Il governatore lombardo chiede a Conte di riaprire, il veneto si accoda. Si apre un nuovo fronte con Roma. La sottosegretaria Zampa: “Dal primo giorno tutto un contraddire”. Gallera “disgustato da sciacallaggio politico”. Da Zingaretti a Di Maio: “Regole nazionali, basta furbizie.”
Fontana parte, Salvini benedice, Zaia rilancia. Più passano le ore e più la “via lombardo-veneta alla libertà” (per dirla con Fontana) assume i contorni di una strategia politica della Lega. Una fuga in avanti (bocciata sia dall’Oms che dall’epidemiologo Pierluigi Lopalco) che irrita la maggioranza, snobba, anticipa e di fatto depotenzia i suggerimenti che arriveranno dalla task force guidata da Vittorio Colao.
Il triangolo Fontana-Salvini-Zaia – Il disegno politico, del resto, si delinea mettendo i fatti in fila. Ieri il governatore lombardo, con tanto di lettera al governo, ha chiesto di riaprire le attività produttive dal 4 maggio. Come? Seguendo la rotta delle Quattro D (distanza, dispositivi, diagnosi e digitalizzazione) e ipotizzando di spalmare la settimana lavorativa non su cinque ma su sette giorni, “con orari di inizio diversi per evitare l’utilizzo eccessivo dei mezzi pubblici in determinate fasce”. Neanche il tempo di metabolizzare le critiche e il mezzo passo indietro di Fontana (che in serata aveva sottolineato che comunque le eventuali riaperture sarebbero state concordate col governo) ed ecco che in mattinata il leader del Carroccio ha benedetto la trovata del compagno di partito, facendo suo il messaggio e girandolo direttamente a Palazzo Chigi. “Il governo ne tenga conto”, ha detto Salvini. Ancora critiche, ancora veleni, ancora un rilancio, guarda caso proveniente da un altro governatore del Carroccio. Luca Zaia, presidente del Veneto, ha preannunciato che anche lui domani presenterà a sua volta un piano per la ripartenza. “Noi abbiamo di fatto completato il nostro masterplan per la riapertura”, ha detto. “Abbiamo voluto scrivere delle regole che siano uguali per tutti e che siano una messa in sicurezza. Se ci sono ulteriori indicazioni, siamo qui per accoglierle”.
Il Friuli (leghista) a rimorchio –
Se Lombardia e Veneto accelerano, da segnalare anche le parole del terzo governatore leghista, quello del Friuli Venezia Giulia. In giornata anche Massimiliano Fedriga ha annunciato che a breve presenterà un piano regionale per le riaperture da sottoporre all’esecutivo centrale: “Le Regioni non sono autonome nella riapertura e si devono muovere coordinate con il governo – ha detto – Nel frattempo, il Friuli sta lavorando a un piano”. Una posizione solo apparentemente più sfumata quella di Fedriga, il cui slogan è “ripresa presto e in sicurezza”, perché “tutela della salute e del lavoro vanno di pari passo”. La ricetta della regione sarà contenuta in alcune “linee guida, declinate per i diversi ambiti, con una task force – ha detto – In queste linee guida ci saranno i consigli utili per le imprese per riaprire in sicurezza“.
Tanto che la sottosegretaria alla Salute, Sandra Zampa, lo dice in maniera neanche troppo velata: “Visto che dal primo giorno è stato tutto un disattendere e contraddire il governo, dobbiamo interrogarci se non sia una ragione politica quella che porta la Lombardia a prendere le distanze dal lockdown”. Senza giri di parole anche il sindaco di Milano, Beppe Sala: “La ripartenza il 4 maggio in Lombardia l’ha decisa la Regione o Salvini? Stanno passando dal terrore sul numero dei contagi di due giorni fa al liberi tutti. Un po’ più di equilibrio non guasterebbe”. Ancora più incendiario il capogruppo M5s alla Camera Crippa, secondo cui la mossa del Carroccio serve a “sviare l’attenzione dalle indagini della magistratura sulle rsa lombarde”. Il leader della Lega, come detto, guarda caso è stato tra i primi ad applaudire la nota con cui Fontana annunciava la “via lombarda alla libertà” e ancora mercoledì sera, ribadiva: “Chiedere la riapertura da parte della Lombardia è un grande segnale di concretezza e di speranza, spero che il governo ne tenga conto”.
Il (mezzo) passo indietro di Attilio Fontana – Nel frattempo, però, era arrivata la frenata di Fontana. Rispondendo al viceministro del Mise, Stefano Buffagni, che aveva ricordato come la Regione aveva sostenuto una linea “fortemente restrittiva”, il numero uno della Lombardia ha puntualizzato: “Le attività produttive sono di esclusiva competenza del governo centrale”. E dicendo di essere stato “male interpretato”, ha aggiunto: “Noi parliamo di una graduale ripresa delle attività ordinarie che sarà concordata con il governo. Credo che sia giusto anche iniziare a pensare come ci si dovrà attrezzare per convivere con questo virus. Non possiamo rimanere chiusi come in questo periodo”. “Io – ha aggiunto – sono stato la persona più prudente, ma bisogna iniziare a capire come cambiare la propria vita e trovare delle soluzioni”. Quelle vengono chieste da tutti, demandando comunque alla cabina di regia le decisioni su modalità e tempi.
Anche Sala, in un’intervista a Repubblica, si dice “non contrario a rimettere in moto l’economia” ma avverte: “Devono essere fornite le garanzie adeguate per chi andrà a lavorare. Quello del 4D è uno slogan senza contenuto”. Per tornare al lavoro in sicurezza, sottolinea il sindaco, occorre fare i test di immunità “e purtroppo in Lombardia siamo indietrissimo”, osserva. “Siccome a Milano non si fanno, ho rotto gli indugi e mi sono accordato con il Sacco per farli in autonomia, cominciamo con i 4mila del personale Atm che lavorano nei trasporti, poi vediamo”.
Gallera in difesa di Fontana: “Disgustato, sciacallaggio politico” – All’ondata di critiche, Fontana ha risposto con un post su Facebook: “Per giorni ci hanno raccontato, anche dal governo, che la Lombardia doveva fare di più e da sola – scrive – Ora, dopo che la Regione ha lanciato una proposta per riaprire le attività con attenzione e buonsenso, da Roma parlano addirittura di fughe in avanti”. “Non inseguiamo le polemiche – aggiunge – ma badiamo alla sostanza: molti altri Paesi europei sono già ripartiti, è necessario ragionare subito del nostro futuro”. Meno diplomatico l’assessore al Welfare, Giulio Gallera: “Assisto disgustato a molteplici azioni di gigantesca deformazione della realtà e di sciacallaggio politico e mediatico. Il senno di poi è un gioco facile per chi è rimasto a guardare. Noi eravamo in trincea, e lo siamo ancora”.
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