venerdì 17 aprile 2020

Lega e FI votano contro gli eurobond in Ue, Pd e M5S divisi sul Mes.


L'aula dell'Europarlamento.

M5S Europa, ci asterremo al voto finale della risoluzione del Parlamento europeo.

CORONABOND - E' polemica a Bruxelles sul voto di Lega e Forza Italia al Parlamento europeo contro gli eurobond. L'emendamento dei Verdi sulla condivisione del debito tra i Paesi Ue alla risoluzione comune di Ppe, S&D, Renew Europe e Verdi, è stato respinto ieri con 326 voti contrari, 282 sì e 74 astensioni. Favorevoli Pd, M5s e Fratelli d'Italia, contrari la Lega e Forza Italia, mentre gli eurodeputati di Italia Viva si sono astenuti.
"L'ennesimo tradimento ai danni dell'Italia da parte della Lega e di Forza Italia è servito: in aula, al Parlamento Ue, hanno votato contro gli eurobond", scrive in una nota l'europarlamentare M5s e vicepresidente del Parlamento Ue, Fabio Massimo Castaldo. "Se avessero votato a favore, l'emendamento sarebbe stato approvato! Eccoli i signorotti ultranazionalisti e sovranisti: prima sventolano il tricolore in ogni selfie, poi quando il loro voto può salvare il Paese si allineano all'Olanda", attacca Castaldo. "Complimenti! Almeno adesso tutti gli italiani potranno conoscere il loro vero volto".
"Il voto di Lega e FI è stato determinate per bocciare l'emendamento dei Verdi su Coronabond. Hanno votato contro la condivisione del debito futuro degli Stati membri. La verità è che la destra italiana è contro qualsiasi iniziativa per salvare Italia e UE dal fallimento. Tutto qui", commenta su twitter Alessia Rotta, vicepresidente dei deputati del Pd a proposito del voto all'Europarlamento sui coronabond.
"Ieri al Parlamento europeo, la Lega delle chiacchiere ha votato contro un emendamento che chiedeva i Coronabond, fondamentali per coprire il debito dell'Italia, permettendo così la bocciatura dell'emendamento". Lo scrive su Facebook Nicola Fratoianni portavoce nazionale di Sinistra Italiana. "Vanno ciarlando di Italia occupando tutti gli spazi tv e i tg - prosegue l'esponente di Leu - ma poi fanno tutto il contrario e vanno a braccetto con i loro amici olandesi ed ungheresi e così via". "Traditori - conclude Fratoianni - della Patria".
'Si è scelto di votare contro gli interessi strategici del Paese. Senza pudore. Solo il disgusto è più forte dello sconcerto per tale condotta". Scrive su Fb la vicepresidente del Senato del M5S, Paola Taverna.
 "La risoluzione del Parlamento Europeo in vista del Consiglio del 23, voluta da Forza Italia, punta sulla mutualizzazione del debito a carico dell'Ue. Quindi ai Recovery bond. Lasciamo ai politicanti il gioco sugli emendamenti irrealizzabili", scrive su Twitter il vicepresidente di Forza Italia, Antonio Tajani per spiegare il voto contrario di Fi all'emendamento sui Coronabond. 
MES- E sul voto in plenaria a favore dell'attivazione del Mes, contenuto nella risoluzione sull'azione coordinata dell'Ue contro il Covid-19, Pd e M5s si dividono al Parlamento Ue. Il Pd ha votato a favore del paragrafo 23 che invita i Paesi dell'eurozona ad attivare il Mes, mentre il M5s si è espresso contro. Contrarie anche Lega e Fratelli d'Italia. Hanno votato a favore Italia Viva e Forza Italia. Il paragrafo è passato con 523 sì, 145 contrari e 17 astensioni. La risoluzione nella sua interezza - depositata da Ppe, S&D, Renew Europe e Verdi - sarà votata oggi in plenaria.
La delegazione del M5S al Parlamento Ue annuncia che oggi si asterrà al voto finale sulla risoluzione in quanto "presenta tante luci ma anche troppe ombre. Ci saremmo aspettati un chiaro e forte riferimento ai Coronabond grazie ai quali l'Ue potrebbe finanziare la ripartenza economica una volta superata l'emergenza, ma per colpa dell'irresponsabilità di Lega e Fi l'emendamento che li inseriva nel testo è stato rigettato", precisa la nota. "Registriamo l'impegno a trovare strumenti nuovi per superare la crisi e ribadiamo la nostra contrarietà al Mes".
RECOVERY BOND - M5s al Pe vota no a Recovery Bond,'nel testo c'era pure Mes'. l M5s al Parlamento Ue ha votato contro l'introduzione di Recovery Bond garantiti dal bilancio Ue. La prima parte del paragrafo 17 della risoluzione - che invita la Commissione a proporre un massiccio pacchetto di investimenti per la ripresa da finanziarie con un bilancio pluriennale potenziato, i fondi e gli strumenti già esistenti e Recovery bond garantiti dal bilancio dell'Ue - è passata con 547 sì, 92 contrari e 44 astensioni. La Lega si è astenuta, ok da Forza Italia, Pd, Italia Viva e Fratelli d'Italia. "Qualche buontempone ha messo in giro la notizia che noi del M5S avremmo votato contro i 'recovery bond' o misure di condivisione del debito in Europa che stiamo chiedendo", afferma l'eurodeputato M5S Ignazio Corrao. "Partendo dal presupposto che si parla di emendamenti di una risoluzione, quindi più o meno del nulla cosmico, questi sono i documenti in discussione. Mentre la risoluzione si voterà oggi. Il paragrafo 17, come potete vedere, ha dentro Il Mes (ma anche l'accesso non spiegato al bilancio pluriennale, che può significare maggiore contribuzione netta degli Stati membri), per questo abbiamo votato contro", spiega.

