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giovedì 12 settembre 2013
Abu Omar, Lady chiede grazia a Napolitano: "Italia sapeva".
L'ex agente della Cia condannato per il sequestro dell'egiziano Abu Omar ha scritto una lettera al presidente della Repubblica chiamando in causa membri del governo italiano che avrebbero collaborato.
ROMA - Bob Lady, l'ex agente della Cia condannato per il sequestro dell'imam egiziano Abu Omar avvenuto a Milano nel febbraio 2003, ha scritto al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per chiedere la grazia.
A renderlo noto è stato ieri sera il corriere.it che ha ricevuto una copia della lettera inviata da Lady al capo dello Stato. Nella missiva, l'ex agente Cia chiama in causa "alti membri del governo italiano" che avrebbero collaborato con gli Usa.
Scrivendo al Quirinale, Lady sottolinea la sua azione antiterrorismo in collaborazione con le forze di polizia italiane e ricorda che "milioni di dollari" erano garantiti dagli Usa all'Italia per contrastare al Qaeda: cooperazione che ha permesso di "fermare molti piani terroristici".
L'attività, sottolinea l'ex agente Cia, era "agli ordini dei funzionari Usa" ma "in collaborazione con alti membri del governo italiano".
Sulla decisione di sottrarsi alla giustizia italiana, Lady si giustifica affermando che sarebbe stato altrimenti costretto a svelare importanti segreti: "Ho avuto accesso a informazioni confidenziali del governo italiano a seguito della mia attività di collaborazione con i servizi. Per montare una difesa adeguata avrei dovuto violare sia le leggi degli Stati Uniti che quelle dell'Italia. Non ero allora e non sono adesso disposto a farlo".
Chiedendo la grazia a Napolitano, l'ex agente Cia fa un parallelo con la vicenda dei marò in India: "Il rimedio che le chiedo" è lo stesso che l'Italia "sta sollecitando nel deplorevole caso dei fucilieri di Marina".
http://www.repubblica.it/esteri/2013/09/12/news/abu_omar_ex_agente_cia_bob_lady_chiede_grazia_a_napolitano_italia_sapeva-66349472/
Commento di Rita Pani:
[Ma dai! Vuol dire che il governo berlusconi era disonesto, e fece affari con gli americani per rapire un uomo in Italia e spedirlo alla tortura chissà dove? Non ci si crede!]
sabato 20 luglio 2013
Sequestro Abu Omar, arrestato a Panama l’ex capocentro Cia Seldon Lady.
E’ stato arrestato ieri sera a Panama Bob Seldon Lady, l’ex capocentro della Cia a Milano condannato in Italia a sei anni di reclusione per il sequestro dell’imam Abu Omar, prelevato in una via della periferia di Milano il 17 febbraio 2003 in un’operazione di extraordinary rendition nell’ambito della “guerra al Terrore” condotta dagli Stati Uniti. Seldom Lady, fermato dalla locale polizia di frontiera, a quanto si apprende in arrivo dal Costa Rica, era l’unico dei 23 agenti della Cia condannati per quell’episodio sui quali pendeva un mandato di cattura internazionale.
A dicembre del 2012 il ministro della Giustizia Paola Severino aveva infatti deciso di diffondere le ricerche in campo internazionale solo nei suoi confronti, mentre per gli altri, tutti condannati a pene inferiori ai quattro anni, non aveva firmato la richiesta della procura generale di Milano. L’attuale ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri ha firmato la richiesta di fermo provvisorio e ora ci sono due mesi per chiedere l’estradizione dello 007 Usa. Che a causa del processo si è visto sequestrare una villa sul lago in Piemonte. Nelle motivazioni della Cassazione che confermarono la condanna degli agenti Cia i supremi giudici ricordano il ruolo di Lady: “Si deve necessariamente concludere che l’eventuale partecipazione di agenti del Sismi al rapimento di Abu Omar avvenne a titolo personale, cosa che non deve apparire strana dal momento che anche un maresciallo dei Ros, Luciano Pironi (unico a patteggiare la pena per il sequestro, ndr), partecipò all’operazione come ebbe a riferire lui stesso, perché coinvolto dal dirigente della Cia, Robert Lady, con la promessa di un ‘aiuto autorevole’ per poter divenire agente dei servizi di informazione”. Per le toghe ci fu anche il fattore ‘raccomandazione’ tra le leve motivazionali che avrebbero spinto singoli uomini delle forze dell’ordine italiane ad aiutare la Cia nel rapimento dell’imam egiziano.
Nato a Tegucigalpa nel 1954, Robert Seldon Lady era noto negli ambienti dell’intelligence americana e a Milano, dove è stato per anni il capo sezione della Cia, con il nickname “Mister Bob”. Cresciuto inHonduras, una volta tornato negli Stati Uniti ha lavorato negli anni ’70 nel dipartimento di polizia di New Orleans. E dopo 24 anni di servizio nella “company”, come viene chiamata in gergo la Cia, Seldon Lady era andato in pensione nel settembre del 2003 e, insieme alla moglie Martha, si era ritirato nella sua villa vicino ad Asti. Ed è stato in questa villa che la polizia italiana non aveva trovato nessuno quando si è presentata con un mandato di arresto. Da allora Lady è stato localizzato negli Stati Uniti, in particolare in Florida, in Honduras, paese in cui è nato, e in altri paesi dell’America meridionale. In diverse interviste rilasciate prima e dopo la condanna “Miste Bob” si è sempre proclamato innocente, sostenendo di non “essere responsabile per aver attuato gli ordini ricevuti dai superiori” e riconoscendo di aver partecipato ad un’operazione illegale ma nell’ambito della guerra al terrorismo.
