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mercoledì 9 settembre 2020

Bonus a chi paga con la carta: per il piano servono 3 miliardi. - Patrizia De Rubertis

Bonus a chi paga con la carta: per il piano servono 3 miliardi

Da dicembre - Ipotesi: 300 euro per chi spende almeno 3mila senza contanti.
Soldi indietro a chi paga con strumenti diversi dal contante. Ma il quantum non è ancora ufficializzato. Sicuramente la percentuale a favore del consumatore che farà acquisti con carte di credito, bancomat o altri pagamenti elettronici sarà un numero tondo, facile da capire e non conterrà virgole. Forse il 10% su una spesa complessiva annuale di 3mila euro. I fondi, in teoria, ci sono in attesa che la prossima legge di Bilancio rifinanzi la misura. Il premier Giuseppe Conte preme per far partire il 1° dicembre il cashback, (che aveva ribattezzato “bonus Befana”) previsto dall’ultima manovra, rinviato nel decreto Rilancio e reinserito nel decreto Agosto dopo che i 3 miliardi stanziati sono stati destinati all’emergenza Covid. Così come la lotteria degli scontrini è stata fatta slittare al 2021. Questa volta, però, non ci saranno ulteriori rinvii.
Nell’incontro a Palazzo Chigi di lunedì sera con i principali operatori di servizi di pagamento (da American Express a Postepay, dalle banche a Nexi fino a Satispay), Conte è stato chiaro: “Il passaggio che ci attende è storico per il sistema Paese, ognuno deve fare la propria parte. Pagare tutti, pagare meno”. Le indicazioni per attuare il piano sono chiare. Tecnicamente, il meccanismo di cashback prevede delle soglie personali di spesa e delle soglie minime di transazione per evitare di premiare le fasce più benestanti a scapito dei piccoli consumatori. E che, con un solo grande acquisto, un viaggio o una tv di ultima generazione, si raggiunga la spesa annuale complessiva. Insomma, nessuno deve restare escluso. Così, per favorire l’utilizzo della moneta elettronica anche per i piccoli acquisti, come il chimerico caffè al bar, il governo spinge per un approccio pragmatico e ragionato. “Bisogna incentivare e stimolare i consumatori per far aumentare la frequenza degli acquisti senza contanti”, ha spiegato Conte. E la risposta è stata positiva. Per la prima volta il premier ha ottenuto piena condivisione da parte degli operatori del settore al piano di incentivi ai pagamenti cashless, cioè con carta elettronica. È dall’autunno scorso che Conte ha fatto della riduzione dei pagamenti in nero un pallino personale. “Favorire una digitalizzazione dei pagamenti senza penalizzare, può condurre al cambiamento delle abitudini di vita dei consumatori”, è tornato a ribadire ieri al suo arrivo a Beirut.
Insomma, un approccio pratico e pragmatico al piano cashless che il premier aveva già illustrato alle associazioni di commercianti e artigiani nel corso degli Stati generali a metà giugno. Allora le preoccupazioni hanno prevalso. Colpa dei costi per gli esercenti di dotarsi di attrezzature adeguate e dell’annosa questione delle commissioni sui pagamenti che ammontano in media all’1,1%, ma che per un piccolo commerciante possono superare anche l’1,75 se si aggiungono il canone mensile per il noleggio del Pos o la gestione del conto corrente. Ma su questo punto Conte ha chiesto agli operatori di “fare uno sforzo a favore degli esercenti, perché il cashback farà crescere il mercato e, di conseguenza, aumenteranno i guadagni per tutti”. Intanto da luglio i gestori possono beneficiare di una detrazione per pagamenti con il Pos.
Il forte aumento degli acquisti online degli ultimi mesi, causa il lockdown, ha suggerito al governo di andare con più forza in questa direzione. Ma il gap con gli altri Paesi resta enorme. In Italia un pagamento su 4 avviene ancora in contanti e, anche se ogni anno in media la quota di pagamenti elettronici aumenta di circa il 10% (nel 2019 il valore del transato delle famiglie ha raggiunto 240 miliardi), l’Italia è terzultima per numero di pagamenti con Pos in Europa. Mentre a livello mondiale, il Paese è tra le 30 economie con maggior incidenza del contante sul Pil. “Con il cashback è prevedibile che la crescita dei pagamenti elettronici possa raddoppiare passando dal 10 al 20% e anche oltre”, spiega Alberto Dalmasso ceo di Satispay che si ritroverà a confrontarsi con Conte e con gli altri operatori già a fine settembre. La road map è complessa: l’obiettivo è l’operatività dei test già a novembre, mentre il governo sta ultimando il decreto attuativo del piano in attesa del via libera del Garante della privacy per l’intreccio del flusso dei pagamenti.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/09/bonus-a-chi-paga-con-la-carta-per-il-piano-servono-3-miliardi/5925416/

giovedì 16 aprile 2020

"Quattro modifiche al DL Imprese o i soldi finiranno in mano a corrotti e mafiosi". - Federica Olivo

Nino Di Matteo - Giovanni
Nino Di Matteo - Giovanni Zaccaro

Le proposte di Di Matteo e Zaccaro (Csm) per rivedere il decreto. Il togato di Area all'Huffpost: "La storia dice che la criminalità si approfitta delle crisi, agire ora per evitare dopo il moltiplicarsi di indagini e processi."


