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martedì 3 giugno 2025

Frenesia bellica sconfitta certa. - Fabio Mini - generale

 

Un articolo del generale Fabio Mini(*) sul Fatto del 27 maggio, tremendo, ma da leggere assolutamente per capire dove stiamo andando.

Sotto la superficie apparentemente piatta, o in stallo, dei negoziati e delle operazioni militari, scorre un ruscello carsico che si presta a diventare un fiume tranquillo, o in devastante piena, quando e se riemergerà.
Intanto il ruscello non sembra avere acqua limpida, ma una melma carica d’illusioni, irrazionalità e ipocrisia. L’illusione è forse la parte più pulita del corso e riguarda le pseudo speranze che i negoziati portino alla pace, che le forze ucraine riescano a riprendersi, che i russi si ritirino e che l’Europa riesca a liberarsi dalla dipendenza militare degli Stati Uniti e possa tornare a prosperare anche senza le risorse russe. Sono illusioni, appunto, costruite per i molti nostri concittadini che si abbeverano all’informazione cosiddetta occidentale incardinata nell’ideologia della pace giusta e duratura e nella retorica dell’aggressore e l’aggredito, del bene e del male assoluti. Russia e Ucraina hanno deciso lo scambio di prigionieri e stanno organizzando il nuovo round di colloqui diretti. La Russia sta preparando il memorandum di base per la ripresa dei colloqui interrotti nel 2022, partendo però dal punto concordato allora con le varianti sopravvenute durante il conflitto. Un documento semplice e chiaro che ripete ciò che chiede da anni prima e dopo l’invasione: la neutralità ucraina, il riconoscimento delle autonomie delle popolazioni russofone (in pratica la fine della guerra in Donbass), la denazificazione del governo e delle istituzioni (allontanamento di tutti gli elementi neonazisti ed estremisti che, sostenuti dagli americani e dalla Nato, non pensano agli ucraini, ma proteggono gli oligarchi più biechi del globo). Anche gli ucraini, sostenuti dalla burocrazia e da volenterosi bellicisti europei, ripetono ciò che da alcuni mesi sono stati indotti ad affermare: vogliono la tregua incondizionata di almeno 30 giorni, non come oggetto dei colloqui, ma come condizione per iniziarli. A scanso di equivoci, il presidente Zelensky e i suoi amici americani ed europei hanno già fissato i paletti della loro pace: nessun territorio ai russi, nessun vincolo al riarmo ucraino, confische dei beni russi, risarcimenti da pretendere per i danni di guerra e tribunale internazionale per i leader politici e militari russi. In pratica chiedono la capitolazione militare, politica ed economica della Russia. Una posizione talmente irrazionale che essi stessi sanno non potrà essere accettata dai russi proprio mentre stanno vincendo la guerra. Non solo sul campo. E, da che mondo è mondo, l’unico risultato delle guerre esistenziali e territoriali è la ridefinizione dei confini alle condizioni dei vincitori.
Con una buona dose di ipocrisia, Ucraina e volenterosi europei intendono usare la tregua incondizionata per prendere tempo. Come a Minsk. Tempo per riarmare l’Ucraina, intervenire con gli eserciti europei in territorio ucraino con un pretesto (per esempio, il solito “controllo” del rispetto della tregua) e riarmare l’Europa per affrontare e battere la Russia in maniera definitiva. La difesa e la deterrenza sbandierate come elementi passivi del riarmo sono in realtà le maschere per la guerra preventiva che la Nato sta già pianificando. “Dobbiamo battere il nemico al primo colpo, perché se non ci riusciamo dovremo affrontare 15 anni di guerra di logoramento”, ha detto il comandante supremo della Nato. L’Ucraina non vuole la pace con la Russia, ma la guerra permanente contro la Russia combattuta con gli Stati Uniti e, nel dubbio che con Trump si sfilino dall’impegno assunto da Biden, con gli europei della Nato e non. Gli Stati Uniti non vogliono la pace, ma il disaccoppiamento fra Russia e Cina ed Europa. Al distacco tra Europa e Russia già ci pensano i volenterosi mentre quello con la Cina è tutto da costruire. L’Europa si appresta al blocco