venerdì 28 settembre 2012

Sallusti...



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Il caso Abu Omar.



Il Caso Abu Omar fa riferimento al sequestro di persona e trasferimento in Egitto, suo paese di origine, dell'Imam di Milano Hassan Mustafa Osama Nasr, estremista islamico e fiancheggiatore del terrorismo islamico, noto come Abu Omar, ed alle successive vicende giudiziarie. La questione è stata riportata dalla stampa internazionale come uno dei più noti e meglio documentati casi di azione illegale eseguiti dai servizi segreti statunitensi nel contesto della guerra globale al terrorismo

Rapimento
Abu Omar è stato rapito Il 17 febbraio 2003 a Milano da dieci agenti della CIA[1] e un maresciallo dell'Arma dei Carabinieri che fino a un anno e mezzo prima aveva lavorato nella sezione antiterrorismo del ROS di Milano. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti e quanto dichiarato dallo stesso Nasr, l'imam è stato rapito a Milano mentre si recava alla moschea e trasportato presso la Base aerea di Aviano per essere trasferito in Egitto dove è stato recluso, interrogato e avrebbe subito torture e sevizie[2].
L'operazione della CIA ha interrotto le indagini che la procura di Milano stava conducendo su Nasr in merito alla partecipazione ad organizzazioni fondamentaliste islamiche.
Liberazione 
Fu liberato una prima volta dopo circa un anno, ma sarebbe stato riarrestato perché chiamando la famiglia in Italia e raccontando le torture subite, avrebbe violato un patto di riservatezza accettato per essere rilasciato[3].
È stato liberato una seconda volta nel febbraio 2007 - ma le autorità egiziane gli avrebbero vietato l'espatrio[4] - ha denunciato le violenze subite e espresso la volontà di tornare in Italia, dove comunque lo attenderebbe un'ordinanza di arresto per le attività di terrorismo per cui era indagato[5]. Nasr ha dichiarato di aver fiducia nella giustizia italiana e di voler perseguire i torti subiti e far valere i suoi diritti nei tribunali Italiani[6][7]; avrebbe, secondo le sue dichiarazioni, rifiutato un accordo con la CIA che prevedeva 2 milioni di dollari e la cittadinanza per lui e la sua famiglia in cambio del silenzio sulla sua vicenda[6].
Coinvolgimento dei servizi segreti deviati 
Seppure il governo italiano abbia negato di aver ricoperto alcun ruolo nel sequestro, alle indagini condotte dai procuratori aggiunti Armando Spataro e Ferdinando Enrico Pomarici sono seguiti i rinvii a giudizio per i servizi americani, di 26 agenti della CIA tra cui il capocentro di Roma e referente per l'Italia della CIA fino al 2003 Jeffrey W. Castelli e il capocentro di Milano Robert "Bob" Seldon Lady, mentre per i servizi Italiani, del Generale Nicolò Pollari, vertice del SISMI, del suo secondo Gustavo Pignero morto l'11 settembre 2006, Marco Mancini e dei capicentro Raffaele Ditroia, Luciano Di Gregori e Giuseppe Ciorra[8].
Su richiesta degli inquirenti è stata trasmessa richiesta di estradizione per i cittadini americani al Ministero della Giustizia, allora Roberto Castelli, affinché la trasmettesse agli Stati Uniti. Il Ministro Castelli si è sempre rifiutato di inoltrare la richiesta di estradizione entrando in conflitto con la procura di Milano. Al termine della legislatura nel 2006 Castelli fece sapere che non aveva trasmesso gli atti. Nonostante la vittoria alle elezioni politiche del centro sinistra, del quale alcuni esponenti avevano sostenuto l'opportunità di trasmettere gli atti, il nuovo governo ha presentato un ricorso alla Corte Costituzionale per un conflitto tra poteri dello stato lamentando la violazione del segreto di stato da parte degli inquirenti nel corso delle indagini. La decisione dell'allora ministro Clemente Mastella di attendere la risoluzione della questione pendente prima di decidere se presentare le richieste di estradizione ha provocato accese polemiche tra il governo e la procura di Milano.
Alcuni dei protagonisti di questo caso sono inoltre coinvolti anche nello scandalo dell'archivio segreto di Via Nazionale e nello scandalo Telecom-Sismi (tra essi, l'ex funzionario del Sismi Pio Pompa).
In relazione al caso Abu Omar, Renato Farina (ex giornalista del quotidiano Libero, oggi deputato del Pdl e recentemente approdato a Il Giornale) ha riconosciuto le accuse di favoreggiamento mosse a suo carico ed ha patteggiato la pena ottenendo una condanna a sei mesi di reclusione (poi commutata in sanzione pecuniaria). Ma proprio Renato Farina scriveva così su Libero il 2 luglio 2005Gaetano Saya e il D.S.S.A. (dipartimento studi strategici antiterrorismo) hanno fatto parte del gruppo operativo della C.I.A. che ha sequestrato Abu Omar. Il giorno prima era scattato il blitz della Procura di Genova nei confronti degli appartenenti a questa misteriosa struttura, definita polizia parallela: il Capo del D.S.S.A Gaetano Saya, in sede di interrogatorio davanti ai Giudici di Genova opponeva il segreto NATO. Durante gli interrogatori, Farina ha ammesso di essere stato pagato ripetutamente dal SISMI per le sue attività e di aver ricevuto pressioni da Pollari e Pompa per reperire informazioni sulle indagini in corso sul sequestro di Abu Omar.
Sull'operazione Abu Omar, il governo Prodi prima, e il governo Berlusconi poi, hanno mantenuto il segreto di stato.
Nel dicembre 2010 Wikileaks ha però pubblicato dei cablogrammi inviati dalla sede romana dell'ambasciata Usa al quartier generale (headquarter) di Washington che rivelerebbero pressioni degli Stati Uniti sul Governo Italiano per evitare il coinvolgimento degli agenti della CIA nell'inchiesta italiana sul sequestro di Abu Omar[9].
Processo 
Durante l'udienza del 22 ottobre 2008, presso la IV sezione penale del Tribunale di Milano, il giudice Oscar Magi ha sospeso l'esame di Giuseppe Scandone, ex funzionario del SISMI, che aveva opposto il segreto di Stato. Ordinanza e trascrizione dell'interrogatorio del teste verranno trasmessi al presidente del Consiglio affinché confermi il segreto di Stato opposto dal teste e chiarisca, in particolare, se le direttive e gli ordini impartiti da Pollari, quando era direttore del SISMI, siano coperti anch'essi da segreto di Stato soprattutto se hanno riguardato l'uso di mezzi e di azioni nell'ambito delle cosiddette azioni illegali (extraordinary rendition), ovvero il sequestro illegale (e spesso la tortura) di un sospetto di terrorismo[10].
Le registrazioni audio delle udienze passate sono state pubblicate da Radio Radicale [11]. Il processo prosegue con le limitazioni previste dal segreto di stato[12].
Nell'udienza conclusiva, il 30 settembre 2009, al termine della requisitoria, il pubblico ministero Armando Spataro ha chiesto 13 anni di reclusione per l'ex direttore del SISMI Nicolò Pollari, definito il regista di un sistema criminale; 10 anni per l'ex capo del controspionaggio militare italiano, Marco Mancini; la condanna anche per i 26 agenti della CIA coinvolti nel rapimento, con pene comprese tra i 10 anni e i 13 anni di reclusione. Richiesta di proscioglimento, invece, per tre funzionari minori del SISMI, Raffaele Di Troia, Luciano Di Gregorio e Giuseppe Ciorra. Secondo la ricostruzione del sequestro fatta in aula dal Pubblico Ministero Spataro - che ha ricordato come ci siano prove ineluttabili contro quella che più volte ha chiamato la banda Pollari-Mancini - il SISMI diretto da Pollari non solo offrì copertura alla CIA nel rapimento dell'ex imam, avvenuto a Milano, ma collaborò[13].
Il 4 novembre 2009 si giunge alla sentenza di primo grado, che delibera il non luogo a procedere per Mancini e Pollari, mentre condanna a 8 anni Robert Seldon Lady, a 3 anni a Pio Pompa del Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare e Luciano Seno, entrambi funzionari del SISMI e mediamente a 5 anni gli altri 22 agenti CIA. A titolo di provisionale ad Abu Omar vanno un milione di euro, mentre alla moglie Nabile Ghali 500.000 euro. In separato giudizio civile verrà stabilito l'ammontare finale del risarcimento, che dovrà essere corrisposto dagli imputati ritenuti colpevoli[14]. Il 1º febbraio 2010 vengono depositate le motivazioni della sentenza[15].
La sentenza d'appello del 15 dicembre 2010 conferma la sentenza di primo grado, riducendo leggermente le pene per i due ex-funzionari del SISMI, Pio Pompa e Luciano Seno (due anni e otto mesi di reclusione rispetto ai tre anni del primo grado), e inasprendo le pene relative ai 23 funzionari della CIA coinvolti nel processo per il sequestro dell'ex imam, pene che ora vanno dai sette ai nove anni (per Robert Seldon Lady la pena passa dagli otto anni del primo grado ai nove dell'appello).
Il 19 settembre 2012 la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza d'appello pronunciata nei confronti degli ex vertici del Sismi Nicolò Pollari e Marco Mancini che erano stati dichiarati non processabili, per il Segreto di Stato, il 15 dicembre 2010; La Cassazione ha accolto la richiesta della pubblica accusa, secondo la quale ci sarebbero elementi di prova da valutare non coperti da Segreto di Stato; si terrà quindi un nuovo processo di secondo grado. Inoltre i supremi giudici hanno annullato la sentenza con rinvio anche nei confronti dei tre funzionari del Sismi Giuseppe Ciorra,Luciano Di Gregori,Raffaele Di Troia,confermando invece definitivamente la condanna d'appello per i 23 agenti americani della CIA e per Pio Pompa e Luciano Seno[16],tutti per il reato di Sequestro di persona.
Risarcimento 
Il risarcimento è stato fissato interamente a carico dei 23 agenti della CIA ed è così suddiviso: 1.000.000 euro per l'ex Imam Abu Omar e 500.000 euro per Nabile Ghali (sua moglie)[17].