Fu Lady, insieme ad altri 007 – e in particolare Jeff Castelli (capo della Cia in Italia), Sabrina De Sousa eRalph Russomando – a organizzare e coordinare le operazioni degli agenti Cia per la “rendition” dell’imam finito nel mirino perché sospettato di terrorismo. Lady non era presente nel luogo del sequestro né si recò ala base di Aviano, ma risulta presente in Egitto in concomitanza con l’arrivo con l’arrivo di Abu Omar ed ebbe un ruolo centrale nel ‘dietro le quinte’ di un’azione che ebbe come effetto quello di interrompere le indagini che la procura di Milano stava conducendo sull’imam in merito alla sua partecipazione ad organizzazioni fondamentaliste islamiche. Lady fu anche un anello di congiunzione rispetto al Sismi, i servizi italiani, che cooperarono all’azione. “Certamente fu un’operazione illegale, ma è il nostro lavoro”, dichiarò “Mister Bob” in un’intervista al New York Times. In un primo tempo, nel tentativo di evitare il processo in Italia, Lady invocò l’immunità diplomatica, ma la richiesta venne rigettata. Nel settembre 2003 si ritirò con sua moglie in una località vicino a Asti, Penago, ma quando la polizia organizzò un blitz per catturarlo nel giugno 2005 non era più lì. Il 26 gennaio 2007, su richiesta dei pm, la sua villa fu sequestrata a scopo cautelativo per coprire le spese giudiziarie. Il processo, ovviamente, si è svolto in contumacia.
L’inchiesta sul sequestro di Abu Omar, esfiltrato in Egitto dove denunciò di essere stato torturato, fu condotta dal procuratore aggiunto milanese Armando Spataro. Nel febbraio di quest’anno sono stati condannati in appello gli allora vertici del Sismi: il generale Niccolò Pollari, a 10 anni, e il suo vice Marco Mancini, a nove anni. Ad aprile, invece, in seguito alla richiesta del presidente Usa Barack Obama, il presidente Giorgio Napolitano ha concesso la grazia a un altro degli agenti segreti coinvolti, Joseph Romano. Tutta la vicenda è stata accompagnata da uno scontro istituzionale sull’opportunità che la magistratura indagasse su una materia del genere, sulla quale tutti i governi italiani succedutisi hanno opposto il segreto di Stato.
Ma poi:
Caso Abu Omar, Seldon Lady già negli Usa. Cancellieri: “Non ci sono spiegazioni”
L'ex capocentro Cia a Milano è stato rimesso in libertà dalle autorità di Panama dopo essere stato arrestato ieri sera. Era l'unico dei 23 agenti Usa condannati per la "rendition" a essere inseguito da un mandato di cattura internazionale. Il "rammarico" del ministro della Giustizia: "Nostra richiesta disattesa".
L’ex capocentro Cia a Milano, Robert Seldon Lady, condannato in Italia per il rapimento di Abu Omar, è stato rilasciato dalle autorità di Panama ed è in volo verso gli Usa. La conferma è arrivata dal dipartimento di Stato americano, dopo le prime indiscrezioni della stampa. Seldon Lady, secondo quanto dichiarato da fonti del ministero degli Esteri panamense, è stato riconsegnato agli americani perché Panama non ha un trattato di estradizione con l’Italia e perché la documentazione inviata dalle autorità italiane era “insufficiente”.
“Sono profondamente rammaricata per l’epilogo della vicenda”, ha commentato il ministro della GiustiziaAnnamaria Cancellieri”, la nostra domanda è stata disattesa senza plausibili spiegazioni”. Affermazioni che erano state precedute da altre prese di posizioni filtrate da via Arenula rispetto alla tempestività e ai contenuti dell’istanza presentata dall’Italia alle autorità panamensi. Proprio da Panama, infatti, fonti del ministero degli Esteri avevano fatto sapere che la documentazione giunta dalle autorità italiane era “insufficiente” e questo, unito al fatto che Panama non ha un trattato di estradizione con l’Italia, aveva fatto sì che Bob Lady fosse riconsegnato agli Usa. Una ricostruzione contestata dal ministero della Giustizia, che ha replicato sottolineando che la richiesta di fermo provvisorio per Lady è stata “inoltrata tempestivamente”, visto che Cancellieri ha provveduto a firmarla subito, ieri pomeriggio, da Vilnius, in Lituania, dove si trovava per incontri bilaterali, non appena si è appreso della cattura dell’ex 007 e da lì ha provveduto a far inoltrare l’istanza. Ma soprattutto – e questo è un punto chiave – “non è pervenuta alcuna richiesta di supplemento di informazioni”. Quindi, quella documentazione è stata ritenuta completa e sufficiente.
Lo stesso ministro, poche ore dopo, ha voluto prendere direttamente la parola, esprimendo il suo “rammarico” per l’esito della vicenda: “Il ministero della Giustizia – ha ricostruito il Guardasigilli – una volta informato tramite Interpol che Seldon Lady era stato arrestato a Panama, ha immediatamente fatto tutti i passi diplomatici per chiedere il fermo provvisorio al governo di Panama per poi attivare la procedura per l’estradizione. Con grande stupore sono costretta a constatare che la nostra domanda è stata disattesa senza plausibili spiegazioni”.
Il rilascio di Bob Lady, secondo il Washington Post, sarebbe stato deciso proprio per “evitare la possibilità che venga estradato verso l’Italia”. L’ex capocentro della Cia a Milano, condannato in Italia a sei anni di reclusione per il sequestro dell’imam Abu Omar, è stato arrestato ieri sera a Panama. Seldom Lady, fermato dalla locale polizia di frontiera in arrivo dal Costa Rica, era l’unico dei 23 agenti della Cia condannati per quell’episodio sui quali pendeva un mandato di cattura internazionale.
Omar era stato prelevato in una via della periferia di Milano il 17 febbraio 2003 in un’operazione diextraordinary rendition nell’ambito della “guerra al Terrore” condotta dagli Stati Uniti. La Farnesina ha intanto fatto sapere che rispetta le decisioni di Panama.
Questo è un altro caso inquietante che dà l'idea che in quanto a governo non siamo messi bene.
Si insinua forte il sospetto, infatti, che i nostri politicanti da strapazzo siano agli ordini di dittatori, vedi caso Shalabayeva, e di potenze straniere, dicasi USA.
Si insinua forte il sospetto, infatti, che i nostri politicanti da strapazzo siano agli ordini di dittatori, vedi caso Shalabayeva, e di potenze straniere, dicasi USA.
venerdì 28 settembre 2012
Chi è Renato Farina, l'autore dell'articolo che ha fatto condannare Sallusti per "diffamazione".
