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venerdì 17 luglio 2020

Sull’audio pro-Berlusconi ora indagano i pm di Roma. - Valeria Pacelli

Sull’audio pro-Berlusconi ora indagano i pm di Roma

La denuncia di Esposito - Il giudice querela Piero Sansonetti, ma la Procura farà approfondimenti sul nastro di Amedeo Franco.
La vicenda dell’audio di Amedeo Franco , il giudice relatore della sentenza di Cassazione che nel 2013 ha condannato Silvio Berlusconi a 4 anni per frode fiscale nell’ambito del processo sui diritti tv di Mediaset, arriva in Procura a Roma. I pm capitolini faranno approfondimenti sulla registrazione in cui si sente il giudice parlare di “plotone d’esecuzione”, di “porcheria” e “condanna a priori”. Le indagini verranno disposte nell’ambito di un fascicolo che sarà aperto dopo la denuncia, depositata ieri mattina, da Antonio Esposito, il presidente della sezione feriale che ha emesso quel verdetto. Il fascicolo quindi parte da altro. Il giudice ora in pensione infatti ha denunciato per diffamazione il direttore del quotidiano Il Riformista, Piero Sansonetti, per alcune affermazioni fatte durante una puntata di “Quarta Repubblica”, la trasmissione in onda su Rete 4 diretta da Nicola Porro.
Era il 6 luglio scorso. “Noi sappiamo oggi che la magistratura italiana è marcia. – ha detto Sansonetti – (…) I pubblici ministeri e i giudici spesso si mettono d’accordo. Gli imputati sono travolti. Le garanzie non ci sono. Moltissimi processi sono truccati. Tutta la magistratura italiana è sotto accusa. E purtroppo (…) i grandi giornali italiani ne parlano poco, ma è una tragedia perché lo stato di diritto è stato travolto dalle trame della magistratura italiana”. Poi aggiunge: “E quella del giudice Esposito fa parte, sta dentro questa storia”, frase questa finita nella denuncia di Esposito. Come pure quando il giornalista dice: “Il giudice Esposito è uno scandalo vivente, così come uno scandalo vivente sono decine di altri giudici”.
Per questo il magistrato ha denunciato per diffamazione Sansonetti chiedendo ai pm anche se vi siano gli estremi per contestare il reato di vilipendio dell’ordine giudiziario. E questa è la denuncia di Esposito. Per verificare però la diffamazione, si ragiona in Procura, bisogna capire anche l’antefatto, la circostanza alla quale si riferiscono le parole di Sansonetti. E quindi quell’audio che da giorni una certa stampa innalza a “prova” per riabilitare Berlusconi e che è stato depositato dalla difesa del leader di Forza Italia a sostegno del ricorso davanti alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo.
Come noto, in quella registrazione del 6 febbraio 2014, il giudice Amedeo Franco, deceduto un anno fa, rinnega la sentenza che lui stesso aveva firmato. “I pregiudizi per forza che ci stavano (…) Si poteva cercare di evitare che andasse a finire in mano a questo plotone di esecuzione, come è capitato, perché di peggio non poteva capitare”, dice Amedeo Franco portato al cospetto dell’ex premier da Cosimo Ferri, leader storico della corrente Magistratura indipendente, in passato sottosegretario alla Giustizia del governo di Enrico Letta e ora in Italia Viva.
Perché Franco si presentò dall’ex premier? Chi avviò la registrazione? Perché le dichiarazioni del giudice sono state rese pubbliche integralmente solo un anno dopo la sua morte? C’è qualcosa ancora di ignoto dietro quelle registrazioni?
L’inchiesta penale, in futuro, potrà trovare le risposte.

lunedì 6 aprile 2020

Matteo Salvini e la Lega sconfitti dall'Espresso. Il giudice: «Sui 49 milioni tutte notizie vere». - Paolo Biondani



Il leader del Carroccio sbugiardato dal tribunale: respinte tutte le querele per diffamazione. La sentenza assolve i cronisti ed elogia il «giornalismo d’inchiesta»: sulla maxi-truffa dei rimborsi elettorali, pubblicati solo «fatti documentati» (24 gennaio 2020)

Matteo Salvini è stato sconfitto dall'Espresso e sbugiardato dai giudici sullo scandalo dei 49 milioni confiscati alla Lega ma in gran parte spariti. Tutti i magistrati competenti hanno infatti dichiarato completamente infondate le querele per diffamazione proposte (e pubblicizzate) dal leader leghista, quando era ancora ministro dell'Interno, dal suo vice, Giancarlo Giorgetti, già sottosegretario alla presidenza del consiglio, e dal tesoriere del partito, l'onorevole Giulio Centemero. La sentenza dei giudici spiega che il lavoro dei giornalisti dell'Espresso rappresenta «indiscutibilmente» un esempio di «giornalismo d'inchiesta», che secondo la Cassazione va considerato «l'espressione più alta e nobile dell'attività d'informazione».