Leggi anche: 


LA SCHEDA

Il rapimento, l'inchiesta, gli 007
Ecco le tappe della vicenda


ROMA - Il rapimento dell'imam Abu Omar a Milano. Il trasferimento ad Aviano e poi al Cairo. Le torture. La scomparsa. E poi l'inchiesta della magistratura. Il ruolo della Cia e del Sismi. Quello del governo italiano che ha sempre negato tutto. Ecco le tappe della vicenda che ha portato agli arresti di oggi. 

17 febbraio 2003. In pieno giorno viene rapito in via Conte a Milano, Hassan Mostafa Osama Nasr (detto Abu Omar), egiziano, classe 1963. L'ex imam della moschea milanese di via Quaranta e del centro di cultura islamica di viale Jenner viene caricato su un furgone e scompare nel nulla. Abu Omar dall'11 febraio 2002 era sotto indagine perché sospettato di aver legami con organizzazioni islamiche estremiste. Gli veniva contestato il reato di associazione a delinquere finalizzata al terrorismo internazionale. 

L'indagine aperta dalla procura milanese - sulla base di testimonianze e intercettazioni - individua in alcuni agenti della Cia gli autori del rapimento dell'imam che, sequestrato a Milano, viene portato alla base militare di Aviano - e qui torturato - e poi spedito in Egitto, nelle carceri di Mubarak (e qui, nuovamente, seviziato). 

