sabato 29 febbraio 2020

Marzo Magno racconta l’anno della fame, quando a mangiare i topi erano i veneti. - Francesca Buonfiglioli


Lo scivolone di Zaia ha rischiato di trasformarsi in un incidente diplomatico con Pechino. Eppure subito dopo Caporetto, per non morire di inedia, sulle tavole venete finirono anche i ratti essiccati.

Chi non ha visto i cinesi mangiare di tutto, persino i topi vivi? Lo scivolone di Luca Zaia, governatore del Veneto – una delle regioni più colpite dal coronavirus con la Lombardia del suo collega “mascherato” Attilio Fontana – ha rischiato di innescare un incidente diplomatico con Pechino.

A poco è servita la toppa dell’amministratore leghista, solitamente sobrio nelle sue uscite. «È tutto il giorno che vengo massacrato per quel video. Nella migliore delle ipotesi sono stato frainteso, nella peggiore strumentalizzato», si è giustificato in una intervista al Corriere della Sera. Derubricando la gaffe a una frase che gli è «uscita male».

L’AN DE LA FAM E I TOPI ESSICCATI A BELLUNO.

E dire che in momenti di estrema necessità, a mangiare i topi – e qualsiasi altro essere vivente commestibile – siamo stati anche noi italiani. E in particolare, proprio i veneti. Per ironia della sorte, era stato lo stesso Zaia a ricordarlo nel 2018 con un post su Facebook. «Topi messi ad essiccare a Belluno durante “l’an de la fam“, l’anno della fame. Questa straordinaria immagine è esposta, insieme a moltissime altre, nella straordinaria mostra documentaria, iconografica e multimediale su Belluno durante la Prima guerra mondiale appena inaugurata a Palazzo Crepadona», scriveva il 26 novembre 2018. Hashtag: non #ilVenetoriparte, ma #Venetodaamare.

«Con l’Anno della fame», spiega a Lettera43.it Alessandro Marzo Magno, scrittore e giornalista veneziano autore tra l’altro de "Il genio del gusto". Come il mangiare italiano ha conquistato il mondo, «ci si riferisce al periodo dell’occupazione austriaca subito dopo Caporetto, tra la fine del 1917 e il 1918».

Alessandro Marzo Magno.

Mesi in cui anche in alcune zone del Veneto si moriva letteralmente di fame. «Si calcola che i morti di fame civili negli imperi centrali durante la Prima guerra mondiale furono circa 600 mila», sottolinea Marzo Magno, «più dei morti per i bombardamenti del secondo conflitto». Questo per dare un ordine di grandezza. «Ce ne fossero stati di topi da mangiare, erano spariti pure quelli».

GABBIANI, VOLPI E GATTI NEL PIATTO.

Non è un mistero del resto che in momenti di carestia tutto poteva finire nel piatto: dai gabbiani alle volpi, dai topi ai famosi gatti. Nelle cronache medievali, poi, «non mancano riferimenti all’autofagia» e al cannibalismo. Insomma quando si ha fame, non si ragiona né si va per il sottile: l’unico obiettivo è provare a sopravvivere. Per gli occidentali, e gli iper-tradizionalisti italiani, resiste un solo tabù, fa notare Marzo Magno. «Puoi mangiare un cadavere o un braccio che ti sei amputato, ma guai toccare un insetto. E dire che li apprezziamo nella loro versione marina: l’aragosta non è che uno scorpione e la granseola un ragno…». Questione di cultura.
Questo per ricordare, semmai ce ne fosse bisogno, che il cibo è il regno del relativismo. «I cinesi per esempio non si sognerebbero mai di mangiare carne di cavallo», ricorda lo scrittore. E anche parlare di “cucina cinese” non ha molto senso. «Per esempio nel Sud, a Canton, vengono mangiati i serpenti. A Pechino no». E i topi? «Quando sono andato in Cina», racconta Marzo Magno, «avrei voluto assaggiarli cotti. Sono una persona curiosa. Così ero andato in cerca di un ristorante che li aveva tra le sue specialità. Ma niente da fare era chiuso. Mi dissero che non venivano più consumati perché erano rischiosi, e potevano portare malattie. Ed era l’estate del 1993. Invece ho mangiato i serpenti: buoni».

LA RICETTA DELLO SCOIATTOLO.