Ex giornalista[1], deputato (eletto alla Camera nel 2008 nelle liste del PDL) e scrittore, ha ammesso di aver collaborato[2], quando era vicedirettore di Libero, con i Servizi segreti italiani, fornendo informazioni e pubblicando notizie false[3] in cambio di denaro. La legge numero 801 del 1977 fa divieto ai giornalisti professionisti di intrattenere rapporti con i Servizi[4] e per questo motivo è stato radiato dall'Ordine dei Giornalisti. In seguito la Corte di Cassazione ha annullato tale provvedimento, poiché Farina si era già dimesso dall'Ordine quando ne fu radiato. Attualmente lavora come opinionista di Libero.
Laureato in Filosofia all'Università Cattolica del Sacro Cuore, ha iniziato a scrivere sul settimanale Solidarietà (di Seveso-Desio), per il quale ha seguito il caso della nube tossica di Seveso (10 luglio 1976). Nel 1978 entra nel settimanale Il Sabato (fondato in quell'anno), dove rimane fino alla chiusura, avvenuta nel 1993. Nel 1981 sul "Sabato" scrisse delle apparizioni di Međugorje. Fu il primo giornalista non jugoslavo a scriverne[5].
Successivamente è stato vicedirettore a Il Giornale di Vittorio Feltri e a Il Resto del Carlino. Fino all'ottobre del 2006 è stato vicedirettore di Libero, che ha fondato con Vittorio Feltri nel luglio del 2000.
In televisione è stato autore e conduttore de L'InFarinata su Raisat Extra e consulente di Gad Lerner per il programma L'infedele.
Ha affermato di avere avuto tre maestri: don Luigi Giussani («per lo sguardo sulle cose e la scrittura concisa»); Giovanni Testori («mi ha insegnato ad osare, a spezzare le famose regole del giornalismo»); Vittorio Feltri («è un genio del giornalismo»)[6].
Dopo le vicende giudiziarie emerse a suo carico nel 2006, Renato Farina è stato inserito come diciassettesimo nelle liste del PdL, Popolo della libertà, per la Camera Lombardia 2, nell'ambito delle elezioni politiche dell'aprile 2008 ed è stato eletto deputato della XVI Legislatura.Membro del Consiglio Direttivo del PdL alla Camera.
Rapporti con il Sismi e radiazione dall'Ordine dei giornalisti La magistratura a partire dal 2006 ha indagato sui rapporti da lui avuti con alcuni membri del Sismi (i servizi segreti militari). Farina ha confermato di aver collaborato col Sismi dal 1999.
Nel libro Alias agente Betulla Farina racconta la sua versione dei fatti riguardo alla collaborazione con i Servizi: nel giugno 2004, ricevette da Nicolò Pollari (l'allora direttore del Sismi), per il tramite di Pio Pompa, l'ordine di recuperare da Al Jazeera le immagini dell'esecuzione di Fabrizio Quattrocchi; è proprio in questa operazione che nasce il suo nome in codice, Betulla[3]. Sostiene anche di avere con il suo operato fornito ai servizi segreti informazioni nelle mani dei pubblici ministeri sul rapimento della giornalista de il manifesto Giuliana Sgrena, tenuta prigioniera in Iraq dall'Organizzazione della Jihad islamica[2], fatto poi confermato da Pio Pompa[2].
Nel giugno del 2006 Pio Pompa chiede a Renato Farina, di scrivere una cronaca contro Romano Prodi (pubblicata poi il 9 giugno 2006), per accusarlo di avere appoggiato la pratica dei trasferimenti straordinari quando era presidente della Commissione Europea.
Il 2 ottobre 2006 l'Ordine dei giornalisti lombardo lo sospende per un anno con l'accusa di aver pubblicato notizie false in cambio di denaro dal Sismi[7]. Sempre nell'ottobre 2006 la Procura ne chiede la radiazione dall'albo dei giornalisti[8]: la legge numero 801 del 1977 fa infatti divieto ai giornalisti professionisti di intrattenere rapporti con i Servizi segreti[4]. Il suo avvocato ha annunciato un ricorso[9] che è stato respinto dalla Corte d'Appello di Milano[10]. Infine, la terza sezione civile della Cassazione ha annullato la radiazione, poiché Farina si era già dimesso dall'Ordine dei Giornalisti quando l'Ordine stesso ne deliberò la radiazione.
Nel novembre 2006 Farina viene messo sotto scorta delle forze di polizia in quanto oggetto di intimidazioni anonime. Riceve nello stesso mese anche un finto pacco-bomba firmato «Fronte Rivoluzionario per il Comunismo»[11].
Procedimenti giudiziari Alla vigilia delle elezioni politiche italiane del 2006, Renato Farina pubblica su Libero un falso dossier, preparato dal Sismi, secondo cui Romano Prodi avrebbe autorizzato, come Presidente della Commissione Europea, le extraordinary rendition della CIA in Europa, come nel caso di Abu Omar. Per tale dossier Farina sarà condannato a sei mesi di reclusione per favoreggiamento, e radiato dall'Ordine dei giornalisti[12].
La condanna per favoreggiamento per il caso Abu Omar
Nel dicembre 2006 il sostituto procuratore di Milano, Armando Spataro, chiede il rinvio a giudizio di Farina assieme ad altre 34 persone, nell'ambito dell'inchiesta sul rapimento dell'ex imam di Milano, Abu Omar. Trentadue di esse sono accusate di concorso nel sequestro. Renato Farina (accusato di aver organizzato una falsa intervista con i magistrati con il solo scopo di raccogliere informazioni sull'indagine) e i funzionari del Sismi, Pio Pompa eLuciano Seno, devono rispondere invece di favoreggiamento[13].
Il 16 febbraio 2007, si è dichiarato colpevole del reato di favoreggiamento[13][14] nell'ambito dell'inchiesta sul rapimento dell'ex imam di Milano, Abu Omar, patteggiando la pena di sei mesi di reclusione (commutata in una multa di 6.800 euro) [15].