Gennaio 2004. L'allora ministro dei Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi sostiene in Aula che "i nostri servizi segreti non erano a conoscenza dell'operazione". 

Aprile 2004. Dalle intercettazioni di telefonate alla moglie dell'imam, Nabila, si scopre che Abu Omar è stato rilasciato, anche se in libertà vigilata. 

25 giugno 2005. Il gip Chiara Nobili accoglie parzialmente le richieste di arresto del procuratore Armando Spataro nei confronti di 22 agenti dlela Cia accusati di aver portato a termine una "forcible abduction". Dopo tutti i passaggi tecnici i sequestratori vengono dichiarati latitanti e vengono avviate le ricerche. 


23 dicembre del 2005. L'allora ministro Roberto Castelli, investito della questione dell'estradizione, chiede la disponibilità di tutti gli atti di indagine per studiarli. 

aprile 2006. "Camminavo per le strade di Milano il 17 febbraio 2003, quando un uomo dai tratti americani mi ha fermato e chiesto il passaporto, quindi altre persone mi hanno bloccato alle spalle e costretto a salire su una macchina, mettendomi un sacco di plastica in testa...". Questo il racconto del rapimento che avrebbe fatto lo stesso Hassan Mustafa Osama Nasr, alias Abu Omar, davanti ai giudici della Corte d'appello del Cairo, così come riferito all'epoca da fonti anonime al quotidiano indipendente El Masri el Yom. "Non riuscivo a respirare, sono svenuto, allora hanno rotto il sacco e mi hanno messo del nastro adesivo sugli occhi", ha proseguito l'imam, che risulta essere detenuto in un carcere alla periferia della capitale egiziana. "Mi hanno fatto scendere in un'area dove c'erano degli aerei e in seguito ho saputo che era una base americana, mi hanno caricato su un aereo per la Germania e poi per l'Egitto". 

12 aprile 2006.
 Castelli comunica al procuratore generale di Milano, Mario Blandini, la sua decisione di non presentare la domanda di estradizione dagli Stati Uniti d'America e di diffusione delle ricerche all'estero formulata dalla procura della Repubblica di Milano e relativa al procedimento penale che vede indagati i 22 agenti della Cia. 

11 maggio 2006. Palazzo Chigi - in risposta ad alcune inchieste giornalistiche che evidenziano il coinvolgimento del governo e del Sismi nella vicenda Abu Omar - ribadisce l'"assoluta estraneità" del governo e dei Servizi segreti italiani nel sequestro di Abu Omar. "Palazzo Chigi - si legge in una nota - non ha nulla da aggiungere in merito all'assoluta estraneità dell'esecutivo e dei Servizi di informazione e sicurezza rispetto al sequestro, che anche oggi si intende ribadire con lo stesso vigore e con la stessa forza di sempre". 

12 maggio 2006. L'allora ministro della Difesa, Antonio Martino, ribadisce "l'assoluta estraneità del Governo e del Sismi rispetto al sequestro di Abu Omar, rapimento che non coinvolge ad alcun titolo nè l'esecutivo nè il Servizio, nè direttamente nè indirettamente". 

7 giugno 2006. Il relatore dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa Dick Marty denuncia l'esistenza di una "rete" di Paesi coinvolti nelle detenzioni e trasferimenti di presunti terroristi da parte della Cia ed elenca sette Stati membri del Consiglio d'Europa, fra i quali figura l'Italia, che potrebbero essere ritenuti responsabili, a vari livelli, per aver violato i diritti di determinati individui e partecipato a tali operazioni. 

5 luglio 2006. Su richiesta dlela procura milanese finiscono in manette il numero 2 del Sismi, Marco Mancini e un altro militare italiano. L'accusa è di concorso in sequestro di persona. 

(5 luglio 2006)


http://www.repubblica.it/2006/07/sezioni/cronaca/arrestato-mancini/abu-omar-storia/abu-omar-storia.html?ref=search


Leggi anche:

Abu Omar, scontro Castelli-Pm
"No all'estradizione degli agenti Cia"




Abu Omar

ROMA - E' di nuovo scontro aperto tra il ministro della Giustizia e la procura di Milano sulla richiesta di estradizione dei 22 agenti della Cia indagati per il rapimento di Abu Omar. Roberto Castelli non invierà la domanda a Washington accusando i pm di averlo "messo con le spalle al muro", di aver insistito troppo e di aver fatto pressioni che hanno avuto l'effetto opposto a quello voluto mandando in fumo la trattativa con gli Stati Uniti. I magistrati gli rispondono a stretto giro: "Riporremo la questione al nuovo governo".

Castelli si dice dispiaciuto per la mancata richiesta di estradizione "perché in questo modo si blocca una operazione che stavamo portando avanti con gli Stati Uniti e che speravo andasse in porto. Ora non ho più alcuna arma di pressione. Sono estremamente amareggiato".

Il Guardasigilli non rivela il contenuto della trattativa con gli Usa, ma si limita a dire che "poteva andare a vantaggio del Paese". Il procuratore di Milano Manlio Minale - afferma - mi ha inviato la settimana scorsa una lettera in cui ribadiva che la legge mi imponeva di decidere, facendomi velatamente intendere che altrimenti sarei incorso in un'omissione di atti di ufficio".

A cinque mesi dalla presentazione della richiesta di estrazione dei 22 agenti Cia accusati del rapimento dell'ex imam Abu Omar, il Guardasigilli, "d'intesa con la presidenza del Consiglio", ha quindi comunicato stamani al pg di Milano Blandini che non invierà la domanda alle autorità di Washington: "Non me la sento di mandare agli Stati Uniti il segnale che lasciamo liberi i terroristi assolti dai magistrati e ci occupiamo di arrestare i cacciatori di terroristi". 