navale nel Baltico con lo scopo di inchiodare la flotta militare russa e impedire il transito o sequestrare le navi mercantili di qualsiasi bandiera da o per i porti russi. La Russia ha già avvertito che difenderà e proteggerà tutto il traffico mercantile che la riguarda e che si muove in acque internazionali o in quelle territoriali russe. L’Europa, che nel frattempo deve affrontare l’offensiva economica dei dazi voluti da Trump, ha varato il 17° pacchetto di sanzioni contro la Russia. Le ultime novità delle sanzioni riguardano altre 189 navi mercantili che si aggiungono alle 153 già sanzionate portando a 342 il totale di navigli della cosiddetta flotta fantasma che sta aiutando la Russia.
Il vero rischio di queste operazioni non è l’inefficacia nella riduzione delle esportazioni russe, e nemmeno lo stimolo al ricorso al cambio di nome e appartenenza delle navi. Una procedura che le agenzie degli Stati bandiera registrano e autorizzano con una email durante la navigazione. Non è neppure la ulteriore contrazione degli affari britannici sui noli e le assicurazioni di cui la City londinese non è più monopolista. Più grave è invece il rischio che l’ampliamento dei soggetti sanzionati aumenti il numero di contenziosi in mare o nei porti e dei pretesti per il conflitto armato. Inoltre, come gli Usa, l’Europa minaccia anche sanzioni economiche e punizioni politiche (e non solo) per i paesi che commerciano con la Russia, il che significa allargare all’intero globo il quadro dell’instabilità e dell’ostilità. La commissione europea insiste che le sanzioni funzionano e che la Russia è in crisi grazie a esse. Non si spiega però perché si sia dovuti arrivare a 17 pacchetti e si stiano già preparando 18° e 19°. Non si spiega come la guerra stia aumentando d’intensità e la situazione ucraina peggiorando. E che stia peggiorando è evidente proprio dalla frenesia bellica che domina l’Europa nel suo progetto d’intervento in Ucraina.
Non c’è quindi da meravigliarsi se la Russia stessa sembri ignorare le sanzioni, che comunque riesce ad eludere, e guardi con interesse agli effetti delle sanzioni “secondarie”. India e Cina ne dovrebbero essere i principali destinatari ma non meno importanti sono i paesi con i quali la Russia ha stretto o rinsaldato i rapporti nonostante o proprio grazie alla guerra. Sono paesi che importano e pagano profumatamente i prodotti europei, sono esportatori di risorse e sono paesi attivi nella ricerca di un nuovo ordine globale multilaterale. Le sanzioni su di loro, oltre ad essere aggirabili o ininfluenti, sono cariche di effetti boomerang proprio ai danni dell’Europa. Con intima soddisfazione anche degli americani. Infine, le manovre ipocritamente dilatorie dell’Europa per guadagnare tempo si scontrano con una realtà diversa: il tempo non gioca a favore di nessuno. Trenta giorni servono a poco e già si pensa a un rinnovo periodico e indefinito delle tregue per assicurare quei 5 anni di preparazione alla guerra preventivati dall’Europa. Ma cinque anni sono troppi per garantire la sorpresa di quell’attacco preventivo e risolutivo. La Russia non può concedere tempo ed essa stessa è soggetta alle pressioni americane per regalare un successo qualsiasi a Trump e al proprio interno che chiede maggiore fermezza e intransigenza. Il partito dei cosiddetti falchi sta acquisendo consensi e i vertici militari russi stanno facendo di tutto per dimostrare che la questione ucraina non è risolvibile con il negoziato, ma con le armi. Insistono sul fatto che la fascia di sicurezza, demilitarizzazione e denazificazione che la Russia chiede e che l’Europa nega potrà essere acquisita con la forza, ma senza perdere altro tempo. In Europa vige la stessa convinzione nei riguardi della sconfitta russa, ma mancano risorse e tempo. Intanto l’agitazione bellicista europea favorisce i soli interessi delle lobby politico-industriali del breve periodo e accelera la degenerazione e l’ampliamento del conflitto, il quale a sua volta è destinato a polverizzare le risorse umane e materiali e i sogni europei di prosperità per decenni a venire.

