venerdì 29 gennaio 2016

Inghilterra, il mistero del buco nell’acqua.



BUCHI NELL'ACQUA

Le affascinanti immagini dei canali di scolo della diga di Ladybower, che creano dei veri e propri "buchi" per far defluire l'acqua in eccesso...

L'inutile gennaio di Palazzo dei Normanni Cinque milioni spesi per tre ore di lavoro. - Accursio Sabella

, Politica

Nel primo mese dell'anno i deputati regionali si sono riuniti solo cinque volte. E quasi sempre le sedute sono durate meno di mezz'ora. In compenso, sono stati ovviamente erogati stipendi, indennità e compensi. Per produrre? Nulla. 

PALERMO - Tre ore di lavoro in un mese. In cambio, ecco 11.100 euro lordi per ogni deputato. Oltre, ovviamente, ai compensi per lo stuolo di consulenti, collaboratori, autisti. E senza contare le spese per un palazzo che negli ultimi trenta giorni è stato sostanzialmente inutile: utenze, spese varie, stipendi dei lavoratori.

Le tre ore di lavoro di gennaio a Palazzo dei Normanni sono costate ai siciliani la bellezza di cinque milioni. Tanto costa, al mese, l'Assemblea regionale. Se escludiamo dal conteggio spese come quelle riguardanti le pensioni, che poco hanno a che vedere con la produttività dell'Assemblea. Ma che porterebbero i costi a oltre dodici milioni al mese.

Ci siamo limitati, quindi, solo ai costi strettamente legati all'attività parlamentare. A cominciare, ovviamente, dalle indennità dei deputati. Questo inutile gennaio, infatti, l'Ars erogherà comunque circa un milione e mezzo agli onorevoli che di certo non si sono ammazzati di fatica. La spesa annua per gli stipendi dei deputati infatti è superiore ai 16 milioni di euro. Ma a questa, ovviamente, va aggiunta la spesa legata a tutto ciò che ruota attorno al parlamentare: personale di segreteria, consulenze, auto di servizio. In un anno all'Ars costano – i dati sono quelli dell'ultimo bilancio di previsione – 3,7 milioni di euro: in un mese, quindi, circa 300 mila euro. Ma insieme ai consulenti ecco i cosiddetti “portaborse” o, per meglio dire, i dipendenti dei gruppi parlamentari, la cui busta paga è garantita dalla voce “Contributi ai gruppi”: altri 6,2 milioni di euro, che in un mese fanno oltre mezzo milione.

Ma ovviamente, il silenzio di Sala d'Ercole non si traduce nella chiusura di un palazzo dove lavorano decine di dipendenti. Assolutamente “incolpevoli”, ovviamente, della inerzia dei politici. Gli stipendi dei dipendenti dell'Ars, però, la cui somma complessiva è notevolmente calata negli ultimi anni, costano ancora 26,7 milioni di euro l'anno. Più di due milioni al mese. Anche questo mese. Quello di gennaio in cui le sedute sono poche e – come vedremo – dalla brevità imbarazzante. Alle spese poi necessarie anche in questo mese di vacanza camuffata, ecco quelle riferibili al cerimoniale e all'attività istituzionale (2,5 milioni l'anno, quindi duecentomila euro al mese) e quella relativa alla manutenzione e alla fruizione di beni e servizi: altri 5,8 milioni annui, quindi quasi mezzo milione al mese.

Per un totale di circa cinque milioni di euro al mese. Tutte spese che l'Ars ha dovuto affrontare nonostante il risultato sia poco lusinghiero: a gennaio le sedute complessive dell'Aula saranno solo cinque. Nell'ultima, infatti, svolta martedì dopo quasi due settimane di “pausa di riflessione”, i parlamentari si sono dati appuntamento al due febbraio. E il numero delle sedute non rende nemmeno l'idea dell'immobilismo di Sala d'Ercole.