Tornando all’Italia basta tornare indietro nel tempo per scoprire come, per esempio, la gru fosse una vera leccornia, come racconta Boccaccio nella novella del Decamerone dedicata al cuoco veneziano Chichibio. «Chi si mangerebbe oggi una gru?», sorride Marzo Magno. Per non parlare, aggiunge, degli scoiattoli. Il cui «sapore accentuato», si legge in un ricettario del 1908 pubblicato da Sonzogno, «ha bisogno di essere attenuato con una forte marinata». Seguono le istruzioni per la preparazione: «Scorticate e sventrate come si fa con una lepre». E quindi «lasciate macerare per 48 ore, prima di arrostirlo allo spiedo». Buon appetito. O, se preferite, Xiǎngshòu nǐ de fàn.


https://www.lettera43.it/zaia-topi-vivi-marzo-magno-anno-della-fame/?refresh_ce

L'animale che si è evoluto perdendo le parti inutili.

Rappresentazione artistica del Facivermis (fonte: Franz Anthony) © Ansa
Rappresentazione artistica del Facivermis (fonte: Franz Anthony)

Scoperto il primo animale che si è evoluto perdendo le parti che non gli servivano più. Chiamato Facivermis, è vissuto 518 milioni di anni fa e, sebbene il suo fossile fosse noto da 30 anni, è stato studiato soltanto adesso dal gruppo dell'università britannica di Exeter guidato da Richard Howard. La ricerca è pubblicata sulla rivista Current Biology.
Il mistero ha a lungo circondato il Facivermis, una creatura simile a un verme, con il corpo allungato e cinque paia di zampe spinose poste vicino alla testa. Proprio questa caratteristica aveva suggerito che potesse essere l'anello mancante tra i vermi senza zampe e un gruppo di animali chiamati "lobopodi", che avevano arti lungo tutto il corpo.

Rappresentazione artistica del Facivermis (fonte: Franz Anthony)
Lo studio rivela che il Facivermis apparteneva ai lobopodi, ma poiché viveva sul fondo del mare, ancorato con una sorta di bulbo posto all'estremità del suo corpo, si è evoluto perdendo gli arti inferiori. L'animale era inoltre avvolto da una sorta di sacca simile a un tubo, dalla quale spuntavano solo la testa e le zampe spinose e la cui funzione non era chiara.
"La maggior parte dei suoi parenti - ha detto Howard - aveva da tre a nove serie di zampe per muoversi, ma i nostri risultati suggeriscono che Facivermis vivesse ancorato al fondale. In questo modo i suoi arti inferiori non erano utili e nel tempo la specie ha smesso di averli. Gli arti superiori invece gli servivano per filtrare il cibo dall'acqua".
Il periodo cambriano è visto come l'alba della vita animale e i ricercatori sono stati sorpresi di trovare una specie considerata primitiva in evoluzione già in questa fase. "Conosciamo questa specie da circa 30 anni, ma solo ora abbiamo compreso quale era il suo posto nell'albero evolutivo" ha osservato uno degli autori Xiaoya Ma, dell'università cinese di Yunnan. "Studi come questo - ha concluso - ci aiutano a comprendere la forma dell'albero della vita e a capire da dove provengono gli adattamenti che vediamo ora nelle specie".

Corbezzoli che frutti! Proprietà e usi della gemma dell’autunno: ecco come fare infuso e marmellata. - Gino Favola



I corbezzoli o albatro (Arbutus Unedo L.) sono frutti piccoli e tondi di color rosso arancione acceso di un grazioso alberello appartenente alla famiglia delle Ericaceae.

Spesso indicato anche come bacca e, in effetti, somiglia molto sia nella forma sia nel sapore alla maggior parte dei frutti di bosco. La scorza è costituita da tante punte acuminate che, in realtà, sono delle escrescenze granulose che non lo rendono pericoloso da ingerire. La polpa è granulosa, morbida e non eccessivamente dolce.

Caratteristiche e proprietà dei corbezzoli.
Il corbezzolo apporta una gran quantità d’acqua, zuccheri, vitamine, pectine (gelificanti naturali), flavonoidi (antiossidanti naturali) e arbutina (da cui il nome Arbutus, impiegata in cosmesi per le proprietà antiossidanti e depigmentanti).

Il corbezzolo è un frutto dalle molte proprietà, prima fra tutte quella astringente, pertanto se ne sconsiglia un consumo eccessivo per scongiurare episodi di stipsi. A seguire abbiamo le virtù antisettiche e antinfiammatorie, soprattutto a favore del fegato e dell’intestino.

Anche le foglie, la corteccia e i fiori si utilizzano per le loro proprietà. In particolare il miele ottenuto dai fiori di corbezzolo è un ottimo dolcificante dalle proprietà balsamiche, ottimo da consumare nei periodi freddi. Il corbezzolo è un ottimo aiuto in caso di cistite o infiammazioni alle vie urinarie.

SCARICA IL PDF per sapere tutto sulla PIANTA DEL CORBEZZOLO.

Corbezzoli: proprietà fitoterapeutiche in sintesi.