A chi gli chiede se della trattativa in corso con gli Usa avesse informato la magistratura di Milano per spiegare il perché non trasmettesse la richiesta di arresto degli agenti Cia, Castelli risponde di sì e ricorda l'incontro che ebbe lo scorso 8 marzo, a Roma, con il pg Mario Blandini. Ed esclude che vi sia una concomitanza con il risultato elettorale: "L'esito del voto? E' solo una coincidenza", dichiara.

La Procura prende atto. La richiesta di estradizione verà reiterata "non appena sarà formato il nuovo governo nella convinzione di poter ottenere una diversa valutazione", dice il procuratore aggiunto Armando Spataro, titolare dell'inchiesta sul rapimento di Abu Omar.

Il procuratore aggiunto ha annunciato che la decisione del ministro Castelli "ci consentirà di assumere rapidamente le nostre determinazioni in merito all'esercizio dell'azione penale nei confronti di soggetti che sono stati ritenuti pericolosi da tutti i giudici che hanno emesso provvedimenti nei loro confronti".

Il magistrato, pur riconoscendo la facoltà del ministro di non fare la richiesta, sottolinea però che questa decisione "interviene dopo oltre cinque mesi dalla prima richiesta formulata dalla Procura generale di Milano".

La vicenda risale al 17 febbraio 2003 quando in pieno giorno Hassan Mostafa Osama Nasr, egiziano, classe 1963, meglio conosciuto come Abu Omar viene caricato su un furgone bianco e sequestrato in via Conte Verde a Milano. E' l'ex imam della moschea milanese di via Quaranta, e del centro di cultura islamica di viale Jenner, già da oltre un anno era sotto indagine perché sospettato di aver legami con organizzazioni islamiche estremiste.

Abu Omar, secondo la ricostruzione degli inquirenti, viene narcotizzato e portato con il furgone alla base Nato di Aviano (Pordenone). Interrogato e probabilmente torturato viene portato in Egitto, dove è stato poi sottoposto ad altri interrogatori, accompagnati anche da violenze fisiche. E solo molto tempo dopo rilasciato, ma in condizioni di libertà vigilata, ad Alessandria d'Egitto.

Nell'aprile del 2004 l'ex imam telefona alla moglie che ancora vive a Milano e le racconta tutto. Poco dopo Abu Omar sparisce di nuovo. La vicenda sul suo rapimento compare sulle pagine di diversi giornali. Le indagini della Digos di Milano portano a ricostruire tutti gli spostamenti dei rapitori e alla loro identità di presunti agenti Cia. Tutti sono accusati di aver portato a termine una "forcible abduction", un rapimento in territorio italiano.

Per loro il procuratore aggiunto Armando Spataro prepara le richieste di arresto che viene parzialmente accolte dal gip il 25 giugno 2005. Alla fine dopo alcuni ricorsi al Riesame i provvedimenti diventano 22.

Dopo tutti i passaggi tecnici i sequestratori vengono dichiarati latitanti e vengono avviate le ricerche. Il 23 dicembre scorso il ministero Roberto Castelli, investito della questione dell'estradizione, per suo incarico di Guardasigilli, chiede la disponibilità di tutti gli atti di indagine per studiarli. Oggi il no.

(12 aprile 2006)

E anche: 

Wikileaks sul caso Abu Omar
"gli Usa condizionarono l'Italia"

Alcuni cablogrammi da Roma a Washington rivelerebbero pressioni degli Stati Uniti sul Governo Italiano riguardo l'inchiesta sugli agenti Cia in Italia collegati al caso Abu Omar. Attraverso colloqui diretti con Berlusconi, che avrebbe assicurato di seguire la questione 'con benevolenza'. Rosato del PD: "Sempre più urgente sentire il premier"


ROMA - Secondo il settimanale tedesco Der Spiegel, gli Stati Uniti fecero pressione per condizionare l'inchiesta italiana in Italia sugli agenti della Cia coinvolti nel sequestro di Abu Omar. All'inizio, gli americani si sono mossi attraverso "canali diplomatici", ma in seguito anche con "colloqui di alto livello con il primo ministro italiano Silvio Berlusconi". Tra le richieste, quella di ottenere che i magistrati non spiccassero un mandato di cattura internazionale contro gli agenti Cia coinvolti nel sequestro di Abu Omar. Nei documenti viene inoltre descritto nel dettaglio come l'ambasciatore Usa in Italia e il segretario Usa alla Difesa Robert Gates, abbiano fatto aperte pressioni sul Governo italiano. 

L'informazione sarebbe stata ricavata da alcuni cablogrammi inviati a Washington dalla sede romana dell'ambasciata Usa, documenti successivamente ottenuti da Wikileaks. Secondo lo Spiegel, questi "dispacci segreti" sono "particolarmente imbarazzanti per Berlusconi". Stando alle rivelazioni dei 'cablo', le pressioni americane risalirebbero al 2006 e sarebbero avvenute più volte. Dal premier, stando almeno ai dispacci, i diplomatici Usa avrebbero avvito assicurazioni che il caso sarebbe stato seguito 'con benevolenza'. Ecco le tappe della vicenda dal rapimento all'inchiesta al ruolo degli 007.

