Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
giovedì 3 dicembre 2015
Crimini e misfatti: la Turchia di Erdogan. - Angelo d’Orsi
Ciò che sta accadendo in Turchia ci riguarda molto da vicino.
Un tiranno, Recep Tayyip Erdogan, non un semplice dittatore, bensì una sorta di satrapo ha il potere, tutto il potere nelle sue mani avide, sue e dei familiari, a cominciare dal figlio Ahmet, coinvolto in molti loschissimi affari. Egli ha creato un vero e proprio modello politico, secondo qualche analista: l'erdoganismo, che appare una sorta di bismarckismo iperautoritario, che prova a giocare sull'inclusione delle masse e sulla messa fuori gioco, con qualsiasi mezzo, di ogni forma non solo di opposizione, ma di dissenso.
Le ultime elezioni, di cui la nostra ineffabile signora Mogherini ha certificato la democraticità, sono state stravinte da Erdogan, grazie alle azioni terroristiche contro le opposizioni: la strage dei giovani che marciavano per la pace ad Ankara del 9 ottobre scorso, con 95 morti, e centinaia di feriti, è un esempio mostruoso; saranno stati anche i kamikaze, ma come si sono comportate le autorità? Quali misure prima e dopo hanno preso? La polizia addirittura impediva i soccorsi, e aggrediva i superstiti. Le vittime sono diventate imputati, in sostanza, come in altri episodi assai meno gravi ma diffusi, sotto la tirannia di Erdogan: dopo l’attentato, costui ebbe l’insolenza di dichiarare che si trattava di un atto “contro l’unità del Paese”, lo stesso stucchevole, ma pericolosissimo, ritornello usato contro i partiti curdi.
Tutto, in un clima di crescente intolleranza verso chi la pensava diversamente dal capo, verso magistrati che si permettevano di mettere il naso negli affari di famiglia, verso alti militari giudicati pericolosi per il potere del capo, e così via. Impressionante, la serie di chiusure di giornali e di siti internet, gli arresti e le pesanti condanne detentive di giornalisti, le intimidazioni d'ogni genere verso chi non è del partito del capo o verso chi si azzarda a esprimere, anche in modo sommesso, una critica: di questo passo in Turchia, la Turchia che vorrebbe aderire all’UE, neppure lo ius murmurandi sarà più concesso. L’attentato contro il corteo di giovani che chiedevano la pace, ossia la fine delle azioni militari del governo contro i curdi, essenzialmente, fu un episodio che colpì enormemente l’opinione pubblica internazionale, in qualche modo evocatore della strage dei giovani socialisti norvegesi da parte del neonazista Andres Breivik, nell’estate 2011.
Ma quali furono gli atti della “comunità internazionale” volti a chiedere conto dell’accaduto a Erdogan e al suo governo? E che dire della brutale eliminazione, degna di un poliziesco, della giornalista e attivista britannica Jacky Sutton, all’interno dell’aeroporto Ataturk di Istanbul? Con tanto di suicidio inscenato, per impiccagione, nella toilette… La Sutton indagava sui possibili nessi tra governo turco e Is, guarda caso. Anche in questo caso non risultano inchieste serie all’interno, né proteste “vigorose” della solita comunità internazionale, a cominciare da quella europea. Ogni volta, insomma, Erdogan alza l’asticella, e ogni volta, regolarmente, incontra acquiescenza, connivenza, al massimo imbarazzati silenzi.
E stupisce anche l’assenza della stampa di inchiesta su un caso che, anche con lo sguardo cinico del professionista della comunicazione, è dannatamente “interessante”. E il rullo compressore erdoganiano procede, schiacciando tutto ciò che incontra sul proprio cammino.
Nel disegno politico di colui che si considera il nuovo Ataturk, Racep Erdogan appunto, la "sua" Turchia – sua in senso proprio, proprietario, si direbbe – deve diventare potenza egemone nell'area mediorientale, per poi sedere al banchetto dei "grandi", forte di un esercito potentissimo, e di una crescita economica che finora ha sostenuto le sorti governative; finora, ma le cose stanno cambiando.
