimo.
Così (insieme con Nello Rossi) il procuratore che ha arrestato Provenzano e il carabiniere che ha messo i ceppi a Riina, sono volati a Milano per interrogare, non Matteo Messina Denaro, ma l’ex banchiere del Papa.
L’odore dei soldiUn risultato inatteso dell’azione dei pm partenopei Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Francesco Curcio che ex ante cercavano le prove del riciclaggio della presunta mazzetta da 10 milioni di euro, in ipotesi girata dal presidente di Finmeccanica Giuseppe Orsi alla Lega Nord e a Cl in occasione della vendita da 560 milioni di 12 elicotteri della controllata Agusta-Westland, al Governo Indiano. Le carte sullo IOR sono emerse a sorpresa inseguendo questa mega-tangente, negata dai protagonisti, che per ora esiste solo nei racconti dell’ex direttore centrale Finmeccanica Lorenzo Borgogni.
Indagando su Orsi, i pm napoletani si sono imbattuti nei primi mesi dell’anno nel suo amico Gotti Tedeschi che proprio in quel momento era al centro di uno scontro di potere epocale all’interno del Vaticano. Se Orsi confidava a Gotti Tedeschi i suoi problemi con le inchieste giudiziarie, l’amico banchiere aveva problemi ben maggiori all’interno del Vaticano. Nelle sue lunghe conversazioni di questi giorni con gli amici Gotti Tedeschi aveva confidato di avere scoperto in Vaticano cose di cui aver paura.
Stimava sempre il Papa ma si fidava ormai di pochissime persone Oltretevere, come il presidente dell’AIF, l’Autorità Antiriciclaggio con la quale aveva cercato di fare sponda per aprire gli archivi segreti dello IOR, il Cardinale Attilio Nicora. E poi il segretario del Papa George Ganswein, al quale cercava di spiegare perché la linea del segretario di stato Tarcisio Bertone, contraria ad aprire all’autorità giudiziaria italiana i segreti dei conti IOR, fosse miope e sbagliata. “Se seguiamo la linea di Bertone, non usciremo mai dalla black list”, spiegava ai suoi interlocutori Gotti Tedeschi, aggiungendo che forse era proprio quello che volevano i cardinali. Perché così potevano continuare a nascondere la verità alle autorità italiane. La sensazione è che Gotti Tedeschi nella contesa dello IOR, almeno da quanto emerso dagli atti di indagine dei magistrati napoletani, abbia svolto un ruolo positivo, opponendosi alle lobby contrarie alla trasparenza. E forse anche per questo temeva per la sua vita.
La scortaSi potrebbe pensare a un eccesso di preoccupazione dettata dallo stress se non fosse per i precedenti sinistri. Gotti Tedeschi era soprannominato “il banchiere del Papa” e temeva di fare la fine del “banchiere di Dio”: Roberto Calvi, ucciso e impiccato con una messinscena al ponte dei Frati neri di Londra. Negli ultimi mesi Gotti Tedeschi aveva assoldato una scorta privata e si era rivolto a un’agenzia di investigazione per avere protezione. Sapeva bene però che i vigilantes non rappresentavano per lui una garanzia di sopravvivenza. La sua polizza sulla vita erano le carte che aveva maneggiato, i segreti che custodiva. Per questa ragione aveva stilato il memoriale. Non immaginava però che sarebbe finito nelle mani della giustizia italiana.
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Provenzano, aperta un’inchiesta a Palermo sul (presunto) tentato suicidio. - Giuseppe Pipitone

provenzano interna nuova


Il fascicolo aperto dai pm Ingroia e De Francisci. All'inizio di maggio il boss di Cosa nostra era stato trovato con la testa in un sacchetto nella sua cella del carcere di Parma, ma sono forti i dubbi sulla sua reale intenzione di farla finita. L'indagine riguarda anche la possibile trattativa sul suo arresto.

Il presunto tentativo di suicidio di Bernardo Provenzano diventa oggetto d’indagine per la Procura di Palermo. I magistrati siciliani hanno infatti aperto un fascicolo modello 45 a carico d’ignoti, ovvero la procedura prevista per gli fatti non costituenti reato, sul presunto tentativo di suicidio che il boss corleonese avrebbe messo in pratica agl’inizi di maggio nel carcere di Parma, dove è recluso in regime di 41 bis dal marzo del 2011. Provenzano, arrestato nei dintorni di Corleone l’11 aprile del 2006, era stato in precedenza detenuto nel carcere di Terni e poi in quello di Novara. Gli atti dell’indagine sono stati inviati anche alla procura di Bologna che ne ha competenza territoriale.
Giovedì scorso i magistrati palermitani Ignazio De Francisci e Antonio Ingroia sono andati a interrogare Provenzano in cella. “Il tentativo di suicidio? Non ricordo. Sia fatta la volontà di Dio, io non voglio fare del male a nessuno” ha detto ai due procuratori aggiunti, apparendo ancora lucido nonostante l’evidente sofferenza fisica. Al colloquio non ha assistito l’avvocato Rosalba Di Gregorio, legale di Provenzano, che non sarebbe stata avvertita della visita dei magistrati al suo cliente.
L’indagine sul presunto tentativo di suicidio è stata aperta dopo che l’avvocato Di Gregorio aveva presentato istanza alle procure di Caltanissetta e Palermo. I contorni oscuri del presunto tentativo di togliersi la vita da parte del boss corleonese sono infatti parecchi. A cominciare dalle modalità: Provenzano avrebbe infatti tentato di auto soffocarsi con un sacchetto di plastica che si trovava stranamente all’interno della cella. Il boss avrebbe poi infilato la testa nel sacchetto soltanto poco dopo aver sentito il campanello che annunciava il cambio di turno della guardia carceraria.
La notizia del tentativo di suicidio è andata ad arricchire una scia di eventi poco chiari sorti recentemente intorno alla latitanza e alla successiva reclusione del boss corleonese. I magistrati palermitani hanno voluto incontrare Binnu ‘u Tratturi anche per saperne di più su quella strana mediazione che avrebbe dovuto portare alla sua resa, raccontata per la prima volta al Csm dal procuratore nazionale antimafia Pietro GrassoTra il 2003 e il 2005 ci sarebbe stato infatti un intermediario che avrebbe proposto la resa di Provenzano in cambio di due milioni di euro: l’arresto del super boss doveva però rimanere segreto per un paio di mesi prima di essere annunciato alla stampa.
Per Pietro Grasso e Pier Luigi Vigna, suo predecessore ai vertici della Dna, quella proposta era soltanto “una bufala”. Meno convinti ne sono invece i due ex aggiunti di via Giulia Alberto Cisterna ed Enzo Macrì, già convocati dalla procura di Palermo, che seguirono il negoziato con il mediatore. L’oscuro mister X che offriva la resa di Provenzano si è materializzato – seppur con il volto coperto – in un’intervista a Servizio Pubblico il 24 maggio scorso. Dopo aver sostenuto di essere stato nella Cia e nel Sismi, l’uomo ha raccontato che sull’arresto di Provenzano “esiste una piramide, un’istituzione, loro hanno catturato Provenzano prima del voto del 2006, ma hanno detto di averlo preso dopo perché è una questione squisitamente politica”.
Provenzano fu arrestato in un casolare adibito a caseificio a Montagna dei Cavalli, proprio la mattina successiva alle elezioni politiche del 2006. Adesso i magistrati di Palermo stanno cercando d’individuare l’identità dell’oscuro mediatore per convocarlo immediatamente in procura e fargli ricostruire tutti i passaggi di quella presunta coda di trattativa per consegnare il padrino corleonese allo Stato.