Farina ha riconosciuto i fatti sostenendo di aver agito in nome dell'articolo 52 della Costituzione (Difendere la Patria è sacro dovere del cittadino). Ha ammesso di aver ricevuto denaro non come salario ma per rimborsi non per sé stesso e utili alla liberazione di ostaggi italiani in Iraq.
Radiazione dall'Ordine dei Giornalisti Farina è stato radiato dall'Ordine dei Giornalisti il 29 marzo 2007[1], dopo avere ammesso di aver collaborato, al tempo in cui era vicedirettore di Libero, con i Servizi segreti italiani fornendo informazioni e pubblicando notizie in cambio di denaro.[16] La legge numero 801 del 1977 fa infatti divieto ai giornalisti professionisti di intrattenere rapporti con i Servizi Segreti. La richiesta era stata avanzata dal Procuratore generale della Repubblica di Milano.
A partire dal 30 marzo 2007, Farina continua a collaborare nelle vesti di opinionista per Libero. Il direttore del quotidiano, Vittorio Feltri, ha specificato che Farina avrebbe continuato a scrivere "per noi in base alla Costituzione che consente fino ad ora la libera espressione del pensiero"[17].
La Cassazione annulla la radiazione dall'Ordine dei Giornalisti Con la sentenza numero 14407/2011, depositata il 30 giugno 2011, la terza sezione civile della Suprema corte ha annullato la radiazione da parte dell'Ordine dei Giornalisti di Renato Farina: «Il procedimento disciplinare doveva essere dichiarato estinto». Dopo le accuse, infatti, Farina si dimise e fu cancellato dall'albo dei giornalisti, salvo poi essere successivamente radiato dall'Ordine, cosa che non poteva accadere, perché Farina non era più iscritto all'albo, come stabilisce la sentenza [18]. Rimane valida la sanzione di sospensione dalla professione di 12 mesi inflittagli dall'Ordine di Milano nel settembre 2006, condanna già espiata [19].
La condanna per falso in atto pubblico
Nel luglio del 2012, Renato Farina è stato condannato in rito abbreviato a 2 anni e 8 mesi di reclusione per il reato di falso in atto pubblico. Il deputato Pdl, il 12 febbraio dello stesso anno, aveva fatto visita in carcere a Lele Mora, detenuto per bancarotta fraudolenta, insieme ad un'altra persona che non era autorizzata ad accedere al penitenziario. La giudice per le indagini preliminari di Milano non gli ha concesso né la sospensione condizionale della pena né le attenuanti generiche.[20] La parlamentare del Partito radicale Rita Bernardini ha definito la sentenza "lunare" facendo riferimento all'art. 67 dell'Ordinamento penitenziario (Legge 26 luglio 1975 n. 354) secondo il quale non occorrerebbe alcuna autorizzazione alle visite carcerarie per le persone che accompagnano determinate figure istituzionali, tra cui deputati e senatori.[21] In realtà una circolare ministeriale precisa che sono esentati dal richiedere l'autorizzazione soltanto i collaboratori dei parlamentari inquadrati con un contratto a prestazione continuativa, mentre la persona che in quell'occasione accompagnò Farina risultò essere un aspirante tronista, amico di Lele Mora[22][23].
Il coinvolgimento nel caso Sallusti
Nel corso della puntata del 26 settembre 2012 di Porta a porta dedicata in parte al caso di Alessandro Sallusti[24], Vittorio Feltri afferma che Farina è l'autore del pezzo - firmato con lo pseudonimo Dreyfus - alla base della vicenda. La mattina successiva, l'ex giornalista ha confermato di essere l'autore dell'articolo in questione[25][26].
http://it.wikipedia.org/wiki/Renato_Farina
Il caso Abu Omar.
Il Caso Abu Omar fa riferimento al sequestro di persona e trasferimento in Egitto, suo paese di origine, dell'Imam di Milano Hassan Mustafa Osama Nasr, estremista islamico e fiancheggiatore del terrorismo islamico, noto come Abu Omar, ed alle successive vicende giudiziarie. La questione è stata riportata dalla stampa internazionale come uno dei più noti e meglio documentati casi di azione illegale eseguiti dai servizi segreti statunitensi nel contesto della guerra globale al terrorismo.
Rapimento
Abu Omar è stato rapito Il 17 febbraio 2003 a Milano da dieci agenti della CIA[1] e un maresciallo dell'Arma dei Carabinieri che fino a un anno e mezzo prima aveva lavorato nella sezione antiterrorismo del ROS di Milano. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti e quanto dichiarato dallo stesso Nasr, l'imam è stato rapito a Milano mentre si recava alla moschea e trasportato presso la Base aerea di Aviano per essere trasferito in Egitto dove è stato recluso, interrogato e avrebbe subito torture e sevizie[2].
L'operazione della CIA ha interrotto le indagini che la procura di Milano stava conducendo su Nasr in merito alla partecipazione ad organizzazioni fondamentaliste islamiche.
Fu liberato una prima volta dopo circa un anno, ma sarebbe stato riarrestato perché chiamando la famiglia in Italia e raccontando le torture subite, avrebbe violato un patto di riservatezza accettato per essere rilasciato[3].
È stato liberato una seconda volta nel febbraio 2007 - ma le autorità egiziane gli avrebbero vietato l'espatrio[4] - ha denunciato le violenze subite e espresso la volontà di tornare in Italia, dove comunque lo attenderebbe un'ordinanza di arresto per le attività di terrorismo per cui era indagato[5]. Nasr ha dichiarato di aver fiducia nella giustizia italiana e di voler perseguire i torti subiti e far valere i suoi diritti nei tribunali Italiani[6][7]; avrebbe, secondo le sue dichiarazioni, rifiutato un accordo con la CIA che prevedeva 2 milioni di dollari e la cittadinanza per lui e la sua famiglia in cambio del silenzio sulla sua vicenda[6].