Per raggiungere lo scopo, Erdogan non ha esitato a stabilire rapporti, più o meno coperti, con Daesh, mentre conservava e rafforzava i suoi legami con Usa e Nato: non buoni invece quelli con l'Unione Europea, che stenta ad accogliere uno Stato come questo nel suo seno (con notevole ipocrisia, d'altronde). E, soprattutto, Erdogan, con straordinario cinismo, stabilisce e rompe intese ed alleanze: il suo attacco alla Russia (l'abbattimento di un aereo della Federazione impegnato in azioni contro l’Isis è stata una dichiarazione di guerra, evidentemente compiuta con l'assenso della Nato e degli Usa) e l'eliminazione dell'avvocato Tahir Elci, uno dei più noti difensori della causa del popolo curdo, è stata un'altra dichiarazione di guerra, contro un intero popolo, la cui esistenza in Turchia neppure viene riconosciuta (i curdi sono chiamati "turchi del Nord"!). Un vero e proprio "caso Matteotti" in salsa turca.
Ci si sarebbe aspettato una generale levata di scudi, specie dopo aver visionato il video dell’azione: gli assassini scappano verso gli agenti di polizia che sparano verso di loro senza mai colpirli, al punto che vien da pensare che le loro armi fossero caricate a salve. “L’uccisione rimarrà un mistero”, si è subito bofonchiato. Lo rimarrà perché le autorità vogliono che nulla trapeli della verità, perché esse sono implicate direttamente nell’omicidio, che con la solita faccia tosta Erdogan ha attribuito al PKK ossia il partito curdo di sinistra estrema, che Elci difendeva sia in tribunale, nelle tante cause in corso, sia nelle pubbliche occasioni, in una delle quali era egli stesso incappato nell’accusa di tradimento e quant’altro, ed era stato arrestato. Ma un altro video è da guardare, con estrema attenzione, quello dei suoi funerali. Esso costituisce un bellissimo quanto dolente omaggio al combattente caduto, che è anche una dimostrazione di coraggio per chi vi ha partecipato, e una lezione per chi, nelle nostre tepide case, lo guarda, ammirato della sua grandiosa semplicità, e della sua forza.
Ma il potere di Erdogan e del suo cerchio magico non si lascia condizionare, come non lo aveva smosso l'ondata di proteste dello scorso anno di piazza Taksim in difesa del Gezi Park, ma in realtà di quel poco di libertà che ancora rimaneva nel Paese. Proteste represse, come le precedenti e le successive, con durezza estrema dalla polizia: feriti, morti, e centinaia di arresti.
Tutto ciò, ribadisco, nella silenziosa acquiescenza delle "democrazie occidentali", che si stanno rendendo complici del tiranno. L'odio per i "comunisti" (del PKK), da un canto, la russofobia dall'altro giocano sempre un ruolo importante. La democratica Europa tace. La democratica Italia, balbetta. I democraticissimi Stati Uniti, invece, si schierano a fianco del tiranno. E così costui, nel suo megagalattico palazzo presidenziale da 1200 stanze - il più gigantesco del mondo - una reggia fortificata, per giunta edificata in zona vietata (il diritto che nasce dalla forza, non viceversa...), sogna come Il Grande Dittatore, aggirandosi per saloni, corridoi, scale, parco... Sogna di avere, nelle sue avide mani adunche prima il Medio Oriente, e poi?