Le motivazioni del verdetto, depositate oggi, precisano che «con il giornalismo d'inchiesta l'acquisizione delle notizie avviene autonomamente, direttamente e attivamente da parte dei professionisti e non mediata da fonti esterne mediante la ricezione passiva di informazioni». I giornalisti dell'Espresso vanno quindi assolti con formula piena perché hanno pubblicato solo informazioni «verificate» e «documentate», di «indubbio interesse pubblico» ed esposte «con correttezza», con tutti i crismi del diritto-dovere di cronaca.





Per i vertici della Lega, la sconfitta giudiziaria è totale. Salvini, Giorgetti e Centemero avevano presentato una serie collegata di querele contro cinque articoli sullo scandalo dei 49 milioni, pubblicati dall'Espresso tra giugno e luglio 2018, firmati da Giovanni Tizian, Stefano Vergine, Paolo Biondani, Gloria Riva e Leo Sisti, chiamando in causa anche il direttore Marco Damilano. Il procedimento penale, per competenza territoriale, è stato esaminato dai giudici del tribunale di Velletri.

Nel giugno scorso i magistrati della Procura, chiamati a rappresentare l'accusa, hanno invece chiesto l'archiviazione, giudicando infondate tutte le ipotesi di pretesa diffamazione, dopo aver esaminato i documenti presentati dai giornalisti, illustrati nelle memorie difensive degli avvocati dell'Espresso, Paolo Mazzà e Clara Gabrielli. Il leader della Lega e i suoi fedelissimi, a quel punto, hanno rilanciato le loro accuse con una formale opposizione all'archiviazione, chiedendo ai giudici del tribunale (ufficio gip), questa volta, di rovesciare il verdetto e incriminare i giornalisti. L'udienza decisiva si è tenuta il 7 gennaio scorso. E si è conclusa con una sentenza, depositata questa stamattina, di assoluzione piena dei giornalisti.

Nelle motivazioni, i magistrati riconoscono che tutti gli articoli dell'Espresso «sono il risultato dell'attività d'inchiesta portata avanti dai giornalisti, i quali, come attestato dalla copiosa documentazione depositata in allegato alla memoria difensiva, hanno ricercato le notizie, ripercorso gli eventi e tentato di ricostruire, nei limiti del possibile, la gestione delle finanze del partito politico Lega Nord. Argomento, quest'ultimo, che riveste un indubbio rilievo, stante l'interesse pubblico alla ricerca della verità conseguente agli scandali finanziari che hanno travolto il partito in questione».


https://m.espresso.repubblica.it/attualita/2020/01/24/news/l-espresso-vince-contro-matteo-salvini-e-la-lega-e-giornalismo-d-inchiesta-non-diffamazione-1.343453?fbclid=IwAR2q25VrDgqgPtCFDPslkjEf8efOhV2GV_YiDSk0fKm0b107HJifDpWsJP4

martedì 4 ottobre 2016

Muraro querela Renzi per diffamazione.

 © ANSA


Avvocato assessore capitolino, fatti indebiti accostamenti.


(ANSA) - ROMA, 3 OTT - L'assessore capitolino all'Ambiente Paola Muraro ha querelato per diffamazione il premier Matteo Renzi per gli "indebiti accostamenti fatti con l'inchiesta su 'Mafia Capitale'". Oggi l'avvocato Alessio Palladino, uno dei difensori della Muraro, ha depositato a piazzale Clodio l'atto.

"La mia assistita - dice il penalista - si è posta da tempo a disposizione degli inquirenti, ma speculare sulla sua vita privata o rappresentare fatti non veri è solo indice, a nostro parere, di una azione diffamatoria".

mercoledì 21 gennaio 2015

Cassazione, “Travaglio non deve risarcire Berlusconi”: aveva chiesto 10 milioni.

