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lunedì 22 novembre 2021

Uno su 3 non usa la cintura in auto, il 50% dei bimbi è senza seggiolino. -



Studio Anas: italiani imprudenti, 2 giovani su 10 al telefono.

Italiani imprudenti alla guida: uno su tre non utilizza la cintura di sicurezza mentre è al volante, senza dispositivi di ritenuta la metà dei bambini a bordo e due giovani su dieci maneggiano impropriamente il telefono mentre l'auto è in marcia.

E' l'impietosa fotografia scattata dalla Ricerca Osservatorio Stili di Guida Utenti, commissionata da ANAS e condotta dallo Studio Righetti e Monte Ingegneri e Architetti Associati presentata oggi nell'ambito del convegno "Sicurezza stradale: obiettivo zero vittime" organizzato in occasione della giornata mondiale in ricordo delle vittime della strada (21 novembre). 
Dallo studio, che ha analizzato i comportamenti di guida lungo tre differenti tipologie di strade e autostrade in gestione ad Anas di un campione di 6.000 utenti, emerge come il 28,38% dei conducenti non allaccia le cinture, dato che si alza se riferito al passeggero anteriore (31,87%) e passeggero posteriore (80,12%). Dati molto lontani dalla media registrata negli altri Paesi europei dove il 90% degli automobilisti indossa le cinture anteriori e ben il 71% dei passeggeri quelle posteriori.
Indisciplina anche per quanto riguarda i dispositivi di ritenuta per bambini, ben il 49,47% non li utilizza, e per gli indicatori luminosi: il 55,63% non li accende per la manovra di sorpasso o rientro (76,46%), o per l'entrata (59,20%) o uscita (43,71%) da rampa. Infine un automobilista su dieci (12,41%) utilizza in modo improprio il cellulare alla guida, cifra che balza al 18,06% nella fascia di età 18-40 anni. Scendendo nel dettaglio, si evince che le violazioni, nel complesso, sono commesse all'incirca nella stessa percentuale senza distinzione tra city car e berline (11,8% e 11,3%). Aumentano tra chi è alla guida di un suv (13,4%) o di un veicolo commerciale (14,6%).
L'indisciplina decresce con l'aumentare dell'età: se nella fascia 18-40 anni la percentuale è del 30,0%, in quella 40-60 anni scende al 28,6%, per toccare il 24,8% tra gli over 60. In genere, sono gli uomini i meno attenti alle norme di sicurezza, tranne che nell'utilizzo delle cinture nei sedili posteriori e nell'adoperare i sistemi di ritenzione per bambini: qui il rapporto si inverte.
Lo studio analizza alcuni tra i fattori psicologici che influiscono sulla mancata percezione del rischio alla base dei comportamenti all'origine degli incidenti stradali, distinguendo tra le violazioni deliberate al codice della strada e gli errori del conducente (es. sviste, manovre o valutazioni errate). Il comportamento in violazione non dipende infatti da un problema nel raccogliere o elaborare le informazioni necessarie per attuare il comportamento corretto, ma da una scelta influenzata da fattori psicologici, psicosociali e motivazionali. In particolare l'analisi ha richiamato questi fattori associandoli ai dati delle violazioni riscontrate. L'analisi della percezione del rischio è stata accompagnata anche da 17 interviste semi-strutturate a utenti delle tre differenti tipologie di strade e autostrade oggetto dell'indagine.
L'obiettivo è stato quello di indagare le motivazioni percepite come sottostanti i propri comportamenti rischiosi e quelli posti in essere dagli altri utenti della strada. I primi riconducibili per lo più a stress, abitudine, mancanza di senso civico mentre i secondi ascrivibili a mancato uso degli indicatori di direzione, manovre di sorpasso a destra, sorpassi pericolosi, velocità rischiosa. Invece in relazione alla percezione di sicurezza della strada, le dichiarazioni degli intervistati variano a seconda della tipologia di strada. L'82% del campione ritiene le strade sicure o non evidenzia una rilevante percezione del pericolo rispetto a tutte le tipologie di strade analizzate.

https://www.ansa.it/canale_motori/notizie/sicurezza/2021/11/22/-auto-1-su-3-non-usa-cintura-50-bimbi-senza-seggiolino-_955136e8-4b02-4a51-8834-b9bda8928d25.html

mercoledì 24 febbraio 2021

Conte pronto a guidare M5S. Manca solo il via del Garante. - Luca De Carolis e Paola Zanca

 

Il movimento al bivio. Il progetto. L’ex premier e l’ipotesi di fare il “capo” del Movimento (ma aperto alla società civile). Ora per candidarsi serve il sì di Grillo.

