mercoledì 12 settembre 2012

Dalla Ruhr a Bilbao: le città che hanno detto basta all’inquinamento. - Salvatore Cannavò


Duisburg, Duisburg-Nord Industrial Landscape Park
Dortdumnd c’è il Museo della birra, a Duisburg un grande parco naturale costruito sulle ceneri dell’acciaieria. A Pittsburgh va forte il settore biomedico mentre a Bilbao è stato costruito il Guggenheim, tra i musei più importanti al mondo. Non sappiamo se l’Ilva possa essere davvero riqualificata ma in giro per il mondo le esperienze non mancano. Del resto, l’ipotesi di chiudere una produzione inquinante conservando i posti di lavoro, è talmente bella e interessante da non poter essere respinta. Poi, però, se si pensa alla riqualificazione di Bagnoli a Napoli, chiusa nel 2002 e in cui la gara d’appalto per la bonifica degli arenili è stata aggiudicata solo lo scorso maggio, è comprensibile che ci si voglia tenere la fabbrica che c’è.
Eppure, le esperienze di riqualificazione industriale, fatte sul serio e in profondità, non mancano. A cominciare dall’Europa e dal paese più industrializzato di tutti, la Germania, dove negli anni Ottanta è stato messo a punto il piano di riconversione dell’area della Ruhr, la storica regione che ha miscelato enormi bacini minerari e impianti siderurgici e che ha dato risultati di rilievo nonostante la Germania, con oltre 44 milioni di tonnellate, sia il primo produttore europeo dell’acciaio.
Il piano della Ruhr è stato stato davvero imponente dovendosi occupare di circa 6000 ettari di aree industriali dismesse, una dimensione pari al 70 per cento delle aree abbandonate della Germania dell’Est. Il processo ha visto l’intervento diretto dello Stato e delle autorità locali con una serie di finanziamenti straordinari, ma soprattutto con l’attivazione dei fondi europei e di sviluppo regionale con un costo complessivo superiore ai 2 miliardi di euro.
Dortmund - Casino
Oggi, a Dortmund i minatori sono scomparsi, ma la città ha una grande vitalità essendo divenuta capitale europea della cultura nel 2010. La cokeria, uno dei luoghi di produzione siderurgica più inquinanti, dismessa nel 1992, è stata trasformata in un percorso museale così come è stato allestito il museo della birreria accanto al teatro dell’opera, della prosa, ai musei Ostwall e Adleturm.
Un’altra città industriale, Duisburg, è stata il principale porto per il trasporto del carbone e dell’acciaio della Ruhr. Ora ha un grande parco naturale nella parte nord dove la sera i vecchi altiforni vengono illuminati da luci al neon mentre il club alpino tedesco ha trasformato il vecchio bunker che fungeva da magazzino per il ferro in una parete per arrampicate. L’ex gasometro dal diametro di 45 metri, invece, è stato riempito d’acqua diventando il più grande sito artificiale sottomarino d’Europa che ora viene esplorato da centinaia di sub.
Anche Bilbao era sommersa dai fumi e dall’inquinamento delle officine metallurgiche e dei cantieri navali. Ma mentre si esaurivano le miniere di ferro e la cantieristica navale emigrava nell’est asiatico, nel 1997 è stato aperto il museo Guggenheim che nel primo anno di attività ha attirato 100 mila visitatori l’anno. Oggi sono diventati un milione. A voler ripetere “l’effetto Bilbao” è la città di Metz, in Francia, capitale di quella Lorena mineraria storicamente contesa dalla Germania. Qui, il Centre Pompidou, primo esempio di “decentralizzazione” museale – la casa madre resta infatti a Parigi – al secondo anno di vita ha festeggiato i 600mila visitatori e costituisce l’ipotesi per ridare vita, tramite l’arte e il turismo, a una città devastata dalla crisi economica.
Bilbao - Museo Guggenheim
Ma l’esempio più riuscito è forse quello di Pittsburgh, negli Stati Uniti, centro industriale dal 1850 al 1980 quando l’industria pesante entra in crisi. Le grandi industrie vengono così riconvertite in produzione per la robotica, la biomedicina, l’ingegneria nucleare, la finanza e i servizi. Tutto questo produce un giro di affari di circa 11 miliardi di dollari. Pittsburgh è ora la sede di Google mentre il Pittsburgh Medical Center dà lavoro a oltre 48.000 persone. Gli occupati degli istituti di medicina occupano circa 116’000, il 10 per cento di tutta la forza lavoro. E nel 2009 la città ha organizzato il G20.
File:PittSkyline082904.jpg
Pittsburgh - Pennsylvania
Pista ciclabile, tra Dortmund e Duisburg (RUHR, Germania)
Pista ciclabile, tra Dortmund e Duisburg (RUHR, Germania)
Il Fatto Quotidiano, 10 Agosto 2012

Manuale del perfetto pm. - Marco Travaglio. 12/09/2012




Breve decalogo del perfetto magistrato imparziale, indipendente, inodore e insapore nell’era delle Larghissime Intese. 