Cassazione, “Travaglio non deve risarcire Berlusconi”: aveva chiesto 10 milioni

L'ex Cavaliere si era ritenuto diffamato dall'intervista rilasciata dal condirettore del Fatto Quotidiano a Daniele Luttazzi nel corso di 'Satyricon' nel 2001. La Suprema Corte: "Si è trattato di cronaca, critica politica e satira legittime."

Marco Travaglio non deve versare alcun risarcimento a Silvio Berlusconi. Il leader di Forza Italia aveva chiesto al condirettore del Fatto Quotidiano 10 milioni di euro come risarcimento danni da diffamazione per l’intervista che aveva rilasciato a Daniele Luttazzi il 14 marzo 2001 su Rai2 nel corso della trasmissione Satyricon. Al centro il libro ‘L’odore dei soldi’, sulla storia dell’ex Cavaliere e delle inchieste che lo hanno coinvolto. Per la Suprema Corte, che ha confermato la correttezza del verdetto emesso dalla Corte di Appello di Roma il 18 ottobre del 2006, si è trattato di cronaca, critica politica e satira legittime.
In modo conforme alle regole del diritto di cronaca e critica, è da escludere che Travaglio – sottolinea la Terza sezione civile della Suprema Corte – avesse “inteso accusare in modo subdolo l’onorevole Berlusconi di biechi interessi privati, di illeciti societari e di collusione con la mafia” avendo invece voluto “stigmatizzare, sicuramente con toni forti, sarcastici e sdegnati” il comportamento del candidato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, che “non aveva ritenuto necessario chiarire nelle opportune sedi… alcune vicende della sua attività imprenditoriale oggetto di indagini penali”.
Alle ulteriori obiezioni del leader di Forza Italia che ha insistito nel ricorso in Cassazione a sostenere che la trasmissione aveva “scopo non satirico ma politico”, la Suprema Corte replica che “l’uno scopo, di per sé, non esclude l’altro, potendo convergere entrambi a definire l’ambito della satira politica” quale è quello di una trasmissione come Satyricon “caratterizzata dall’intento di porre all’attenzione del telespettatore alcuni momenti della vita sociale e politica italiana, sottolineandone le contraddizioni e gli aspetti a volte anche negativi”.
Ad avviso della Cassazione, il verdetto di appello non ha “affatto trascurato il necessario bilanciamento dell’interesse individuale con quello sotteso alla libera manifestazione del pensiero attraverso la critica politica, effettuato correttamente sotto la lente dell’interesse pubblico alla conoscenza dell’interpretazione di fatti di cronaca”, risultati “documentati e per la maggior parte notori”, senza trasmodare “in attacchi personali volti a colpire la figura morale del soggetto criticato”.
Corretto e ‘conforme’ ai canoni della satira è stato ritenuto anche il comportamento di Luttazzi che “nel dirigere l’intervista, si è avvalso degli strumenti tipici” di questo genere, compresa la mimica. Il ricorso dell’ex premier era rivolto anche contro la RaiCarlo Freccero, ‘Ballandi entertainment‘ e Luttazzi che, poi, insieme a Michele Santoro e Enzo Biagi, fu cacciato dalla televisione pubblica dopo l’’editto bulgaro’ di Berlusconi. Ora il leader di Forza Italia deve pagare in favore della Rai 10mila e 200 euro per le spese legali del giudizio di Cassazione.

sabato 12 gennaio 2013

Travaglio querela Berlusconi per la lettera da Santoro: ecco le “12 balle blu”.

Berlusconi caccia Travaglio dalla sua sedia durante Servizio pubblico

ROMA - Marco Travaglio querelerà Silvio Berlusconi per le affermazioni contenute nella lettera letta da Silvio Berlusconi nell'ultima puntata di Servizio pubblico. Il giornalista in particolare contesta l'espressione «Travaglio è un diffamatore di professione: ha dieci condanne per diffamazione», in un articolo in cui enumera le «12 balle blu» del Cavaliere.