- Abbassa la pressione e ha una funzione antinfiammatoria. Non a caso, in Marocco i suoi decotti sono molto utilizzate proprio per queste funzioni
- Un disinfettante per le vie urinarie, specie in caso di cistiti, grazie principalmente all’arbutina.
- Ha proprietà fortemente astringenti e diuretiche.
- La tintura madre di corbezzolo è invece da utilizzare nelle affezioni della prostata e nelle uretriti.
- Favorisce la riparazione delle mucose locali.
- Schiarisce le macchie della pelle grazie all’arbutina.
- E’ antiossidante come dimostrano alcuni studi universitari.
L’azione sinergica delle gemme di Corbezzolo, Melo e Limone ha una funzione antiossidante, il cui ruolo riveste un importanza fondamentale nel sostegno del sistema cardio-circolatorio.

Come fare l’infuso di foglie di corbezzolo.
Prepariamo un infuso utilizzando 7 gr di foglie della pianta, lasciamole bollire in una tazza di acqua calda e poi lasciamo in infusione per 15 minuti.

L’infuso delle foglie una volta fatto raffreddare può essere utilizzato come tonico, infatti ha proprietà astringenti. L’infuso di corbezzolo migliora anche la circolazione e l’umore. 

L’infuso è anche ottimo in caso di flogosi intestinale e quando ci sono episodi di diarrea.

Ottimo da gustare fresco e appena colto ma, in alternativa, è possibile conservarlo e apprezzarne le qualità anche sotto forma di confetture, sciroppi, liquori digestivi.

https://www.ambientebio.it/alimentazione-biologica/cibi-salute/corbezzoli-frutti-proprieta-usi-come-fare-infuso-marmellata/?fbclid=IwAR2UlETJ2nC-oz4Z8coUUcTaemvyWN8Y2StUE4rN8_y1IrPZiv_hRubfUDI

Corruzione, terremoto al Comune di Palermo: 7 arresti, ai domiciliari 2 consiglieri e 2 funzionari. - Luigi Ansaloni

corruzione, Agostino Minnuto, Fabio Seminerio, Francesco La Corte, Giovanni Lo Cascio, Giovanni Lupo, Giuseppe Monteleone, Mario Li Castri, Sandro Terrani, Palermo, Cronaca