1. Se il Presidente della Repubblica parla al telefono con un politico coinvolto in un’indagine e intercettato, è colpa del pm che l’ha intercettato. Se uno critica il Presidente della Repubblica per quei colloqui, è sempre colpa del pm che li ha intercettati. 

2. Se un pm spiega le collusioni della classe dirigente col potere mafioso e invita i cittadini a cambiarla, dipende da dove lo fa: alle feste del Pd o sull’Unità va bene, perché dietro c’è un partito di governo; al congresso del Pdci no, perché il partito non è di governo; peggio ancora alla festa del Fatto , che non ha dietro partiti, ma 150 mila firme (troppe: “populismo giudiziario”).

3. Se in un convegno qualcuno, dal palco o dal pubblico, critica il Capo dello Stato, i magistrati presenti devono nell’ordine: fare la faccia contrariata storcendo naso e bocca; chiedere la parola e dissociarsi; andarsene bofonchiando; chiamare la Celere per disperdere con gl’idranti la radunata sediziosa; avvertire il dottor Sabelli in vista dell’agognata medaglietta dell’Anm. La regola vale solo per chi indaga sulla trattativa Stato-mafia: infatti Caselli, presente alla festa del Fatto con Ingroia e Di Matteo, non ha nemmeno avuto l’onore di una citazione dal dr. Sabelli. 

4. Nuovo articolo 104 della Costituzione: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere, fuorché dal Quirinale”. Ergo il Csm deve aprire pratiche a loro tutela, tranne quando ad attaccarli è il Quirinale. 

5. L’Anm, sindacato dei magistrati, deve difenderli dagli attacchi, però dipende dall’attaccante e dall’attaccato: se l’attaccato indaga su B. o Dell’Utri, va difeso a prescindere dall’attaccante; se si occupa anche del centrosinistra, tipo Forleo e De Magistris, non va difeso a prescindere dall’attaccante; se si occupa anche del centrosinistra e dà noia al Colle, va attaccato anche dall’Anm. 

6. L’Anm difende da sempre il diritto dei suoi iscritti a esprimere opinioni in tema di giustizia e lotta alla criminalità, anche in caso di azioni disciplinari. Ma anche qui dipende: se le opinioni sono di un pm che indaga sulla trattativa, il dr. Sabelli lo accusa di “appannare la sua immagine di imparzialità”, additandolo ai titolari dell’azione disciplinare, casomai si fossero distratti un attimo. 

7. Il Pg della Cassazione, con il Guardasigilli, è titolare dell’azione disciplinare contro i magistrati. Fra gli illeciti disciplinari non figurano interviste e dichiarazioni, salvo che contengano segreti su indagini in corso. Però dipende: se l’intervista senza segreti la dà un pm che indaga sulla trattativa, il Pg il procedimento lo apre lo stesso: a lui e al suo procuratore capo che non l’ha denunciato. 

8. Un Pg che, su richiesta di un politico coinvolto in un’indagine, si fa chiamare “guagliò” e si mette “a sua disposizione”, parrebbe – per dirla col dr. Sabelli – “appannare la sua immagine di imparzialità”. Ma se si chiama Esposito e parla con un protetto di Napolitano, il dr. Sabelli si volta dall’altra parte. 

9. Un Pg che convoca il procuratore nazionale antimafia perché soddisfi le pressioni del politico raccomandato e interferisca nell’indagine che lo coinvolge con avocazioni o strani “coordinamenti”, e per giunta viene respinto con perdite, parrebbe – sempre per dirla con il dr. Sabelli – “appannare la sua immagine di imparzialità”. Ma se si chiama Ciani e agisce su mandato del presidente della Repubblica, il dr. Sabelli si volta dall’altra parte. 