I commenti. Sulla questione è intervenuto Ettore Rosato, deputato del Pd  e componente del Comitato per la sicurezza della Repubblica:"Il tema delle presunte pressioni degli Stati Uniti su caso Abu Omar e dei dispacci segreti, definiti dallo Spiegel 'particolarmente imbarazzanti per Berlusconi" - spiega - "deve essere affrontato nelle sedi adeguate, anche per evitare speculazioni. Berlusconi non fa il bene di nessuno sottraendosi ad un confronto nella giusta sede parlamentare".
Arriva anche il commento di Ferdinando Pomarici, ex capo della dda milanese che insieme al collega Armando Spataro ha condotto le indagini sul sequestro di Abu Omar e ha chiesto l'arresto anche di 26 agenti Cia. "Non mi sembra una novità che i governi italiani abbiano risentito pesantemente degli interventi degli Stati Uniti", dice Pomarici, che aggiunge: "Ciò mi sembra evidente dal fatto che non abbiano mai inteso dare corso alle richieste di arresto secondo il trattato italo-americano. Mi sembra evidente" - ha proseguito il magistrato - "anche dal fatto che tutte le rogatorie italiane sono rimaste inevase. Senza che vi fosse alcuna sollecitazione o protesta da parte del ministero della giustizia".
Secondo l'avvocato Luca Bauccio, legale della moglie di Abu Omar, "Le rivelazioni di Wikileaks
rendono il segreto di stato paradossale e sono la dimostrazione, l'ennesima, di come si sia tentato in tutti i modi di condizionare le indagini sul sequestro di Abu Omar e di come non si sia voluto che la verità venisse accertata". (17 dic. 2010)


KISSINGER, UN CRIMINALE DI GUERRA AL QUIRINALE CON NAPOLITANO. - Gianni Lannes



Se Heinz Albert non fosse il maggiore sospettato in qualità di mandante diretto dell’omicidio di Aldo Moro e della strage della sua scorta, le 5 fotografie attualmente in bella mostra sul sito del Quirinale, dell’ex segretario di Stato Usa a colloquio sorridente con il presidente della Repubblica uscente, Giorgio Napolitano, non avrebbero rilievo politico e sociale. 
Ma c’è di più, Henry il potente boss politico - al servizio di ben due presidenti Usa (Nixon & Ford) è pure ricercato a livello internazionale: infatti, tempo fa, è dovuto fuggire dall’Irlanda dove la polizia stava per arrestarlo in seguito ad una segnalazione di attivisti per i diritti civili. Nel 2001, mentre Kissinger si trovava a Parigi, gli è stato recapitato un mandato di comparizione emanato dal giudice LeLoire per testimoniare sulla scomparsa di cittadini francesi in Cile durante l’era dittatoriale del suo socio generale Pinochet. Invece di presentarsi al magistrato, Kissinger ha preferito fuggire in tutta fretta. Lo stesso ex segretario di Stato USA, vanta una denuncia per concorso nell’omicidio del comandante militare cileno Renè Schneider. Nel 2001 il giudice argentino Rodolfo Corral ha emesso nei suoi confronti un mandato di comparizione per la presunta complicità nell’ ”Operazione Condor”. Ad Henry Kissinger - già membro della Trilateral Commission e del Club Bilderberg - sono imputabili crimini contro l'umanità. L'11 settembre 1973 Kissinger ebbe un ruolo di sostegno attivo ordinando l'utilizzo di caccia statunitensi per mettere a segno il colpo di Stato militare di Augusto Pinochet contro il presidente socialista cileno Salvador Allende, eletto democraticamente. Relativamente ancora poca cosa rispetto alle accuse a ragion veduta dello sterminio di milioni di persone in vari continenti per assicurare il dominio Usa. Nello Stivale nessuno si scandalizza se piomba un macellaio - ombra nera della Cia - che ha trascorso la vita tra affari e genocidi su commissione e detta ancora legge nel nostro Paese a sovranità azzerata.
Impunemente l’ex braccio destro di Nixon atterra in Italia e viene addirittura ricevuto in pompa magna a Villa Madama dal sodale Napolitano che lui stesso definisce “My favorite communist”. In questa tenuta di rappresentanza del ministero degli Esteri, un’associazione privata nord-americana - l’Aspen Institute - ha organizzato una conferenza. Le accuse ad Henry Kissinger si sono fatte molto pesanti, almeno all’estero, come indiscutibilmente è altrettanto forte la richiesta di molti illustri personaggi di revocare il premio Nobel assegnatogli indebitamente nel 1973. E’ certo però che se l’ex Segretario di Stato americano lanciò frasi riguardanti il golpe cileno di questa portata: «Non si può permettere che il Cile diventi marxista, per il semplice motivo che la sua popolazione è irresponsabile» le riflessioni diventano obbligatorie anche da noi. Cile, Uruguay, Argentina almeno a pelle, sangue, dna e storia non ci sono indifferenti come, il Pakistan, l’Indonesia e Timor Est.



Delitto Moro - Nel 1982 grazie alla testimonianza giurata in sede giudiziaria di Corrado Guerzoni (collaboratore di Moro) - prontamente rimossa e dimenticata dagli addetti ai lavori di pulizia ed ignota alla coscienza collettiva - l’Italia e l’Europa (ma non gli Stati Uniti) appresero che Kissinger era dietro la morte di Aldo Moro. Sicuro nella sua posizione di membro della più potente fra le società segrete del mondo, il tedesco Kranz non solo terrorizzò Moro, ma portò avanti le sue minacce di far “eliminare” l’uomo politico pugliese se non avesse rinunciato al progetto di far progredire l’economia e l’industria in Italia.

Nel giugno e luglio di 30 anni fa, la moglie di Aldo Moro, Eleonora Chiavarelli Moro, testimoniò in tribunale che l’assassinio del marito fece seguito a serie minacce di morte, esercitate da colui che lei definì «una figura politica americana di alto livello». La signora Eleonora Moro ripeté la stessa frase attribuita ad Henry Kissinger nella testimonianza giurata di Guerzoni: «O tu cessi la tua linea politica oppure pagherai a caro prezzo per questo». Richiamato dai giudici, a Guerzoni fu chiesto se poteva identificare la persona di cui aveva parlato la signora Moro. Guerzoni confermò che si trattava di Henry Kissinger, come d’altra parte aveva precedentemente dichiarato. Il giornalista Guerzoni spiegò in tribunale come Kissinger fece le sue minacce ad Aldo Moro in una stanza d’albergo durante una visita ufficiale di alcuni leader italiani. Secondo Guerzoni, Moro, che solo in seguito divenne Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri, era un uomo di prim’ordine, uno che non si sarebbe mai piegato a minacce ed avvertimenti di stile mafioso. Moro era accompagnato nella sua visita agli Usa dal Presidente della Repubblica in carica. Kissinger era un importante agente del RIIA, un membro del CFR e del Club di Roma.