La sua corsa tuttavia rischia di fargli fare passi falsi: colpire con un missile un aereo russo è stato un gesto a dir poco spregiudicato, volto a far schierare tutto l’Occidente al suo fianco, in nome dell’antica paura e odio per i russi; l’arroganza con cui Erdogan ha, con toni truculenti, rivendicato il “diritto” della Turchia a “difendere i propri confini”, perché un aereo che in teoria combatte dalla stessa parte turca contro l’Is, aveva sconfinato (per 27 secondi, ossia, 2,7 km), è apparso quasi grave quanto quel missile. Ma quando preso ormai da una sorta di delirio di onnipotenza, Erdogan ha sentenziato: “La Russia scherza col fuoco”, allora l’inquietudine è cresciuta. Non v’è dubbio che oggi, vi sia un solo soggetto politico-militare che possa fermare Erdogan: la Federazione Russa di Vladimir Putin: piaccia o non piaccia. Così come è chiaro che soltanto la Russia oggi sta combattendo l’Is, seriamente, al di là delle motivazioni, e che solo la Russia può impedire alla Turchia di impadronirsi di un quarto del territorio siriano, di un quinto di quello iracheno e così via. Solo la Russia, in definitiva, può impedire la terza guerra mondiale, verso la quale, invece, la Turchia di Erdogan sembra voler trascinare il mondo.
http://temi.repubblica.it/micromega-online/crimini-e-misfatti-la-turchia-di-erdogan/
Energia: petrolio e carbone, fonti in discesa. Ora il mondo si libera dei suoi killer. - Maurizio Ricci.
Siamo diventati più efficienti, quindi ne consumiamo meno. E quella che usiamo viene da fonti alternative.
UNO: avete messo i doppi vetri alle finestre.
Due: la vostra auto è una Euro6.
Tre: quando andate al mare notate che la campagna è piena di file di pannelli solari. Adesso, fate uno più due più tre. Risultato: 45 dollari, quanto costa oggi un barile di petrolio. Spiccioli, rispetto a quanto costava poco più di un anno e mezzo fa. Ma la notizia importante è che il prezzo è crollato perché è caduta la domanda. Siamo diventati più efficienti a consumare l'energia, quindi ne consumiamo meno e quella che consumiamo viene da fonti alternative. Sembrava una scommessa azzardata, e invece no. Quello che gli esperti stanno raccontando in questi mesi — alcuni a bocca storta, altri con sollievo — è che stiamo assistendo al crepuscolo del petrolio e del carbone. Siamo solo all'inizio e non sarà un processo breve. Anzi, sono in tanti, nei corridoi della conferenza sul clima di Parigi, a dire che arriva troppo tardi. Però, arriva. Dieci anni fa pensavamo che il tramonto del petrolio sarebbe arrivato perché erano finite le riserve e ci saremmo disputati il poco rimasto. Invece, è il contrario: ce n'è troppo. In questo momento, ci sono 100 milioni di barili (l'equivalente di un giorno intero di consumi mondiali) stivati nelle petroliere ormeggiate al largo, perché a terra non c'è più spazio nei depositi. Non sappiamo che farcene.
Per le sostanze che hanno avviato e alimentato due secoli di rivoluzione industriale è una situazione inedita. Chi racconta meglio la svolta è l'ultimo rapporto della Iea, l'agenzia dell'Ocse, cioè i paesi ricchi, che si occupa di energia. Spiega che c'è una transizione epocale in corso, che si appoggia su due fattori. Si è esaurita la singola spinta alla domanda di energia più esplosiva della storia recente, perché si sta spegnendo la sete della Cina. Ma, contemporaneamente, cambiano anche gli strumenti. Il carbone, il combustibile più inquinante e anche quello che emette più CO2, oggi la prima fonte di elettricità, sta per perdere il suo predominio.
A prima vista, non si direbbe. L'India difende con i denti il suo diritto ad alimentare a carbone il suo sviluppo economico. La Cina sta facendo shopping di miniere nel mondo: ieri Xi Jinping ne ha, praticamente, comprata una in Zimbabwe. Gli ambientalisti di Climate Action Tracker hanno calcolato che, se tutti i progetti di costruzione di nuove centrali a carbone andassero in porto, l'obiettivo di contenere il riscaldamento mondiale a 2 gradi andrebbe, letteralmente, in fumo. Ma, se alziamo gli occhi e guardiamo un po' più in là, la prospettiva cambia. È improbabile che tutte quelle centrali vengano costruite davvero. I petrolieri hanno rotto i ponti con i loro colleghi del carbone. Giappone e Usa hanno tolto i sussidi all'esportazione. Banche, assicurazioni, fondi fuggono dagli investimenti in carbone come fosse la peste. Finanche una delle più grandi società minerarie al mondo gli ha girato le spalle. Anche se India e Cina insisteranno nell'energia a basso costo assicurata dal carbone, l'egemonia del combustibile più inquinante, globalmente, è finita. La Iea calcola che in 15 anni sarà scavalcato: le centrali a carbone saranno sempre di meno. E chi ne prenderà il posto? Le rinnovabili. Già oggi, una nuova centrale su due funziona con il sole, il vento, l'idroelettrico. Nel 2040, assicura la Iea, sarà la prima fonte di elettricità: il 50% del totale in Europa, il 30 in Cina e in Giappone, il 25 negli Usa.
