Visualizzazione post con etichetta editoria. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta editoria. Mostra tutti i post

domenica 6 settembre 2020

Senato, i 5Stelle depositano la legge contro gli editori impuri. - Matteo Petri

Senato, i 5Stelle depositano la legge contro gli editori impuri

Ridurre i conflitti di interessi degli editori per garantire una stampa più libera. È con questo obiettivo, che diversi senatori 5Stelle (primo firmatario, Primo Di Nicola) hanno depositato in Parlamento la proposta di legge per ridurre al 10% il peso nelle società editoriali dei soggetti privati che hanno anche altre attività economiche con un fatturato eccedente 1 milione di euro all’anno. Il fine sarebbe quindi quello di normare definitivamente il rapporto tra due principi costituzionalmente garantiti: la libertà di iniziativa economica e la libertà di manifestazione di pensiero. “La commistione e i conflitti di interessi hanno raggiunto livelli tali di criticità da richiedere al Parlamento un intervento chiaro e risolutivo”, si legge nella relazione introduttiva della proposta. “Vogliamo assicurare l’equilibrio necessario tra la libertà di impresa e la tutela di una informazione credibile, plurale e completa. Ci sono vari esempi che mostrano come i gruppi economici con interessi prevalenti in altri settori tentino costantemente di orientare l’opinione pubblica”.
La proposta riguarderebbe tutti i tipi di editori, dalla tv alla carta stampata, alle testate online, e riguarderebbe anche le quote detenute dalla più ristretta cerchia famigliare: figli, coniugi, fratelli o sorelle degli stessi editori. Qualora fosse approvato, il disegno di legge avrebbe una valenza retroattiva, concedendo un periodo transitorio di tre anni per far adeguare le società alla nuova normativa. Gli editori con grandi patrimoni economici provenienti da altre attività dovranno quindi ridurre la quota eccedente il limite di legge: al 45 per cento entro un anno, al 25 per cento dopo due anni e poi al 10 per cento delle quote della società editoriale, entro il terzo anno dall’approvazione della nuova legge. Se approvata, la legge avrebbe effetti dirompenti: i maggiori gruppi editoriali italiani sono infatti detenuti da gruppi attivi in altri settori, da Fca (Repubblica e La Stampa) a Caltagirone (Il Messaggero).
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/06/senato-i-5stelle-depositano-la-legge-contro-gli-editori-impuri/5922081/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-09-06

lunedì 18 maggio 2020

“I soldi statali fanno gola: ora vogliono buttarci giù”. - Carlo Tecce

“I soldi statali fanno gola: ora vogliono buttarci giù”

Il vicesegretario Pd Orlando: “Pure i giornali dei grandi gruppi sono della partita”.
“Noi spendiamo ottanta miliardi di euro per la pandemia e nelle prossime settimane vedrete gruppi editoriali e centri di potere che tenteranno di buttare giù il governo”, ieri Andrea Orlando, vicesegretario del Partito democratico, un politico dai toni sempre pacati, l’ha detto due volte. In teleconferenza a un evento dem di Milano e poi, in serata, al Fatto. Orlando, c’è in atto un complotto? “Mi creda, il mio ragionamento è più semplice. Questo governo fu generato dal desiderio di strappare l’Italia dalle grinfie di Matteo Salvini. Per alcuni era una soluzione balneare, un mezzo più o meno comodo e sicuro per giungere alle elezioni. Invece adesso indichiamo un percorso e dettiamo le regole in una situazione eccezionale. Con le manovre che abbiamo approvato mettiamo in circolo denaro come mai accaduto negli anni scorsi. E fa gola. Lo Stato si riappropria di un ruolo a cui aveva rinunciato. In quattro o cinque mesi si definirà un futuro di cinque o dieci anni. Noi alziamo la posta, altri alzano la pressione. Anche gli editori, diciamo non puri, sono interessati a gestire o almeno a sfruttare questo momento straordinario. Qualcuno potrebbe promuovere stravolgimenti della maggioranza”.
L’ex ministro è severo con la Fca che s’avvia a ottenere una garanzia statale, attraverso Sace e per merito del decreto liquidità, a un prestito bancario di 6,3 miliardi di euro: “Chiede aiuti all’Italia? Bene, allora riporti la sede fiscale qui”. E sempre a Fca della famiglia Elkann/Agnelli, nella veste di proprietaria del gruppo Gedi, cioè dell’ex gruppo Espresso e di Repubblica, si riferisce Orlando: “Se gli assetti azionari non sono mutati all’improvviso, i grandi gruppi editoriali italiani sono in mano a grandi gruppi economici. Quotidiani, settimanali, televisioni. Io non faccio nomi, non esamino la scelta del nuovo corso di Repubblica con l’addio di Carlo Verdelli. La mia riflessione è di facile interpretazione, è generica e vale per molti. Ho già spiegato che ci parleranno della capacità comunicativa del premier Conte o dell’errore di questo o quel ministro, ma l’argomento principale sarà diverso e più delicato: costruire un’altra formula politica. A noi spetta il compito di essere lucidi, respingere e smentire queste ipotesi che entreranno nel dibattito pubblico da qui a pochi giorni. Dobbiamo essere consapevoli senza aver paura”. In conferenza stampa a palazzo Chigi, il premier Conte ha commentato l’intervento di Orlando in maniera più sfumata, ma ripetendo un concetto simile: “Sui giornali leggiamo di tentativi di spallate. A parte il chiacchiericcio, noi dobbiamo concentrarci sugli obiettivi. Stanno arrivando cospicui finanziamenti e noi confidiamo nell’appoggio delle forze sane del Paese”.
Poi il premier ha parlato pure del supporto a Fca: “Se ne può beneficiare, vuol dire che risponde alle prescrizioni: non è un privilegio concesso a qualcuno. Stiamo comunque parlando, al di là della capogruppo, di società e fabbriche italiane che producono in Italia e occupano tantissimi lavoratori. Ma è un problema all’ordine del giorno e – ha annunciato Conte – lo affronteremo nel decreto semplificazioni: non dobbiamo porci il problema di chi sta in Inghilterra in Olanda o altri Paesi, ma rendere più attraente il nostro ordinamento giuridico. C’è un ordinamento giuridico più attraente in Olanda? Stiamo lavorando a questo. Ovviamente ci sono anche le agevolazioni fiscali: non intendiamo più lasciare questi vantaggi ai nostri concorrenti, addirittura nell’Unione europea”. Buone “prossime settimane” a tutti.