Così, è necessario entrare nel dettaglio. La seduta del sette gennaio, infatti, è durata, al netto delle pause, meno di un'ora. Una seduta-flash penserà qualcuno? No. Questa è la più lunga del mese. Le altre, infatti, raramente supereranno la mezz'ora. Il dodici gennaio, infatti, i deputati staranno tra gli scranni appena 25 minuti effettivi. È il caso di tralasciare, tra l'altro, il numero reale dei parlamentari in Aula. Un'Aula spesso vuota come una strada di periferia alle quattro del mattino. Il giorno dopo, si è fatto persino di meglio. I minuti stavolta sono ventiquattro. Del tutto inutili, tra l'altro, perché l'Aula, che avrebbe dovuto affrontare il tema di un disegno di legge rivolto ai lavoratori della Formazione, ha preso semplicemente atto dell'assenza del governo e ha rimandato tutto al giorno dopo. Quando invece la seduta toccherà la vertiginosa quota dei quarantaquattro minuti. Una maratona, insomma. Utile per vedere affossato dai franchi tiratori proprio quel disegno di legge.

Dopo quella faticata, il meritato riposo. L'Ars si è fermata per dodici giorni. “Un tempo utile per dare alle commissioni di merito il tempo di esaminare la legge Finanziaria”. Per carità. Peccato che dopo quei dodici giorni di studio matto e disperato, l'Assemblea si è accorta di aver concluso poco o nulla. Tanto è vero che la conferenza dei capigruppo convocata per martedì scorso, ha deciso l'arrivo della manovra a Sala d'Ercole solo per il 16 febbraio. Un mese e mezzo dopo l'approvazione dell'esercizio provvisorio. E a meno di due settimane dalla scadenza dello stesso. Una decisione, quella dei capigruppo, che è stata a quel punto ufficializzata in Aula. Poi, tutti a casa. Dopo 23 minuti. Appuntamento a febbraio. Per gennaio, in effeti, si è già fatto abbastanza.

Boschi, melina dell’anagrafe per fornire lo stato di famiglia della ministra. Per lei trattamento speciale nel governo. - Antonio Massari e Valeria Pacelli

Boschi, melina dell’anagrafe per fornire lo stato di famiglia della ministra. Per lei trattamento speciale nel governo

Quelli degli altri componenti dell'esecutivo, dal presidente del Consiglio Matteo Renzi al ministro Padoan, sono accessibili in tempo reale, basta compilare un modulo e pagare un bollo. Per Maria Elena e i suoi parenti invece servono imprecise autorizzazioni che la legge non prevede e l'ok del prefetto. Solo dopo la denuncia del Fatto Quotidiano gli atti sono diventati accessibili. Ecco il risultato delle nostre verifiche.