La replica. «Il sottoscritto - scrive Travaglio -, in 30 anni di attività, su 30 libri, 30 mila articoli, centinaia di trasmissioni televisive e online, è stato denunciato circa 300 volte in sede civile e penale. In sede civile ha perso alcune cause, pagando il risarcimento del danno, mai per avere scritto il falso, ma perlopiù per casi di omonimia o per critiche ritenute eccessive o per fatti veri mal compresi dal giudice o mal dimostrati dalla difesa. In sede penale, non ha mai riportato una sola condanna definitiva per il reato di diffamazione». 

La precisazione. «Quella citata da Berlusconi nella letterina scrittagli dal suo staff - prosegue il giornalista - scopiazzando da Wikipedia non è né definitiva né caduta in prescrizione: si tratta di una condanna penale in appello a risarcire Previti con una multa di 1.000 euro (per un articolo pubblicato sull'Espresso e uscito monco a causa di un taglio redazionale), su cui pende il mio ricorso in Cassazione senza che nessuno abbia dichiarato la prescrizione del reato».


http://www.ilmessaggero.it/primopiano/politica/travaglio_querela_berlusconi_lettera_santoro_diffamatore_professione_condanne_penali_civili/notizie/243878.shtml

sabato 24 novembre 2012

Presidente Napolitano, dica qualcosa sul ddl diffamazione. - Vincenzo Iurillo


E’ l’ennesima dimostrazione che viviamo nel Paese di Sottosopra, lì dove il mare luccica e tira forte il vento della censura e dell’intimidazione, dove un Parlamento senza vergogna dichiara una cosa e fa esattamente l’opposto: a chiacchiere dice di voler impedire che si ripetano altri casi Sallusti, nei fatti prepara una legge che è persino peggiore di quella in vigore, con la quale resta concreto il rischio che altri giornalisti vengano condannati al carcere per diffamazione.
L’obbrobrio licenziato da Pdl e Lega, con il codicillo per scongiurare che appresso al cronista che firma l’articolo vada in galera anche il direttore che lo ha messo in pagina (norma a forte rischio di anticostituzionalità), non ha accolto nessuna proposta migliorativa di una legge che risale al 1948. Non è stata presa in seria considerazione l’ipotesi di estinguere il reato con la pubblicazione di un’adeguata rettifica, o se il giornalista adempie spontaneamente alla correzione dell’errore. Non si è previsto di porre un dissuasore alle querele palesemente temerarie, fatte solo per intimidire i giornalisti, stabilendo ad esempio che in sede civile chi cita un cronista o una testata e poi perde la causa sia costretto a corrispondere una cifra proporzionata al risarcimento richiesto (e non ottenuto). Già che c’erano invece, i nominati dai partiti che siedono in Parlamento ne hanno approfittato per dilatare l’importo delle sanzioni pecuniarie in sede penale. Cifre fuori portata per l’80% dei cronisti, che vivono di precariato, fatture a 90 giorni, contrattini “oggi sei dentro e domani fuori”.
Va bene, lunedì noi giornalisti faremo sciopero. Sacrosanto. Si auspica la massima adesione. E poi? Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, le faccio una preghiera. Tra un monito e l’altro, alzi la voce anche contro questo scempio. Rivolga un messaggio alle Camere col quale ricorda che la libertà di stampa e la libera circolazione delle notizie sono prerequisiti fondamentali di una democrazia. Questo Parlamento in scadenza di mandato se ne è dimenticato. E pensa solo a come impedire che si scriva dei loro scandali. O a compiere qualche piccola vendetta personale.

mercoledì 24 ottobre 2012

Diffamazione, emendamento Pdl vieta di parlare male della Casta.


Lucio Malan

L'onorevole Lucio Malan, impegnato a votare al posto di un collega.


Dal senatore Malan una norma per inasprire le sanzioni per chi offenda "corpo politico, giudiziario o amministrativo" con attribuzioni di "spese folli, inefficienze non sussistenti o paragoni falsi".