10. In casi come quelli di cui ai numeri 8 e 9, di solito intervengono i titolari dell’azione disciplinare. Invece nei due casi suddetti non interviene nessuno. Non il ministro della Giustizia, perché è meglio di no. Non il Pg della Cassazione, perché ai tempi di Esposito era Esposito e ora, ai tempi di Ciani, è Ciani. Dovrebbero processarsi da soli, e come si fa.

Da Il Fatto Quotidiano del 12/09/2012.

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=496566377020216&set=a.438288629514658.107578.438277562849098&type=1&theater

Bengasi, attacco a consolato Usa. Ucciso l’ambasciatore, al Qaeda rivendica.


Ieri sera un gruppo di manifestanti ha assaltato il compound che ospita la rappresentanza americana. Uccisi anche un secondo funzionario e due marines. Smentita l'ipotesi che la protesta sia legata a "L'innocenza dei musulmani", film considerato "blasfemo" che già ieri aveva scatenato le proteste di migliaia di egiziani al Cairo. Rivendicazione dei siti qaedisti: "Vendetta per uccisione numero due Abu al-Libi".

La sede diplomatica degli Stati Uniti a Bengasi, in Libia, è stata attaccata ieri sera da un gruppo di manifestanti. Nell’attacco sono rimasti uccisi l’ambasciatore americano in Libia Chris Stevens, insieme a un altro funzionario dell’intelligence Usa e due marines. L’ambasciata Usa a Tripoli ha organizzato il rimpatrio delle salme e l’evacuazione di tutto lo staff del consolato, composto da 35 persone, che sarà probabilmente trasferito a Tripoli.
L’attacco, inizialmente attribuito alle proteste contro il film “L’innocenza dei Musulmani”, il cui trailer, diffuso su youtube, aveva già scatenato le proteste in Egitto, è stato rivendicato questa mattina da alcuni siti Qaedisti come ”una reazione della milizia Ansar Al-Sharia alla conferma della morte di Abu al-Libi“, numero 2 di Al Qaida, arrivata ieri da Ayman al Zawahiri. Il 5 giugno gli Usa avevano confermato la morte e la stessa sera una bomba era esplosa proprio alla sede Usa a Bengasi.
Fonti interpellate dall’agenzia Ansa avevano già sminuito il ruolo della protesta contro il film e attribuito l’attacco alla milizia islamica Ansar Al-Sharia. Tesi, questa, confermata anche dal console italiano a Bengasi, Guido De Sanctis, che ieri si trovava a poca distanza da quello che descrive come un “ufficio distaccato” dell’ambasciata americana, non ancora un consolato, spiega così i tragici avvenimenti di ieri. “Si è trattato dice di una azione più militare, un attacco iniziato senza che fosse preceduto da alterchi o slogan di protesta. Il luogo inoltre non è uno di quelli in cui si organizzano di solito le manifestazioni, è fuori città”, spiega il diplomatico italiano precisando che la maggior parte degli abitanti di Bengasi non sembrano infastiditi dal fim su Maometto. 
Lo staff del consolato Usa era stato trasferito dalla sede diplomatica dopo l’attacco in cui è morto l’ambasciatore americano in una casa considerata sicura, ha aggiunto al Sharif. Nel frattempo, ha spiegato, un aereo della sicurezza americana era arrivato da Tripoli per evacuare tutto il personale dalla ‘casa-rifugiò che è stata però scoperta dai miliziani. “Doveva essere un luogo segreto e siamo rimasti sorpresi che i gruppi armati ne siano venuti a conoscenza. C’è stata una sparatoria” in cui sono morti i due membri della sicurezza americana, ha concluso. Incerto il numero dei feriti, tra 12 e 17.
Come conseguenza dell’attentato, la prima seduta del Congresso generale nazionale libico, che era in programma per oggi, è stata annullata. Lo si apprende a Tunisi, dove sta facendo rientro il presidente della repubblica, Moncef Marzouki, che avrebbe dovuto presenziare alla seduta inaugurale dell’assemblea.
La dinamica - “Un botto, poi fumo e scambi di colpi di armi da fuoco”  ha raccontato uno dei testimoni sul posto. L’edificio, finito sotto assedio, è un un compound abbastanza grande e si trova a poche centinaia di metri di distanza da ristoranti e caffè da dove, “a partire dalle 21.40 circa”  gli avventori hanno assistito a distanza all’episodio. Secondo alcuni testimoni “le strade adiacenti sono state chiuse rapidamente e quasi subito sono stati formati anche dei blocchi nella zona”. Lo scambio di colpi di arma da fuoco è stato udito per circa 45 minuti, anche se non in maniera continuata, “mentre il fumo è rimasto visibile per una ventina di minuti”. Tutte e quattro le vittime, secondo una prima ricostruzione, sarebbero rimaste uccise dai fumi dell’incendio divampato nell’attacco. Ma secondo le ultime testimonianze, l’attacco sarebbe stato molto più simile ad un intervento militare che a una protesta spontanea degenerata. Secondo l’agenzia Reuters, che cita una fonte libica, l’ambasciatore e tre cittadini americani sarebbero infatti sopravvissuti all’incendio. Stavano viaggiando in auto per trovare un luogo più sicuro dopo l’assalto notturno al consolato quando il loro mezzo è stato centrato da un razzo. 
E nell’attacco non sarebbe da escludere un coinvolgimento dei sostenitori dell’ex leader libico Muammar Gheddafi. Questa almeno l’opinione del sottosegretario libico agli Interni, Walis al-Sharif, intervenuto in conferenza stampa a Tripoli. Quanto alla dinamica, il personale della sicurezza del consolato americano a Bengasi avrebbe aperto il fuoco contro i manifestanti radunatisi nei pressi dell’edificio ieri sera e questo avrebbe reso il clima più teso, spingendo i manifestanti ad attaccare. Secondo il sottosegretario, il consolato americano era stato avvisato della presenza di uomini armati tra i manifestanti. 
Due dei quattro americani uccisi sono morti in una sparatoria avvenuta in una casa considerata sicura dove era stato trasferito lo staff del consolato dopo l’assalto, ha detto al Sharif. La sparatoria nella “casa-rifugio” è avvenuta durante il tentativo delle forze americana di evacuare tutto il proprio personale.
Il video dell’attacco trasmesso dal sito del Guardian