Ma Re Petrolio? Sapevamo già che il carbone era una vittima designata, ma che ne sarà dell'oro nero? D'ora in avanti, calcola la Iea, la domanda mondiale di energia crescerà più o meno l'1 per cento l'anno: dal 1990 in poi, andavamo ad una velocità doppia. Merito dei miglioramenti nell'efficienza energetica. E, specificamente per il petrolio, aggiunge la Iea, il boom è finito. Da qui al 2020, sostiene il direttore esecutivo, Fatih Birol, la produzione di greggio aumenterà del 5 per cento. Poi, ci vorranno venti anni, fino al 2040, perché aumenti di un altro 5 per cento o poco più. Che succede? L'Occidente, i paesi ricchi dell'Ocse voltano le spalle all'oro nero. Da qui al 2040, America, Europa, Giappone ridurranno i consumi di 11 milioni di barili al giorno, l'equivalente di un quarto dei consumi attuali. Il problema è che quei barili ricompaiono nei consumi dei paesi emergenti, come Cina e India che ne utilizzeranno, appunto, 11 milioni in più. Saldo zero, insomma.
Al di là degli impegni presi da tutti per contenere le emissioni di CO2, dunque, il mondo appare ancora spaccato in due, fra paesi ricchi sempre più lontani dai combustibili fossili e paesi emergenti dove lo sviluppo è ancora intrecciato all'energia tradizionale. Ma qualcosa è cambiato in profondità. L'idea che non sia possibile immaginare un mondo prospero e capace di sviluppo, lontano dai combustibili fossili, non sta più in piedi. Il senso della storia che racconta la Iea è chiaro. Il mondo si sta liberando del petrolio. La svolta inizia nei paesi sviluppati, ma i paesi emergenti seguiranno, ancora una volta, il sentiero tracciato, con l'efficienza e le rinnovabili, da quelli che, oggi, sono più ricchi. E' solo questione di tempo.
Il problema è che il tempo è esattamente quello che non c'è. Ecco perché quella della Iea è, per ora, una storia confortante, ma non a lieto fine. I consumi di petrolio rallentano vistosamente, anche le emissioni proporzionalmente diminuiscono, rispetto all'uso di energia. Ma non basta. Nel 2040 centrali elettriche e automobili sputeranno comunque globalmente nell'atmosfera il 16 per cento di tonnellate di anidride carbonica in più, rispetto al 2013. Il mondo, dicono gli scienziati, non se lo può permettere. La battaglia per contenere l'uso dei combustibili fossili, contro interessi potenti e convinzioni radicate, resta difficile. Però, se la transizione alla nuova energia è già in corso, spingere in discesa è più facile.
http://www.repubblica.it/ambiente/2015/12/02/news/petrolio_e_carbone_fonti_in_discesa_ora_il_mondo_si_libera_dei_suoi_killer-128592752/
mercoledì 2 dicembre 2015
Vatileaks 2, Paolo Berlusconi indagato a Roma.