Coronavirus – Milano-Venezia, fronte leghista per riaprire. Fontana: “Spalmiamo lavoro su 7 giorni”. Zaia: “Venerdì il piano”.

Coronavirus – Milano-Venezia, fronte leghista per riaprire. Fontana: “Spalmiamo lavoro su 7 giorni”. Zaia: “Venerdì il piano”

Il governatore lombardo chiede a Conte di riaprire, il veneto si accoda. Si apre un nuovo fronte con Roma. La sottosegretaria Zampa: “Dal primo giorno tutto un contraddire”. Gallera “disgustato da sciacallaggio politico”. Da Zingaretti a Di Maio: “Regole nazionali, basta furbizie.”
Fontana parte, Salvini benedice, Zaia rilancia. Più passano le ore e più la “via lombardo-veneta alla libertà” (per dirla con Fontana) assume i contorni di una strategia politica della Lega. Una fuga in avanti (bocciata sia dall’Oms che dall’epidemiologo Pierluigi Lopalco) che irrita la maggioranza, snobba, anticipa e di fatto depotenzia i suggerimenti che arriveranno dalla task force guidata da Vittorio Colao.
Il triangolo Fontana-Salvini-Zaia – Il disegno politico, del resto, si delinea mettendo i fatti in fila. Ieri il governatore lombardo, con tanto di lettera al governo, ha chiesto di riaprire le attività produttive dal 4 maggio. Come? Seguendo la rotta delle Quattro D (distanza, dispositivi, diagnosi e digitalizzazione) e ipotizzando di spalmare la settimana lavorativa non su cinque ma su sette giorni, “con orari di inizio diversi per evitare l’utilizzo eccessivo dei mezzi pubblici in determinate fasce”. Neanche il tempo di metabolizzare le critiche e il mezzo passo indietro di Fontana (che in serata aveva sottolineato che comunque le eventuali riaperture sarebbero state concordate col governo) ed ecco che in mattinata il leader del Carroccio ha benedetto la trovata del compagno di partito, facendo suo il messaggio e girandolo direttamente a Palazzo Chigi. “Il governo ne tenga conto”, ha detto Salvini. Ancora critiche, ancora veleni, ancora un rilancio, guarda caso proveniente da un altro governatore del CarroccioLuca Zaia, presidente del Veneto, ha preannunciato che anche lui domani presenterà a sua volta un piano per la ripartenza. “Noi abbiamo di fatto completato il nostro masterplan per la riapertura”, ha detto. “Abbiamo voluto scrivere delle regole che siano uguali per tutti e che siano una messa in sicurezza. Se ci sono ulteriori indicazioni, siamo qui per accoglierle”.
Il Friuli (leghista) a rimorchio – 
Se Lombardia e Veneto accelerano, da segnalare anche le parole del terzo governatore leghista, quello del Friuli Venezia Giulia. In giornata anche Massimiliano Fedriga ha annunciato che a breve presenterà un piano regionale per le riaperture da sottoporre all’esecutivo centrale: “Le Regioni non sono autonome nella riapertura e si devono muovere coordinate con il governo – ha detto – Nel frattempo, il Friuli sta lavorando a un piano”. Una posizione solo apparentemente più sfumata quella di Fedriga, il cui slogan è “ripresa presto e in sicurezza”, perché “tutela della salute e del lavoro vanno di pari passo”. La ricetta della regione sarà contenuta in alcune “linee guida, declinate per i diversi ambiti, con una task force – ha detto – In queste linee guida ci saranno i consigli utili per le imprese per riaprire in sicurezza“.