domenica 26 aprile 2020

Carta straccia. Ecco come l’offensiva al Governo si allarga sui giornali. - Gaetano Pedullà


Facciamo attenzione! Non è solo paradossale, ma decisamente inquietante che si sia scelto proprio il giorno della Liberazione per riportare in una logica di conservazione il governo del Paese, allargando ad alcuni grandi giornali il compito di cannoneggiare il cambiamento preteso dai cittadini alle ultime elezioni, e che seppure affannosamente sta impedendo ai soliti noti di trattare le istituzioni come cameriere. Ai più distratti, a cui sono sfuggite le novità di questo 25 Aprile, e che non danno grande importanza a quanto scrivono i giornali, perché convinti che non contano niente e non li legge più nessuno, mostriamo i puntini da unire per rivelare cosa si nasconde dietro.
I padroni di quella che una volta si chiamava Fiat, a cui l’allora premier Renzi non ebbe nulla da dire mentre traslocavano cuore e portafoglio dell’azienda ad Amsterdam, Londra e Detroit, hanno perfezionato il controllo de la RepubblicaLa Stampa, l’edizione italiana dell’Huffington Post e altro ancora, e cambiato – come è legittimo che sia – i direttori. Ora lasciamo perdere l’opportunità di spiegare come mai questi giornali siano detenuti attraverso un’anomala catena societaria, ma almeno all’esordio c’era da aspettarsi che MolinariGiannini e Feltri (non Vittorio, che preferisce dedicare il suo tempo ad insultare i meridionali, ma il figlio) facessero un po’ di chiarezza su una rotazione di poltrone che persino il loro ex presidente Carlo De Benedetti ha ammesso essere il segno di un cambio di rotta editoriale, di sicuro non a favore di quella parte di Sinistra che ha accettato l’accordo con i Cinque Stelle anche per non consegnare Palazzo Chigi alle destre. In una fase in cui: -1) c’è da investire tanti soldi per far ripartire il Paese dopo il Covid, -2) la maggioranza è in sofferenza e -3) le destre possono continuare a pasticciare perché tanto non si vota, la tentazione di una soluzione tecnica per il governo, magari per completare il lavoro iniziato da Monti, è chiaro che ha tanti estimatori. Se i politici si devono comprare (quando ci si riesce), i tecnici invece sono già al servizio dell’establishment. Perciò figure estranee al sistema, come Conte e soprattutto i Cinque Stelle, devono essere messe alla porta, rimettendo in sella chi può ripristinare l’ordine delle cose, socializzando i conti da pagare e privatizzando quel che resta nel fondo del barile. Così, per far capire dove butta il vento, più dei soporiferi editoriali dei nuovi direttori, su Repubblica brillava la festa della Liberazione ridimensionata in prima pagina rispetto al passato e poi relegata in coda al giornale: un bel segnale a chi ogni 25 aprile ha un attacco di ulcera. Altrettanto esplicito è stato Feltri, riuscito a spiegarci che per oltre 70 anni abbiamo creduto di festeggiare la Liberazione dal nazifascismo mentre invece andavamo ad affrancarci dal comunismo. Il più bravo di tutti, diciamo pure insuperabile, è stato però Giannini, che su La Stampa ci ha fatto deliziare con due perle. La prima era un’autentica fake news, cioè un titolo completamente fuorviante rispetto al testo di un’intervista all’ex capo politico dei 5S, Di Maio, in cui pare che il Movimento abbia deciso di accettare il Mes. Non meno luminosa la seconda perla: un’intervista inginocchiata all’amministratore delegato dell’Eni, Descalzi, ovviamente priva di accenni alla sua questione giudiziaria e ai padrini politici riusciti a farlo confermare nell’ultima tornata delle nomine. Insomma: poteri forti, informazione manipolata, strategia della restaurazione… bisogna essere davvero ciechi per non vedere l’offensiva che è in atto.

