Nella stranota figura del dito che indica la luna, oggi serve davvero a poco occuparsi delle convulsioni finali del contratto gialloverde, con le inevitabili elezioni anticipate. Soprattutto quando la luna è il faccione di Matteo Salvini, che sembra destinato molto presto a prendersi lui tutto il governo, e il Paese, alla guida di una minacciosa maggioranza sovranista di destra-destra. Un futuro da brividi per chi scrive (e forse anche per chi legge) ma, seguendo lo schema di Rino Formica (intervista al manifesto) è “la soluzione democratica”, unica alternativa all’uso della forza e addirittura alla “guerra civile”. Più ottimisti del vecchio saggio socialista, noi riteniamo che evocare la guerra civile sia soltanto un cupo espediente retorico per richiamare la più alta istituzione del Paese, che siede al Quirinale, all’esercizio delle sue prerogative costituzionali.
Compito a cui Sergio Mattarella non intende certo sottrarsi, e neppure il premier Giuseppe Conte decisissimo a denunciare davanti al Parlamento, e con la massima trasparenza, il cinismo del vicepremier “da spiaggia”, che affamato di potere butta giù i governi come fossero i suoi personali castelli di sabbia.
Dunque, prossimamente, a Palazzo Madama e a Montecitorio andrà in scena il prologo di una campagna elettorale decisiva per comprendere se la democrazia che ci attende sarà la democratura autoritaria di ispirazione putiniana (e imbottita di rubli). O se riusciremo a difendere e conservare i pilastri di quella democrazia costituzionale nata, quella volta sì, da una guerra civile chiamata Resistenza.
Anche oggi, per l’Italia repubblicana e in un clima fortunatamente di pace, tertium non datur: o di qua o di là. Per cui, ormai agli sgoccioli e sancita la fine del Salvimaio, questo diario considera il ricorso al voto un indispensabile strumento di igiene politica per almeno tre motivi.
Compito a cui Sergio Mattarella non intende certo sottrarsi, e neppure il premier Giuseppe Conte decisissimo a denunciare davanti al Parlamento, e con la massima trasparenza, il cinismo del vicepremier “da spiaggia”, che affamato di potere butta giù i governi come fossero i suoi personali castelli di sabbia.
Dunque, prossimamente, a Palazzo Madama e a Montecitorio andrà in scena il prologo di una campagna elettorale decisiva per comprendere se la democrazia che ci attende sarà la democratura autoritaria di ispirazione putiniana (e imbottita di rubli). O se riusciremo a difendere e conservare i pilastri di quella democrazia costituzionale nata, quella volta sì, da una guerra civile chiamata Resistenza.
Anche oggi, per l’Italia repubblicana e in un clima fortunatamente di pace, tertium non datur: o di qua o di là. Per cui, ormai agli sgoccioli e sancita la fine del Salvimaio, questo diario considera il ricorso al voto un indispensabile strumento di igiene politica per almeno tre motivi.
Primo: se nell’arco di un anno un partito raddoppia i consensi - con il 34% delle elezioni europee, veleggiante verso il 38 e forse anche il 40% - e se a cavalcare questa gigantesca onda è un personaggio accolto nelle piazze (e sugli arenili) come il nuovo uomo della Provvidenza, molto difficilmente quest’uomo (che non è certo un De Gasperi) rinuncerà a considerare Palazzo Chigi come il suo naturale domicilio. Tanto più se costui viene riconosciuto come l’unico e sommo leader della destra più destra mai vista in Italia dalla caduta del fascismo (quella formata da Fratelli d’Italia, dagli ascari di Forza Italia modello Toti, e forse anche da un fu Silvio Berlusconi oggi miniaturizzato). Coalizione che secondo gli ultimi sondaggi sfiorerebbe il 50%: praticamente la maggioranza assoluta nelle nuove Camere.
Come si fa a non tenerne conto?
Come si fa a non tenerne conto?
Secondo: l’igiene elettorale non può che fare bene al M5S, sfibrato, debilitato, vampirizzato dalla convivenza governativa con il Dracula del Carroccio. Attraverso il ritorno a una sana opposizione i Cinque Stelle potranno procedere nei tempi giusti al necessario rinnovamento interno, degli uomini, delle strutture e dei programmi. Se destinata a finire sotto il tallone del salvinismo (parola che fa rima con altri raggelanti ismi) la democrazia italiana avrà la necessità di affidarsi a una minoranza combattiva che in Parlamento e nelle piazze sappia tenere alto il vessillo della legalità. E più di qualcuno, vedrete, rimpiangerà quella classe dirigente giovane, forse inesperta, ma bombardata senza tregua dai cosiddetti grandi giornali e nei talk show, ma che a confronto con il sistema Savoini&Casapound sembrerà la scuola di Atene.
Terzo: del gruppo dirigente di questo Pd, indeciso a tutto tranne che a farsi vicendevolmente le scarpe, fa perfino rabbia parlare. Soprattutto se, come accaduto sulle mozioni Tav, Zingaretti e soci non esitano a spianare la strada a Salvini, ritagliandosi in un ipotetico, futuro bipolarismo la triste funzione di opposizione di comodo.
Fortunatamente, da questa parte, oltre agli apparati con le loro ridicole rendite di posizione esiste un fertile e vasto mondo che continua ad avere come saldo riferimento i valori della Costituzione, e della chiesa di Papa Francesco.
Basta girare per l’Italia delle università, delle mille iniziative culturali, delle librerie, della solidarietà per rendersi conto che l’alternativa al Papeete Beach vive e lotta per tornare a guidare il paese quando, prima o poi, l’onda della destra s’infrangerà sugli scogli. La partita non è affatto persa. Coraggio.
Basta girare per l’Italia delle università, delle mille iniziative culturali, delle librerie, della solidarietà per rendersi conto che l’alternativa al Papeete Beach vive e lotta per tornare a guidare il paese quando, prima o poi, l’onda della destra s’infrangerà sugli scogli. La partita non è affatto persa. Coraggio.