Milano attacca, Roma risponde – Il triangolo leghista è subito diventato l’ultimo fronte degli attriti tra Roma e Milano. “In sicurezza e quando la comunità scientifica ce lo dirà è auspicabile che le attività produttive riprendano ma dobbiamo farlo con attenzione per non trovarci come alcuni Stati all’estero che per la fretta di riaprire tutto hanno dovuto chiudere tutto” ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Più diretta la critica del Pd. “L’uscita dal lockdown deve avvenire, ma avvenga dentro tempi e regole nazionali da individuare in fretta senza furbizie. Ciò che accade a una Regione condiziona pesantemente ciò che accade su tutto il resto del Paese. Errare è umano, perseverare è diabolico”, ha risposto il segretario Pd Nicola Zingaretti, che però ha parlato prima dell’intervento di Luca Zaia, e ha denunciato il cambio di direzione sospetto della Lombardia. Solo sabato, del resto, Fontana ha emesso un’ordinanza nella quale imponeva misure più stringenti di quelle previste dal governo, come il no alla riapertura delle librerie. Le ultime 48 ore, del resto, in Regione sono state scandite dall’inchiesta sulle Rsacon il blitz dei finanzieri anche dentro il Pirellone.
Tanto che la sottosegretaria alla Salute, Sandra Zampa, lo dice in maniera neanche troppo velata: “Visto che dal primo giorno è stato tutto un disattendere e contraddire il governo, dobbiamo interrogarci se non sia una ragione politica quella che porta la Lombardia a prendere le distanze dal lockdown”. Senza giri di parole anche il sindaco di Milano, Beppe Sala: “La ripartenza il 4 maggio in Lombardia l’ha decisa la Regione o Salvini? Stanno passando dal terrore sul numero dei contagi di due giorni fa al liberi tutti. Un po’ più di equilibrio non guasterebbe”. Ancora più incendiario il capogruppo M5s alla Camera Crippa, secondo cui la mossa del Carroccio serve a “sviare l’attenzione dalle indagini della magistratura sulle rsa lombarde”. Il leader della Lega, come detto, guarda caso è stato tra i primi ad applaudire la nota con cui Fontana annunciava la “via lombarda alla libertà” e ancora mercoledì sera, ribadiva: “Chiedere la riapertura da parte della Lombardia è un grande segnale di concretezza e di speranza, spero che il governo ne tenga conto”.
Il (mezzo) passo indietro di Attilio Fontana – Nel frattempo, però, era arrivata la frenata di Fontana. Rispondendo al viceministro del Mise, Stefano Buffagni, che aveva ricordato come la Regione aveva sostenuto una linea “fortemente restrittiva”, il numero uno della Lombardia ha puntualizzato: “Le attività produttive sono di esclusiva competenza del governo centrale”. E dicendo di essere stato “male interpretato”, ha aggiunto: “Noi parliamo di una graduale ripresa delle attività ordinarie che sarà concordata con il governo. Credo che sia giusto anche iniziare a pensare come ci si dovrà attrezzare per convivere con questo virus. Non possiamo rimanere chiusi come in questo periodo”. “Io – ha aggiunto – sono stato la persona più prudente, ma bisogna iniziare a capire come cambiare la propria vita e trovare delle soluzioni”. Quelle vengono chieste da tutti, demandando comunque alla cabina di regia le decisioni su modalità e tempi.
Anche Sala, in un’intervista a Repubblica, si dice “non contrario a rimettere in moto l’economia” ma avverte: “Devono essere fornite le garanzie adeguate per chi andrà a lavorare. Quello del 4D è uno slogan senza contenuto”. Per tornare al lavoro in sicurezza, sottolinea il sindaco, occorre fare i test di immunità “e purtroppo in Lombardia siamo indietrissimo”, osserva. “Siccome a Milano non si fanno, ho rotto gli indugi e mi sono accordato con il Sacco per farli in autonomia, cominciamo con i 4mila del personale Atm che lavorano nei trasporti, poi vediamo”.
Gallera in difesa di Fontana: “Disgustato, sciacallaggio politico” – All’ondata di critiche, Fontana ha risposto con un post su Facebook: “Per giorni ci hanno raccontato, anche dal governo, che la Lombardia doveva fare di più e da sola – scrive – Ora, dopo che la Regione ha lanciato una proposta per riaprire le attività con attenzione e buonsenso, da Roma parlano addirittura di fughe in avanti”. “Non inseguiamo le polemiche – aggiunge – ma badiamo alla sostanza: molti altri Paesi europei sono già ripartiti, è necessario ragionare subito del nostro futuro”. Meno diplomatico l’assessore al Welfare, Giulio Gallera: “Assisto disgustato a molteplici azioni di gigantesca deformazione della realtà e di sciacallaggio politico e mediatico. Il senno di poi è un gioco facile per chi è rimasto a guardare. Noi eravamo in trincea, e lo siamo ancora”.