(*)Fabio Mini è un militare e saggista italiano, già comandante NATO della missione KFOR in Kosovo dal 2002 al 2003. Wikipedia

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giovedì 26 marzo 2020

L’Armata Rossa ci invade e non so cosa mettermi. - Marco Travaglio – IFQ- 26 marzo 2020



Prima o poi doveva capitare, ed è capitato: i cosacchi dell’Armata rossa che abbeverano i cavalli alle fontane di San Pietro. Ora non sono più soltanto Nostradamus e la propaganda anticomunista degli anni 50 a dirlo. Lo dice anche La Stampa con uno scoop mondiale che, va detto, avrebbe meritato spazi un po’ meno esigui di un pezzulletto in basso a pagina 6. Ma, si sa, l’occhiuta censura filorussa arriva dappertutto, anche alla corte degli Elkann. Dunque è successo questo: “Sabato scorso è avvenuta una lunga telefonata tra Conte e Putin”, cosa già di per sé grave. “Putin si è impegnato ad aiutare l’Italia nella battaglia al Coronavirus”, fatto quantomai inquietante. “E domenica sera, all’aeroporto militare di Pratica di Mare, sono arrivati 9 aerei Ilyushin con forniture russe e 100 specialisti nella guerra batteriologica”, il che aggiunge orrore all’orrore. Ma non è finita: “Gli esperti mandati da Mosca sono medici militari”, quindi – per quanto la cosa possa sorprendere – fanno “capo al ministero della Difesa russo, non a quello della Sanità”. Non solo: hanno – lo direste mai? – “i gradi di generali, colonnelli, maggiori, tenenti colonnelli” e non si esclude la presenza di qualche maresciallo.
Ora tenetevi forte, perché arriva la botta finale: essi non restano fermi lì a Pratica di Mare, che so, per visitare l’aeroporto o a fare una gita nella vicina ridente Pomezia. No, essi “si muovevano”. E, quel che è peggio, trattandosi di militari, “con mezzi militari”. Non so se mi spiego: “Da Roma in direzione Bergamo, per 600 km, in territorio italiano” (si era anche pensato di imbarcarli nel mar Tirreno verso la Francia su un cargo battente bandiera liberiana e andarli a prendere a Marsiglia, ma poi si è soprasseduto). Il tutto “con la benedizione di Palazzo Chigi”, e ho detto tutto. A questo punto diventa retorico il terrificante interrogativo “chi ha dato indicazione di aprire l’aeroporto di Pratica di Mare?”, perché ci pare di conoscerne vagamente la risposta: Conte, l’uomo che solo tre mesi fa i giornaloni accusavano di averci venduto a Trump in cambio del tweet pro Giuseppi (come presto si sarebbe incaricato di dimostrare per tabulas il famoso “rapporto Barr”, poi purtroppo andato perduto) e che ora, con quella telefonata a Putin, ci ha venduti alla Russia. Il segugio de La Stampa, pur confinato a pag. 6 in basso a sinistra, non ha dubbi: “Tra quelle forniture russe l’80% è totalmente inutile, o poco utile all’Italia. Insomma poco più di un pretesto”. Per fare che? Mettetevi comodi, perché certe notizie è meglio riceverle da seduti.