L’ufficiale di anagrafe rilascia a chiunque ne faccia richiesta, i certificati concernenti la residenza e lo stato di famiglia”. Trattasi di una norma ancora in vigore, che non prevede “autorizzazioni” e può essere limitata solo con “leggi speciali”, eppure, quando pronunciamo il nome di Pier Luigi Boschi all’ufficio anagrafe del Comune di Laterina (Arezzo), la vicenda si complica. L’imbarazzo delle impiegate prende la scena. Un imbarazzo comprensibile, poiché quel che avviene normalmente, per qualsiasi cittadino italiano, qui trova un’interessante eccezione: per ottenere lo stato di famiglia del signor Boschi, padre della ministra Maria Elena, ci dicono che bisogna scomodare la Prefettura e attendere imprecisate autorizzazioni.
Siamo qui, a Laterina, per provare a capire qualcosa in più sull’uomo che sta mettendo in imbarazzo il governo. Parliamo del signor Boschi già vicepresidente di Banca Etruriagià indagato e archiviato per una compravendita di terre e casali in provincia di Arezzofrequentatore di personaggi oscuri come FlavioCarboni. Vorremmo conoscere qualche elemento in più sulla sua storia, sui suoi parenti, considerate anche le indiscrezioni divulgate ieri da Aldo Giannuli, storico dei Servizi e delle più segrete vicende italiane, sospetta la frequentazione “organica” di tale Francesco Boschi, – che secondo Giannuli potrebbe essere parente di Pier Luigi e Maria Elena Boschi – con la P2 e Licio Gelli. E quando chiediamo all’impiegata di darci copia dello stato di famiglia, ecco la risposta: “Non sono certa di poterglielo rilasciare”. “Scusi”, ribattiamo, “ma se le chiedo lo stato di famiglia di qualcun altro, lei me lo dà?”. “Sì, anche in giornata”. “Quindi – continuiamo – questa regola vale solo per Boschi?”. “Sì”, replica l’impiegata sempre più paonazza.
“Abbiamo ricevuto una direttiva interna, con comunicazioni del prefetto di Arezzo, che non ci consente di rilasciare il documento immediatamente. Inoltriamo la sua richiesta, se avremo l’autorizzazione, la contatteremo per consegnarglielo; se le negheranno il documento, saranno tenuti a spiegarle il perché. Ora protocolliamo, poi le faremo sapere, non dipende da noi, se la risposta sarà negativa le comunicheremo il motivo. Per lo stato di famiglia del ministro sono state impartite queste direttive”. Ribattiamo per l’ultima volta: “Chiediamo lo stato di famiglia del padre della ministra, Pier Luigi, non del ministro”. “Fa lo stesso”, stringe le spalle l’impiegata.
Sorge il dubbio che la Prefettura abbia adottato una prassi a noi sconosciuta, che forse riguarda ogni ministro della Repubblica, così proviamo a verificare se esistano norme speciali che riguardano i ministri e i loro parenti.
Telefoniamo all’ufficio anagrafe di Agrigento, per chiedere se possiamo avere copia dello stato di famiglia di Angelino Alfano, ministro dell’Interno. “Ci invii una lettera con la richiesta e alleghi un suo documento d’identità, glielo spediamo appena possibile, oppure venga di persona con una marca da bollo da 16 euro e glielo consegniamo”, è la risposta dell’impiegato. Restrizioni? Direttive? Autorizzazioni? “Assolutamente no”, è la risposta. Proviamo con il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che risiede a Roma.
All’ufficio anagrafe di via Petroselli la faccenda si risolve in pochi minuti: compilato il modulo, pagati 16 euro in marca da bollo, lo stato di famiglia di Padoan ci viene consegnato all’istante. Telefoniamo all’ufficio anagrafe di Firenze e chiediamo se è possibile avere l’atto che certifica lo stato di famiglia del premier Matteo Renzi. L’unica condizione – ci spiegano – è che il presidente del Consiglio sia ancora residente a Firenze: possiamo richiedere l’atto “anche online”, se abbiamo la pazienza di aspettare un mese, altrimenti ce lo consegnano di persona, “allo sportello anagrafe”, come avviene per tutti i cittadini italiani. A eccezione, a quanto pare, di Maria Elena Boschi e famiglia.
L’impiegata di Laterina ci ha parlato di un “atto interno, dal prefetto a noi”, così contattiamo la Prefettura. “Non c’è alcuna direttiva del prefetto”, ci dicono, “la legge non ci consente di porre altri limiti, oltre quelli già previsti, quindi non esiste nessuna limitazione che riguardi Pier Luigi Boschi. Dopo la sua telefonata, piuttosto, siamo stati noi a contattare i vertici dell’amministrazione comunale, rimuovendo questo presunto e inesistente limite”. Insomma, la prefettura nega di aver emanato direttive che dispongano, per lo stato di famiglia Boschi, alcuna autorizzazione. Proviamo a ricontattare l’impiegata, per capire se la sua è stata un’iniziativa personale. “No”, ci assicura, “esiste una direttiva interna che ci impone, se qualcuno chiede un documento che riguarda la famiglia Boschi, di chiedere l’autorizzazione per rilasciarlo”.
Dobbiamo dedurne che si tratta di una direttiva comunale e non più prefettizia. L’impiegata ci richiama: “Il sindaco ci ha autorizzato, passi domani mattina”. Vedremo. Resta il fatto che, dopo un’intera giornata, il documento non l’abbiamo ancora ottenuto; che in tutta Italia – a meno di non chiamarsi Boschi – la legge non prevede alcun tipo di autorizzazione. E che inspiegabilmente, come ammette l’impiegata, “in un’altra occasione, il certificato della ministra, è stato negato”.
AGGIORNAMENTO
Ieri alle 11 del mattino il certificato viene consegnato. Non è più segretato. Lo stato di famiglia di Pier Luigi Boschi, padre del ministro Maria Elena, torna a essere un documento come gli altri, può essere rilasciato al pari di qualsiasi cittadino italiano, come impone la legge. Due giorni fa, al comune di Laterina, in provincia di Arezzo, gli impiegati avevano avanzato strane ragioni: “Dobbiamo attendere – diceva l’ufficiale dell’anagrafe – c’è un atto interno che mi blocca, un provvedimento nostro (del Comune, ndr) sul rilascio della certificazione del ministro, le faremo sapere se possiamo rilasciarlo, se mi dicono che non posso darglielo, le sarà spiegato ufficialmente il perché”. Ieri mattina tutto torna nella norma. Strano. Dal sindaco non arriva alcuna smentita sul nostro articolo e sulla segretazione che vi abbiamo raccontato. Il segretario comunale invece nega l’esistenza di alcun “provvedimento”. E così tutto ricade sull’ufficiale dell’anagrafe.
(articolo del 28 gennaio 2016, aggiornato il 29 gennaio) 