Seppure il governo italiano abbia negato di aver ricoperto alcun ruolo nel sequestro, alle indagini condotte dai procuratori aggiunti Armando Spataro e Ferdinando Enrico Pomarici sono seguiti i rinvii a giudizio per i servizi americani, di 26 agenti della CIA tra cui il capocentro di Roma e referente per l'Italia della CIA fino al 2003 Jeffrey W. Castelli e il capocentro di Milano Robert "Bob" Seldon Lady, mentre per i servizi Italiani, del Generale Nicolò Pollari, vertice del SISMI, del suo secondo Gustavo Pignero morto l'11 settembre 2006, Marco Mancini e dei capicentro Raffaele Ditroia, Luciano Di Gregori e Giuseppe Ciorra[8].
Su richiesta degli inquirenti è stata trasmessa richiesta di estradizione per i cittadini americani al Ministero della Giustizia, allora Roberto Castelli, affinché la trasmettesse agli Stati Uniti. Il Ministro Castelli si è sempre rifiutato di inoltrare la richiesta di estradizione entrando in conflitto con la procura di Milano. Al termine della legislatura nel 2006 Castelli fece sapere che non aveva trasmesso gli atti. Nonostante la vittoria alle elezioni politiche del centro sinistra, del quale alcuni esponenti avevano sostenuto l'opportunità di trasmettere gli atti, il nuovo governo ha presentato un ricorso alla Corte Costituzionale per un conflitto tra poteri dello stato lamentando la violazione del segreto di stato da parte degli inquirenti nel corso delle indagini. La decisione dell'allora ministro Clemente Mastella di attendere la risoluzione della questione pendente prima di decidere se presentare le richieste di estradizione ha provocato accese polemiche tra il governo e la procura di Milano.
Alcuni dei protagonisti di questo caso sono inoltre coinvolti anche nello scandalo dell'archivio segreto di Via Nazionale e nello scandalo Telecom-Sismi (tra essi, l'ex funzionario del Sismi Pio Pompa).
In relazione al caso Abu Omar, Renato Farina (ex giornalista del quotidiano Libero, oggi deputato del Pdl e recentemente approdato a Il Giornale) ha riconosciuto le accuse di favoreggiamento mosse a suo carico ed ha patteggiato la pena ottenendo una condanna a sei mesi di reclusione (poi commutata in sanzione pecuniaria). Ma proprio Renato Farina scriveva così su Libero il 2 luglio 2005: Gaetano Saya e il D.S.S.A. (dipartimento studi strategici antiterrorismo) hanno fatto parte del gruppo operativo della C.I.A. che ha sequestrato Abu Omar. Il giorno prima era scattato il blitz della Procura di Genova nei confronti degli appartenenti a questa misteriosa struttura, definita polizia parallela: il Capo del D.S.S.A Gaetano Saya, in sede di interrogatorio davanti ai Giudici di Genova opponeva il segreto NATO. Durante gli interrogatori, Farina ha ammesso di essere stato pagato ripetutamente dal SISMI per le sue attività e di aver ricevuto pressioni da Pollari e Pompa per reperire informazioni sulle indagini in corso sul sequestro di Abu Omar.
Sull'operazione Abu Omar, il governo Prodi prima, e il governo Berlusconi poi, hanno mantenuto il segreto di stato.
Nel dicembre 2010 Wikileaks ha però pubblicato dei cablogrammi inviati dalla sede romana dell'ambasciata Usa al quartier generale (headquarter) di Washington che rivelerebbero pressioni degli Stati Uniti sul Governo Italiano per evitare il coinvolgimento degli agenti della CIA nell'inchiesta italiana sul sequestro di Abu Omar[9].
Durante l'udienza del 22 ottobre 2008, presso la IV sezione penale del Tribunale di Milano, il giudice Oscar Magi ha sospeso l'esame di Giuseppe Scandone, ex funzionario del SISMI, che aveva opposto il segreto di Stato. Ordinanza e trascrizione dell'interrogatorio del teste verranno trasmessi al presidente del Consiglio affinché confermi il segreto di Stato opposto dal teste e chiarisca, in particolare, se le direttive e gli ordini impartiti da Pollari, quando era direttore del SISMI, siano coperti anch'essi da segreto di Stato soprattutto se hanno riguardato l'uso di mezzi e di azioni nell'ambito delle cosiddette azioni illegali (extraordinary rendition), ovvero il sequestro illegale (e spesso la tortura) di un sospetto di terrorismo[10].
Le registrazioni audio delle udienze passate sono state pubblicate da Radio Radicale [11]. Il processo prosegue con le limitazioni previste dal segreto di stato[12].
Nell'udienza conclusiva, il 30 settembre 2009, al termine della requisitoria, il pubblico ministero Armando Spataro ha chiesto 13 anni di reclusione per l'ex direttore del SISMI Nicolò Pollari, definito il regista di un sistema criminale; 10 anni per l'ex capo del controspionaggio militare italiano, Marco Mancini; la condanna anche per i 26 agenti della CIA coinvolti nel rapimento, con pene comprese tra i 10 anni e i 13 anni di reclusione. Richiesta di proscioglimento, invece, per tre funzionari minori del SISMI, Raffaele Di Troia, Luciano Di Gregorio e Giuseppe Ciorra. Secondo la ricostruzione del sequestro fatta in aula dal Pubblico Ministero Spataro - che ha ricordato come ci siano prove ineluttabili contro quella che più volte ha chiamato la banda Pollari-Mancini - il SISMI diretto da Pollari non solo offrì copertura alla CIA nel rapimento dell'ex imam, avvenuto a Milano, ma collaborò[13].
Il 4 novembre 2009 si giunge alla sentenza di primo grado, che delibera il non luogo a procedere per Mancini e Pollari, mentre condanna a 8 anni Robert Seldon Lady, a 3 anni a Pio Pompa del Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare e Luciano Seno, entrambi funzionari del SISMI e mediamente a 5 anni gli altri 22 agenti CIA. A titolo di provisionale ad Abu Omar vanno un milione di euro, mentre alla moglie Nabile Ghali 500.000 euro. In separato giudizio civile verrà stabilito l'ammontare finale del risarcimento, che dovrà essere corrisposto dagli imputati ritenuti colpevoli[14]. Il 1º febbraio 2010 vengono depositate le motivazioni della sentenza[15].