Roche, messo a punto un test sierologico anti Covid-19.


Operatori sanitari al lavoro contro il Covid-19 (Foto d'archivio) ANSA/EPA

Il test, assicura l'azienda, sarà pronto per l'Unione europea già ai primi di maggio.

Roche ha messo a punto un test sierologico per individuare la presenza di anticorpi contro il coronavirus nei pazienti esposti al contagio da Covid-19. La casa farmaceutica svizzera, si legge in una nota, "punta" a rendere il test disponibile agli "inizi di maggio" nella Ue e "sta attivamente lavorando" con la Fsa americana "per un'autorizzazione d'emergenza". "L'individuazione di questi anticorpi - spiega Roche - potrebbe aiutare a indicare se una persona ha sviluppato un'immunità al virus".
L'individuazione di anticorpi "è centrale per aiutare a identificare persone che sono state colpite dal virus, specialmente quelle che posso essere state infettate ma non manifestano sintomi", spiega Roche annunciando il prossimo lancio del test, chiamato Elecsys. "Inoltre, il test può aiutare screening prioritari fra gruppi ad alto rischio, come i lavoratori sanitari, i fornitori di prodotti alimentari che possono aver già sviluppato un certo livello di immunità e che possono continuare a servire o ritornare al lavoro. Aver compreso di più circa l'immunità da Covid-19, può anche aiutare la società a tornare più velocemente alla normalità". "Ogni test affidabile sul mercato aiuta i sistemi sanitari ad aiutarci a superare questa pandemia. Roche sta collaborando a stretto contatto con le autorità sanitarie e sta accelerando la produzione per assicurare una veloce disponibilità del test a livello globale", ha spiegato il ceo di Roche, Severin Schwan". "Una pronta disponibilità e un veloce accesso ad affidabili test di alta qualità sono essenziali per i sistemi sanitari. Il test sugli anticorpi è un importante passo avanti nella lotta al Covid-19. Il test di Roche può essere prodotto rapidamente in grande quantità e reso ampiamente disponibile nel mondo", ha commentato Thomas Schinecker, ceo di Roche Diagnostics.