L'accusa, per i magistrati di Terni, è concussione. Ma i colleghi della capitale stanno prendendo in considerazione altre ipotesi di reato. Polemiche Pd sulla presenza della Chaouqui a "Ballarò"
ROMA - Paolo Berlusconi, è indagato dalla procura di Roma nell'ambito dell'inchiesta che coinvolge la pr Francesca Immacolata Chaouqui e il marito Corrado Lanino. Berlusconi è indagato per concussione: la sua iscrizione è un atto dovuto in base alle carte giunte dalla Procura di Terni sulla compravendita del castello di San Girolamo a Narni. I magistrati della Procura di Roma, tuttavia, non sono del tutto convinti di quanto sostenuto dalla collega di Terni e per questo hanno preso in considerazione altre ipotesi di reato, come quella del millantato credito, in cui Paolo Berlusconi figurerebbe come vittima della minaccia.
Tutto è legato a quelle numerose conversazioni telefoniche (intercettate) della Chaouqui con l'editore, oltre che con esponenti della politica, dell'imprenditoria e della curia, e i pm di Roma. I pm le stanno leggendo e ascoltando per capire se possano configurarsi i reati di estorsione o minaccia. Non è escluso, poi, che i diretti protagonisti della vicenda possano essere convocati. Quanto a Silvio Berlusconi, non ci sono accertamenti a suo carico a piazzale Clodio.
LA VERSIONE DELLA CHAOUQUI SU FACEBOOK
Già nelle scorse settimane era emersa la notizia di telefonate tra Chaouqui e Paolo Berlusconi, in cui la pr si lamentava degli articoli di Fabio Marchese Ragona, il vaticanista del giornale di famiglia. Arrivò a chiedere di non farlo più scrivere e in effetti il giornalista per un periodo non si occupò più di vicende vaticane. La consulente vaticana avrebbe minacciato il fratello dell'ex Cavaliere di far uscire notizie riservate su alcuni conti dello Ior. Del legame con Paolo Berlusconi ha parlato anche monsignor Balda nel memoriale consegnato al suo avvocato.
Proprio il memoriale consegnato da monsignor Balda ha spostato l'attenzione su due nuovi cardinali vittime, secondo il prelato dell'Opus Dei, della stessa Chaouqui, "una donna che entrambi hanno frequentato troppo". Balda sostiene di aver vissuto quotidianamente con la paura del "ricatto d'amore" dopo la notte trascorsa insieme alla Chaouqui a Firenze il 28 dicembre 2014. La pr, dal canto suo, ha parlato della presunta omosessualità di Balda, negando tutte le accuse a lei rivolte dal monsignore. Che però insiste: "A me piacciono le donne e di Francesca mi ero innamorato. Oggi me ne pento profondamente".
Intanto proprio l'annunciata presenza della Chaouqui a Ballarò ha acceso una aspra polemica tra il Pd e la trasmissione condotta da Massimo Giannini. Nella puntata di stasera è infatti prevista una intervista alla pr: "E' opportuno che la lobbista Francesca Chaouqui, coinvolta in indagini non soltanto in Vaticano ma anche della procura di Roma, venga intervistata in diretta e senza controparte, in prima serata in una rete del servizio pubblico come Raitre, nel pieno delle indagini, tuttora in corso? Quale è l'idea editoriale dietro ad un'operazione del genere della trasmissione ballarò?", ha domandato in una dchiarazione la responsabile cultura della segreteria Pd Lorenza Bonaccorsi, parlamentare della Commissione di Vigilanza Rai.
"Sarebbe poco comprensibile se il servizio pubblico corresse il rischio di divenire la tribuna per veleni e accuse in diretta tv, che non avrebbero nulla a che fare con l'informazione", ha concluso la Bonaccorsi.
http://www.repubblica.it/vaticano/2015/12/01/news/vatileaks_2_indagato_paolo_berlusconi-128559134/
Vatileaks 2: «Così Francesca Chaouqui ricattava i Berlusconi» - Fiorenza Sarzanini
L’ex funzionaria del Vaticano è indagata con il marito per induzione alla concussione. Le accuse dei pm: minacciava di far accogliere le richieste di rogatoria nei confronti dell’ex premier.