Ecco come l’analista John Coleman ha ricostruito e documentato l’eliminazione di Moro ed il coinvolgimento di Kissinger, nel libro THE STORY OF THE COMMITTEE OF 300 (pubblicato nel 1992 e mai tradotto in Italia).

«Aldo Moro fu un leader che si oppose alla “crescita zero” e alla riduzione della popolazione pianificata dal NWO per l’Italia, per questo incorrendo nelle ire del Club di Roma, un’entità creata dagli Olympians della Commissione dei 300 per portare a compimento le sue politiche. In un tribunale di Roma, un amico intimo di Aldo Moro, il 10 di Novembre del 1982, testimoniò che l’ex Presidente del Consiglio fu minacciato da un agente della RIIA (Istituto Reale per gli Affari Internazionali) – che era anche membro della Commissione dei 300 – mentre era il Segretario di Stato USA in carica. Quest’uomo era Henry Kissinger . Moro fu rapito dalle Brigate Rosse nel 1978 ed in seguito assassinato brutalmente. Fu al processo alle Brigate Rosse che diversi di loro testimoniarono che erano a conoscenza di un coinvolgimento degli USA ai massimi livelli nel complotto per uccidere Aldo Moro. Mentre minacciava Moro, Kissinger stava agendo non in qualità di rappresentante della politica estera degli Stati Uniti, ma piuttosto secondo le istruzioni ricevute dal Club di Roma, il braccio che si occupava della politica estera della Commissione dei 300».

Nella sua esposizione di questo atroce crimine, Coleman dimostrò come Aldo Moro, un leale membro del partito della Democrazia Cristiana, fu ucciso da assassini controllati dalla loggia Massonica P2 con l’obiettivo di riportare l’Italia in linea con i piani del Club di Roma per deindustrializzare il paese e ridurre in modo considerevole la sua popolazione. Il piano di Moro di stabilizzare l’Italia attraverso la piena occupazione e la pace industriale e politica avrebbe da una parte rafforzato l’opposizione cattolica al comunismo e dall’altra reso la destabilizzazione del Medio Oriente molto più difficile. L’Italia fu scelta come paese-test dalla Commissione dei 300. L’Italia è importante per i piani dei cospiratori perché è il paese occidentale avente rapporti politici ed economici col Medio Oriente più vicino a tale area. Inoltre ospita alcune delle famiglie della Nobiltà Nera più potenti d’Europa. Se l’Italia fosse uscita indebolita dall’affaire Moro, ci sarebbero state ripercussioni anche nel Medio Oriente, e questo avrebbe indebolito l’influenza degli USA nella regione. L’Italia è importante anche per un’altra ragione: è la porta d’ingresso in Europa della droga proveniente dall’Asia e dal Libano.

Vari gruppi si sono aggregati sotto la bandiera del “socialismo” da quando si formò ufficialmente il Club di Roma (Aurelio Peccei) nel 1968. Fra questi, la Nobiltà Nera di Venezia e Genova, la loggia Massonica P2 e le Brigate Rosse, tutti operanti per i medesimi scopi. Investigatori della Polizia a Roma che operavano nel caso di Aldo Moro rapito dalle Brigate Rosse incapparono nei nomi di diverse potenti famiglie italiane che operavano in modo stretto con i terroristi. La Polizia scoprì anche che in almeno una dozzina di casi, queste potenti famiglie bene in vista avevano messo a disposizione le loro case o proprietà come covi sicuri per le Brigate Rosse.

La “nobiltà” finanziaria internazionale opera analogamente per distruggere la Repubblica Italiana, ed un grande apporto è stato offerto da Richard Gardner anche nel periodo in cui svolgeva il ruolo di ambasciatore del presidente Carter a Roma. Non a caso la recensione di Giorgio Napolitano al libro di Gardner (Mission: Italy) - che “re Giorgio” chiama affettuosamente “Dick” - è stata pubblicata proprio dalla rivista Aspenia (numero 27, anno 2004) è oltremodo illuminata. Insomma, tutto torna prima o poi, basta dare un’occhiata ai contenuti reali senza farsi confondere dagli abbagli. Nel Gruppo dei 300 figurano anche gli italiani Giovanni Agnelli, Umberto Ortolani (il vero deus ex machina della P 2) e Carlo De Benedetti.




16 marzo 1978 - «49 dei 92 proiettili che furono ritrovati in via Fani erano ricoperti da una particolare vernice a lunga conservazione - specifica l’esperto storico Gianni Cipriani - ed erano senza la data di fabbricazione. La prima perizia parlò di proiettili in uso a forze armate non convenzionali».

Colpì la geometrica potenza. Le brigate rosse non avevano la forza né la capacità di portare a termine un sequestro militarmente così complesso. Si trattava di un’organizzazione fatta da giovani con poca o scarsa esperienza bellica. A parte gli infiltrati dei servizi segreti, addestrati a Capo Marrargiu in una base di Gladio. E poi un rapimento in pieno giorno nel centro di Roma, nella primavera del 1978, tutte le sue guardie del corpo freddate in pozze di sangue. Inverosimile.

Federico Umberto Valerio, a capo per decenni dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale, nonché fondatore, anzi “padrino” (come amava ricordare e farsi chiamare) del Club di Berna - che riunisce i servizi segreti europei, elvetici ed Usa - si è vantato che «Le brigate rosse erano ampiamente infiltrate». Inoltre, tutti i componenti delle br erano noti agli ambiti di comando superiore di carabinieri, polizia e servizi segreti.