LE PIANTE OFFICINALI CHE POSSONO SOSTITUIRE PARACETAMOLO E IBUPROFENE. - Marta Albè

piante officinali paracetamolo ibuprofene

Nel mondo siamo ormai giunti ad un consumo eccessivo di farmaci che alleviano i sintomi in breve tempo e non ci permettono di andare alle radici della malattia. In alcune situazioni i farmaci sono indispensabili mentre in altri casi potrebbe essere utile riscoprire la medicina dolce e i rimedi naturali.
I farmaci più noti e utilizzati sono il paracetamolo e l’ibuprofene. Il paracetamolo viene utilizzato soprattutto per abbassare la febbre mentre l’ibuprofene è noto in particolare come antidolorifico e antinfiammatorio.
Proprio sintomi come febbre e dolore indicano che il nostro corpo sta attraversando un processo di guarigione. Ad esempio, è noto che la febbre è una risposta immunitaria naturale del nostro organismo contro i microbi che causano le malattie. Anche l’infiammazione e il dolore rappresentano reazioni naturali del nostro organismo rispetto ad un trauma.
Una sana alimentazione, l’idratazione corretta e l’utilizzo di rimedi naturali aiutano il nostro corpo a mantenersi in salute e a favorire il processo di guarigione. Alcune piante officinali hanno un effetto simile a quello dei medicinali più noti. Ve ne indichiamo alcune.

1) Zenzero

La scienza sta approfondendo sempre più i benefici dello zenzero. I ricercatori dell’Università di Odessa indicano che lo zenzero ha effetti anti-infiammatori superiori all’ibuprofene e ai farmaci non steroidei più utilizzati. Inoltre lo zenzero calma il vomito e il senso di nausea, ha una funzione antidolorifica contro l’emicrania, stimola il sistema immunitario e protegge il colon.
zenzero

2) Curcuma

La curcuma viene utilizzata da più di 4000 anni ed è nota ormai in tutto il mondo per le sue numerose proprietà benefiche. In particolare, la curcuma ha un potenziale contro varie malattie come diabete, allergie, artrite, morbo di Alzheimer e malattie cardiache.
curcuma