Terremoto al Comune di Palermo. Un'inchiesta per corruzione piomba sull'amministrazione comunale, coinvolgendo in particolare il settore dell'edilizia. I finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria della guardia di finanza e i carabinieri del Reparto operativo – nucleo investigativo di Palermo, hanno posto ai domiciliari due consiglieri comunali, due dirigenti, un professionista e due imprenditori. Sette arresti più un obbligo di presentazione quotidiana alla polizia giudiziaria.
Nell'ambito delle indagini, coordinate dalla procura di Palermo e in esecuzione di un’ordinanza emessa dal gip del Tribunale, i militari hanno arrestato i consiglieri comunali Sandro Terrani (Italia Viva), 51 anni, membro della Commissione Bilancio, Finanza e Tributi, e Giovanni Lo Cascio (Pd), 50 anni, presidente della commissione Urbanistica, lavori pubblici, edilizia privata e residenziale pubblica; i funzionari comunali Mario Li Castri, 54 anni, di Palermo, ex dirigente dell’Area tecnica della riqualificazione urbana e delle infrastrutture, e Giuseppe Monteleone, 59 anni, di Palermo, ex dirigente dello Sportello Unico Attività Produttive; l'architetto Fabio Seminerio, 57 anni, di Palermo; gli imprenditori Giovanni Lupo, 77 anni, di San Giovanni Gemini, in provincia di Agrigento, e Francesco La Corte, 47 anni, originario di Ribera, rispettivamente amministratore di fatto e di diritto della Biocasa s.r.l. (con sede a Palermo) che opera nel settore edilizio. All’architetto Agostino Minnuto, 60 anni, di Alia, in provincia di Palermo, è stato notificato l’obbligo di presentazione quotidiana alla polizia giudiziaria.
I reati contestati sono "corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio, corruzione per l’esercizio della funzione e falso ideologico in atto pubblico".
Le indagini hanno permesso di individuare un vero e proprio comitato d’affari composto da imprenditori e professionisti in grado di condizionare le scelte gestionali di pubblici dirigenti e amministratori locali per ottenere vantaggi economici nel settore dell’edilizia privata.
LE INDAGINI. Nel 2016, Seminerio e altri soggetti a lui vicini hanno presentato – per conto di numerosi imprenditori – tre progetti per la lottizzazione di aree industriali dismesse del Comune di Palermo (via Maltese, via Messina Marine e via San Lorenzo) per la realizzazione di 350 unità abitative di edilizia sociale residenziale convenzionata. Per ottenere la deroga al piano regolatore generale era necessario che il consiglio comunale ne attestasse il pubblico interesse.
L’istruttoria sulle proposte di deliberazione fu curata da Li Castri, allora a capo dell’Area tecnica del Comune, il quale, in affari con Seminerio, avrebbe rilasciato il parere favorevole nonostante la mancanza di alcuni requisiti di ammissibilità in materia di edilizia convenzionata. Li Castri avrebbe inoltre ottenuto la promessa da La Corte e Lupo (interessati all’approvazione dei piani costruttivi) di assegnare a Seminerio la direzione dei lavori edilizi da realizzare. A sua volta, l'architetto avrebbe destinato a Li Castri una parte dei profitti percepiti dopo l’approvazione da parte del consiglio comunale delle tre proposte di deliberazione. Anche Monteleone si sarebbe adoperato per il buon esito della delibera relativa all’ex area industriale di via San Lorenzo.
I CONSIGLIERI COMUNALI. Il capogruppo del Pd Giovanni Lo Cascio e quello di Italia Viva Sandro Terrani, di 51, secondo l'accusa, avrebbero fatto pressioni per fare approvare in consiglio le delibere che permettevano la costruzione degli alloggi in variante urbanistica nelle aree delle fabbriche dismesse. Il 7 novembre 2019, però, il consiglio comunale ha bocciato l'atto (qui il verbale)