Lo storico dell’intelligence italiana, Gianni Cipriani così argomenta: «Valerio Morucci il brigatista che fu arrestato non molto temo dopo l’eliminazione di Aldo Moro aveva un’agenda piena di documenti e di numeri di telefono con annotazioni molto riservate. E tra queste, quella del generale Giovanni Romeo a che era capo dell’Ufficio D del Sid, cioè l’ufficio più importante durante il sequestro. E’ stato proprio il generale che nel 2001 in Commissione Stragi ha parlato in maniera chiara della presenza di agenti dei servizi segreti all’interno delle brigate rosse». Anzi, la mattina dell’agguato sul luogo della mattanza c’era il colonnello Guglielmi dell’ufficio sicurezza interna (già addestratore di Capo Marrargiu) che interrogato in seguito ha dichiarato una cosa piuttosto singolare. Vale a dire di “essere stato invitato a pranzo da un amico alle nove del mattino”.

Anche a Giovanni Galloni - certo non l’ultimo arrivato - tornò in buona fede la memoria parecchio tempo dopo. Così riporta il settimanale L’Espresso (14 maggio 2007): «Ci sono dei fatti nuovi da scoprire e da introdurre», dice Galloni, «perché non tutte le cose su Moro sono state dette, soprattutto quelle che riguardano la sua fine». Perché solo adesso? Perché, a quasi trent'anni di distanza dalla strage di via Fani e dal ritrovamento del cadavere di Moro nel bagagliaio della famosa R4 rossa, l'ultraottantenne Giovanni Galloni avverte la necessità di riaprire questo capitolo della storia italiana e, soprattutto, della Democrazia Cristiana di cui entrambi furono esponenti di primissimo piano? Gli aspetti ancora nell'ombra, per Galloni, sono soprattutto due: «Le quattro sentenze che ci sono state sulla morte di Moro non hanno soddisfatto la magistratura. Una parte di quei magistrati, compreso il fratello di Moro, mi ha detto di aver rifiutato i verdetti dei tribunali. Sono convinti che le Br abbiamo negato di avere avuto alle loro spalle altri esecutori solo per ottenere degli sconti di pena, che ci sono stati. E ora anche questo va chiarito».

Henry Kissinger è anche proprietario della Kissinger Associates, una società che offre consulenze e contatti a multinazionali e società in genere e che annovera, o ha annoverato tra la sua clientela, le più grandi industrie mondiali come la Coca-Cola, la Daewoo, l’American Express, l’Anheuser-Bush, la Banca nazionale del Lavoro, la Fiat; particolarmente riconoscente alla K.A. è la Freeport McMoran, una società mineraria che ha in gestione la più grande miniera d’oro al mondo e che si trova a Grasberg in Irian Jaya (la parte occidentale della Nuova Guinea annessa dagli indonesiani).

A 34 anni dall’assassinio dello statista Aldo Moro le carte sono ancora vergognosamente coperte dal segreto, in palese violazione della legge 124 dell’anno 2007 che aveva stabilito il limite temporale di 30 anni alla consultazione libera. Ed il generale Dalla Chiesa ci ha rimesso la pelle insieme alla moglie, esattamente dopo le conferme e rivelazioni in tribunale sulle minacce di Kissinger a Moro.

Allora Monti sarà possibile conoscere almeno la verità sulla fantomatica seduta spiritica nella quale venne fatto il nome di Gradoli? Sarebbe l'unica volta che abbia avuto successo di cui si ha conoscenza. Ed è tutto agli atti delle commissioni parlamentari d'inchiesta, ma nessuno all'epoca andò a controllare seriamente in via Gradoli a Roma, proprio dove era prigioniero il presidente Moro. Romano Prodi quando si deciderà a svelare la fonte che gli ha parlato di Gradoli? Quanti italiani sanno che Prodi ha dichiarato in due commissioni d'inchiesta parlamentari che questo nome è venuto fuori dal gioco del piattino a Bologna?

giovedì 27 settembre 2012

Renata in barca a scrocco.



Una gita a Ponza, nel giugno scorso. Per la quale la ex governatrice ha usato non una, ma due motovedette della Guardia di Finanza. Facendo anche spostare tre motopescherecci che le davano fastidio.

Non una ma ben due motovedette delle Fiamme Gialle per la gita a Ponza di Renata Polverini. Una velocissima V2050, mezzo adottato per sconfiggere i contrabbandieri, ad aprire il convoglio e poi un comodo guardacoste lungo 22 metri per la governatrice, i suoi quattro amici e un carico di bagagli. Che i militari hanno scaricato a terra, improvvisandosi facchini. Cinque anni fa, dopo lo scandalo per le escursioni del generale Roberto Speciale e di tanti politici a bordo di mezzi della Finanza, si era promesso che non sarebbe mai più accaduto. Invece queste foto documentano il tour di Renata & Friends lo scorso 24 giugno sulla rotta Ponza-Anzio.

L'ex governatore era di ritorno da un impegno ufficiale: aveva assistito alla finale del Premio Caletta. Sedeva in prima fila assieme al neosindaco di Ponza Piero Vigorelli, celebre conduttore televisivo da sempre vicino al Pdl e ora top manager de La7, e a Bruno Vespa. Uno serata condotta da Claudio Lippi e dalla meno nota Adele Di Benedetto, con sfilata di modelle abbastanza svestite che indossavano abiti di sarti emergenti laziali, e un mini talk show improvvisato da Vespa. Tra i premiati Alessandro Cecchi Paone, che sfoggiava brache etniche, e Licia Colò, a cui è stato riconosciuto l'impegno per la promozione dell'isola pontina.