La sentenza d'appello del 15 dicembre 2010 conferma la sentenza di primo grado, riducendo leggermente le pene per i due ex-funzionari del SISMI, Pio Pompa e Luciano Seno (due anni e otto mesi di reclusione rispetto ai tre anni del primo grado), e inasprendo le pene relative ai 23 funzionari della CIA coinvolti nel processo per il sequestro dell'ex imam, pene che ora vanno dai sette ai nove anni (per Robert Seldon Lady la pena passa dagli otto anni del primo grado ai nove dell'appello).
Il 19 settembre 2012 la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza d'appello pronunciata nei confronti degli ex vertici del Sismi Nicolò Pollari e Marco Mancini che erano stati dichiarati non processabili, per il Segreto di Stato, il 15 dicembre 2010; La Cassazione ha accolto la richiesta della pubblica accusa, secondo la quale ci sarebbero elementi di prova da valutare non coperti da Segreto di Stato; si terrà quindi un nuovo processo di secondo grado. Inoltre i supremi giudici hanno annullato la sentenza con rinvio anche nei confronti dei tre funzionari del Sismi Giuseppe Ciorra,Luciano Di Gregori,Raffaele Di Troia,confermando invece definitivamente la condanna d'appello per i 23 agenti americani della CIA e per Pio Pompa e Luciano Seno[16],tutti per il reato di Sequestro di persona.
Il risarcimento è stato fissato interamente a carico dei 23 agenti della CIA ed è così suddiviso: 1.000.000 euro per l'ex Imam Abu Omar e 500.000 euro per Nabile Ghali (sua moglie)[17].
Leggi anche:
LA SCHEDA
Il rapimento, l'inchiesta, gli 007
Ecco le tappe della vicenda
ROMA - Il rapimento dell'imam Abu Omar a Milano. Il trasferimento ad Aviano e poi al Cairo. Le torture. La scomparsa. E poi l'inchiesta della magistratura. Il ruolo della Cia e del Sismi. Quello del governo italiano che ha sempre negato tutto. Ecco le tappe della vicenda che ha portato agli arresti di oggi.
17 febbraio 2003. In pieno giorno viene rapito in via Conte a Milano, Hassan Mostafa Osama Nasr (detto Abu Omar), egiziano, classe 1963. L'ex imam della moschea milanese di via Quaranta e del centro di cultura islamica di viale Jenner viene caricato su un furgone e scompare nel nulla. Abu Omar dall'11 febraio 2002 era sotto indagine perché sospettato di aver legami con organizzazioni islamiche estremiste. Gli veniva contestato il reato di associazione a delinquere finalizzata al terrorismo internazionale.
L'indagine aperta dalla procura milanese - sulla base di testimonianze e intercettazioni - individua in alcuni agenti della Cia gli autori del rapimento dell'imam che, sequestrato a Milano, viene portato alla base militare di Aviano - e qui torturato - e poi spedito in Egitto, nelle carceri di Mubarak (e qui, nuovamente, seviziato).
Gennaio 2004. L'allora ministro dei Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi sostiene in Aula che "i nostri servizi segreti non erano a conoscenza dell'operazione".
Aprile 2004. Dalle intercettazioni di telefonate alla moglie dell'imam, Nabila, si scopre che Abu Omar è stato rilasciato, anche se in libertà vigilata.
25 giugno 2005. Il gip Chiara Nobili accoglie parzialmente le richieste di arresto del procuratore Armando Spataro nei confronti di 22 agenti dlela Cia accusati di aver portato a termine una "forcible abduction". Dopo tutti i passaggi tecnici i sequestratori vengono dichiarati latitanti e vengono avviate le ricerche.
23 dicembre del 2005. L'allora ministro Roberto Castelli, investito della questione dell'estradizione, chiede la disponibilità di tutti gli atti di indagine per studiarli.
aprile 2006. "Camminavo per le strade di Milano il 17 febbraio 2003, quando un uomo dai tratti americani mi ha fermato e chiesto il passaporto, quindi altre persone mi hanno bloccato alle spalle e costretto a salire su una macchina, mettendomi un sacco di plastica in testa...". Questo il racconto del rapimento che avrebbe fatto lo stesso Hassan Mustafa Osama Nasr, alias Abu Omar, davanti ai giudici della Corte d'appello del Cairo, così come riferito all'epoca da fonti anonime al quotidiano indipendente El Masri el Yom. "Non riuscivo a respirare, sono svenuto, allora hanno rotto il sacco e mi hanno messo del nastro adesivo sugli occhi", ha proseguito l'imam, che risulta essere detenuto in un carcere alla periferia della capitale egiziana. "Mi hanno fatto scendere in un'area dove c'erano degli aerei e in seguito ho saputo che era una base americana, mi hanno caricato su un aereo per la Germania e poi per l'Egitto".
12 aprile 2006. Castelli comunica al procuratore generale di Milano, Mario Blandini, la sua decisione di non presentare la domanda di estradizione dagli Stati Uniti d'America e di diffusione delle ricerche all'estero formulata dalla procura della Repubblica di Milano e relativa al procedimento penale che vede indagati i 22 agenti della Cia.
11 maggio 2006. Palazzo Chigi - in risposta ad alcune inchieste giornalistiche che evidenziano il coinvolgimento del governo e del Sismi nella vicenda Abu Omar - ribadisce l'"assoluta estraneità" del governo e dei Servizi segreti italiani nel sequestro di Abu Omar. "Palazzo Chigi - si legge in una nota - non ha nulla da aggiungere in merito all'assoluta estraneità dell'esecutivo e dei Servizi di informazione e sicurezza rispetto al sequestro, che anche oggi si intende ribadire con lo stesso vigore e con la stessa forza di sempre".
12 maggio 2006. L'allora ministro della Difesa, Antonio Martino, ribadisce "l'assoluta estraneità del Governo e del Sismi rispetto al sequestro di Abu Omar, rapimento che non coinvolge ad alcun titolo nè l'esecutivo nè il Servizio, nè direttamente nè indirettamente".