Adesso per i due consiglieri comunali, che fanno parte della maggioranza che sostene il sindaco Orlando, dovrebbe scattare lo stop alla carica. Il Pd nel frattempo ha annunciato di avere sospeso Lo Cascio. «Ho appreso con sconcerto la notizia del provvedimento cautelare, avvenuto stamattina, nei confronti di Giovanni Lo Cascio, consigliere comunale del Partito Democratico a Palermo», afferma il commissario regionale del Pd Siciliano Alberto Losacco. «La magistratura faccia il suo corso, avrà sempre il pieno sostegno del Partito Democratico. E’ necessario accertare eventuali reati e responsabilità», ha aggiunto.
L'ALTRO CASO. C'è poi un'altra vicenda che coinvolge Li Castri, sempre nel suo ruolo di dirigente comunale, il quale avrebbe accordato una variante a una concessione edilizia della Biocasa, consentendo di aumentare le unità abitative da realizzare da 72 a 96. Il progetto era stato redatto anche in questo caso dal suo ex socio in affari Seminerio, al quale era stato assegnato l’incarico di direttore dei lavori.
Monteleone, già dirigente dell’Area recnica, curò alcune pratiche di concessione edilizia presentate dalla Biocasa anche per la realizzazione di un ulteriore complesso immobiliare sempre a Palermo, acconsentendo a varianti in aumento per consentire la realizzazione di un maggior numero di unità abitative da 96 a 133. In cambio Lupo, La Corte e Agostino Minnuto gli avrebbero promesso 15.000 euro. I primi due, inoltre, avrebbero assegnato a una strettissima amica di Monteleone, vari incarichi professionali con cospicue somme di denaro.
GLI EX DIRIGENTI. Li Castri e Monteleone, nel marzo 2018 erano stati condannati a due anni, in primo grado, insieme ad altre 19 persone (funzionari comunali, tecnici, imprenditori e un notaio), per la lottizzazione abusiva di via Miseno (dove entrambi risultano residenti e dove 12 villette sono state confiscate dalla magistratura), nella borgata marinara di a Mondello. Sulla vicenda, spiega l'avvocato di Li Castri, Marcello Montalbano, "è in corso il processo d'appello, anche per quanto riguarda la confisca. La lottizzazione - aggiunge - non riguarda l'attività di pubblico funzionario di Li Castri".
La terza sezione penale, allora presieduto da Marina Petruzzella, trasmise gli atti alla Procura per nuove indagini sui casi emersi in dibattimento e rimasti fuori dal processo. Poco prima della sentenza di primo grado Li Castri era stato nominato dall'amministrazione comunale nel Cda dell'Amg Gas. Nell'agosto 2015, quando Li Castri era già stato rinviato a giudizio, fu comunque nominato dirigente comunale. Al processo il Comune si costituì parte civile per aver subito un "danno d'immagine" e gli fu riconosciuta una provvisionale di 500 mila euro.
Secondo il pm Francesco Gualtieri, titolare dell'accusa nel processo di primo grado, per costruire le villette era necessario che il Consiglio comunale approvasse un piano particolareggiato, passaggio che non avvenne.
Come si evince dall'ordinanza emessa oggi dal Gip Michele Guarnotta, tre degli indagati (Li Castri, Monteleone e Fabio Seminerio) risultano residenti in via Miseno.
LE DICHIARAZIONI DEL PENTITO. Nelle indagini hanno avuto un ruolo anche le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Filippo Bisconti, imprenditore edile nell’area metropolitana di Palermo, arrestato dai carabinieri per associazione mafiosa il 4 dicembre 2018 nell'operazione Cupola 2.0 e ritenuto capo-mandamento di Misilmeri-Belmonte Mezzagno. Bisconti ha riferito circostanze e dinamiche interne agli uffici tecnici comunali, soffermandosi in particolare sugli interessi coltivati per anni da Li Castri, Seminerio e Monteleone nel settore dell'edilizia.