sabato 29 febbraio 2020

Virus, governo ladro. - Marco Travaglio



C’è un solo mestiere più ambìto del ct della Nazionale e del virologo: il premier. Fior di editorialisti, comodamente assisi sulle rispettive poltrone, insegnano ogni giorno a Conte cosa si deve, anzi non si deve fare ai tempi del Coronavirus. Cosa farebbero al suo posto non lo dicono, ci mancherebbe: mica spetta a loro. Ma non dubitano che il premier dovesse fare e dire l’esatto opposto. “Un governo che non governa non serve a niente” (Andrea Malaguti, Stampa). “Aiuto! Salvateci! Si salvi chi può!”, “Si poteva, si doveva fare qualcosa di diverso? Certo” (Marcello Sorgi, Stampa). “Nel passaggio dalla pochette al maglione, Conte non ci ha guadagnato nulla” (Massimo Giannini, Repubblica). “Conte: la lotta è tra il Morbo e Io e a vincere sarà il sottoscritto” (Mario Ajello, Messaggero). “Il premier ha sfoggiato una varietà di ‘mascherine’… confermando l’attitudine da Zelig” (Massimiliano Panarari, Stampa), “Un governo arrivato al capolinea” (Giovanni Orsina, Stampa), “Precauzioni eccessive per non prendersi la responsabilità” (Luciano Fontana, Corriere), “Il governo ha letteralmente chiuso la vita pubblica ed economica del Centro-Nord” (Maurizio Molinari, Stampa).
L’Editorialista Unico rende ingiuste le accuse di allarmismo peloso e catastrofismo strumentale a Salvini e ai giornali di destra. Non perché Conte sia infallibile o incriticabile, anzi. Noi, per dire, lo sollecitiamo da giorni (in beata solitudine) a rispondere sulle gravissime questioni che rendono indecente l’intenzione di confermare Claudio Descalzi all’Eni. E anche sulla gestione del virus le critiche sarebbero benvenute. Ma a patto che si indicasse un solo atto o una sola frase di Conte che abbia agevolato il contagio o il panico. Invece nessun critico entra nel merito. Era sbagliato blindare la zona rossa con l’esercito per evitare che qualche svitato (com’è accaduto) fuggisse per infettare un po’ di gente in giro? Limitare le occasioni di affollamento per ridurre le possibilità di contagio? Autorizzare il telelavoro e lo smart working? Usare il pugno di ferro coi governatori regionali in fregola di originalità? Andare in tv, anche nei programmi più pop, a spiegare ai cittadini cosa fare e cosa sta facendo il governo con parole e toni tutt’altro che allarmistici ed esagitati, mentre i Due Cazzari seminavano panico e sfiducia? Boh. Molto meglio dire “Virus, governo ladro” e tenersi sul vago, a parte le giaculatorie contro il “populismo virale” (che stavolta non c’entra una mazza) e i soffietti sulla “saggezza quirinalizia” (Panarari, Stampa).
Così non si deve spiegare come mai l’Organizzazione mondiale della sanità si complimenti con Conte&C. per bocca del direttore europeo Hans Kluge: “Le autorità italiane stanno attuando misure in linea con la strategia di contenimento a livello globale. Per farlo, hanno dovuto prendere decisioni risolute ma corrette”. Idem il commissario Ue alla Salute, Stella Kyriakides: “Grazie al governo italiano per le misure messe in campo, molto veloci, per ridurre la minaccia del virus”. Elogi ignorati anche dai tromboni che hanno sempre l’Onu e la Ue sulla punta della lingua. Gli stessi che fino all’altro giorno la menavano con la “barbarie” e l’“ergastolo processuale” della blocca-prescrizione e ora oscurano le lodi della Commissione europea alla “benvenuta riforma Bonafede”, alla Spazzacorrotti e alle misure anti-evasione del governo Conte.
Col senno di poi, Fontana (quello del Corriere, senza mascherina), ripete il mantra che non bisognava “bloccare i voli diretti dalla Cina senza controlli ferrei di quelli che utilizzavano scali intermedi”: ma non spiega che danno avrebbe fatto il blocco dei voli diretti (al massimo è stata una precauzione inutile, ma si può dirlo solo oggi e non quando fu adottata e si ignorava che il virus fosse già arrivato in Italia), né come si possa scovare chiunque sia tornato dalla Cina con scali intermedi (mission impossible per tutto il mondo, infatti nessuno ci ha neppure provato). Sorgi invece avrebbe “bloccato anche i voli indiretti” (come se Conte avesse giurisdizione su aeroporti e compagnie di tutto il resto del mondo). Fontana, all’unisono con l’omonimo in maschera, deplora l’“uscita improvvida del premier sulla sanità lombarda”, protetta come il Papa dal dogma dell’infallibilità malgrado le falle scoperte nel sistema sanitario by Formigoni&C. e pure nell’ospedale di Codogno (dal Paziente 1 ai posti letto mancanti, agli infermieri rispediti al lavoro prima di sapere se sono infetti). Giannini, in perfetta sintonia con Sallusti, accusa Conte di non aver “saputo esercitare la sua ‘auctoritas’ con le Regioni” (e che doveva fare, oltre a trascinarle alla Consulta: bombardarle col napalm?). E di aver “dato fuoco alle polveri” dell’allarmismo in tv col suo tipico linguaggio incendiario. Intanto i pompieri di Repubblica spegnevano il fuoco con titoli sobrii sugli “untori”, “Paralisi da virus”, “Mezza Italia in quarantena” e “Italia? No grazie”. Per evitare lo stridio di tante unghie sui vetri, sarebbe molto meglio dirla tutta, e cioè che Conte non piace all’Editorialista Unico perché non fa marchette né insider trading agli editori (come qualche predecessore) e non proviene dai circoletti politico-affaristici che hanno prodotto tanti premier intoccabili del recente passato. Fortuna che Giovanni Orsina svela serafico il movente dei signorini grandi firme: il sogno, anzi l’incubo, di un’“ampia convergenza emergenziale”, cioè un inciucione che apra “una finestra di opportunità per Renzi” e naturalmente per Salvini, affinché siano loro, dopo le elezioni anticipate, a eleggere “il nuovo capo dello Stato”. Ve li meritate, i Due Cazzari. Il guaio è che poi ce li ciucciamo noi.
Il Fatto Quotidiano 29 febbraio 2020

venerdì 17 febbraio 2017

Milleproroghe, ok del Senato. Ecco tutte le novità da taxi a editoria.