La serata è organizzata da Almadela, un'associazione di Latina che si occupa di promozione tv, moda e formazione giovanile quasi sempre con finanziamenti pubblici. E il Premio Caletta è venuto a costare circa 30 mila euro, raccolti tra sponsor privati e contributi pubblici, come spiega Alberto Lauretti, presidente di Almadela. Provincia e Regione dovrebbero stanziare 10 mila euro, mentre le spese di luci e palco sono state a carico del Comune. Secondo Lauretti «il grosso delle spese se ne vanno per i trasporti e i biglietti degli aliscafi». Gli ospiti, giura Lauretti, «arrivano sempre con mezzi pubblici, così è stato per Paolo Bonaiuti, per il prefetto di Latina e tutti gli altri».

Non per la Polverini, che ha usufruito di un trasporto privilegiato degno di un sovrano. Stando alle testimonianze, ore prima dello sbarco tre pescherecci sono stati fatti spostare dalle Fiamme Gialle per garantire un attracco rapido. Con un motoscafo militare che vigilava a largo del molo, accogliendo poi l'arrivo della motovedetta presidenziale. Che non si trattasse di una missione istituzionale lo conferma anche il suo look: pantaloni bianchi e canottiera fiorita.


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/renata-in-barca-a-scrocco/2191916

Uva pizzutella.



La Puglia in grappoli,oro giallo,UVA PIZZUTELLA BIANCA
Uva bianca da tavola della Puglia e del Sud, dolcissima, dall'acino molto allungato. Adatta ai pergolati. Buona vigoria e discreta produzione.Peso medio del grappolo inferiore ai 300 gr con gradazione zuccherina superiore al 16%.


https://www.facebook.com/photo.php?fbid=243378365785251&set=a.132934833496272.21069.132178600238562&type=1&theater

Sallusti a giudizio per un’altra diffamazione.


Sallusti a giudizio per un'altra diffamazione

Sempre per omesso controllo, stavolta nei confronti di un magistrato della procura militare.

L’ex direttore del ‘Giornale’ Alessandro Sallusti, ieri condannato a 14 mesi dalla Cassazione, e’ stato rinviato a giudizio con l’accusa di omesso controllo in un procedimento per diffamazione ai danni dell’ex sostituto procuratore militare di Padova, Maurizio Block. L’accusa si riferisce a quando Sallusti era direttore di ‘Libero’.
LA STORIA – Il gup di Milano, Maria Grazia Domanico, si era ritirata in camera di consiglio in giornata per decidere se rinviare a giudizio o meno l’ex direttore del Giornale, Alessandro Sallusti
Sallusti e’ accusato di omesso controllo in relazione a un’intervista comparsa sul quotidiano Libero, di cui allora era il direttore, il 3 luglio del 2007. Nell’articolo, la giornalista Barbara Romano, che e’ imputata per diffamazione in questo procedimento, intervistava il Generale Antonio Pappalardo che, secondo l’accusa, avrebbe diffamato un magistrato della procura militare di Padova, Maurizio Block.

Renato Farina ammette: «Dreyfus sono io, salvate Sallusti»


Renato Farina ammette: «Dreyfus <br />sono io, salvate Sallusti»
«Quel testo l’ho scritto io e me ne assumo la piena responsabilità morale e giuridica». Con queste parole Renato Farina ha ammesso questa mattina davanti alla Camera dei Deputati di essere lui a nascondersi dietro lo pseudonimo Dreyfus. Chiede scusa per aver scritto il falso sul giudice Cocilovo e invoca la grazia del capo dello Stato per Sallusti. L’intervento arriva dopo il colpo di scena all’ultimo minuto di Porta a Porta, registrato a Roma e in onda ieri sera su Rai Uno.
Stavano già correndo i titoli di coda. Si era parlato del Lazio, dell’Ilva, finché Vespa introduce l’argomento della condanna di Sallusti.
Vespa chiede un’opinione a Vittorio Feltri che critica «tutti i politici di destra e di sinistra che, in sessant’anni, non hanno abrogato una liberticida legge fascista».
Ma subito dopo, la principale firma del Giornale rivela l’identità del giornalista che si cela dietro quello pseudonimo, Dreyfus, che con un suo articolo ha portato alla condanna del collega Sallusti: «Bene, avevo sperato che avesse lui il coraggio di farsi avanti. Adesso questo nome voglio farlo io, lo fanno molti. Ma è bene che sia conosciuto da tutti: si tratta di Renato Farina».
Non è una rivelazione da poco, visto che il giudice della corte di Cassazione, che ha spalancanto di fronte al direttore del Giornale le porte del carcere, è stato pesantemente influenzato dall’irreferibilità dell’autore del pezzo incriminato.
Si spengono le telecamere. Vespa si avvicina a Feltri chiedendogli come mai solo adesso abbia scelto di rivelare quell’identità. A questo punto Feltri si arrabbia:  «L’ho difeso tutta la vita, speravo che avesse un minimo di coraggio, invece è un vigliacco. Speravo si prendesse le sua responsabilità. Non si è verificata né una cosa né un’altra. È semplicemente un pezzo di merda e Alessandro [Sallusti, ndr] sta pagando con un grandissimo coraggio per una colpa che non è sua»
Il paradosso vuole che Farina sia parlamentare eletto nelle liste del Pdl e che probabilmente avrebbe potuto godere, al contrario di Sallusti, dell’immunità parlamentare di fronte alla richiesta di arresto.
Feltri se ne va, scuotendo il capo: «Ci sono giornalisti, e poi ci sono gli uomini. Ho difeso per tanto tempo Renato. Ho parlato con lui per un’ora al telefono dicendogliene di tutti i colori. E’ una delle più grandi delusioni umane della mia vita».
Renato Farina per anni ha firmato con uno pseudonimo anche perché è stato radiato dall’Ordine in seguito all’inchiesta Abu Omar, in quanto è risultato essere  uno dei giornalisti che ricevevano soldi dal dirigente dei servizi segreti Pio Pompa.