“Putin ha visto nel Coronavirus un’opportunità per incunearsi anche fisicamente nel teatro italiano e al premier italiano non è dispiaciuto puntellarsi, in questa difficile crisi, accettando tutto ciò pur di consolidare un’ottima relazione personale con la sponda politica di Mosca”. I due s’illudevano di passare inosservati, ma all’astuto ghostbuster stampista non la si fa, infatti li ha subito sgamati nell’atto di “incunearsi anche fisicamente nel teatro italiano” (probabilmente l’Ambra Jovinelli) l’uno e di “puntellarsi con la sponda di Mosca” l’altro (che, godendo solo dell’84% dei consensi, si sente deboluccio). Il piccolo Le Carré de noantri, del resto, non è nuovo agli scoop spionistici. Era già suo quello su una famigerata Mata Hari grillina al soldo di Casaleggio e Putin camuffata dietro l’insospettabile nickname “Beatrice Di Maio”, che poi altri scoprirono essere la moglie di Brunetta. E anche quello che smascherò uno dei più insidiosi fabbricanti di fake news al servizio dei gialloverdi, Marco Mignogna da Afragola, di cui ebbe a scrivere: “L’abbiamo contattato e non ci ha risposto. Dice di lavorare in modo non ufficiale” (in pratica non rispondeva, ma diceva). Qui però, se possibile, la spy story è ancor più scottante, come dimostrano gli interrogativi che il nostro volpone butta lì un po’ a casaccio, come la punteggiatura: “quali forniture esattamente ci hanno spedito i russi, e a che prezzo?”, “quanto sono state pagate?”.
Arcuri fa sapere che è tutto gratis, “regalo di generosità di Putin all’Italia”. Ma non la racconta giusta: “La generosità porta con sé un prezzo alto: uomini della Difesa russa in giro liberamente sul territorio italiano, a pochi passi dalle basi Nato”. E Conte che fa? Invece di farli arrestare e fucilare, non solo ne accetta gli aiuti, ma manda i putribondi figuri addirittura a Bergamo, dove rischiano di fare comunella con altri emissari travestiti da medici di altre due dittature comuniste: Cina e Cuba. Il tutto non certo perché l’Italia abbia bisogno di medici e materiali sanitari, ma perché questo si puntella e quell’altro si incunea. Infatti La Stampa titola: “La telefonata Conte-Putin agita il governo: ‘Altro che aiuti, arrivano militari russi’”. Ora nei palazzi che contano a Roma non si parlava d’altro e stanotte i ministri hanno dormito fuori casa, per precauzione. Tutti a domandarsi chi abbia imbeccato il segugio, alzando il velo sulla colonna di tank dell’Armata Rossa che scorrazza per l’Italia insidiando le basi Nato col “pretesto” di portare medici e aiuti e approfittando della quarantena che tiene lontani gli sguardi indiscreti e rende spedito il traffico sul Grande raccordo anulare. Insomma, chi abbia svelato che l’invasione russa, vagheggiata invano per decenni da Stalin, Kruscev e Breznev, è in pieno corso ora, tra il lusco e il brusco, a opera di Putin e della sua quinta colonna a Palazzo Chigi. Il ghostbuster cita “fonti politiche di alto livello” e, visti i precedenti, c’è da credergli. Resta da capire se si tratti della moglie di Brunetta travestita da cugina di Di Maio o di Marco Mignogna, l’afono parlante. Ma soprattutto se sia poi vero che il coronavirus non attacca le funzioni mentali.