Virus, governo ladro. - Marco Travaglio



C’è un solo mestiere più ambìto del ct della Nazionale e del virologo: il premier. Fior di editorialisti, comodamente assisi sulle rispettive poltrone, insegnano ogni giorno a Conte cosa si deve, anzi non si deve fare ai tempi del Coronavirus. Cosa farebbero al suo posto non lo dicono, ci mancherebbe: mica spetta a loro. Ma non dubitano che il premier dovesse fare e dire l’esatto opposto. “Un governo che non governa non serve a niente” (Andrea Malaguti, Stampa). “Aiuto! Salvateci! Si salvi chi può!”, “Si poteva, si doveva fare qualcosa di diverso? Certo” (Marcello Sorgi, Stampa). “Nel passaggio dalla pochette al maglione, Conte non ci ha guadagnato nulla” (Massimo Giannini, Repubblica). “Conte: la lotta è tra il Morbo e Io e a vincere sarà il sottoscritto” (Mario Ajello, Messaggero). “Il premier ha sfoggiato una varietà di ‘mascherine’… confermando l’attitudine da Zelig” (Massimiliano Panarari, Stampa), “Un governo arrivato al capolinea” (Giovanni Orsina, Stampa), “Precauzioni eccessive per non prendersi la responsabilità” (Luciano Fontana, Corriere), “Il governo ha letteralmente chiuso la vita pubblica ed economica del Centro-Nord” (Maurizio Molinari, Stampa).
L’Editorialista Unico rende ingiuste le accuse di allarmismo peloso e catastrofismo strumentale a Salvini e ai giornali di destra. Non perché Conte sia infallibile o incriticabile, anzi. Noi, per dire, lo sollecitiamo da giorni (in beata solitudine) a rispondere sulle gravissime questioni che rendono indecente l’intenzione di confermare Claudio Descalzi all’Eni. E anche sulla gestione del virus le critiche sarebbero benvenute. Ma a patto che si indicasse un solo atto o una sola frase di Conte che abbia agevolato il contagio o il panico. Invece nessun critico entra nel merito. Era sbagliato blindare la zona rossa con l’esercito per evitare che qualche svitato (com’è accaduto) fuggisse per infettare un po’ di gente in giro? Limitare le occasioni di affollamento per ridurre le possibilità di contagio? Autorizzare il telelavoro e lo smart working? Usare il pugno di ferro coi governatori regionali in fregola di originalità? Andare in tv, anche nei programmi più pop, a spiegare ai cittadini cosa fare e cosa sta facendo il governo con parole e toni tutt’altro che allarmistici ed esagitati, mentre i Due Cazzari seminavano panico e sfiducia? Boh. Molto meglio dire “Virus, governo ladro” e tenersi sul vago, a parte le giaculatorie contro il “populismo virale” (che stavolta non c’entra una mazza) e i soffietti sulla “saggezza quirinalizia” (Panarari, Stampa).
Così non si deve spiegare come mai l’Organizzazione mondiale della sanità si complimenti con Conte&C. per bocca del direttore europeo Hans Kluge: “Le autorità italiane stanno attuando misure in linea con la strategia di contenimento a livello globale. Per farlo, hanno dovuto prendere decisioni risolute ma corrette”. Idem il commissario Ue alla Salute, Stella Kyriakides: “Grazie al governo italiano per le misure messe in campo, molto veloci, per ridurre la minaccia del virus”. Elogi ignorati anche dai tromboni che hanno sempre l’Onu e la Ue sulla punta della lingua. Gli stessi che fino all’altro giorno la menavano con la “barbarie” e l’“ergastolo processuale” della blocca-prescrizione e ora oscurano le lodi della Commissione europea alla “benvenuta riforma Bonafede”, alla Spazzacorrotti e alle misure anti-evasione del governo Conte.
Col senno di poi, Fontana (quello del Corriere, senza mascherina), ripete il mantra che non bisognava “bloccare i voli diretti dalla Cina senza controlli ferrei di quelli che utilizzavano scali intermedi”: ma non spiega che danno avrebbe fatto il blocco dei voli diretti (al massimo è stata una precauzione inutile, ma si può dirlo solo oggi e non quando fu adottata e si ignorava che il virus fosse già arrivato in Italia), né come si possa scovare chiunque sia tornato dalla Cina con scali intermedi (mission impossible per tutto il mondo, infatti nessuno ci ha neppure provato). Sorgi invece avrebbe “bloccato anche i voli indiretti” (come se Conte avesse giurisdizione su aeroporti e compagnie di tutto il resto del mondo). Fontana, all’unisono con l’omonimo in maschera, deplora l’“uscita improvvida del premier sulla sanità lombarda”, protetta come il Papa dal dogma dell’infallibilità malgrado le falle scoperte nel sistema sanitario by Formigoni&C. e pure nell’ospedale di Codogno (dal Paziente 1 ai posti letto mancanti, agli infermieri rispediti al lavoro prima di sapere se sono infetti). Giannini, in perfetta sintonia con Sallusti, accusa Conte di non aver “saputo esercitare la sua ‘auctoritas’ con le Regioni” (e che doveva fare, oltre a trascinarle alla Consulta: bombardarle col napalm?). E di aver “dato fuoco alle polveri” dell’allarmismo in tv col suo tipico linguaggio incendiario. Intanto i pompieri di Repubblica spegnevano il fuoco con titoli sobrii sugli “untori”, “Paralisi da virus”, “Mezza Italia in quarantena” e “Italia? No grazie”. Per evitare lo stridio di tante unghie sui vetri, sarebbe molto meglio dirla tutta, e cioè che Conte non piace all’Editorialista Unico perché non fa marchette né insider trading agli editori (come qualche predecessore) e non proviene dai circoletti politico-affaristici che hanno prodotto tanti premier intoccabili del recente passato. Fortuna che Giovanni Orsina svela serafico il movente dei signorini grandi firme: il sogno, anzi l’incubo, di un’“ampia convergenza emergenziale”, cioè un inciucione che apra “una finestra di opportunità per Renzi” e naturalmente per Salvini, affinché siano loro, dopo le elezioni anticipate, a eleggere “il nuovo capo dello Stato”. Ve li meritate, i Due Cazzari. Il guaio è che poi ce li ciucciamo noi.
Il Fatto Quotidiano 29 febbraio 2020