Non bastavano le maxi multe, non bastava la norma per imbavagliare gli editori, ora nel disegno di legge Salva Sallusti che riforma il reato di diffamazione spunta un emendamento firmato dal Pdl Lucio Malan che punta a tutelare ‘la casta’ politica e istituzionale dalla pubblicazione di articoli che rivelino spese folli, come quelle, ad esempio, per i festini dei consiglieri regionali del Lazio o mega stipendi di chi riveste un ruolo pubblico ma che non sono esattamente conteggiabili perché magari frutto di cumuli. 
E’ quanto in sostanza prevede l’emendamento che a breve verrà depositato in aula al Senato sull’offesa a un corpo politico o amministrativo. In base alla proposta del senatore Malan – già noto alle cronache della Casta per essere stato pizzicato a votare per colleghi assenti, per una espulsione dal Senato dopo il lancio del regolamento contro l’allora presidente Marini, per avere contrattualizzato moglie e nipote nel suo staff –  chi riporterà notizie ritenute offensive, anche solo perché si parla di inefficienza di una pubblica amministrazione, ci sarà un aumento delle pene. Nel testo si legge che le pene per diffamazione a mezzo stampa sono aumentate “se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio. Costituisce in ogni caso offesa a tali soggetti, l’attribuzione di specifiche gravi inefficienze non sussistenti, di gravi eccessi non reali di spese, di emolumenti presentati come eccessivi e non realmente erogati, di paragoni falsi con altre analoghe istituzioni o procedure, e ogni altra attribuzione di fatti non reali, i quali suscitino il discredito nei confronti di detti soggetti”.
Il testo è lo stesso dell’emendamento che lo stesso Malan aveva già presentato in commissione Giustizia. Quel che cambia rispetto al testo della commissione è che il senatore aveva proposto anche di quantificare l’aumento della pena in “cinque volte” quella prevista. Ora la quantificazione è sparita. Malan spiega: “E’ giusta la trasparenza. Ma quando la trasparenza si trasforma in menzogna deve essere chiaro che questa è la diffamazione di un organo politico o amministrativo”.

martedì 16 ottobre 2012

Libertà di diffamazione. Michael Braun


        (Michael Braun è corrispondente del quotidiano berlinese Die Tageszeitung e della radio pubblica tedesca).
L’Italia ha un nuovo martire: Alessandro Sallusti. Condannato a 14 mesi di carcere per diffamazione, oggi si presenta – ed è presentato dalla quasi totalità dei suoi colleghi – come la vittima di una legge aberrante che (così si afferma) punisce un “reato di opinione” e non ha uguali nelle altre democrazie.
Ma le cose stanno davvero così? Uno sguardo al codice penale tedesco ci dice subito che la diffamazione è reato punibile con due anni di carcere, e se avviene a mezzo stampa la pena sale addirittura fino a cinque anni. Insomma: chi, utilizzando le pagine di un giornale, denigra qualcuno ricorrendo ad affermazioni palesemente false rischia la galera anche in Germania.
Ciò detto potrei aggiungere che anche a me questa condanna, senza condizionale, sembra esagerata. Ma questo punto è già sottolineato da tanti, praticamente da tutti, giornalisti e politici. Un altro punto rischia invece di scomparire: cioè che, in veste di direttore, Sallusti si è reso complice di un reato grave, e che prima di assurgere al ruolo di martire ha vestito i panni dell’autore di un atto illecito.
Vogliamo ricordare che cosa scriveva cinque anni fa un certo Dreyfus (la vocazione al martirio, a quanto pare, era già tutta presente) sul giudice Giuseppe Cocilovo? Quel giudice aveva autorizzato una ragazzina tredicenne ad abortire, dietro richiesta della ragazza e di sua madre. Il quotidiano Libero commentava così: “Un magistrato ha applicato il diritto – il diritto! – decretando: aborto coattivo. (…) Qui ora esagero, ma prima domani di pentirmi, lo scrivo: se ci fosse la pena di morte, e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo, il giudice. Quattro adulti, contro due bambini. Uno assassinato, l’altro (in realtà) costretto alla follia”.
Dopo la sentenza contro Sallusti ora Il Giornale (dove il condannato nel frattempo è trasmigrato come direttore) decreta: “L’articolo sotto accusa: duro, ma è un’opinione”. Davvero? Potremmo già disquisire sull’aggettivo “duro”. Invocare la pena di morte per quattro persone che non si sono rese colpevoli neanche della più minima illegalità vi sembra duro? A me sembra una violenza inaudita. Ma non è questo il punto.
La pena di morte viene invocata da quel Dreyfus con un argomento inventato di sana pianta: che la ragazzina sarebbe stata costretta all’aborto da quattro adulti mentre risulta che lei stessa voleva interrompere la gravidanza. Questa sì che è tecnica di diffamazione: capovolgere i fatti, voler costringere le ragazzine a non abortire e poi strillare in modo non solo scomposto, ma menzognero. Il reato di diffamazione esiste per una precisa ragione: per permettere al diffamato di difendere il suo onore contro attacchi basati su racconti non veritieri. Altro che reato di opinione. Se qualcuno si alzasse affermando che Sallusti è – per esempio – uno spacciatore, un pedofilo, un contrabbandiere o un amico dei mafiosi come reagirebbe l’illustre direttore? Guardandosi allo specchio, facendo spallucce e dicendo fra sé e sé, “è solo un’opinione”? Non credo. E bene farebbe a querelare.
Bene ha fatto pure il giudice Cocilovo a querelare Sallusti. Del resto il condannato continua a dare versioni lievemente distorte perfino della storia processuale. Scrive: “Non ho accettato trattative private con un magistrato (il querelante) che era disponibile a lasciarmi libero in cambio di un pugno di euro, prassi squallida e umiliante più per lui, custode di giustizia, che per me”. Par di capire che Cocilovo volesse sfruttare l’occasione per portare a casa un bel gruzzoletto. È squallido e umiliante, più per Sallusti che per altri, che il direttore non riesca mai a raccontare le cose se non attraverso una lente deformata: Cocilovo esigeva l’ammissione di colpa e il pagamento di ventimila euro non a lui, ma a Save the Children.
Ma ancora oggi Sallusti non è in grado di realizzare che la diffamazione c’è effettivamente stata, che non è un’opinione affermare il falso a spese dell’onore di un’altra persona, facendola passare per l’aguzzino di una ragazzina. Giustissimo l’intento di tanti direttori e giornalisti di difendere la libertà di stampa, giustissima la domanda se la pena comminata non sia esagerata. Ma da qui a difendere un diffamatore (o un direttore che pubblica e copre i diffamatori) ci corre. Non risulta che Sallusti si sia mai scusato per quell’articolo.