martedì 2 aprile 2019

UN ESPRESSO AVVELENATO. - Gianluca Ferrara

Nessuna descrizione della foto disponibile.

In un articolo di questa settimana “L’espresso” ha definito noi parlamentari del Movimento Cinque Stelle: “incapaci”, “umiliati”, “vessati”, “palude”, “gregge fantozziano”, “anime morte”. 
Un attacco durissimo. In realtà, tale virulenza è solo l’ultimo rantolo di un giornalismo servizievole, ma morente, senza più alcuna dignità avvinto ai partiti e ai loro padroni. 
Eppure in un tempo non molto lontano questa testata ha prodotto inchieste davvero interessanti, prima di divenire strumento asservito a quel sistema che vede nel M5S un pericolo mortale. 
E’ evidente che noi siamo l’unica forza politica davvero innovativa, l’unica realtà in grado di sovvertire certe dinamiche consolidate da anni da quella miscela inquietante di massoneria, mafia, potentati economici finanziari e servizi segreti stranieri, falsamente divisi in destra e sinistra. Commetteremo degli errori, ma noi le mani le abbiamo pulite e libere.
Scrivo questa breve riflessione pensando ai miei colleghi del Senato che sento più come familiari che donne e uomini con cui condivido un’esperienza lavorativa così intensa e importante. Persone meravigliose che hanno messo da parte la loro professione e le loro famiglie per servire il Paese attraverso questo strumento a servizio dei cittadini che è il M5s.
A differenza delle menzogne veicolate nell’articolo dell’Espresso che ci descrive come dei trogloditi, il nostro gruppo parlamentare ha il più alto numero di laureati, il “problema” è che siamo stati scelti non da segretari di partito ma dai nostri iscritti. Il nostro “difetto” è che non abbiamo, prima delle elezioni, dovuto stipulare un contratto con cui ci impegnavamo a versare, in caso di elezione, alcune decine di migliaia di euro al proprio partito. Perchè i valenti giornalisti dell’Espresso non fanno un’inchiesta su questa forma di tangente? 
Perchè non hanno scritto che dall’inizio della nostra esperienza parlamentare tagliandoci lo stipendio abbiamo versato quasi 100 milioni di euro al fondo del microcredito che ha generato 16.000 posti di lavoro? Perché, invece, non hanno ricordato, che personaggi quali Matteo Renzi (tanto apprezzati dalla proprietà dell’Espresso) non ci viene quasi mai in quel Senato della Repubblica che voleva abrogare? E’ noto che Renzi è dedito a viaggiare in giro per il mondo tenendo conferenze a pagamento come ex presidente del Consiglio. Eppure io che ho circa il 99% delle presenze il signor Renzi, non l'ho quasi mai visti seduto negli scranni del Senato. 
Renzi e tanti altri lo stipendio lo incassano integralmente, noi “onorevoli nessuno” lo condividiamo con chi vuole creare un’attività o con i colpiti da alluvioni.
Mi sembra inaccettabile che siano scritte certe falsità, offese da giornalisti che ricevano finanziamenti pagati anche da quegli 11 milioni di italiani che ci hanno votato alle elezioni. L’Espresso (ma anche Repubblica entrambi del Gruppo Editoriale Gedi) se ne facesse una ragione serve molto di più per fermarci, perchè “è difficile vincere contro chi non si arrende mai”.


(Gianluca Ferrara - portavoce M5S in Senato, laureato in Scienze politiche.)

https://www.facebook.com/Gianluca.Ferrara.Saggista/photos/a.360932784031626/1415864211871806/?type=3&theater

Leggi anche l'articolo di "L'Espresso" di Repubblica.it:

http://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2019/04/01/news/m5s-onorevole-nessuno-gaffe-1.333135?ref=HEF_RULLO

sabato 12 gennaio 2013

Travaglio querela Berlusconi per la lettera da Santoro: ecco le “12 balle blu”.

Berlusconi caccia Travaglio dalla sua sedia durante Servizio pubblico

ROMA - Marco Travaglio querelerà Silvio Berlusconi per le affermazioni contenute nella lettera letta da Silvio Berlusconi nell'ultima puntata di Servizio pubblico. Il giornalista in particolare contesta l'espressione «Travaglio è un diffamatore di professione: ha dieci condanne per diffamazione», in un articolo in cui enumera le «12 balle blu» del Cavaliere.

La replica. «Il sottoscritto - scrive Travaglio -, in 30 anni di attività, su 30 libri, 30 mila articoli, centinaia di trasmissioni televisive e online, è stato denunciato circa 300 volte in sede civile e penale. In sede civile ha perso alcune cause, pagando il risarcimento del danno, mai per avere scritto il falso, ma perlopiù per casi di omonimia o per critiche ritenute eccessive o per fatti veri mal compresi dal giudice o mal dimostrati dalla difesa. In sede penale, non ha mai riportato una sola condanna definitiva per il reato di diffamazione». 

La precisazione. «Quella citata da Berlusconi nella letterina scrittagli dal suo staff - prosegue il giornalista - scopiazzando da Wikipedia non è né definitiva né caduta in prescrizione: si tratta di una condanna penale in appello a risarcire Previti con una multa di 1.000 euro (per un articolo pubblicato sull'Espresso e uscito monco a causa di un taglio redazionale), su cui pende il mio ricorso in Cassazione senza che nessuno abbia dichiarato la prescrizione del reato».


http://www.ilmessaggero.it/primopiano/politica/travaglio_querela_berlusconi_lettera_santoro_diffamatore_professione_condanne_penali_civili/notizie/243878.shtml