Avrebbe utilizzato ogni mezzo, qualsiasi notizia appresa in Vaticano per minacciare e ricattare le persone. E per rendere ancora più efficaci gli avvertimenti, Francesca Chaouqui avrebbe fatto valere proprio il ruolo di componente della Cosea, la Commissione della Santa Sede per gli affari economici, affidatole direttamente da papa Francesco. Lo fece anche con i fratelli Paolo e Silvio Berlusconi, parlando direttamente con l’editore de Il Giornale . Lo avvisò che avrebbe fatto in modo di far accogliere le richieste di rogatoria presentate dalla magistratura nei confronti dell’ex Cavaliere e reso noto il contenuto delle istanze, se non fossero stati esauditi i suoi desideri. Per questo è adesso indagata insieme con il marito Corrado Lanino per induzione alla concussione e intrusione informatica dalla procura di Roma.
I computer spiati.
L’indagine sui «corvi» del Vaticano si arricchisce di nuovi e inquietanti capitoli. Nel fascicolo trasmesso dai pubblici ministeri di Terni ai colleghi della capitale ci sono infatti numerosi episodi e una lunga lista di indagati che comprende, tra gli altri, Mario Benotti, funzionario di palazzo Chigi (che ha rinunciato all’incarico di capo della segreteria del sottosegretario Sandro Gozi) accusato di intrusione informatica ed estorsione proprio per avere sollecitato la coppia a ottenere informazioni sull’ex marito della sua convivente effettuando accessi abusivi nei suoi computer. Tutti protagonisti di un vorticoso giro di ricatti che sarebbe stato messo in moto proprio dalla Chaouqui nel 2013, poco dopo essere riuscita a ottenere quel posto di massimo rilievo e visibilità.
Le verifiche affidate alla squadra mobile e al Nucleo valutario della Guardia di Finanza riguardavano il dissesto della Curia ternana e il ruolo dell’allora vescovo monsignor Vincenzo Paglia e dei suoi collaboratori. Ascoltando le loro conversazioni emerge la figura di Chaouqui che si propose al prelato sostenendo di poter trovare i soldi per sanare i bilanci anche grazie ai rapporti mantenuti con i suoi vecchi datori di lavoro della Ernst & Young. Gli inquirenti ritengono necessario approfondire il suo ruolo e ordinano di mettere sotto controllo anche le sue utenze. Si scopre così che ha contatti di altissimo livello. Parla con politici, imprenditori, prelati. Mostra di poter influire su numerose istituzioni. Ma gli accertamenti affidati agli specialisti di polizia e fiamme gialle svelano la sua trama.
Le verifiche affidate alla squadra mobile e al Nucleo valutario della Guardia di Finanza riguardavano il dissesto della Curia ternana e il ruolo dell’allora vescovo monsignor Vincenzo Paglia e dei suoi collaboratori. Ascoltando le loro conversazioni emerge la figura di Chaouqui che si propose al prelato sostenendo di poter trovare i soldi per sanare i bilanci anche grazie ai rapporti mantenuti con i suoi vecchi datori di lavoro della Ernst & Young. Gli inquirenti ritengono necessario approfondire il suo ruolo e ordinano di mettere sotto controllo anche le sue utenze. Si scopre così che ha contatti di altissimo livello. Parla con politici, imprenditori, prelati. Mostra di poter influire su numerose istituzioni. Ma gli accertamenti affidati agli specialisti di polizia e fiamme gialle svelano la sua trama.
«No al vaticanista»
La donna dialoga spesso al telefono con Paolo Berlusconi, si lamenta per alcuni articoli, arriva a chiedere che Fabio Marchese Ragona, il vaticanista del quotidiano di famiglia, non scriva più. Chiede di parlare anche con il direttore Alessandro Sallusti, cerca di convincerli. E quando capisce che forse non riuscirà a ottenere il risultato, passa alle maniere forti. Comincia a parlare di istanze di rogatorie giunte in Vaticano che riguardano gli affari di Silvio Berlusconi. Assicura di avere il potere per concedere l’assistenza giudiziaria ai magistrati. Poi va oltre, minaccia di rendere noto il contenuto dei documenti. Il pubblico ministero Elisabetta Massini le contesta il reato di estorsione. Ma qualche settimana fa, quando decide di trasmettere il fascicolo a Roma per competenza, cambia l’ipotesi accusatoria in induzione alla concussione. Ritiene infatti che nel suo ruolo di componente della Cosea, Chaouqui abbia veste di pubblico ufficiale. E dunque iscrive nel registro degli indagati anche Paolo Berlusconi, perché non avrebbe denunciato il ricatto.