“L’innocenza dei musulmani” – Il film, che ha scatenato polemiche e proteste, secondo la stampa Usa è stato girato da un israeliano-americano, Sam Bacile. In Egitto, tuttavia, la percezione nei media, aizzati dai predicatori salafiti sui canali satellitari, è che il film sia stato girato da egiziani copti che vivono negli Stati Uniti. Intanto, il regista si sarebbe rifugiato in un luogo segreto. Parlando al telefono con l’agenzia Associated Press da una località sconosciuta, Bacile ha ripetuto che “l’islam è un cancro” e che il suo film è una provocazione politica di condanna alla religione musulmana. Bacile, immobiliarista 56enne in California, si presenta come un ebreo israeliano e ritiene che il suo film aiuterà la sua terra d’origine nel mettere in luce le colpe dell’Islam. 
Il film, che dura due ore, è costato 5 milioni di dollari finanziati con l’aiuto di oltre 100 donatori ebrei. Un trailer di 13 minuti postato su YouTube mostra un cast amatoriale che descrive Maometto come un impostore e donnaiolo impenitente, favorevole anche alla pedofilia. Non pago della rabbia scatenata in Egitto e in Libia dal suo lavoro, Bacile – pur dicendosi dispiaciuto per la morte del diplomatico americano – mette in dubbio la sicurezza delle legazioni diplomatiche americane. “Ho la sensazione che il sistema di sicurezza (nelle ambasciate) non sia buono, l’America dovrebbe far qualcosa per migliorarlo”. Il film è stato doppiato in arabo da qualcuno che Bacile non conosce, ma il regista parla abbastanza l’arabo per poter dire che la trascrizione è accurata. La pellicola è stata realizzata in tre mesi nell’estate del 2011, con 59 attori e 45 persone dietro la telecamera. Il lungometraggio – ha concluso infine Bacile – è stato mostrato al pubblico una sola volta nei mesi scorsi, in un teatro di Hollywood semivuoto.
Chi è Chris Stevens
 
Christopher Stevens si era insediato a maggio alla guida dell’ambasciata a Tripoli, ma era già stato il numero due dell’ambasciata tra il 2007 e il 2009 e l’inviato speciale presso il Consiglio nazionale transitorio a Bengasi durante la rivolta contro Muammar Gheddafi, tra il marzo e il novembre del 2011. La sua carriera diplomatica si era svolta principalmente nel mondo arabo, con incarichi a Gerusalemme, Damasco, Cairo e Riad. Originario della California, parlava il francese e l’arabo, imparato quando da giovane aveva insegnato inglese in Marocco come volontario dei Peace Corps.