giovedì 16 aprile 2020

L’ospedale glam alla Fiera, simbolo della disfatta lombarda. - Gianni Barbacetto

Coronavirus, viaggio in fiera a Milano dove deve sorgere il nuovo ...


L’ospedale alla Fiera di Milano doveva essere il simbolo dell’intervento virtuoso della Regione Lombardia contro l’epidemia. Si sta trasformando nel suo opposto: il simbolo della disfatta lombarda. Intendiamoci, ci sono colpe ben più gravi imputabili a chi ha le responsabilità politiche e amministrative di gestire il contrasto a Covid-19, e cioè il presidente Attilio Fontana, l’assessore Giulio Gallera e il suo direttore generale Luigi Cajazzo.

Sono colpe in gran parte indicate non da astiosi avversari politici, ma dagli ordini dei medici lombardi: “Assenza di strategie nella gestione del territorio”, “sanità pubblica e medicina territoriale trascurate e depotenziate”, “non-governo del territorio con saturazione dei posti letto ospedalieri”, “tamponi solo ai ricoverati e diagnosi di morte solo ai deceduti in ospedale”, “incertezza nella chiusura di alcune aree a rischio”, tipo Alzano Lombardo-Nembro, “mancata fornitura di protezioni individuali ai medici e al personale sanitario che ha determinato la morte o la malattia di molti colleghi”, “gestione confusa delle Rsa e dei centri diurni per anziani che ha prodotto diffusione contagio e triste bilancio di vite umane”, 600 morti nella sola provincia di Bergamo, 2 mila in tutta la regione.

Detto questo, per cercare di far dimenticare la terribile, epocale disfatta di quella che veniva narrata come l’“eccellenza sanitaria lombarda”, il duo Fontana-Gallera – persa ignominiosamente, a monte, la battaglia di Caporetto – ha puntato tutto sull’intervento, a valle, dell’ospedale Covid della Fiera. La linea del Piave. Non abbiamo saputo fermare i contagi alla partenza, ma facciamo un super-hub della terapia intensiva per ospitare e salvare i contagiati.

Operazione anche (non solo, ma anche) d’immagine, alla milanese, con gran lavorio delle pierre e degli esperti di comunicazione, annunci mirabolanti e rotonde promesse, numeri sparati al rialzo, San Bertolaso come nume tutelare, grandi firme come finanziatori, Cracco in cucina sorridente come nello spot della Scavolini, inaugurazione tecno-glam. Ma chi si loda s’imbroda, o – come dicono a Milano – “Fa no il bauscia!”. Fontana aveva annunciato un super-ospedale da 600 posti, poi diventano 400, poi 200, infine 157. Oggi i posti pronti sono 53, i pazienti sono dieci (10). Spesa 21 milioni di euro.

Era il 12 marzo quando Gallera aveva lanciato la sfida: “I cinesi a Wuhan ci hanno messo dieci giorni a costruire un ospedale? I lombardi ne impiegheranno sei”. Sarà inaugurato il 31 marzo (19 giorni dopo) e i primi tre (3) pazienti arrivano il 6 aprile (25 giorni dopo). È finito comunque fuori tempo: in questi giorni le terapie intensive si svuotano (per fortuna, e speriamo non tornino ad affollarsi).