venerdì 28 febbraio 2020

Caro Fontana, il tuo selfie da psicosi è un insulto all’Italia che affronta il virus con dignità. - Luca Telese



La mascherina dell’ottusità, e il sorriso amaro del buonsenso. Se servivano dei simboli antitetitici e solari, per consegnare agli atti della storia la più grande epidemia di psicosi social che il mondo ricordi, oggi i giornali ce ne regalano due che sembrano fatti apposta per viaggiare insieme: la foto acchiappaclick e suicida del governatore Attilio Fontana, e l’intervista della donna guarita dal virus.
La prima, purtroppo, farà il giro del mondo e diventerà un nuovo colpo per la già martoriata economia Lombarda: un karakiri-selfie. La seconda è la vera reazione dell’Italia civile.
Una donna semplice, seria, che non vanta lauree in epidemiologia e spiega: “Noi saremo anche ignoranti, ma qualcuno ha soffiato sul fuoco della nostra ignoranza”.
Ma partiamo da Fontana: Milano è diventata una ghost town, la settimana della moda è stata distrutta, i negozi chiudono, tutti spiegano che bisogna trasmettere messaggi che rassicurino la popolazione, per la prima volta nella storia la fila alla stazione centrale la fanno i taxi, e non le persone, e lui cosa fa?
Dopo la scoperta della positività della sua collaboratrice, decide di auto-immortalarsi con la mascherina sul viso (forse ignaro, fra l’altro, che tutti i medici spiegano che coprirsi la bocca sia molto meno importante di lavarsi le mani).
Cosa avrebbe dovuto fare Fontana? Probabilmente nulla, avrebbe arrecato meno danno. O, se proprio voleva, farsi riprendere mentre beve un flacone di amuchina (che almeno serve a qualcosa): ma la sindrome dei pieni poteri ha travolto anche gli insospettabili, ha reso visibile la grana grossa dei piccoli governatori-Stramanore (sia di destra che di sinistra, ovviamente, vedi il caso delle Marche) e allora ecco questa pubblica esibizione di narcisismo virale.
Passiamo alla signora, invece. Dopo la morte di Adriano Trevisan, il primo decesso italiano che ha avuto come concausa il coronavirus, era stata subito sottoposta al tampone.
Sul Corriere della Sera, la penna arguta di Marco Imarisio ci regala la sua testimonianza, che purtroppo per ora resterà anonima: la donna è di Vo’ Euganeo, si sottopone spontaneamente alla prova per tranquillizzare quelli che ha intorno: “Mi guardavano come se avessi sputato il virus nel caffè. Tranquilli, ho detto ai miei amici, non ho sintomi, sarà negativo”.Invece, purtroppo, risulta positiva. I medici la ricoverano, per scrupolo. E lunedì mattina – come ci racconta Imarisio – è già tornata a casa, in “isolamento domiciliare fiduciario”: ovvero una quarantena autoimposta di 14 giorni. La sua degenza è durata appena un giorno e mezzo.
Chissà cosa avrebbe fatto, questa donna di 47 anni, se avesse avuto la febbre mediatica di Fontana: probabilmente un film. Invece, la prima persona dimessa dopo una diagnosi che le assegnava una infezione da virus Covid-19 ci regala la più grande lezione di intelligenza applicata alla crisi: “Sono solo una persona che è andata a casa, come faranno presto tanti altri. Svegliamoci ragazzi, che ci stiamo facendo del male da soli”.
Imarisio le chiede cosa le abbiamo detto i medici, e lei risponde così: “Quel che le sto dicendo io. Gli anziani devono stare più attenti, gli altri facciano attenzione a non pestarsi i piedi, a tenersi a distanza”.
Poi, quando il giornalista del Corriere della Sera chiede cosa pensi della paura che si è diffusa nel nostro paese esplode: “Ma di cosa? È una influenza, mica muori, se non sei già malato. Mi sembra che siamo diventati tutti scemi”.
La signora, che dice di essere “vecchio stampo”, e di frequentare poco i social, racconta di averlo fatto, come pena aggiuntiva, durante la degenza e spiega: “Mi ha colpito il video di un signore con la mascherina. Sembrava in panico, diceva che ci infetteremo tutti…”.Finché: “A un certo punto si è tolto la mascherina. E ha detto di essere un malato di cancro, a cui resta un mese di vita. Noi, diceva, andiamo via nell’indifferenza generale, senza rompere i c… a nessuno, mentre voi state impazzendo per questa cosa qui. Ma non vi vergognate? chiedeva. Secondo me, ha ragione lui. Un po’ ci dovremmo vergognare”.Poi ci spiega due o tre cose che farebbero bene al governatore Fontana: ”Ero positiva, ma senza neppure una linea di febbre. Appena arrivata mi hanno fatto un flebino, di zucchero liquido. Per precauzione, dicevano”.La profilassi? “L’ unica medicina me la sono data io. Avevo mal di testa, per tutto questo casino, e ho chiesto se potevo prendere un Moment che avevo in borsa. Fine”.
Poi l’ultima verità: “Se non fosse morto il povero Adriano, se fossimo andati lunghi, non avrei saputo di essere positiva. E come me, tanti altri. Non credo sarebbe cambiato nulla”.
Alla fine la signora ci regala l’ultima grande lezione civile della sua intervista: “Se la gente non ragiona con la sua testa e si fa guidare come un gregge, è inevitabile. Ma poi si stancheranno di andare in un altro paese. Quando sarà il momento, le cose torneranno alla normalità. Anche se non ce lo meritiamo”.
Imarisio ha incastonato in una pagina la più bella e sana testimonianza che riceveremo in questi giorni di follia collettiva: da far leggere ad alta voce nelle stazioni deserte, nelle aziende chiuse, sui treni vuoti. Mi viene voglia di baciarla, questa signora. E di chiedere all’ansiogeno governatore Fontana, visto che è a buon punto – già che c’è – di imbavagliarsi da solo.


https://infosannio.wordpress.com/2020/02/27/caro-fontana-il-tuo-selfie-da-psicosi-e-un-insulto-allitalia-che-affronta-il-virus-con-dignita/

Intercettazioni, la Camera approva: è legge. Il ministro Bonafede: “Potenziato lo strumento di indagine e garantita la difesa privacy”.

Intercettazioni, la Camera approva: è legge. Il ministro Bonafede: “Potenziato lo strumento di indagine e garantita la difesa privacy”