Il professore Giuseppe Conte è pronto per tornare a insegnare. Già venerdì, quando terrà la lectio magistralis che segnerà il suo ritorno all’Università di Firenze. Ma l’altro Conte, l’ex presidente del Consiglio, è pronto a rilanciarsi al tavolo della politica. Ovvero a prendere le redini del M5S lacerato dal sì al governo di Mario Draghi, il tecnico che ha preso il suo posto a Palazzo Chigi. “Giuseppe si sta convincendo” dicono fonti di peso del Movimento. Le interviste al Fatto di due big come Alfonso Bonafede e Paola Taverna gli hanno dimostrato che i contiani sono ancora forti, dentro i 5Stelle. E poi c’è il chiaro segnale lanciatogli su Facebook da Luigi Di Maio, l’unico possibile avversario interno: “Spero che il Movimento possa accogliere Conte a braccia aperte, il prima possibile”. Di Maio sa che l’avvocato può essere l’unico mastice possibile per un M5S esploso in troppe schegge. E teme che la segreteria prossima ventura, dove molti gli chiedono di entrare, possa nascere già debolissima.

Così si torna a Conte, il federatore, l’uomo naturalmente “di centro” (e questo a Di Maio non può che andare bene). L’unico che possa tenere aperto il canale con il Pd che pure non se la passa affatto bene, tra tensioni pre-congressuali e la solita guerra di correnti. “Serve Giuseppe” ripete d’altronde Beppe Grillo, il fondatore, da settimane. Ma come fare? Innanzitutto, Conte dovrebbe iscriversi. Ma serve molto altro. Fonti qualificate spiegano che, a fronte di un regolamento per la votazione della segreteria già diffuso, ora deve essere proprio Grillo a scrivere una nuova rotta per cambiare le regole e consegnare le redini all’ex premier. Nel dettaglio, serve un comunicato formale con cui il Garante annunci la volontà di fermare il percorso verso la segreteria, l’organo collegiale, nominando Conte capo politico e affidandogli il compito di riorganizzare il M5S. Un’investitura che dovrebbe essere comunque approvata su Rousseau.

Ma certo il punto non è solo quello. Perché nella riflessione che Conte sta facendo, c’è di più. C’è innanzitutto una revisione dei legami con la piattaforma: lui che non ha rapporti con Davide Casaleggio, potrebbe accelerare quel percorso già avviato verso il “contratto di servizio” che sfila il Movimento dalla casa madre milanese.

Ma soprattutto, al di là della forma, il M5S che Conte immagina di guidare è un partito “aperto”, “plurale”, che allarga il suo orizzonte alla società civile e alle “migliori energie del Paese” che in questi anni di governo si sono avvicinate all’esperienza giallorosa, ma che non possono essere strette nelle maglie di quel M5S che ora ha attivisti e meet up a fare da filtro. Deve aprirsi, in sostanza, a tutti quelli che adesso vorrebbero mettersi a disposizione, ma non sanno a chi rivolgersi. L’ex premier insomma vuole le chiavi di un progetto nuovo, che al centro abbia sì i temi fondanti dei 5Stelle – l’ambiente, la legalità, la trasparenza – ma che sia anche disposto a “contaminarsi” con la società. Un’idea maturata negli ultimi giorni, dopo la partenza in salita dell’intergruppo parlamentare giallorosa. Se prima l’ex premier, ragionava di un progetto proprio, una sua lista che facesse da ponte tra Pd e M5S, ora teme che il “suo” partito possa avvelenare il clima: non solo nei 5Stelle in crisi, ma anche nei dem dove la linea di Zingaretti uscirebbe ulteriormente indebolita dalla nascita di una formazione che andrebbe a pescare pressoché nello stesso bacino elettorale. Per questo, assumere la guida M5S potrebbe essere il modo per salvare quanto costruito nell’ultimo anno e mezzo. E sarebbe anche una via per ripescare quell’Alessandro Di Battista che si è cancellato da Rousseau. E magari anche qualcuno degli espulsi: due sere fa, nell’assemblea dei senatori, Alessandra Maiorino ha proposto una tregua: anziché espellere chi ha votato no, date le “circostanze eccezionali”, i parlamentari potrebbero essere sospesi per alcuni mesi, messi alla prova e magari riammessi nel M5S. È una proposta, a oggi non contemplata dallo Statuto. Ma chissà che Conte non abbia voglia di ricucire certe ferite.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/24/conte-pronto-a-guidare-m5s-manca-solo-il-via-del-garante/6111675/