3) Corteccia di salice

La corteccia di salice viene utilizzata come analgesico, antinfiammatorio, antipiretico, anticoagulante, astringente e rimedio lenitivo e disintossicante. Viene impiegata in caso di dolori mestruali, mal di testa, sciatica, fibromialgia e dolori reumatici. E’ anche un sedativo naturale e tradizionalmente viene utilizzata per trattare verruche e calli. Il suo principio attivo è la salicina e gli effetti in caso di febbre o influenza sono simili a quelli dell’aspirina. Aspirina e corteccia di salice infatti condividono lo stesso ingrediente chiave, rappresentato dalla salicina. Chi è allergico all’aspirina dovrebbe evitare di assumere anche i rimedi a base di corteccia di salice.
corteccia di salice 

4) Uncaria tomentosa

L’Uncaria tomentosa è una pianta conosciuta con il nome di unghia di gatto. Si tratta di una pianta rampicante impiegata nella medicina popolare. E’ originaria della selva peruviana. E’ ampiamente utilizzata in America Latina tra le comunità indigene e contadine. Viene considerata utile come antinfiammatorio e per le sue proprietà decongestionanti, antibatteriche e antivirali. Stimola il sistema immunitario e viene considerata utile in caso di emorroide, gastriti, ulcere, diverticolite e colite.
uncaria unghia di gatto

5) Boswellia

La boswellia è una pianta dalle proprietà antinfiammatorie che si è dimostrata efficace al pari dei farmaci antinfiammatori non steroidei, come l’ibuprofene. E’ considerata utile in caso di asma, artrite, allergie, colite ulcerosa, gonfiore e rigidità delle articolazioni e morbo di Chron. Dalla resina delle piante di boswellia si ricava l’incenso.
boswellia incenso 

6) Peperoncino

Il principio attivo del peperoncino è la capsaicina, una sostanza dotata di un potente effetto analgesico, dato che inibisce il rilascio dei principali neurotrasmettitori degli stimoli dolorosi. Inoltre il peperoncino aumenta il rilascio di endorfine e favorisce il benessere e la resistenza al dolore. Può essere utile per migliorare le funzioni di stomaco e intestino. Aumenta il metabolismo e contribuisce alla perdita di peso.
peperoncino
Siete interessati a questi rimedi naturali? Potrete approfondire l’argomento rivolgendovi al vostro erborista di fiducia.

IGNAME, UN TUBERO RICCO DI PROPRIETÀ BENEFICHE. - Marta Albè

igname

La dioscorea, nota anche come igname o yam, rappresenta un genere di piante coltivate in tutte le regioni tropicali del mondo a scopo alimentare. Produce una varietà di tuberi ricchi di amido che ricordano le patate dolci.
I termini igname, yam e dioscorea vengono utilizzati sia per indicare la piante che per parlare del tubero come alimento. In Brasile questo tubero viene chiamato inhame e viene considerato un alimento ricco di proprietà benefiche per il nostro organismo.
Nel libro “Happy Mouth & Yam” Sonia Hirsch spiega che questo tubero aiuta il nostro organismo ad eliminare le impurità del sangue attraverso la pelle, i reni e l’intestino. In passato l’igname veniva utilizzato come rimedio naturale per la cura della sifilide.
L’igname rafforza il sistema immunitario e, secondo la medicina orientale, rafforza i linfonodi. Inoltre ha effetti positivi nella prevenzione e nel trattamento della malaria, della febbre gialla e del dengue. Secondo l’autrice, quando le piantagioni di igname sono state sostituite da altre coltivazioni, interi villaggi sono stati colpiti dalla malaria.
Questo tubero può essere mangiato crudo, bollito, fritto, arrosto, in zuppe o purè, ma viene anche impiegato nella preparazione dei dolci e per fare il pane. Gli impasti a base di igname sono leggeri e facili da digerire anche per i bambini e per gli anziani. I suoi valori nutrizionali sono superiori a quelli delle patate.
Nei Paesi in cui l’igname viene coltivato può sostituire senza problemi le patate nell’alimentazione, apportando tra l’altro maggiori benefici per la salute. Gli utilizzi dell’igname non sono soltanto alimentari.
Infatti tradizionalmente questo tubero viene utilizzato anche come rimedio naturale per le verruche, le unghie incarnite, le spine conficcate nella pelle e le cisti sebacee. Ha proprietà antinfiammatorie e viene consigliato in caso di artrite, reumatismi, emorroidi, appendicite, sinusite, nevralgie ed eczema.
Viene utilizzato anche immediatamente in caso di ustioni e di fratture come rimedio naturale per alleviare il gonfiore e il dolore. E’ considerato utile anche per abbassare la febbre. Conoscevate questo alimento? Lo avete mai assaggiato, magari durante uno dei vostri viaggi?