7 giugno 2006. Il relatore dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa Dick Marty denuncia l'esistenza di una "rete" di Paesi coinvolti nelle detenzioni e trasferimenti di presunti terroristi da parte della Cia ed elenca sette Stati membri del Consiglio d'Europa, fra i quali figura l'Italia, che potrebbero essere ritenuti responsabili, a vari livelli, per aver violato i diritti di determinati individui e partecipato a tali operazioni.
5 luglio 2006. Su richiesta dlela procura milanese finiscono in manette il numero 2 del Sismi, Marco Mancini e un altro militare italiano. L'accusa è di concorso in sequestro di persona.
(5 luglio 2006)
http://www.repubblica.it/2006/07/sezioni/cronaca/arrestato-mancini/abu-omar-storia/abu-omar-storia.html?ref=search
Leggi anche:
Abu Omar, scontro Castelli-Pm
"No all'estradizione degli agenti Cia"
Abu Omar
ROMA - E' di nuovo scontro aperto tra il ministro della Giustizia e la procura di Milano sulla richiesta di estradizione dei 22 agenti della Cia indagati per il rapimento di Abu Omar. Roberto Castelli non invierà la domanda a Washington accusando i pm di averlo "messo con le spalle al muro", di aver insistito troppo e di aver fatto pressioni che hanno avuto l'effetto opposto a quello voluto mandando in fumo la trattativa con gli Stati Uniti. I magistrati gli rispondono a stretto giro: "Riporremo la questione al nuovo governo".
Castelli si dice dispiaciuto per la mancata richiesta di estradizione "perché in questo modo si blocca una operazione che stavamo portando avanti con gli Stati Uniti e che speravo andasse in porto. Ora non ho più alcuna arma di pressione. Sono estremamente amareggiato".
Il Guardasigilli non rivela il contenuto della trattativa con gli Usa, ma si limita a dire che "poteva andare a vantaggio del Paese". Il procuratore di Milano Manlio Minale - afferma - mi ha inviato la settimana scorsa una lettera in cui ribadiva che la legge mi imponeva di decidere, facendomi velatamente intendere che altrimenti sarei incorso in un'omissione di atti di ufficio".
A cinque mesi dalla presentazione della richiesta di estrazione dei 22 agenti Cia accusati del rapimento dell'ex imam Abu Omar, il Guardasigilli, "d'intesa con la presidenza del Consiglio", ha quindi comunicato stamani al pg di Milano Blandini che non invierà la domanda alle autorità di Washington: "Non me la sento di mandare agli Stati Uniti il segnale che lasciamo liberi i terroristi assolti dai magistrati e ci occupiamo di arrestare i cacciatori di terroristi".
A chi gli chiede se della trattativa in corso con gli Usa avesse informato la magistratura di Milano per spiegare il perché non trasmettesse la richiesta di arresto degli agenti Cia, Castelli risponde di sì e ricorda l'incontro che ebbe lo scorso 8 marzo, a Roma, con il pg Mario Blandini. Ed esclude che vi sia una concomitanza con il risultato elettorale: "L'esito del voto? E' solo una coincidenza", dichiara.
La Procura prende atto. La richiesta di estradizione verà reiterata "non appena sarà formato il nuovo governo nella convinzione di poter ottenere una diversa valutazione", dice il procuratore aggiunto Armando Spataro, titolare dell'inchiesta sul rapimento di Abu Omar.
Il procuratore aggiunto ha annunciato che la decisione del ministro Castelli "ci consentirà di assumere rapidamente le nostre determinazioni in merito all'esercizio dell'azione penale nei confronti di soggetti che sono stati ritenuti pericolosi da tutti i giudici che hanno emesso provvedimenti nei loro confronti".
Il magistrato, pur riconoscendo la facoltà del ministro di non fare la richiesta, sottolinea però che questa decisione "interviene dopo oltre cinque mesi dalla prima richiesta formulata dalla Procura generale di Milano".
La vicenda risale al 17 febbraio 2003 quando in pieno giorno Hassan Mostafa Osama Nasr, egiziano, classe 1963, meglio conosciuto come Abu Omar viene caricato su un furgone bianco e sequestrato in via Conte Verde a Milano. E' l'ex imam della moschea milanese di via Quaranta, e del centro di cultura islamica di viale Jenner, già da oltre un anno era sotto indagine perché sospettato di aver legami con organizzazioni islamiche estremiste.
Abu Omar, secondo la ricostruzione degli inquirenti, viene narcotizzato e portato con il furgone alla base Nato di Aviano (Pordenone). Interrogato e probabilmente torturato viene portato in Egitto, dove è stato poi sottoposto ad altri interrogatori, accompagnati anche da violenze fisiche. E solo molto tempo dopo rilasciato, ma in condizioni di libertà vigilata, ad Alessandria d'Egitto.
Nell'aprile del 2004 l'ex imam telefona alla moglie che ancora vive a Milano e le racconta tutto. Poco dopo Abu Omar sparisce di nuovo. La vicenda sul suo rapimento compare sulle pagine di diversi giornali. Le indagini della Digos di Milano portano a ricostruire tutti gli spostamenti dei rapitori e alla loro identità di presunti agenti Cia. Tutti sono accusati di aver portato a termine una "forcible abduction", un rapimento in territorio italiano.
Per loro il procuratore aggiunto Armando Spataro prepara le richieste di arresto che viene parzialmente accolte dal gip il 25 giugno 2005. Alla fine dopo alcuni ricorsi al Riesame i provvedimenti diventano 22.
Dopo tutti i passaggi tecnici i sequestratori vengono dichiarati latitanti e vengono avviate le ricerche. Il 23 dicembre scorso il ministero Roberto Castelli, investito della questione dell'estradizione, per suo incarico di Guardasigilli, chiede la disponibilità di tutti gli atti di indagine per studiarli. Oggi il no.
(12 aprile 2006)
La Procura prende atto. La richiesta di estradizione verà reiterata "non appena sarà formato il nuovo governo nella convinzione di poter ottenere una diversa valutazione", dice il procuratore aggiunto Armando Spataro, titolare dell'inchiesta sul rapimento di Abu Omar.