Fondi al Pdl: indagato ex capogruppo Regione Lazio.


Franco Fiorito in una foto senza data tratta dal sito del Consiglio Regionale del Lazio


Franco Fiorito coinvolto nell'inchiesta della procura di Roma sulla gestione dei soldi regionali al partito.


L'ex capogruppo Pdl della Regione Lazio Franco Fiorito è indagato per peculato dalla procura di Roma, secondo quanto si è appreso, nell'ambito dell'inchiesta sulla gestione dei fondi regionali assegnati al partito. Al vaglio del procuratore aggiunto Alberto Caperna e del sostituto Alberto Pioletti c'é un'informativa delle Fiamme Gialle.
L'inchiesta giudiziaria punta ad accertare se Fiorito abbia aperto alcuni conti presso banche spagnole, con denaro assegnato dalla Regione Lazio al Pdl, intestandoli a se stesso. Nel fascicolo processuale, oltre all'informativa del nucleo di polizia valutaria della Guardia di Finanza, c'é anche una segnalazione dell'Unità di informazione finanziaria (Uif) della Banca d'Italia su movimenti di denaro sospetto, trasferito all'estero, negli ultimi due anni.
EX CAPOGRUPPO: 'FIDUCIA IN PM' - "Apprendo dalle agenzie di stampa di un procedimento a mio carico per il quale personalmente non ho ricevuto comunicazione. Ove fosse confermato, non mi stupirei visto le innumerevoli falsità messe in giro ad arte su questa vicenda. Come sempre nutro massimo rispetto e fiducia nel lavoro svolto dagli inquirenti. Sarà questa un'ottima occasione per spiegare chiaramente i termini di tale vicenda e il quadro completo nel quale essa è contenuta". Lo dichiara il consigliere del Pdl alla Regione Lazio Franco Fiorito, già capogruppo.

'Ndrangheta: in Brianza un bunker come in Aspromonte. - Salvatore Garzillo




Arresti anche a Milano, boss tra estorsioni.


La 'ndrangheta è sempre più a suo agio al Nord. Lo dimostrano le indagini dei carabinieri del Ros e della Dda di Milano, che oggi hanno portato all'esecuzione di 37 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di altrettanti affiliati alle cosche presenti sul territorio di Milano e provincia. L'operazione "Ulisse" - chiamata così dal nome di Ulisse Panetta, presunto boss della 'locale' di Giussano - ha permesso di scoprire non solo traffici e schemi criminali, ma anche atteggiamenti nuovi dell'organizzazione calabrese. Un esempio è il bunker trovato in via Boito 23 a Giussano, piccolo comune della Brianza, precisamente nell'abitazione di Antonio Stagno, 44enne giussanese detenuto per altra causa nel carcere di Opera. Una botola nascosta nel pavimento della cucina, con un perfetto meccanismo di apertura telecomandata.
Un bunker in piena regola per scappare ai blitz della forze dell'ordine, identico a quelli di 'ndranghetisti latitanti dell'Aspromonte. Si tratta di un vero e proprio bunker con una parete mobile che si aziona con un telecomando - ha spiegato il pm della Dda di Milano, Alessandra Dolci - come quelli che siamo soliti trovare in realtà come San Luca o Platì. Determinanti per l'operazione condotta dai carabinieri del comando provinciale di Milano e coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dai pm Alessandra Dolci e Cecilia Vassena, sono state le rivelazioni del 'nuovo' pentito della 'ndrangheta in Lombardia, Michael Panaja, che era stato arrestato assieme a un altro pentito, Antonino Belnome (che ha gia' parlato di alcuni omicidi avvenuti negli ultimi anni), perché ritenuto uno dei responsabili dell'omicidio di Carmelo Novella.
Quest'ultimo, 'capo dei capi' delle cosche dalla 'ndrangheta in Lombardia, venne ucciso in un bar nel milanese nel luglio 2008, perche' voleva rendere autonome le 'locali' lombarde dalla casa madre calabrese. Panaja avrebbe svelato le attività delle cosche lombarde dal luglio 2010 in poi, rivelando quanto accaduto dopo il maxi-blitz 'Infinito' della Dda di Milano che aveva portato ad oltre 170 arresti e a 110 condanne con rito abbreviato. Gli investigatori hanno scoperto che, oltre al traffico di droga e alla detenzione di armi (Kalashnikov, mitragliette Uzi, bombe a mano), l'organizzazione si occupava di usura ed estorsioni nei confronti di imprenditori locali, soprattutto di origini calabresi. Quasi nessuno ha denunciato le vessazioni, restando in un clima di omertà che ha ostacolato le indagini. Anche un politico, Francesco Gioffré, consigliere comunale di Seregno (Milano), con un atteggiamento "vicino alla connivenza", scrive il gip nell'ordinanza, tentò "di minimizzare" con le sue dichiarazioni agli inquirenti le minacce subite dal fratello Roberto, vittima di estorsione da parte della cosca della 'ndrangheta dei Cristello.
Nonostante cio', sono tanti gli episodi raccolti dai militari, a partire dal 2007, quando le vittime dell'estorsione furono i titolari della concessionaria di auto "Selagip 2000" di Giussano, a cui venne chiesto il pagamento di 500mila euro dopo minacce, telefonate minatorie, attentati incendiari, e l'esplosione di colpi di pistola contro le vetrine. E' del 2010, invece, quella nei confronti di Domenicantonio Fratea, imprenditore nel settore immobiliare e titolare di una bar a Giussano. A lui vennero chiesti 80mila euro con la medesima modalità intimidatoria. La lista prosegue con Roberto Gioffré, titolare di una sala giochi che alla fine del 2010 fu costretto a rinunciare a un credito di 70mila euro, che vantava nei confronti di alcuni affiliati, dopo numerose minacce. Infine, Stefano Sironi, imprenditore edile di Giussano, costretto a riconoscere interessi esorbitanti sulle somme prestate dalla cosca.