giovedì 11 ottobre 2012

Formigoni rilancia: giunta nuova e molto ridotta nei numeri.


formigoni salvini


Il presidente della Lombardia fronteggia i malumori leghisti e ribatte minacciando di far cadere le altre tre regioni del Nord, legate allo stesso patto elettorale. Poi annuncia forti riduzioni e nomi nuovi, ma intanto viene condannato per diffamazione contro i Radicali.

Formigoni non ci sta e non è disposto ad accettare diktat dalla Lega Nord. Alla minaccia dei leghisti di abbandonare il governo lombardo, messa in campo con le dimissioni presentate dagli assessori del partito del Carroccio, il presidente della regione risponde contrattaccando, minacciando di far cadere tutto il castello di governi regionali del Nord Italia messi in piedi nell’ultima tornata elettrorale. E nel pomeriggio ha dichiarato: «Indipendentemente da tutti, siccome il presidente eletto sono io e voglio dare risposte ai cittadini lombardi, ci sarà una forte discontinuità che metterò in atto nei prossimi giorni: una riduzione molto forte della giunta che sarà rinnovata nella composizione».

«Se cade la Lombardia – ha voluto precisare –, i leghisti sappiano che cadranno anche il Veneto e il Piemonte, che fanno parte dello stesso accordo elettorale che mi ha portato a essere nuovamente il presidente della Regione». Niente scherzi, dice dunque Formigoni a Maroni e compagni, se fate lo sgambetto a me, qui in Lombardia, il Pdl saprà come reagire nelle due realtà dove al momento governa la Lega, il Veneto con Zaia e il Piemonte con Cota. «Spetta a loro decidere se far cadere le tre giunte», ha concluso sibillinamente.

Una posizione forte, quella di Formigoni, testimoniata anche dal fatto che appena saputo delle dimissioni degli esponenti leghisti ha provveduto a togliere loro le deleghe destituendoli dall’incarico di assessore e cominciando già a pensare a chi affidare importanti poltrone come quella di assessore alla Sanità.

Dopo avere risposto alla Lega, Formigoni ha voluto sottolineare la sua opinione riguardo la questione che ha coinvolto l’assessore Domenico Zambetti, accusato di avere comprato voti dalla ‘ndrangheta. «Ha tradito il suo presidente e il suo partito», ha detto senza mezzi termini il presidente regionale, aggiungendo che la vicenda è di «una gravità assoluta ed è del tutto inaccettabile».