Risultati immagini per milleproroghe
Via libera tra le proteste dall'aula del Senato. Sulla richiesta del governo di fiducia al maxiemendamento al decreto che "recepisce sostanzialmente le modifiche della commissione", ha spiegato la ministra per i rapporti con il Parlamento Anna Finocchiaro 153 i sì, 99 no e nessun astenuto. Il provvedimento passa ora all'esame della Camera che deve approvarlo entro la scadenza del 28 febbraio.
Numerose le modifiche al decreto "Omnibus" del governo in cui, come da tradizione, è finito un po' di tutto, dalla proroga alla Dis-coll a quella per le norme antincendio in asili, hotel e rifugi, passando per la proroga alla Bolkestein sul commercio a quella sull'applicazione delle norme che regolamentano gli Ncc e Uber, entrambe misure che hanno suscitato le proteste degli ambulanti, martedì, e dei tassisti, oggi. Il maxiemendamento - che inglobava i circa 100 emendamenti approvati in commissione Affari costituzionali - ha richiesto ieri sera diverso tempo per la bollinatura da parte della ragioneria dello Stato, facendo slittare il voto dell'aula a stamattina. Nel testo finale sottoposto oggi alla commissione Bilancio, sono state espulse alcune norme considerate doppioni o senza copertura.
COMMERCIO
Le principali modifiche approvate riguardano innanzitutto la proroga all'applicazione della direttiva Bolkestein al 31 dicembre 2018, superando quindi l'emendamento Mirabelli - che escludeva i Comuni che avevano già attivato i nuovi bandi - e che aveva scatenato la rumorosa protesta degli ambulanti che per ore martedì avevano fatto sentire la loro voce sotto palazzo Madama.
TAXI 
Protesta dei tassisti su corso Rinascimento, davanti il Senato, contro l'emendamento inserito nel decreto milleproroghe che, è l'accusa, favorirebbe servizi come Uber. La norma rimanda al 31 dicembre il termine entro cui il ministero delle Infrastrutture deve emanare il provvedimento finalizzato a impedire le pratiche di esercizio abusivo dei taxi e quelle di noleggio con conducente.
FISCO
Tra gli emendamenti approvati, c'è l'ok a due soli invii all'anno delle fatture Iva durante i primi dodici mesi di applicazione dello spesometro, il primo entro il 16 settembre 2017 e il secondo entro febbraio 2018. Restano invece le 4 scadenze annuali per le liquidazioni Iva.
TASSA DI SBARCO Un'altra modifica al testo inserisce invece la possibilità di introdurre una tassa fino a 2,5 euro per sbarcare sulle isole minori, in alternativa alla tassa di soggiorno.
PRECARI ISTAT
Soddisfatti i precari Istat: dopo le vibranti proteste dei 350 ricercatori precari dell'istituto, che nei giorni scorsi si erano "impossessati" dell'account Twitter dell'istituto ed erano stati anche ricevuti in direzione Pd potranno partecipare al concorso interno per l'assunzione.
PROROGA DIS-COLL 
Via libera all'emendamento per la proroga della Dis-Coll, cioè l'indennità di disoccupazione per i Collaboratori coordinati e continuativi (co.co.co), mentre si conferma lo stop del mini aumento delle pensioni anche nel 2017.
RIENTRO CERVELLI IN FUGA
Approvata anche la norma che estende al 30 aprile 2017 il regime fiscale agevolato per il rientro dei cervelli in fuga, che permette di considerare reddito complessivo soltanto il 70% dell'intero reddito, con una riduzione della base imponibile ai fini Irpef del 30%.
TERREMOTI
Misure anche per i terremotati: via libera all'emendamento Pezzopane (Pd) che assicura per un ulteriore anno e fino a dicembre 2018 i contratti dei lavoratori precari del comune dell'Aquila e dei comuni del cratere. Il decreto conferma anche il differimento del pagamento dei mutui presso la Cassa Depositi e Prestiti, accesi dai Comuni colpiti dal sisma del 2012.
PARTITI POLITICI
Un altro anno di tempo, fino al 31 dicembre 2017, per i partiti politici per trasmettere i rendiconti relativi agli anni 2013, 2014 e 2015.
SLITTANO OBBLIGHI ANTINCENDIO
Rinviata l'entrata in vigore, al 31 dicembre 2017, delle norme antincendio negli asili nido, negli alberghi e nei rifugi.
CIGS SETTORE ITTICO
Ok anche allo stanziamento di 17 milioni di euro per la copertura della Cassa integrazione in deroga rivolta ai lavoratori del settore ittico nel 2016.
BONUS IRPEF PER CHI COMPRA CASAEsteso per tutto il 2017 il bonus Irpef per chi acquista una casa di classe A o B. Fino al 31 dicembre si potrà detrarre dall'imposta lorda il 50% dell'importo corrisposto per il pagamento dell'Iva per all'acquisto di un immobile ad alta efficienza energetica.
AFFITTI
I proprietari di case in affitto, non dovranno più registrare il contratto di locazione nel 730 per avere diritto alla cedolare secca.
LOTTERIA SCONTRINI
Rimandato al primo novembre 2017 l'avvio della sperimentazione della lotteria nazionale legata agli scontrini per gli acquisti con carta di debito o credito, introdotta nella legge di bilancio.
SALVI I PRECARI AGCOM
Cresce l'Autorità garante del mercato e della concorrenza, con un emendamento he consente di portare il totale dei dipendenti da 150 a 180 unità.
DIRITTI TV CALCIO
Slitta il trasferimento del 10% dei diritti audiovisivi incassati dalla Lega calcio di serie A ai settori giovanili, che scatterà a partire dal primo luglio 2017 (il vecchio termine era il 31 gennaio).
CINEMA E FONDAZIONI LIRICHE
Una parte delle risorse per le imprese di produzione cinematografica, per il 2017, potrà essere destinata all'Istituto Luce per la cineteca nazionale. Aumentano di 12 milioni le risorse per le fondazioni lirico sinfoniche con una quota massima di 4 milioni, dovrà essere destinata ad Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria interessati dagli eventi sismici dello scorso anno.
ANAS E RFI
Niente limiti alle assunzioni e stop alla spending review in Anas, mentre viene prorogato fino al 30 settembre 2017 del contratto di programma 2012-2014 con Rfi, in attesa dell'approvazione del nuovo.
EDITORIA
Rimandata anche l'applicazione della legge sull'editoria per quanto riguarda il contributo alle imprese e le regole di calcolo. Il contributo pubblico massimo liquidabile non può eccedere il 50 per cento dell'ammontare complessivo dei ricavi riferiti alla testata.
PROROGA IRES E IRAPProroga di 15 giorni per la trasmissione delle dichiarazioni Ires e Irap, da trasmettere entro il 16 ottobre.
AGENZIA ENTRATE
Prorogata di un anno la durata del mandato dei delegati nei consigli di rappresentanza militare e la finestra dei concorsi pubblici per coprire le vacanze di organico dei dirigenti delle Agenzie fiscali.

martedì 6 ottobre 2015

Un uomo solo al comando. Del nulla. Un eroe italiano di cui nessuno vuol parlare. - Sergio Di Cori Modigliani