In realtà è un’impostazione che i pm romani sembrano non condividere, visto che i funzionari della Santa Sede non possono essere equiparati tutti ai diplomatici. E soprattutto ritenendo la famiglia Berlusconi vittima della minaccia. L’esame del fascicolo è tuttora in corso visto che contiene decine e decine di intercettazioni. Alla fine saranno interrogati tutti i protagonisti, compresa la Chaouqui, che ieri ha fatto sapere di volersi presentare, e suo marito. Poi è possibile che si proceda con la richiesta di rinvio a giudizio. Ennesimo capitolo di una vicenda che imbarazza le gerarchie vaticane proprio per aver affidato alla donna un incarico tanto delicato e strategico.
martedì 1 dicembre 2015
Cos'è l'angioplastica con palloncino e stent?
L'impianto di stent viene utilizzato per il trattamento delle coronaropatie da oltre dieci anni; l'inserimento di tale dispositivo per garantire la pervietà delle arterie coronarie e consentire il normale flusso sanguigno in seguito a un'angioplastica rappresenta oggi una pratica comune.
L'impianto di stent è una procedura minimamente invasiva durante la quale uno stent e un palloncino vengono utilizzati in combinazione per comprimere i depositi a placca presenti all'interno dell'arteria coronaria e risolvere o alleviare così un problema cardiaco.
Uno stent coronarico è un tubicino espandibile con una struttura a rete metallica, in lega di cobalto o in acciaio di grado medicale. Gli stent possono essere di ausilio per ridurre l'ostruzione ricorrente o il restringimento del vaso in seguito a una procedura di angioplastica. Una volta impiantato, lo stent rimarrà permanentemente in sede.
La procedura di impianto di stent.
Come in una qualsiasi angioplastica, lo stent è montato su un palloncino che viene espanso all'interno dell'arteria coronaria per comprimere la placca e ripristinare il flusso sanguigno. Dopo avere compresso la placca contro la parete del vaso, lo stent viene portato alla massima espansione all'interno dell'arteria, dove si comporterà come un'"impalcatura" in miniatura. Il palloncino viene quindi sgonfiato e rimosso, lasciando però lo stent in sede affinché il vaso rimanga pervio.Per alcuni pazienti può essere necessario posizionare più di uno stent in funzione della lunghezza del tratto interessato dall'ostruzione.
L'impianto di stent presenta un vantaggio rispetto alla sola angioplastica, in quanto gli stent forniscono un supporto strutturale permanente che riduce le eventualità di un rirestringimento dell'arteria coronaria (fenomeno noto anche come restenosi), pur non potendo impedire del tutto il suo verificarsi.
Stent a rilascio di farmaco
Oltre a fornire supporto strutturale all'arteria coronaria, alcuni stent possiedono un rivestimento medicato che aiuta a prevenire la restenosi del vaso.
Sia gli stent in metallo nudo sia quelli a rilascio di farmaco si dimostrano efficaci nel ripristinare la pervietà delle arterie coronarie.
In alcuni rari casi, l'utilizzo di stent può dare luogo alla cosiddetta trombosi da stent, termine con il quale si definisce la formazione di un coagulo di sangue in seguito all'impianto di stent. In una piccola percentuale di pazienti con stent, la viscosità del sangue può aumentare favorendo l'aggregazione di cellule ematiche e la conseguente formazione di minute masse, o coaguli. Tali coaguli possono bloccare il flusso del sangue all'interno dell'arteria e causare un infarto cardiaco o addirittura la morte. La trombosi da stent può verificarsi sia nei pazienti con stent in metallo nudo sia in quelli con stent a rilascio di farmaco.