Ora la palla passa dunque alla Lega, che nelle intenzioni avrebbe invece sperato che la decisione finale fosse presa dal loro alleato. L’unica cosa certa, a questo punto è che le alternative sono due: il rimpasto, suggerito anche dal segretario del Pdl Angelino Alfano, che ha chiesto a Formigoni di «azzerare tutto e ricominciare da capo» o le elezioni anticipate, chieste a gran voce dall’opposizione, che ha minacciato le dimissioni di massa ma che per ora sembra restare alla finestra in attesa degli eventi.

CONDANNATO PER DIFFAMAZIONE
Intanto il giudice della IV sezione penale di Milano lo ha condannato per diffamazione a 900 euro di multa mentre il pm Mauro Clerici aveva chiesto per lui una condanna a un anno di reclusione e 500 euro di multa. In più dovrà risarcire la somma complessiva di 110.000 euro ai Radicali. Secondo l'accusa, il governatore lombardo aveva accusato con una serie di dichiarazioni alla stampa il partito dei Radicali di ''avere ordito un complotto'' contro di lui, incolpandoli di avere manipolato le firme a sostegno della sua lista.

giovedì 27 settembre 2012

Sallusti a giudizio per un’altra diffamazione.


Sallusti a giudizio per un'altra diffamazione

Sempre per omesso controllo, stavolta nei confronti di un magistrato della procura militare.

L’ex direttore del ‘Giornale’ Alessandro Sallusti, ieri condannato a 14 mesi dalla Cassazione, e’ stato rinviato a giudizio con l’accusa di omesso controllo in un procedimento per diffamazione ai danni dell’ex sostituto procuratore militare di Padova, Maurizio Block. L’accusa si riferisce a quando Sallusti era direttore di ‘Libero’.
LA STORIA – Il gup di Milano, Maria Grazia Domanico, si era ritirata in camera di consiglio in giornata per decidere se rinviare a giudizio o meno l’ex direttore del Giornale, Alessandro Sallusti
Sallusti e’ accusato di omesso controllo in relazione a un’intervista comparsa sul quotidiano Libero, di cui allora era il direttore, il 3 luglio del 2007. Nell’articolo, la giornalista Barbara Romano, che e’ imputata per diffamazione in questo procedimento, intervistava il Generale Antonio Pappalardo che, secondo l’accusa, avrebbe diffamato un magistrato della procura militare di Padova, Maurizio Block.

domenica 23 settembre 2012

La macchina trasversale (e impunita) del fango.


In Italia la libertà di informazione si è trasformata in libertà di diffamazione.