Tensione in Aula durante le dichiarazioni di voto. Per Forza Italia è un provvedimento liberticida. Malumori nella maggioranza dopo che la deputata 5 stelle ha letto le conversazioni di Emanuele Buzzi finite agli atti delle indagini su Mafia capitale. Mentre dopo l'intervento di Sgarbi contro la deputata Occhionero sono dovuti intervenire i commessi per riportare ordine nell'assemblea.
La Camera ha approvato in via definitiva il decreto sulle intercettazioni che è ora legge. I voti a favore sono stati 246, 169 invece i “no”. A 48 ore dalla scadenza, è diventato legge il decreto sulle intercettazioni. Sul provvedimento martedì scorso il governo aveva chiesto e incassato la fiducia (304 voti a favore, 226 contrari e un astenuto). In un primo momento l’opposizione aveva annunciato ostruzionismo. Poi è arrivata la tregua raggiunta in cambio dell’approvazione rapida del decreto sul coronavirus, grazie al compromesso sui tempi suggerito dal presidente della Camera Roberto Fico. Presente in Aula al momento dell’approvazione anche Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia: “La legge appena approvata potenzia le intercettazioni come strumento di indagine ma nel contempo garantisce una difesa solida della privacy. È stato trovato un buon punto d’equilibrio per cui ringrazio tutte le forze di maggioranza”.
Protesta ancora Forza Italia che parla di un provvedimento liberticida. Nel mirino, soprattutto le norme sull’uso del trojan, il captatore informatico che viene inserito nei cellulari e negli altri dispositivi mobili. Attimi di tensione si sono registrati anche all’interno della maggioranza. Secondo alcune ricostruzioni infatti, le parole della deputata M5s Elisa Scutellà, hanno provocato i malumori di Pd e Italia viva. Intervenendo in dichiarazione di voto, la deputata ha infatti letto uno stralcio delle intercettazioni di Salvatore Buzzi tratte dall’inchiesta “Mafia Capitale”. Un intervento che avrebbe fortemente irritato i partner della maggioranza. “E’ un intervento da buttare… Vai a citare proprio le intercettazioni di una persona che i nostri avversari identificano come un ‘nostro’ uomo? Non si fa così…”, ha dichiarato il deputato dem Franco Vazio. Nemmeno tra i 5 stelle, le parole della deputata sono state accolte positivamente e c’è chi si è lamentato contro la scelta comunicativa di pungere un alleato di governo cavalcando una vecchia battaglia.
Ma non è stato l’unico intervento che ha provocato malumori. Poco prima del voto finale sul decreto, i commessi si sono dovuti precipitare al centro dell’emiciclo per evitare scontri che sembravano scoppiare. A innescare la miccia è stato Vittorio Sgarbi, che è intervenuto per ultimo, per una dichiarazione di voto a titolo personale, durante il quale ha attaccato sul piano personale la deputata Giuseppina Occhionero, cosa che ha suscitato le proteste dei gruppi di maggioranza. Occhionero è indagata con l’accusa di falso nell’ambito dell’inchiesta sul suo ex collaboratore Antonello Nicosia, arrestato a novembre. Dopo l’intervento del deputato è iniziato un botta e risposta con Sgarbi che replicava a microfono spento ai deputati. A questo punto alcuni parlamentari si sono avvicinati a Sgarbi, il che ha spinto l’ufficio di presidenza a far intervenire i commessi che sono intervenuti prontamente, evitando possibili scontri.
Nel merito del provvedimento si può dire che il decreto ha modificato la riforma Orlando del 2017, anche escludendo che il giornalista che pubblica le intercettazioni, possa essere incriminato. Tra le modifiche introdotte al testo varato dal Consiglio dei ministri a dicembre, c’è il rinvio di altri due mesi dell’entrata in vigore della riforma. Sarà operativa quindi dal primo maggio. L’obiettivo è dare tempo alle procure per avere attrezzarsi con i nuovi strumenti previsti, come l’archivio digitale delle intercettazioni. Ecco le principali novità.
PM SELEZIONERA’ INTERCETTAZIONI: ora sarà il magistrato, e non più la polizia giudiziaria, a valutare quali colloqui sono rilevanti per le indagini o meno. Toccherà a lui anche vigilare ché nei verbali non siano riportate espressioni che ledono la reputazione di singole persone o dati personali (“salvo che si tratti di intercettazioni rilevanti ai fini delle indagini”). Com’era prima della riforma del 2017, verbali e registrazioni saranno trasmessi immediatamente al pm, che li depositerà entro 5 giorni. I difensori potranno esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni.
USO DEL TROJAN: sarà possibile usare il trojan non solo per i reati contro la pubblica amministrazione commessi dai pubblici ufficiali, ma anche dagli incaricati di pubblico servizio e puniti con la reclusione oltre 5 anni. E le intercettazioni potranno avvenire anche nei luoghi di dimora privata (come previsto già dalla Spazzacorrotti per i pubblici ufficiali), “previa indicazione delle ragioni che ne giustificano l’utilizzo”.
USO IN ALTRI PROCEDIMENTI: i risultati delle intercettazioni possono essere usati in procedimenti diversi da quelli in cui sono stati disposti, solo se sono “indispensabili” e “rilevanti” per l’accertamento dei reati per i quali è previsto l’arresto in flagranza e di quelli di particolare gravità indicati tassativamente dall’articolo 266 del codice di procedura penale. Il requisito dell’indispensabilità è necessario anche per le intercettazioni fatte con il trojan. Si tratta comunque di una previsione più ampia della sentenza delle sezioni unite della Cassazione che ha ammesso l’uso degli esiti dei colloqui intercettati con il captatore informatico, solo se si tratta di un reato connesso a quello per cui si sta procedendo.