Ma da subito molti specialisti avevano sconsigliato l’operazione. Qualcuno racconta che il professor Alberto Zangrillo se ne sia andato da una riunione in Regione sbattendo la porta. E Giuseppe Bruschi, dirigente medico del Niguarda, spiega: “Una terapia intensiva non può vivere separata da tutto il resto dell’ospedale”, perché il Covid provoca complicazioni su cui è necessario intervenire d’urgenza che non sono solo polmonari, ma cardiovascolari, nefrologiche, neurologiche…

Intanto, in silenzio, senza glamour, senza Cracco e senza inaugurazioni, gli Alpini hanno fatto un padiglione a Bergamo con 140 letti e tutti gli ospedali hanno incrementato i posti di terapia intensiva. Il trio Fontana-Gallera-Cajazzo ha fatto invece l’ospedale glam della Fiera, che sarà studiato come case history della disfatta nella nuova Milano da bere.

Andrea Scanzi

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Giusto e forte come un Dio greco, quest’allegro ometto qua spopola nei sondaggi (non raggiunge il 2%). Domina le classifiche di gradimento tra i politici (è ultimo dietro qualsivoglia “statista” contemporaneo, compreso Tabacci, Scaramacai e Gino del bar di Montione). Furoreggia nelle dirette Facebook (ha smesso di farle perché aveva meno pubblico del falco che covava le uova sopra il Pirellone) e in quelle Instagram (dove ha cifre tipo qua sotto). Si fa accompagnare da una classe dirigente straordinaria (i nomi fateli voi, a me vien da ridere). Si atteggia a “leader” della “sinistra”, sebbene con entrambe le cose non c’entri poi granché. E da anni, nonostante una stampa colpevolmente benevola, colleziona più sconfitte dell’ispettore Ginko con Diabolik.

Eppure uno così, che nel paese reale ha meno peso (politico) di un glicine irrisolto, può far cadere da un momento all’altro il governo. E secondo me lo farà, magari sul Mes, non appena sarà cominciata la (terribile) fase 2. Qualora accadesse, e la cosa mi stupirebbe come una carognata di Gemma in Sons of Anarchy, ricordatevi bene la faccia di chi avrà permesso alla destra (questa destra) di prendersi il potere.


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"Quattro modifiche al DL Imprese o i soldi finiranno in mano a corrotti e mafiosi". - Federica Olivo

Nino Di Matteo - Giovanni
Nino Di Matteo - Giovanni Zaccaro

Le proposte di Di Matteo e Zaccaro (Csm) per rivedere il decreto. Il togato di Area all'Huffpost: "La storia dice che la criminalità si approfitta delle crisi, agire ora per evitare dopo il moltiplicarsi di indagini e processi."