Lettera di Enrico Sassoon (*)
"Caro direttore,
le vicende riguardanti Beppe Grillo, il Movimento 5 Stelle e Gianroberto Casaleggio sono state ampiamente riportate dai media nei mesi passati, con una forte accelerazione nelle scorse settimane fino a oggi. Questa attenzione, di norma scarsamente informata, quasi sempre maliziosa e ostile, mi ha toccato marginalmente, ma non lievemente, in quanto socio della Casaleggio Associati. Poiché da oggi lascio la società, ritengo utile chiarirne i motivi, per evitare ulteriori distorsioni dei fatti.
motivi sono due. Il primo riguarda la mia presenza, come socio di minoranza, nella Casaleggio Associati. I media hanno speculato in merito interpretando il mio ruolo come rappresentante di più o meno precisati «poteri forti» intenzionati a infiltrare, tramite la Casaleggio Associati, il blog di Beppe Grillo e, tramite Gianroberto Casaleggio, il movimento politico. In breve, non rappresento alcun potere forte, né in generale né nello specifico, né ritengo che alcun potere forte si senta rappresentato da me. La prova del contrario la lascio ai maliziosi interpreti che si sono finora beati nel richiamare fantasiose teorie complottistiche degne di romanzi d'appendice più che di una stampa seria e informata.Non conosco Beppe Grillo, non ci siamo mai incontrati né scambiati telefonate, mail o sms. Non ho partecipato alla gestione del suo blog in seno alla Casaleggio Associati, dove non ho mai ricoperto cariche operative; non ho mai avuto a che fare con il Movimento 5 Stelle, con il quale intrattiene relazioni il solo Casaleggio nelle forme e nei modi da lui stesso ripetutamente chiariti anche su questo giornale. Lascio la società perché i miei interessi personali e professionali sono altrove, ma anche per spezzare il filo delle speculazioni interessate. Mi auguro che serva.
Il secondo motivo è ben più grave e si sostanzia in una valanga apparentemente inarrestabile di diffamazioni e calunnie di violenta intensità, basate su ancor più farneticanti teorie del complotto, che sono apparse e continuano ad apparire in blog e siti di diversa connotazione: da quelli di ispirazione esplicitamente nazi-fascista a quelli di tendenza diametralmente opposta (come i Meet Up di supporto a Grillo) passando per una varietà di blog e siti di varia natura che vanno dai circoli vegetariani a club politici o territoriali delle più diverse tendenze. In questi luoghi la teoria assume i toni foschi del complotto pluto-giudaico-massonico di memoria zarista e hitleriana. L'attribuzione di rappresentante dei poteri forti origina da qui, per assumere contorni decisamente deliranti e razzisti.
Dal mio cognome ebraico si è risaliti a una famiglia con lo stesso nome che operava 250 anni fa nella Compagnia delle Indie che commerciava in droghe e spezie con Cina e India: tanto basta per vedermi associato, un quarto di millennio dopo, a una «potente dinastia di narcotrafficanti». E non si parla di un pazzo isolato: sono decine i siti che riportano queste piacevolezze, associandomi volta a volta a Bilderberg, Massoneria, Mossad, Illuminati, Lobby delle multinazionali, circoli esoterici e altre amenità di questo tipo da far impallidire Dan Brown o l'Umberto Eco del «Cimitero di Praga».
La cosa è seria e va avanti da anni senza che alcuno di questi luoghi di indecenza ne sia mai stato chiamato a rispondere, sotto il profilo della controinformazione e della legge. La questione che va qui sollevata, al di là di quella strettamente personale, è quella della Rete. Luogo democratico per eccellenza, al quale chiunque può accedere per dare voce alle proprie opinioni, può diventare arena di violenza incontenibile, diffamazione incontrastabile, vera e propria delinquenza mediatica.
Il primo punto è dunque come fare in modo che si salvaguardi la libertà di opinione ed espressione con la necessaria tutela di chi, per un motivo o per l'altro, venga preso di mira con intenti diffamatori e, nel caso in specie, anche razzisti. Ma i fatti non si fermano qui, perché la teoria del complotto dei poteri forti, che va avanti in Rete da almeno quattro anni, da un paio d'anni a questa parte è stata acriticamente assunta anche dai media «ufficiali», ossia radiotelevisione e carta stampata. Avevo erroneamente giudicato tutto sommato sgradevoli ma innocui quei siti e blog, prevedendone un progressivo declino in funzione della palese idiozia dei riferimenti e argomentazioni.
Mi sono dovuto ricredere quando due anni fa, nel numero 5/2010 di «MicroMega» è stato pubblicato un articolo di una ventina di pagine che riprendeva le elucubrazioni reperibili in Rete, rielaborandole in modo apparentemente neutrale e dando loro un crisma di credibilità. Da lì a filtrare nella stampa «ufficiale» il passo è stato breve. Il teorema dei poteri forti è stato da allora ossessivamente riproposto, sempre in totale assenza di verifica alla fonte, spesso senza nemmeno modificare espressioni e terminologia di altri articoli e servizi, in un trionfo di «copia e incolla». Di recente, ad esempio, ho avuto il dubbio privilegio di sentirmi associato su La7 dal direttore di Rai4 Carlo Freccero ai poteri forti e al Bilderberg, per la felicità degli ospiti presenti. Altri, come l'ex politico Gianni De Michelis, hanno dichiarato a Radio24 che certamente dietro al successo di Grillo si ritrova la «destra americana». Decine di articoli e servizi televisivi hanno sostenuto e sostengono ogni giorno il teorema dei poteri forti dediti a infiltrare il Movimento, non si sa bene se per legittimarlo o delegittimarlo.Un'informazione distorta e malata, che impone una seria riflessione." Enrico Sassoon


(*) lettera pubblicata dal Corriere della Sera il 23/9/2012

http://www.beppegrillo.it/2012/09/la_macchina_tra.html#commenti