La più potente, poderosa e importante battaglia politica per garantire la libera informazione in Italia e la possibilità di aumentare la diffusione della cultura nel nostro paese si è appena conclusa, qualche ora fa.
La sua vicenda è andata dipanandosi sotto gli occhi di tutti.
Nella più totale indifferenza da parte di ogni soggetto politico presente in Parlamento e, aggiungiamoci pure, nella più totale indifferenza anche da parte di movimenti e associazioni, al di fuori del Parlamento, che ritengono di avere a cuore il destino culturale di questa scombiccherata nazione.
La battaglia non ha avuto oppositori, e quindi non si potrebbe neppure sostenere che è stata una “battaglia vinta”. Peggio. E’ stata una battaglia nella quale chi avrebbe dovuto interpretare il ruolo dell’antagonista -e quindi i movimenti di opposizione di questo paese- sono finiti, per propria scelta, nella categoria di “coloro che scelgono di non voler combattere le battaglie che contano”.
C’è stata, e c’è tuttora, una persona soltanto che ha detto no. Un’unica azienda. Un unico marchio. Un unico individuo.
Si chiama Roberto Calasso. La sua è un’azienda editoriale. Il suo marchio è Adelphi.
Vediamo di che cosa si tratta.
Questa mattina, alle 9.30, in violazione delle regole del buon senso e forse anche delle regole vigenti, è nata la Mondazzoli, la più forte e robusta azienda editoriale che produce libri in questo paese. La Mondadori, infatti, ha ufficialmente acquistato la Rizzoli libri per la cifra di 125,7 milioni di euro, nonostante l’offerta della Mondadori fosse stata di 138 milioni e la Rizzoli avesse accettato. Grazie a questo accordo, la Mondazzoli da oggi controlla il 40,4% del mercato. Se a questo si assommano gli interessi incrociati societari dello stesso gruppo in altri settori mediatici (radio, televisioni private in chiaro, satellitari e pay, video-giochi, smartphone applications, quotidiani cartacei, settimanali, mensili, periodici) la Mondazzoli raggiunge il controllo complessivo di circa l’84% dell’intera produzione nazionale operativa sul territorio della Rpubblica Italiana. Al massimo entro pochi mesi, le piccole realtà operative in Italia verranno spazzate via senza pietà. Si tratta del più grande monopolio nel campo della cultura e in quel segmento editoriale, mai esistito in una nazione occidentale da quando Gutenberg ha inventato la stampa.
Tutto è nato nel febbraio del 2015, otto mesi fa.
La Rizzoli libri, infatti, (il presidente è Paolo Mieli, esponente di punta del centro-sinistra) in seguito al disastroso bilancio del 2014 aveva deciso di vendere la propria quota azionaria. Non ha neppure fatto in tempo a comunicare la decisione che si è presentata come unico acquirente la Mondadori, chiedendo un diritto in esclusiva facendo una offerta. Per rispettare le leggi vigenti, sottoposte al controllo della Consob, è stato esteso al massimo livello possibile il giorno della scadenza definitiva, oltre la quale veniva annullata la possibilità dell’accordo: mercoledì 30 Settembre 2015. Presumo che il motivo che giustificava gli otto mesi di tempo era la preoccupazione che l’Authority  responsabile di controllare ogni azione societaria, nel nome dell’anti-trust, avrebbe potuto mettere i bastoni tra le ruote. Bastava una interrogazione parlamentare, un gruppo politico italiano che avesse preteso un dibattito in aula, denunciando “la violazione di ogni regolamentazione atta ad impedire che nel mercato libero prevalgano i cartelli consociativi a danno della competizione e che si costituiscano e si costruiscano dei  monopoli unici….ecc”. Se qualcuno, alla Camera dei Deputati avesse fatto questo, in qualche modo l’opinione pubblica si sarebbe allertata, se ne sarebbe parlato, ci sarebbero state discussioni, posizioni diverse, dibattiti, polemiche, e i diversi soggetti in campo sarebbero diventati pubblici, scoprendo ciascuno le proprie carte. Evidentemente l’ordine da parte dei due contraenti è stato quello di mantenere il più basso profilo possibile e fare in modo che nessuno ne parlasse. L’intera stampa finanziata e sostenuta dal centro-destra ha eseguito l’ordine in maniera compatta: è un affare fondamentale per Silvio Berlusconi, è stato detto con una certa chiarezza, e meno se ne parla meglio è. L’intera stampa finanziata e sostenuta dal centro-sinistra ha eseguito l’ordine in maniera compatta: è un affare fondamentale per Paolo Mieli e Carlo de Benedetti, è stato detto con altrettanta chiarezza, e meno se ne parla meglio è. Gli altri, cioè M5s, Sel, e addentellati vari: neppure una parola al riguardo, mai. Vien da chiedersi che cosa ci stiano a fare in Parlamento. O meglio, a non fare. Una volta tanto non me la prendo con la cupola mediatica: il loro atteggiamento è comprensibile in una nazione distopica, cinica, opportunistica e completamente priva di possanza etica come l’Italia. In un modo o nell’altro dipendono economicamente quasi tutti o da Berlusconi o da de Benedetti/Mieli oppure dal PD/Forza Italia; il loro comportamento si adegua al principio carrieristico e se gli editori chiedono silenzio, ebbene, che silenzio sia. Ma l’opposizione, o presunta tale?
Così è andata.
Sarebbe bastato poco, davvero molto poco. Perchè l’accordo viola ogni legge antitrust, ma l’authority che ne regola il funzionamento è un organismo che segue i trend; nel nostro Paese è notoriamente soggetto agli umori delle piazze, reali o virtuali che siano. Davanti a una levata di scudi non avrebbero potuto non intervenire. Lo farà al posto loro l’Europa alla fine del 2016 quando l’intera documentazione sarà stata rubricata, archiviata, formalizzata, e il commissario di Bruxelles la denuncerà. Nel frattempo Mondadori e Rizzoli, insieme, avranno la possibilità di pagare i loro debiti. O meglio, saremo noi a pagarli, come al solito, grazie alla malleveria dei due grandi partiti che andranno in soccorso della Mondazzoli con la consueta didascalia “difendiamo l’Italia che lavora” infilandola dentro la prossima legge di stabilità. Entrambe decotte, senza un progetto industriale, senza un visione culturale, senza mercato, hanno accumulato debiti su debiti seguitando a pubblicare una caterva di libri (che nessuno legge) scritti per lo più da professionisti della cupola mediatica, per lo più con copertura politica, in un giro vizioso perverso che ha strozzato e sta strozzando ogni forma di libertà d’espressione.
Da noi, funziona così.
Si è manifestata un’unica contestazione forte, fin dall’inizio, quella del signor Calasso. Gli autori, gli scrittori, romanzieri, narratori, saggisti che siano, tenuti fuori dal mercato perché pensanti e produttori di contenuti non monetizzabili non si lamentino. Sono, ahinoi, in ottima compagnia. La massa ignora chi sia il signor Calasso. Nel campo editoriale italiano, e non solo, è (giustamente) considerato il più poderoso e colto intellettuale-imprenditore ancora attivo. E’ molto noto, e negli ambienti di chi conosce l’editoria del nostro paese è molto famoso, direi addirittura un mito. Ebbene, lui ha detto no e in otto mesi di solitaria battaglia, lui che -in teoria, ma soltanto in teoria- avrebbe potuto avere a disposizione ogni tipo di platea mediatica, non mi pare che sia riuscito a ottenere neppure una intervistina, un invito a un talk show, la possibilità di spiegare agli italiani che cosa stava accadendo. Per coloro che non sanno chi sia, suggerisco (così, tanto per comprendere il tipo di persona) di visualizzarlo nel personaggio interpretato da Kevin Kostner nel celebre film “Balla con i lupi”. Roberto Calasso è un imprenditore-editore che da solo ha scelto di andare verso la frontiera. Nel 2006, dieci anni fa, quando la Rizzoli manovrava per mangiarsi (come ha fatto) gli altri editori, da Fabbri a Bompiani, da Archinto a Marsilio, si è rivolta alla Adelphi con molto realismo, spiegando che non sarebbe stato in grado di sopravvivere se non all’interno di un solido gruppo antagonista alla Mondadori. Iniziarono una trattativa. Forse Roberto Calasso conosceva i propri polli e sapeva già dove la cosiddetta sinistra intendesse andare a parare e così accettò ponendo due condizioni: 
1) accettava cedendo però soltanto il 45% delle sue azioni, lui avrebbe mantenuto la maggioranza; 
2) chiese di immettere una clausola che gli consentiva un diritto di scelta nel caso, un giorno, la Rizzoli decidesse di vendere (o svendere, come in questo caso) la sezione libri a un soggetto terzo, pretendendo la libertà di essere in disaccordo e quindi chiamandosi fuori, ritornando a essere totalmente indipendente senza pagare alcuna penale. Glielo concessero. 
E così, a febbraio del 2015, quando la Mondadori avanza l’offerta e Paolo Mieli dice sì sì sì, arriva il secco no di Calasso. Lì nascono problemi seri. Perchè il catalogo della Adelphi è talmente ricco e polposo che gli investitori internazionali cominciano a manifestare perplessità. E così si rimanda di mese in mese. Ma non riescono a convincerlo. E intanto la massa debitoria di Rizzoli e Mondadori aumenta a dismisura. E così, il 30 settembre la trattativa salta per “mancanza di ottemperanza nel rispetto dei tempi prestabiliti, come da Legge, e come la normativa Consob prevede”. Ma siamo in Italia, paese dove le regole sono diverse a seconda del peso politico dei contraenti. Escono (venerdì scorso) due articoli: un dispaccio dell’agenzia Reuters e un articolo su Milano Finanza. Li pubblico entrambi qui di seguito. Sono articoli molto molto tecnici, che descrivono l’accordo come se si trattasse di due aziende che vendono sapone in polvere o tondelli di ferro, senza minimanente far riferimento all’impatto devastante che la nascita della Mondazzoli avrà sulla vita culturale italiana: l’appiattirà, la cancellerà, spingendola al ribasso verso una marketizzazione priva di valori contenutistici.
Ecco i due articoli apparsi lo scorso giovedì:
Il momentaneo rinvio della vendita di Rcs  Libri a Mondadori  non impedirà la conclusione dell’operazione, troppo importante per entrambi i gruppi. Il deal, il cui valore complessivo dovrebbe essere di 135 milioni di euro, secondo gli analisti di Mediobanca  Securities, sarà finalizzato al più tardi nei prossimi giorni.  Soprattutto perché il gruppo di via Rizzoli non ha tempo da perdere a causa dell’aumento di capitale da almeno 200 milioni di euro a cui andrebbe in contro qualora sfumasse l’operazione. “Il ritardo sembra principalmente legato alle preoccupazioni legate all’Antitrust (che potrebbe prendersi 90 giorni o più per definire il da farsi, ndr) e alla definizione del perimetro di consolidamento”, spiegano gli esperti della banca d’affari. Il problema dell’Antitrust, infatti, riguarda la tempistica necessaria per la delibera sul deal. Con l’acquisizione di Rcs Libri, Mondadori  acquisirebbe il 40% del mercato, manovra che potrebbe spingere l’Authority a imporre al gruppo di Segrate la cessione di alcuni marchi e case editrici. Inoltre, poiché è di dominio pubblico la pressione delle banche su Rcs Mondadori  avrebbe richiesto uno sconto sul prezzo di vendita. “E’ una storia infinita, se si considera che la prima offerta non vincolante è stata presentata a febbraio di quest’anno”, commentano gli analisti, “tuttavia, continuiamo a credere che un accordo sarà raggiunto. Il deal è estremamente importante per entrambe i due gruppi”, ribadiscono alla banca d’affari. “Rcs  avrà la possibilità di ridurre visibilmente il suo debito: una riduzione di più di 100 milioni di euro, cifra che si confronta con una capitalizzazione di mercato di 450 milioni di euro, subendo però un impatto molto limitato a livello di free cash flow. Inoltre”, proseguono gli analisti, “il gruppo potrà concentrarsi sul nuovo piano strategico, che mira ad accelerare sui segmenti del digitale, dello sport e delle news”………Dall’altro lato, Mondadori  potrebbe creare una discreta quantità di valore dall’operazione. “La società ha l’obiettivo di guadagnare 15 milioni l’anno nel corso dei prossimi tre anni, ovvero una cifra compresa tra 60 e 80 milioni di euro, che rappresenta il 30% circa della capitalizzazione di mercato della società”, concludono gli esperti che, in attesa del lieto fine delle trattative, ribadiscono la raccomandazione outperform su entrambi i titoli con un target price di 1,44 euro per Rcs  e di 1,34 euro per Mondadori ……..Ma a Piazza Affari il titolo Rcs  crolla dell’8,11% a quota 0,8215 euro in scia alla notizia della momentanea battuta d’arresto delle trattative. Scambia, invece, sulla parità Mondadori  a quota 0,94 euro: ieri la società ha concluso la cessione a Mediaset  dell’80% di R101 e ha venduto ad Harlequin la sua parte nella joint venture comune per un incasso complessivo paria a 45,1 milioni.…..