La benedizione delle armi....



https://www.facebook.com/photo.php?fbid=407910285924568&set=a.182599405122325.43848.180542061994726&type=1&theater

L'ARSENALE NUCLEARE DI ISRAELE. - Gianni Lannes




E' un argomento tabù come le scie chimiche. Se qualche testimone oculare con quintali di prove osa parlarne anche solo su un blog piovono insulti, minacce e quant'altro. Perché? Gli ordigni nucleari targati stella di Davide si sono moltiplicati grazie alla concessione di tecnologia francese e poi tedesca a Tel Aviv. Ma non esistono nella realtà del senso comune. Come al solito, chi asserisce fondatamente il contrario viene liquidato in tutta fretta come un banale complottista. Strano. La stragrande maggioranza degli esseri umani semplicemente ignora il fenomeno. Va in onda la terza guerra mondiale contro Siria ed Iran, organizzata da Usa, Israele, Gran Bretagna, Francia, Nato, Italia, eccetera. La rapina dell’oro nero nel Sud del mondo si ammanta di un pretesto nucleare che tira in ballo l’assenza dei diritti civili in quei Paesi del Medio Oriente. Inverosimile. Con lo stesso criminale metro di misura e per le medesime ragioni, l’Occidente dovrebbe muovere guerra - anche a sé stesso - al governo dittatoriale ebreo che ha occupato pretestuosamente la Palestina e massacra la popolazione autoctona di quella terra martoriata (bambini inclusi). Israele con la sua volontà di superpotenza atomica mette a repentaglio la sicurezza planetaria. Le cifre della contraddizione: quasi 500 ordigni nucleari: a tanto ammontano le riserve strategiche per la guerra di annientamento del nemico.
Correva l’anno 1986: Mordechai Vanunu lavorava alla centrale nucleare di Dimona e rivelò alcuni segreti sull’atomica bellica israeliana al Sunday Times. 36 anni fa - il 30 settembre - fu rapito dal Mossad, a Roma e trasferito con una nave (Tapuz) dal porto di La Spezia, sotto il naso della polizia di frontiera italiana. Da allora l'arsenale atomico di Tel Aviv è cresciuto a dismisura, senza alcun controllo o sanzione internazionale dell'Onu. Chi detta l'agenda di interesse ai mass media? Soltanto la prima divisione del Mossad?

