Quando è in difficoltà, cioè spesso, Salvini tira sempre in ballo Renzi. Lo fa perché, nell’elettore, scatti un parallelismo tutto a suo vantaggio: non tanto perché lui sia un fenomeno, quanto perché uno peggiore di Renzi non riusciremmo neanche a inventarlo. Il fatto stesso che, al minimo storico della sua popolarità, la Diversamente Lince di Rignano stia pensando di varare un partito personalistico rubando il nome a Ingroia (eh?), la dice lunga sulla sua inenarrabile mestizia.
Si dà però il caso che Salvini, oltre a essere il politico più vecchio di questa farlocca Terza Repubblica, sia anche un gran “sopravvalutatore” di se stesso. Nonché un impenitente mentitore. Tutte cose che lo accomunano proprio al Matteo debole del Pd. Salvini somiglia a Renzi anche nella capacità prodigiosa di aumentar d’adipe. Il Cazzaro Verde è fiero collezionista di tripli menti e maniglie dell’amore come quell’altro Matteo: per inquadrarlo ormai tocca usare il grandangolo della Nasa.
Si diceva però delle bugie. Mi è capitato di incrociarlo in tivù. Non scappa dal confronto e gliene rendo merito (ma vedrete che diventerà come Renzi pure in questo). Nel 2014, a Otto e mezzo, gli rinfacciai le assenze nel Parlamento Europeo (mi minacciò di querela) e gli dissi che senza Berlusconi non sapeva neanche andare in bagno: rispose, piccato, che il suo centrodestra del futuro lo avrebbe visto autonomo e dunque senza liquami estetico-morali derivanti da Forza Italia. È stato di parola. Nel dicembre scorso, quando quella fetecchia del Salvimaio sembrava poter reggere, venne ad Accordi & disaccordi. Gli chiesi come resistesse alla tentazione di far saltare tutto per monetizzare il consenso dei sondaggi. Lui: “Io sono un uomo di parola, non stacco la spina al governo. Ho tanti difetti, ma se comincio una cosa, io quella cosa la faccio, costi quello che costi. Io i sondaggi non li guardo a prescindere”. È stato di parola. Pare incredibile, ma alla fine c’è riuscito: Salvini è diventato bugiardo e comicamente vanaglorioso come Renzi. Una condizione esistenziale che non augureremmo neanche a Mario Lavia.
Ora che il tradimento più prevedibile del mondo – lo avevano capito tutti tranne Di Maio – si è compiuto, e prima che questo Paese passi con antico masochismo da Renzusconi a Salvimaio a Salvelusconi, è forse il caso di soppesare l’inebriante talento di questo virgulto padano che da ragazzo si definiva “nullafacente” parlando in tivù con Davide Mengacci, dimostrando, se non altro, di conoscersi bene.
Salvini ha voluto sganciare la bomba nel momento peggiore: poteva farlo subito dopo il trionfo alle Europee, votando quindi a settembre, ma ha perso tempo obbedendo poi (come sempre) a Giorgetti e Berlusconi. Sfasciando tutto ad agosto, ha poi messo ancor più in mutande il Paese: rischio di esercizio provvisorio, aumento Iva per 23 miliardi, spread alle stelle, Borsa a picco. Roba da galera (e invece lo voteranno: daje!). In più tanti procedimenti sacrosanti che salteranno, dalla temutissima (da lui) Spazzacorrotti alla Commissione d’inchiesta su Bibbiano (su cui ha oscenamente lucrato). Oltre a essere sciagurata, la mossa di Salvini è stata anche politicamente idiota: da un lato rischia di riavvicinare Pd e M5S, dall’altro toglie finalmente il macigno dall’anima di tanti elettori 5 Stelle che non ne potevano più di quell’obbrobrio governativo (comunque migliore di quello che verrà: pensate come siam messi).
Dopo un anno da Tafazzi, i 5 Stelle – ancora convalescenti e pertanto ancora in crisi – hanno avuto da Salvini quel “tradimento sommo” che potrebbe essere la scintilla morale tramite cui far risalire un gradimento oggi ai minimi livelli.
Salvini avrebbe poi meritato rispetto – nonostante le conferenze spiaggia, i rosari, il lessico da bullo moscio e i suoi modi da aperi-premier – se avesse scelto la strada della “destra nuova”: cioè lui e Meloni. E basta. Un accrocchio distantissimo da chi scrive, ma segno se non altro di una qual certa baldanza salviniana. Invece Capitan Lardini è tornato pateticamente da Berlusconi come un tenero Dudù eunuco. Che pena. L’uomo, oltre alla grazia dei facoceri, ha il coraggio di un Don Abbondio morto. Mesi e mesi a giocare al rinnovatore, per poi rivelarsi – magari con l’aiuto del Movimento del fare (?) di Briatore – un innocuo predellino extralarge dei Gasparri & La Russa. Complimenti.
Lo fraintendono per il nuovo Mussolini, ma Salvini resta quello di sempre: non fa paura, fa ridere. E fa pure un po’ tenerezza. Voleva essere un Capitano, ma al massimo è un cocker. Senza pedigree e col guinzaglio corto. Anzi cortissimo.