Il procuratore aggiunto ha annunciato che la decisione del ministro Castelli "ci consentirà di assumere rapidamente le nostre determinazioni in merito all'esercizio dell'azione penale nei confronti di soggetti che sono stati ritenuti pericolosi da tutti i giudici che hanno emesso provvedimenti nei loro confronti".
Il magistrato, pur riconoscendo la facoltà del ministro di non fare la richiesta, sottolinea però che questa decisione "interviene dopo oltre cinque mesi dalla prima richiesta formulata dalla Procura generale di Milano".
La vicenda risale al 17 febbraio 2003 quando in pieno giorno Hassan Mostafa Osama Nasr, egiziano, classe 1963, meglio conosciuto come Abu Omar viene caricato su un furgone bianco e sequestrato in via Conte Verde a Milano. E' l'ex imam della moschea milanese di via Quaranta, e del centro di cultura islamica di viale Jenner, già da oltre un anno era sotto indagine perché sospettato di aver legami con organizzazioni islamiche estremiste.
Abu Omar, secondo la ricostruzione degli inquirenti, viene narcotizzato e portato con il furgone alla base Nato di Aviano (Pordenone). Interrogato e probabilmente torturato viene portato in Egitto, dove è stato poi sottoposto ad altri interrogatori, accompagnati anche da violenze fisiche. E solo molto tempo dopo rilasciato, ma in condizioni di libertà vigilata, ad Alessandria d'Egitto.
Nell'aprile del 2004 l'ex imam telefona alla moglie che ancora vive a Milano e le racconta tutto. Poco dopo Abu Omar sparisce di nuovo. La vicenda sul suo rapimento compare sulle pagine di diversi giornali. Le indagini della Digos di Milano portano a ricostruire tutti gli spostamenti dei rapitori e alla loro identità di presunti agenti Cia. Tutti sono accusati di aver portato a termine una "forcible abduction", un rapimento in territorio italiano.
Per loro il procuratore aggiunto Armando Spataro prepara le richieste di arresto che viene parzialmente accolte dal gip il 25 giugno 2005. Alla fine dopo alcuni ricorsi al Riesame i provvedimenti diventano 22.
Dopo tutti i passaggi tecnici i sequestratori vengono dichiarati latitanti e vengono avviate le ricerche. Il 23 dicembre scorso il ministero Roberto Castelli, investito della questione dell'estradizione, per suo incarico di Guardasigilli, chiede la disponibilità di tutti gli atti di indagine per studiarli. Oggi il no.
(12 aprile 2006)
E anche:
Wikileaks sul caso Abu Omar
"gli Usa condizionarono l'Italia"
Alcuni cablogrammi da Roma a Washington rivelerebbero pressioni degli Stati Uniti sul Governo Italiano riguardo l'inchiesta sugli agenti Cia in Italia collegati al caso Abu Omar. Attraverso colloqui diretti con Berlusconi, che avrebbe assicurato di seguire la questione 'con benevolenza'. Rosato del PD: "Sempre più urgente sentire il premier"
ROMA - Secondo il settimanale tedesco Der Spiegel, gli Stati Uniti fecero pressione per condizionare l'inchiesta italiana in Italia sugli agenti della Cia coinvolti nel sequestro di Abu Omar. All'inizio, gli americani si sono mossi attraverso "canali diplomatici", ma in seguito anche con "colloqui di alto livello con il primo ministro italiano Silvio Berlusconi". Tra le richieste, quella di ottenere che i magistrati non spiccassero un mandato di cattura internazionale contro gli agenti Cia coinvolti nel sequestro di Abu Omar. Nei documenti viene inoltre descritto nel dettaglio come l'ambasciatore Usa in Italia e il segretario Usa alla Difesa Robert Gates, abbiano fatto aperte pressioni sul Governo italiano.
L'informazione sarebbe stata ricavata da alcuni cablogrammi inviati a Washington dalla sede romana dell'ambasciata Usa, documenti successivamente ottenuti da Wikileaks. Secondo lo Spiegel, questi "dispacci segreti" sono "particolarmente imbarazzanti per Berlusconi". Stando alle rivelazioni dei 'cablo', le pressioni americane risalirebbero al 2006 e sarebbero avvenute più volte. Dal premier, stando almeno ai dispacci, i diplomatici Usa avrebbero avvito assicurazioni che il caso sarebbe stato seguito 'con benevolenza'. Ecco le tappe della vicenda dal rapimento all'inchiesta al ruolo degli 007.
I commenti. Sulla questione è intervenuto Ettore Rosato, deputato del Pd e componente del Comitato per la sicurezza della Repubblica:"Il tema delle presunte pressioni degli Stati Uniti su caso Abu Omar e dei dispacci segreti, definiti dallo Spiegel 'particolarmente imbarazzanti per Berlusconi" - spiega - "deve essere affrontato nelle sedi adeguate, anche per evitare speculazioni. Berlusconi non fa il bene di nessuno sottraendosi ad un confronto nella giusta sede parlamentare".
Arriva anche il commento di Ferdinando Pomarici, ex capo della dda milanese che insieme al collega Armando Spataro ha condotto le indagini sul sequestro di Abu Omar e ha chiesto l'arresto anche di 26 agenti Cia. "Non mi sembra una novità che i governi italiani abbiano risentito pesantemente degli interventi degli Stati Uniti", dice Pomarici, che aggiunge: "Ciò mi sembra evidente dal fatto che non abbiano mai inteso dare corso alle richieste di arresto secondo il trattato italo-americano. Mi sembra evidente" - ha proseguito il magistrato - "anche dal fatto che tutte le rogatorie italiane sono rimaste inevase. Senza che vi fosse alcuna sollecitazione o protesta da parte del ministero della giustizia".
Secondo l'avvocato Luca Bauccio, legale della moglie di Abu Omar, "Le rivelazioni di Wikileaks
rendono il segreto di stato paradossale e sono la dimostrazione, l'ennesima, di come si sia tentato in tutti i modi di condizionare le indagini sul sequestro di Abu Omar e di come non si sia voluto che la verità venisse accertata". (17 dic. 2010)
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