Remember Vanunu? - Il tecnico ebreo di origine marocchina era stato condannato sommariamente il 7 ottobre 1986 a 18 anni di reclusione; poi rilasciato nell'aprile dell'anno 2004. I rapporti di polizia e dei servizi di intelligence documentano pagine oscure della magistratura italiana che a quel tempo non dispose una rogatoria, non indagò né sul rapito né sui rapitori. E accettò di archiviare la spinosa faccenda, ingoiando la strampalata tesi suggerita ed imposta dalla diplomazia israeliana, secondo cui la vicenda sarebbe stata nient'altro che “una mistificazione romanzata”. Uno storico israeliano di chiara fama, Benny Morris a quattro mani con il giornalista inglese Ian Black, ha scritto parole definitive su questa macchinosa “teoria del complotto” che fu accettata dalla Procura della Repubblica di Roma e dal governo dell'epoca. Vanunu non era una spia e non era manovrato da potenze oscure. “La sostanza dell'episodio era semplice: una colossale mancanza di sicurezza aveva portato a una conferma inequivocabile di quanto l'intero mondo sapeva da tempo, o riteneva di sapere, ossia che Israele possedeva una vasta e indipendente capacità di fabbricare armi nucleari. Vanunu era considerato un traditore da arrestare, anche se con un lieve rischio di danneggiare le relazioni con una potenza amica”. Frasi che ne riecheggiano una, all'epoca attribuita al primo ministro Bettino Craxi: “Una protesta sarebbe il minimo … e anche il massimo, perché perché di più non potremmo fare”. Gli italiani fecero assai meno del minimo. Alla stregua di altre occasioni con le stragi (Argo 16) e gli omicidi mirati (Aldo Moro) attuati dall'Istituto Centrale per l'Informazione e la Sicurezza” in Italia. Nessuno ha chiesto spiegazioni al primo ministro dell'epoca: Shimon Peres.

Doppia morale - L'Iran ha firmato il Trattato di non proliferazione nucleare in sede Onu e si è quindi formalmente impegnato a rinunciare all'arma atomica e a consentire ispezioni e controlli. Israele non ha firmato invece quel trattato. Tra i 59 paesi che lo siglarono nel 1970 ci sono però Gran Bretagna, Francia, Cina, Russia e Stati Uniti d'America. Potenze che si sono impegnate a svuotare i loro arsenali. Non solo non l'hanno fatto, ma hanno consentito e incoraggiato deroghe interessate ed inique. L'Iran è stata aggredita due volte nell'ultimo mezzo secolo: la prima direttamente da potenze occidentali e la seconda da Saddam Hussein sostenuto sempre dagli occidentali. Vanunu: “Sono orgoglioso di quello che ho fatto. Aprite alle ispezioni i siti atomici israeliani”.

Mafie di Stato - In una lettera aperta di Vanunu pubblicata nel 1997 ma censurata dalle autorità israeliane è scritto: “... Essi sono anche responsabili per la debolezza politica dei governi italiani, come mostra l'insolito fenomeno di 55 governi in 50 anni … ma l'Italia ha sofferto maggiormente per tutti i suoi giochi spionistici lasciando fare a tutti i servizi segreti del mondo quello che hanno voluto in Italia (CENSURA) Qui in Israele usano finte guerre e il terrore per spaventare la gente e convincerla a credere e a fidarsi dei segreti nucleari … Il problema è che Israele non potrebbe fare quello che fa senza l'aiuto e il silenzio dell'Europa … voi cittadini italiani dovreste sapere quel che accade nel vostro paese, cosa i vostri servizi stanno facendo in collaborazione con quelli israeliani, che crimini hanno commesso insieme in passato contro gli Stati Uniti negli Stati Uniti e contro i cittadini italiani … a chi serve ora e a che scopo e che è venuto il momento di mettere fine a tutti questi giochi spionistici per avere uno stato normale e stabile come ogni altro stato d'Europa per mettere fine a tutte le deviazioni e gli inganni a danno dei cittadini e per entrare nell'epoca moderna senza la mafia. Coloro che vogliono la mafia nelle loro azioni di spionaggio in realtà vogliono tenere l'Italia in un'epoca oscura … Questo uso della mafia da parte delle spie italiane non serviva era un modo per mantenere l'Italia in una condizione di sottosviluppo ...”.

Come sosteneva l'arguto Leonardo Sciascia: “Se un fatto non viene raccontato non esiste”. L'Italia ha firmato sotto Berlusconi, grazie alla tacita connivenza della cosiddetta opposizione, un memorandum di cooperazione militare con Israele. Un altro fatto è certo: le carte Moro sono ancora coperte dal segreto di Stato, nonostante sia ampiamente scaduto. Vero D'Alema?