sabato 10 agosto 2019

Niente pastrocchi. - Marco Travaglio FQ 10 agosto

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Nella crisi più pazza del mondo, capita anche questo: che il cazzaro primigenio, Renzi, auspichi la cosa più sensata mai detta da un pidino da mesi. E cioè che, contro la destraccia salvinista, l’unico governo possibile è fra 5Stelle e Pd. Purtroppo la proposta ha tre difetti.
1) Arriva con 14 mesi di ritardo e non sarebbe più - come a maggio 2018 - l’unione fra il primo e il secondo partito delle Politiche, ma tra i due sconfitti alle Europee contro chi le ha vinte.
2) Viene da Renzi, che ormai ha la credibilità di Pamela Prati e tifa per il taglio dei parlamentari perché, al prossimo giro, non ne avrà più neanche uno.
3) Sarebbe un regalo a Salvini, che già inizia a pagare caro il suo tradimento di sfasciatutto irresponsabile (è subissato di insulti sui suoi social, specie dopo la ferma risposta di Conte, suo unico vero competitor) e non vede l’ora di farlo dimenticare addossandolo ai 5Stelle e strillando al ribaltone.
Certo, la metà e più dell’Italia che guarda con orrore e terrore alla prospettiva di avere presto un monocolore Salvini che si crede il Duce e parla come lui (senza neppure esserlo) a colpi di “Voglio pieni poteri”, “Ordine e disciplina”, “La giustizia la riformo io” accetterebbe di tutto, pur di allontanare l’amaro calice. Anche un ribaltone. Che sarebbe costituzionalmente ineccepibile (avrebbe la fiducia del Parlamento) e moralmente giustificabile (a brigante, brigante e mezzo). Ma politicamente a dir poco discutibile, mettendo insieme il secondo e il terzo partito per far fuori il primo. Con tutti i rischi che comportano, le elezioni restano la via maestra. Se a ottobre o a primavera, lo deciderà il Parlamento, dove Conte ha saggiamente portato la crisi in piena trasparenza.
Lì il premier esporrà le riforme in cantiere che Salvini ha bloccato col suo colpo di mano e chiederà la fiducia. La Lega gliela negherà. Il M5S gliela confermerà e nessuno può impedire ad altri di fare altrettanto. Se il Pd gli votasse la fiducia, il governo Conte resterebbe in piedi, senza i ministri leghisti (sostituibili con gli attuali vice o con personalità esterne). Per fare poche cose prima delle elezioni a primavera: la legge di Bilancio, scongiurando le conseguenze inevitabili di un voto a fine ottobre (esercizio provvisorio, spread ecc.); l’ok al taglio dei parlamentari; e la conseguente revisione della legge elettorale.
Chissà che i pochi mesi trascorsi a collaborare, senza nuovi governi né ribaltoni, non inneschino la scintilla che noi auspichiamo da anni fra un centrosinistra totalmente rinnovato e ripulito e un M5S più maturo e meno improvvisato sotto la guida di Conte. Per salvarci da Salvini non prima né contro le elezioni. Ma dopo.

https://www.facebook.com/TutticonMarcoTravaglioForever/photos/a.438282739515247/2691098817566950/?type=3&theater

venerdì 15 aprile 2016

Referendum trivelle, breve guida al voto (visto che i populisti non ce l’hanno spiegato). - Davide Vecchi