Rcs perde fino a 9%, Mondadori stabile dopo nuovo rinvio su Libri

agenzia di stampa Reuters. Pubblicato Giovedì 1 ottobre 2015 alle ore 12:28
MILANO (Reuters) – Tonfo in borsa per Rcs mentre non si muove quasi Mondadori dopo il nuovo rinvio della vendita di Rcs Libri che, se saltasse, renderebbe più concreto il rischio di un aumento di capitale per il gruppo di via Rizzoli. La notizia ha sorpreso il mercato che si aspettava la chiusura dell’operazione ieri, ossia entro il termine dell’esclusiva già più volte prorogata. “La negoziazione si sta mostrando più complessa del previsto”, commenta Equita in una nota. Molti i broker che restano convinti che l’operazione comunque si farà. Secondo alcune fonti la trattativa si è arenata sulla questione della valutazione del rischio Antitrust. Intorno alle 11,45 Rcs cede l’8,8% a 0,815 euro con volumi già tre volte superiori alla media di un’intera seduta. Mondadori cede lo 0,21% a 0,938 euro mentre il mercato sale dello 0,6%. Se fallissero le trattative per Rcs tornerebbe il rischio di esercizio della delega per un aumento di capitale da 190 milioni, osserva un analista scettico sulla possibilità che altre cessioni si chiudano entro la fine dell’anno. Una vendita, scrive Equita, permetterebbe invece un miglioramento del debito di Rcs (visto sotto le 3 volte l’Ebitda stimato per il 2016) e di evitare così l’aumento di capitale dopo la rinegoziazione dei covenant con le banche.
 