Per evitare spiacevoli complicanze è fondamentale seguire le raccomandazioni del cardiologo e assumere i farmaci anticoagulanti prescritti, o la doppia terapia antipiastrinica (acido acetilsalicilico con clopidogrel o ticlopidina). Altrettanto importante è non sospendere l'assunzione dei farmaci di propria iniziativa.
Leggi anche:
Ismett centro d’eccellenza siciliano. Premiato dal programma ‘Esiti’.
Risultato di eccellenza per ISMETT anche nell’edizione 2015 del Programma Nazionale Esiti (PNE), realizzato da Agenas fin dal 2010 per conto del Ministero della Salute. Il centro palermitano è ai vertici delle valutazioni fatte dall’Agenzia Nazionale per quanto riguarda l’indicatore che valuta la mortalità a 30 giorni per le procedure chirurgiche (cardiochirurgia, chirurgia addominale e chirurgia toracica).
L’ISMETT, infatti, si colloca ben al di sotto della media nazionale al primo posto fra le strutture che fanno parte del Servizio Sanitario Regionale Siciliano e fra le prime strutture in Italia. In particolar modo, ISMETT registra mortalità a 30 giorni dello 0% dopo un intervento di chirurgia per tumore al polmone, fegato e colon. Le medie nazionali sono rispettivamente di 1,3%; 2,65% e 4,07%. Nel caso di sostituzione di valvole cardiache, invece, la mortalità a 30 giorni in ISMETT è dello 0,93% contro una media nazionale del 2,84%.
“I risultati del nostro lavoro si confermano tra i migliori a livello nazionale ed internazionale e sono il prodotto dell’intensa collaborazione tra tutti i professionisti dell’istituto: medici, infermieri, tecnici e amministrativi – sottolinea Bruno Gridelli, Direttore di ISMETT – Le conoscenze e competenze che possiamo mettere a disposizione dei nostri pazienti si mantengono sempre ai livelli più alti grazie all’integrazione con UPMC. Il collegamento tra noi e i colleghi di Pittsburgh è un potente strumento di miglioramento continuo della qualità e efficienza del lavoro di ISMETT. Ci auguriamo che anche questi dati di Agenas vengano presi adeguatamente in considerazione in questa face di crescita dell’Istituto.”
ll Programma Nazionale Esiti esprime valutazioni comparative di efficacia, sicurezza, efficienza e qualità delle cure fornite dal servizio sanitario, utilizzando 146 indicatori (per questa edizione il numero di indicatori è salito, l’anno scorso erano 129), la fonte dei dati è rappresentata dai flussi informativi nazionali (Schede di dimissione ospedaliera – SDO aggiornate al 2014).
domenica 29 novembre 2015
Stella come il Sole divorata da un buco nero. - Enzo Vitale
Il fenomeno era già conosciuto, ma questa volta, la distruzione di una stella «divorata» da un buco nero, è stata anche osservata. E' accaduto che alcuni giorni fa un gruppo di ricercatori guidati dall'astrofisico Sjoert van Velzen della Johns Hopkins University, ha registrato con gli strumenti, il momento nel quale una piccola stella, più o meno delle dimensioni del nostro Sole, viene letteralmente divorata da un buco nero.
Il «mostro» in questione si trova al centro di una galassia situata a circa 300 milioni di anni luce da noi. L'evento ha poi dato origine alla formazione di un getto di materia che si è spostato a velocità prossima a quella della luce.
I risultati sono già stati riportati sulla rivista Science.
«Le nostre osservazioni hanno permesso di seguire la traiettoria della stella mentre si è spostata dalla sua orbita e che poi è stata catturata dalla gravità del buco nero supermassiccio», ha spiegato proprio van Velzen, aggiungendo che «Questi eventi sono estremamente rari».
«E’ la prima volta che assistiamo alle fasi principali che abbiamo potuto monitorare nel corso di diversi mesi, cioè dalla distruzione della stella alla formazione del getto relativistico».
http://www.ilmessaggero.it/tecnologia/scienza/spazio_stella_divorata_buco_nero-1389681.html
Iscriviti a:
Post (Atom)