Referendum Trivelle, 10 cose da sapere per votare informati

Ho scoperto che del referendum di domenica so davvero poco. Mi sono chiesto perché, nonostante se ne parli da settimane, io oggi non conosca il quesito alla perfezione né quali siano esattamente e nel dettaglio le ragioni del No e quali le ragioni del Sì. In compenso però ogni giorno scopro cosa farà questo o quel politico. Se si asterrà, se voterà a favore, o contro. Ma nessuno spiega il perché. A scoprirmi ignorante stamani mi sono ricordato dell’ortodossia orwelliana di 1984: “L’Ortodossia consiste nel non pensare, nel non aver bisogno di pensare. L’Ortodossia è inconsapevolezza”, scrisse George Orwell. Non è una bella sensazione: la classe dirigente del Paese sta chiedendo ai cittadini di obbedire senza fornire informazioni adeguate su contenuti e conseguenze delle scelte.

È uno dei risultati del “populismo dall’alto” descritto da Marco Revelli nel suo libro Dentro e contro. Populismo incarnato alla perfezione da Matteo Renzi, che se ne dimostra ancora una voltaRe indiscusso. Del resto lui ha trasformato il voto di domenica 17 sulle trivelle in un conflitto tra tifoserie pro o contro il premier. È il tentativo (populistico) di strumentalizzare i cittadini, considerandoli divisi in greggi e confidando che sia più numeroso quello che scatta sull’attenti e obbedisce senza riflettere agli “ordini” scanditi dal gran Capo. Non è più ormai una questione di rispetto della Costituzione – che imporrebbe ai rappresentati dello Stato di tutelare e agevolare ogni forma di espressione di democrazia – ma piuttosto di rispetto dell’intelligenza (e autonomia) di ciascuno. Davvero crede il premier che siano così numerosi i “sudditi” obbedienti rispetto a quanti decidono autonomamente informandosi? No. Altrimenti non tenterebbe di boicottarne l’informazioneLa Rai di Palazzo Chigi, non è un caso, ha silenziato l’argomento. Nei tg complessivamente se ne è parlato per 13 minuti appena. Mentre le poche trasmissioni di viale Mazzini che hanno sfiorato l’argomento (come Agorà) hanno creato solo confusione, fornendo dati sbagliati e spesso falsi come che si vota solo in alcune Regioni. La carta stampata non è stata da meno. Persino alcuni siti internet, solitamente più obiettivi e completi, si sono schierati nel pro e contro Renzi senza fornire ai lettori una completa e approfondita guida al referendum.

Per quel che vale io andrei a votare, perché lo ritengo un diritto (tra i pochi ancora rimasti) oltreché un dovere. E cosa voterei? Mi sono informato. Intanto è un referendum abrogativo promosso da 9 Regioni ed è la prima volta che accade. Il quesito recita: “Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?”. Il merito: sono materia di referendum esclusivamente le trivellazioni già in atto entro le 12 miglia dalla costa.
Ma su cosa interviene il referendum? Quale legge – o parte di legge – vuole abrogare? Il riferimento è al cosiddetto “codice dell’ambiente”, cioè il decreto legislativo 152 del 2006. In particolare il comma 17 dell’articolo 6 che stabilisce come “ai fini di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, all’interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni internazionali sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare”. Insomma: considerato il territorio italiano, che ha nel mare la sua principale ricchezza (turistica in particolar modo), sembra una norma piuttosto sensata. Il referendum di domenica 17 propone di abrogare di questo articolo una frase. Questa: “I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”. Quindi: fin quando ci sarà gas o petrolio si potrà trivellare e cercare di estrarlo ovunque, anche nelle 12 miglia, a prescindere dal termine della concessione. O meglio: viene rilasciata una concessione a vita e mani libere. Questo dicono i sostenitori del Sì. Mentre chi è propenso al No ricorda che si parla di giacimenti già esistenti. Vero, ma un conto è l’esistenza di un giacimento, un conto è poter tentare di sfruttarlo e avere mani libere per farlo.
Il sito del Fatto ha riportato correttamente tutti i fronti, quindi su questo sito si trovano facilmente le diverse posizioni. Ma basta rivolgersi a mister Google. Evitando le dichiarazioni dei politici e cercando di raggiungere una consapevolezza. Anche solo per non svegliarsi lunedì mattina scoprendosi nell’ortodossia orwelliana e circondati di trivelle.