C’è il rischio che la criminalità possa approfittare del decreto Imprese. E intascare le somme destinate, attraverso prestiti, alle aziende in difficoltà a causa dell’emergenza coronavirus. Un rischio che va scongiurato, cambiando o integrando il provvedimento, per evitare che mafiosi, corrotti o evasori fiscali traggano vantaggio dalla crisi portata dal Covid-19. Anche a discapito degli imprenditori onesti. L’allarme arriva dal Csm, a pochi giorni dai rilievi fatti dai procuratori di Milano e Napoli con una lettera a Repubblica. A sollevare la questione, nelle stesse ore in cui è arrivato il via libera della Commissione europea al provvedimento del governo, i togati Giovanni Zaccaro e Nino Di Matteo, sostenuti dal gruppo di Area, l’associazione dei magistrati progressisti, e da Sebastiano Ardita, di Autonomia e Indipendenza, la corrente di Pier Camillo Davigo.
“La storia giudiziaria del Paese ci insegna che ogni volta che ci sono emergenze e, di conseguenza, vengono erogati fondi c’è il rischio che la criminalità se ne appropri. Sarebbe opportuno che questa volta non accadesse, anche per evitare che poi tra qualche mese la magistratura sia costretta a intervenire, bloccando e sequestrando fondi e beni. E che si moltiplichino indagini e processi. Prevenire, insomma, è più utile ed evita un dispendio di risorse successivo”, spiega Giovanni Zaccaro ad HuffPost. 
Il decreto voluto dal governo per aiutare, con dei prestiti, le imprese in difficoltà, è considerato “opportuno” dall’organo di autogoverno delle toghe. Ma non prevede strumenti che possano evitare che quei soldi finiscano in mano a condannati per mafia, per reati fiscali o contro la p.a. Per Zaccaro e Di Matteo una verifica andrebbe fatta anche nei confronti degli indagati: La previsione normativa non contiene alcun meccanismo per escludere dai benefici le imprese riferibili a persone coinvolte in processi di criminalità organizzata o che abbiano riportato condanne o siano indagati per reati contro la pubblica amministrazione o reati tributari”, si legge nel documento in cui i magistrati annunciano che chiederanno al Comitato di Presidenza l’apertura di una pratica perché il Csm svolga le sue funzioni consultive sul decreto in questione.
Come fare per evitare che i fondi finiscano nelle tasche sbagliate, senza però danneggiare, con delle lungaggini burocratiche, gli imprenditori onesti che chiedono di accedere al credito? “Basterebbe un’autocertificazione - spiega ancora Zaccaro - uno strumento agile, che non rallenterebbe l’erogazione dei fondi, ma sarebbe utile a capire se chi li chiede ha precedenti, per reati associativi, tributari o contro la pubblica amministrazione, o indagini a suo carico per presunti illeciti di questo genere”.
Il problema si pone anche in una fase successiva, quella dell’utilizzo dei fondi: “Sarebbe necessaria una tracciabilità delle risorse erogate, ad esempio attraverso conti correnti dedicati”, spiega ancora il togato di Area. 
Quattro le proposte messe a punto da Zaccaro e Di Matteo. La prima riguarda l’introduzione di misure che  “impongano di vagliare – anche tramite la forma della autocertificazione - i precedenti penali di chi occupa ruoli rilevanti nelle imprese che si candidano a percepire i finanziamenti, così da escludere chi sia stato condannato per reati di criminalità organizzata, reati contro la pubblica amministrazione e reati tributari nonché proposto per la irrogazione di una misura di prevenzione personale o patrimoniale. La seconda riguarda misure di prevenzione dell’evasione che “rapportino l’entità del beneficio percepito al fatturato dichiarato nell’anno precedente, in modo da non premiare forme di evasione fiscale”. C’è poi il riferimento all’uso di conti corrente dedicati, o strumenti simili, che “consentano di tracciare i benefici percepiti affinché si possa avere contezza del loro uso compatibile con l’intento del legislatore”. Infine, secondo i togati del Csm, servirebbero provvedimenti che “potenzino le amministrazioni periferiche dello Stato e le Agenzie di controllo affinché possano monitorare la destinazione dei finanziamenti. Misure siffatte potrebbero servire a prevenire fenomeni di malversazione dei fondi pubblici o di illecita concorrenza delle imprese illegali, rispetto ai quali l’intervento dell’autorità giudiziaria è per forza di cose successivo e meno efficace”. Agire ora, insomma, per scongiurare che i fondi necessari agli imprenditori danneggiati dalla crisi finiscano nelle mani sbagliate.
In effetti, le probabilità che ciò avvenga sono tantissime e, pertanto, c'è il rischio che questi soldi finiti in pessime mani, inneschino problemi legali per cui il beneficio verrebbe a cadere in un nulla di fatto.
C.

Ora Gallera si dimetta. - Luca Telese

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Le inchieste su Alzano Lombardo, la lettera del direttore dell'ospedale e la testimonianza raccolta in esclusiva da TPI.it nei paesi civili comportano una assunzione di responsabilità. E si sanano con le dimissioni dei responsabili.