Oggi, invece, esce sulla prima pagina del quotidiano Il Tempo, che rappresenta a Roma gli il centro-destra, con un titolo che la dice tutta: “L’affare è fatto!“.
Eccolo qui di seguito.
Rcs ha ceduto a Mondadori la sua area Libri per 127,5 milioni di euro. L’operazione è stata approvata nella giornata di oggi dal consiglio di amministrazione. Le trattative tra le due società erano cominciate a metà febbraio, quando Mondadori fece la prima offerta non vincolante per l’area Libri del gruppo Rizzoli.
Adelphi è stata esclusa dalla cessione: il 58% della casa editrice che fa capo a Rcs sarà infatti ceduto al socio Roberto Calasso. Nasce un ‘gigante’ della letteratura, con quasi il 40% del mercato. Con la firma del contratto di acquisto di Rcs Libri, Mondadori porta sotto il suo controllo oltre a Rizzoli una serie di marchi storici dell’editoria italiana. Per questo l’operazione, da cui è stata esclusa Adelphi, dovrà avere il via libera dell’Antitrust. Da Bompiani a Einaudi ad Archinto, ecco le case editrici coinvolte.
Soddisfatta Marina Berlusconi, presidente della Arnoldo Mondadori editore: “È un’operazione di cui siamo particolarmente orgogliosi. Un rilevante investimento, da parte di una grande azienda italiana, in un settore nobile e speciale come quello del libro”, ha dichiarato. “La Mondadori, di cui la mia famiglia è l’editore da ormai 25 anni, torna a crescere e compie un passo cruciale verso una sempre maggiore solidità. Ma quello annunciato ieri sera è anche un investimento sul futuro del nostro Paese e sulla qualità di questo futuro. Le dinamiche del settore spingono in tutto il mondo gli editori ad unire le forze. Un processo che in Italia, dove gli operatori hanno dimensioni molto più piccole rispetto a quelli degli altri principali Paesi, risulta ancora più necessario. L’acquisizione della Rcs Libri va in questa direzione. (…) E soprattutto siamo determinati a mettere tutto l’impegno necessario per tutelare e valorizzare quel sistema di eccellenze editoriali e culturali di cui la Mondadori si trova al centro. MONDADORI Il gruppo retto da Marina Berlusconi già guida il mercato dell’editoria, con una quota a valore del 26,5%, secondo dati Nielsen aggiornati al 2014. Ecco i suoi marchi. 
Edizioni Mondadori: il primo libro pubblicato risale al 1912. Oggi copre tutti i segmenti di mercato ed è il maggiore editore di libri in Italia, con una quota del 12,3%.
Einaudi: fondata a Torino nel 1933, fu acquisita da Mondadori nel 1994. Nel gruppo è la casa editrice caratterizzata da impegno culturale e da cura della qualità.
Piemme: fondata nel 1982, è entrata nel gruppo Mondadori nel 2003. Pubblica principalmente libri per ragazzi, oltre ad avere una forte produzione nel settore religioso.
Sperling&Kupfer: fondata nel 1899, è tra le piu’ antiche case editrici milanesi. Fu acquisita al 100% da Mondadori nel 1995. Oggi pubblica narrativa, prevalentemente destinata al pubblico femminile, anche con il marchio Frassinelli.
Electa: è dal 1945 il marchio dei libri d’arte. 
RCS LIBRI Fa capo per il 99,99% a Rcs Mediagroup ed è il secondo editore in Italia, dietro a Mondadori, con una quota di mercato pari al 12,1% nel 2014. Ecco i suoi marchi.
Rizzoli: è la casa editrice più generalista del gruppo, fondata nel 1927.
Bur: è il marchio dei tascabili della Rizzoli. Pubblica classici della letteratura a basso prezzo.
Bompiani: fondata da Valentino Bompiani nel 1929, è oggi diretta da Elisabetta Sgarbi ed edita principalmente volumi di narrativa e saggistica.
Fabbri editori: fondata nel 1947, è la casa editrice dei libri per ragazzi e per l’apprendimento, spesso venduti in edicola.
Marsilio: fondata a Padova nel 1961, ha pubblicato negli anni oltre 7.000 titoli in tutti gli ambiti. Dal 2000 Rcs ne detiene il 51% circa e salira’ al 95% prima della chiusura della vendita. Al suo interno c’e’, dal 2010, anche Sonzogno, la piu’ antica casa editrice coinvolta nell’operazione: ha 150 anni e si rivolge principalmente a un pubblico femminile.
Archinto: fondata nel 1985, passa al gruppo Rcs nel 2003. È la casa editrice degli epistolari.
 
Chiunque covasse speranze pensando a un Renzi rottamatore e/o riformatore, se le scordi; chiunque pensasse che in Italia esiste una solida opposizione politica (M5s, Sel e affini) agli accordi feudali di consociativismo medioevale tra la destra e la sinistra, se lo scordi.
Pagheremo tra un anno la pesante penale europea e passerà tutto in cavalleria.
In realtà si tratta della fine annunciata della libertà intellettuale in Italia, e il messaggio politico è molto chiaro, netto, distinto: decidiamo noi che cosa farvi leggere, come, e dove.
Non stupiamoci se chiudono le librerie, i piccoli editori seri falliscono, e -come sostengono i dati statistici- la Repubblica Italiana segna il più avvilente e triste record dal 1946 a oggi: è il paese in tutto l’occidente in cui si legge di meno, e nei primi sei mesi del 2015 gli indici di lettura denunciano un crollo verticale.
Siamo ormai considerati un paese di analfabeti funzionali.
Lunga vita a Roberto Calasso. 
P.S.
Qui di seguito, vi posto una scheda sintetica che ritengo attendibile sulla casa editrice Adelphi, pubblicata a febbraio del 2015 sul sito “direfarescrivere.it“.