giovedì 28 gennaio 2016

La città di Sodoma è stata trovata? In Giordania i resti con le caratteristiche del sito distrutto da Dio nel Vecchio Testamento.

Dopo anni di ricerche è stato trovato un sito archeologico risalente tra il 3500 a.C. e il 1540 a.C: è Tal el-Hamaam, in Giordania. Gli archeologi sostengono che si tratti di Sodoma; secondo l'antico testamento questa città venne distrutta insieme a Gomorra, Adama, Zoar e Zobim per volere divino. Secondo gli studiosi, la città venne ricostruita 700 anni dopo essere stata demolita.
Nei 40 ettari studiati, gli archeologi dicono di aver trovato i resti risalente all'età del Bronzo. In base ai reperti trovati e al posizionamento geografico, a est del fiume Giordano, come scritto nella Bibbia, gli studiosi hanno detto di avere tutti gli elementi per affermare che quel sito sia Sodoma.
La famosa città del “peccato” è descritta dagli archeologi come una vecchia zona commerciale di grandi dimensioni e con grandi fortificazioni. Poi, Dio decise di distruggerla e mandò degli angeli a cercare gli uomini da salvare, solo Lot, un uomo della città poté fuggire insieme alla sua famiglia.
La zona restò disabitata per 700 anni dopo la distruzione e venne poi ripopolata nell’età del Ferro, un'epoca che va dal 1200 a.C. al 332 a.C. La storia riportata nel Vecchio Testamento dice che Dio distrusse i "peccatori" malvagi di Sodoma con fuoco e zolfo. Negli anni a venire, entrambe le città sono state usate come metafora per descrivere cosa succede a chi cede al vizio e all'omosessualità.
Steven Collins, dell’università Trinity Southwestern del New Mexico, è stato il coordinatore delle ricerche e, come riporta il Daily Mail, il professore ha dichiarato che Sodoma fosse una città “orrenda” se confrontata con le altre dello stesso periodo.
Gli scavi nella Valle del Giordano sono iniziati nel 2005 e, nei 10 anni successivi, gli archeologi hanno scoperto che si trattasse di una società sofisticata, avevano un ottimo sistema di difesa: resistenti mura intorno alla città larghe più di cinque metri e alte oltre i dieci.
“Quello che abbiamo scoperto è un’importante città-stato fino ad ora sconosciuta agli studiosi” ha detto il professor Collins. “Studiando nel dettagli i testi sacri, coincide con la posizione in cui si trovava Sodoma – aggiunge il professore – siamo giunti alla conclusione che questo sito sia la più grande città esistente ai tempi di Abramo. Sappiamo molto poco l'età del Bronzo, nel sud della valle del fiume Giordano, la maggior parte delle carte archeologiche della zona erano vuote. La distruzione di Sodoma, insieme a quella di Gomorra è descritta in numerosi passi della Bibbia, tra cui la Genesi e il Nuovo Testamento, persino nel Corano”.
Gli studiosi hanno capito dagli scavi che la città fosse fornita di porte, torri, strade principali e pizze, poi l’abbandono, secondo il professor Collins, avvenne in seguito ad un terremoto, altri archeologi sostengono invece l’ipotesi di un asteroide.
“Dopo essere stata abbandonata per 700 anni – spiega il professor Collins - nell’età del ferro la città ha poi iniziato a rifiorire, come dimostrano i cancelli di ferro che introducevano alla città”.

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