Dopo questa testimonianza Alzano cessa di essere un mistero ospedaliero e diventa un problema civile. Perché Alzano non è solo il punto di scaturigine più letale dell’epidemia in Lombardia (e quindi in Italia). Non è più, come nei primi frammentari e incoerenti racconti solo un “errore” dettato dalla concitazione comprensibile di una emergenza drammatica. Dopo questo documento la vicenda dell’ospedale fantasma che chiude e riapre diventando focolaio smette di essere una foto fuori fuoco e diventa due cose ben precise: una caso di malasanità, e una bugia.
Partiamo dal secondo elemento, che spiega il primo. Ancora domenica scorsa, ospite di Massimo Giletti a Non è l’Arena, l’assessore Gallera ribadiva granitico: “L’Ospedale è stato chiuso per due ore, sanificato e solo dopo riaperto”. Gallera raccontava, dunque, di avere piena contezza dei fatti, di aver ricostruito la vicenda, e di aver anche appurato che era stato seguito un protocollo tale da mettere in sicurezza l’intera struttura. Così non è andata, come sappiamo adesso. Ma allora la domanda è inevitabile: perché il massimo garante della sanità in Lombardia si ostina a sostenere una versione che prima è stata smentita dai fatti (le conseguenze devastanti di quel contagio) e adesso anche dai testimoni? E passiamo al problema della profilassi: solo uno stolto potrebbe esercitarsi nella caccia all’errore e al dettaglio, in questa vicenda. Gallera non sbaglia quando elenca il numero dei contagiati che in dieci giorni di marzo esplode in maniera geometrica dettando i tempi dell’emergenza agli apparati della Regione. Qui di seguito la testimonianza esclusiva TPI del dipendente dell’ospedale di Alzano: 
Ma la vicenda di Alzano, così come quelle delle case di riposo per anziani, ci raccontano più di un errore messo in ombra dal turbine degli eventi. In questo caso ci parlano addirittura di un colpevole occultamento della realtà: la Regione, dunque, proprio mentre contestava al governo di non aver chiuso le zone rosse e di non aver preso atto del dramma, teneva una linea “negazionista” sui territori. L’esatto contrario di quello che vuole far credere oggi. È il caso del Trivulzio, dove il professor Bergamini veniva sospeso per la sua ossessione sulle protezioni nei reparti (un gesto folle), ed è il caso di Alzano, dove la testimonianza di questo operatore rivela un conflitto insanabile tra le legittime preoccupazioni dei dirigenti dell’ospedale e i suoi superiori della direzione sanitaria e della direzione generale. Qui di seguito l’audio-testimonianza esclusiva TPI di un’infermiera di Alzano:
C’è infine un ultimo elemento, per certi versi un dispotismo burocratico che questa inchiesta di Francesca Nava – esattamente come la precedente – mette in luce: l’assoluta negazione del principio di autonomia dei territori. Dirigenti regionali che usano il principio di autorità per sconfessare le scelte di chi si trova nell’occhio del ciclone, sul campo, ed è l’unico che può toccare con mano il problema. E non sono proprio questo due elementi, l’ossessione del controllo “centralistico” e la “cecità” che di solito (e anche in questa crisi) vengono imputati a “Roma” e alle “strutture burocratiche dello Stato”, dagli iperautonomisti di Milano? Sono tutti sostenitori della mitologica voce “dei territori”, tranne quando ad ascoltarla dovrebbero essere loro. Troppo comodo.
Si capisce perché queste inchieste su Alzano, questo documento e le drammatiche testimonianze pesano così tanto, e sono così difficili da accettare per chi ha preso le scelte: perché fanno cadere una impalcatura di facciata e un apparato propagandistico. Sono piccoli-grandi peccati di arroganza che – quando vengono appurati – nei paesi civili comportano una assunzione di responsabilità estrema. E si sanano con le dimissioni dei responsabili.