Adelphi: sinonimo di letteratura colta e di qualità
per un’editoria intesa come espressione artistica
Cinquant’anni di storia della casa editrice milanese dal profilo unico
che combina con grazia tradizione e originalità, eleganza e sobrietà

di M. Vitalba Giudice
Adelphi viene fondata nel 1962 dal critico letterario Luciano Foà e dall’imprenditore Roberto Olivetti. Tuttavia, all’interno della casa editrice milanese, gioca un ruolo di fondamentale importanza anche Roberto “Bobi” Bazlen, che concorre a definire l’identità di Adelphi e a sviluppare una linea editoriale originale e unica nel panorama italiano. L’intellettuale triestino riesce ad apportare un significativo contributo non solo grazie alle esperienze maturate come traduttore negli anni Quaranta, ma anche grazie alle numerose relazioni intrattenute con letterati del tempo quali ad esempio Montale, Landolfi e Savino.
Nel progetto della nascente casa editrice viene, inoltre, riservato uno spazio a Giorgio Colli e Mazzino Montinari, il cui apporto risulta interessante grazie anche a un’edizione critica e alla traduzione delle opere di Friedrich Nietzsche. Tra i primi giovani collaboratori esterni figurano il futuro direttore editoriale Roberto Calasso, Claudio Rugafiori, Piero Bertolucci, che diventerà responsabile della produzione, e Nino Cappelletti, che dirigerà l’ufficio tecnico-grafico.
Il simbolo della casa editrice è un antico pittogramma cinese: «Il nostro marchio riproduce un disegno inciso su un antico bronzo cinese. In basso c’è una falce di luna e sopra due figure umane, una un po’ più grossa, a testa in giù, e l’altra a testa in su. Queste due figure sulla luna nuova vogliono significare morte e resurrezione, morte e rinascita». La contrapposizione vita-morte proposta da Adelphi assume diversi significati simbolici, soprattutto se accostata al nome della casa editrice, che deriva dal greco (ἀδελφοί) e significa “fratelli”.Le principali collane
Nel 1963 viene inaugurata la collana d’esordio Classici, raccolta tradizionale ma accompagnata da una raffinata analisi critica, stesa con grande cura editoriale e redazionale. I primi quattro titoli pubblicati sono Opere di Georg Büchner, Tutte le novelle di Gottfried Keller, La vita e le avventure di Robinson Crusoe di Daniel Defoe, Fede e bellezza di Niccolò Tommaseo.
Il carattere innovativo di Adelphi appare evidente soprattutto negli anni successivi: nel 1964 nasce la collana Saggi e nel 1965 viene inaugurata la collana Biblioteca Adelphi. Quest’ultima, tra le più prestigiose e longeve raccolte della casa editrice, contiene testi eterogenei e oggi è la collana guida di Adelphi; la sua veste grafica è molto semplice e, come recita il risvolto, ospita «Una serie di libri unici scelti secondo un unico criterio: la profondità dell’esperienza da cui nascono e di cui sono viva testimonianza. Libri di oggi e di ieri – romanzi, saggi, autobiografie, opere teatrali – esperienze della realtà o dell’immaginazione, del mondo degli affetti e del pensiero».
Sempre nel 1965 Adelphi acquisisce il marchio e il catalogo della Frassinelli, di cui vengono riproposte varie opere tra le quali Dedalus di James Joyce e Moby Dick di Herman Melville tradotte da Pavese. Tuttavia, il successo maggiore arriva con il romanzo di Hermann Hesse, Siddharta, nella versione di Massimo Mila che, acquistato con il catalogo Frassinelli pubblicato nel 1973, venderà circa 500.000 copie in un decennio.Il successo di Adelphi
Il vero periodo di espansione per Adelphi arriva nel 1971: grazie a un nuovo assetto societario, la casa editrice milanese può finalmente contare su un budget più solido e ampliare così la propria produzione, che passa dai circa dieci titoli annuali degli anni Sessanta ai quasi quaranta degli anni Settanta. Sempre nel 1971 la carica di direttore editoriale viene assunta da Roberto Calasso, che negli anni, grazie alle proprie capacità, riuscirà a ritagliare per Adelphi un importante ruolo nel panorama italiano, sviluppando un’editoria intesa come vera e propria forma d’arte. Per Calasso i testi scelti per essere stampati sono «come anelli di un’unica catena, o segmenti di un serpente di libri, o frammenti di un singolo libro formato da tutti i libri pubblicati da quell’editore».
La crisi di mercato degli anni Ottanta interessa solo parzialmente Adelphi, che nel tempo si è maggiormente concentrata sulla narrativa straniera. Nel 1985, la casa editrice milanese riesce ad affermarsi con la pubblicazione del romanzo L’insostenibile leggerezza dell’essere, di Milan Kundera, titolo d’esordio della collana Fabula e definito dalla critica come un vero e proprio fenomeno culturale, di mercato e di costume. Il boom iniziale delle vendite è da rintracciare anche nella pubblicità che Roberto D’Agostino fa nel programma televisivo Quelli della notte, che diviene una trasmissione di successo per un pubblico medio-alto. La raccolta Fabula ospiterà inoltre autori quali, ad esempio, Patrick McGrath, Cathleen Shine, Ann-Marie MacDonald, rispondendo alla domanda di una narrativa semplice, lontana da sperimentalismi forzati e dagli eccessi, che tuttavia non rinuncia a una produzione di qualità.
Nel 1985 Adelphi aumenta progressivamente la presenza di autori italiani nel proprio catalogo, grazie all’acquisizione delle opere di Giorgio Manganelli (1985), Leonardo Sciascia e Anna Maria Ortese (dal 1986), Tommaso Landolfi (dal 1992), Alberto Arbasino (dal 1993), e poi Ennio Flaiano e Goffredo Parise.
Dal 1989 in poi raddoppia i titoli annualmente prodotti, grazie anche al successo della collana Tascabili Adelphi.
Come suggerisce il giornalista Gian Carlo Ferretti, il successo della casa editrice Adelphi è soprattutto da rintracciare nella «capacità di mantenere un’immagine coerente con la propria storia editoriale pur attraverso i cambiamenti delle diverse epoche e di diventare nell’immaginario del lettore colto il nuovo archetipo del libro di cultura: fenomeno culturale e di costume insieme, favorito anche dalla grande visibilità su quotidiani di orientamento politico-culturale opposto».
M. Vitalba Giudice(direfarescrivere, anno XI, n. 110, febbraio 2015)