C’è il rischio che la criminalità possa approfittare del decreto Imprese. E intascare le somme destinate, attraverso prestiti, alle aziende in difficoltà a causa dell’emergenza coronavirus. Un rischio che va scongiurato, cambiando o integrando il provvedimento, per evitare che mafiosi, corrotti o evasori fiscali traggano vantaggio dalla crisi portata dal Covid-19. Anche a discapito degli imprenditori onesti. L’allarme arriva dal Csm, a pochi giorni dai rilievi fatti dai procuratori di Milano e Napoli con una lettera a Repubblica. A sollevare la questione, nelle stesse ore in cui è arrivato il via libera della Commissione europea al provvedimento del governo, i togati Giovanni Zaccaro e Nino Di Matteo, sostenuti dal gruppo di Area, l’associazione dei magistrati progressisti, e da Sebastiano Ardita, di Autonomia e Indipendenza, la corrente di Pier Camillo Davigo.
“La storia giudiziaria del Paese ci insegna che ogni volta che ci sono emergenze e, di conseguenza, vengono erogati fondi c’è il rischio che la criminalità se ne appropri. Sarebbe opportuno che questa volta non accadesse, anche per evitare che poi tra qualche mese la magistratura sia costretta a intervenire, bloccando e sequestrando fondi e beni. E che si moltiplichino indagini e processi. Prevenire, insomma, è più utile ed evita un dispendio di risorse successivo”, spiega Giovanni Zaccaro ad HuffPost. 
Il decreto voluto dal governo per aiutare, con dei prestiti, le imprese in difficoltà, è considerato “opportuno” dall’organo di autogoverno delle toghe. Ma non prevede strumenti che possano evitare che quei soldi finiscano in mano a condannati per mafia, per reati fiscali o contro la p.a. Per Zaccaro e Di Matteo una verifica andrebbe fatta anche nei confronti degli indagati: La previsione normativa non contiene alcun meccanismo per escludere dai benefici le imprese riferibili a persone coinvolte in processi di criminalità organizzata o che abbiano riportato condanne o siano indagati per reati contro la pubblica amministrazione o reati tributari”, si legge nel documento in cui i magistrati annunciano che chiederanno al Comitato di Presidenza l’apertura di una pratica perché il Csm svolga le sue funzioni consultive sul decreto in questione.
Come fare per evitare che i fondi finiscano nelle tasche sbagliate, senza però danneggiare, con delle lungaggini burocratiche, gli imprenditori onesti che chiedono di accedere al credito? “Basterebbe un’autocertificazione - spiega ancora Zaccaro - uno strumento agile, che non rallenterebbe l’erogazione dei fondi, ma sarebbe utile a capire se chi li chiede ha precedenti, per reati associativi, tributari o contro la pubblica amministrazione, o indagini a suo carico per presunti illeciti di questo genere”.
Il problema si pone anche in una fase successiva, quella dell’utilizzo dei fondi: “Sarebbe necessaria una tracciabilità delle risorse erogate, ad esempio attraverso conti correnti dedicati”, spiega ancora il togato di Area. 
Quattro le proposte messe a punto da Zaccaro e Di Matteo. La prima riguarda l’introduzione di misure che  “impongano di vagliare – anche tramite la forma della autocertificazione - i precedenti penali di chi occupa ruoli rilevanti nelle imprese che si candidano a percepire i finanziamenti, così da escludere chi sia stato condannato per reati di criminalità organizzata, reati contro la pubblica amministrazione e reati tributari nonché proposto per la irrogazione di una misura di prevenzione personale o patrimoniale. La seconda riguarda misure di prevenzione dell’evasione che “rapportino l’entità del beneficio percepito al fatturato dichiarato nell’anno precedente, in modo da non premiare forme di evasione fiscale”. C’è poi il riferimento all’uso di conti corrente dedicati, o strumenti simili, che “consentano di tracciare i benefici percepiti affinché si possa avere contezza del loro uso compatibile con l’intento del legislatore”. Infine, secondo i togati del Csm, servirebbero provvedimenti che “potenzino le amministrazioni periferiche dello Stato e le Agenzie di controllo affinché possano monitorare la destinazione dei finanziamenti. Misure siffatte potrebbero servire a prevenire fenomeni di malversazione dei fondi pubblici o di illecita concorrenza delle imprese illegali, rispetto ai quali l’intervento dell’autorità giudiziaria è per forza di cose successivo e meno efficace”. Agire ora, insomma, per scongiurare che i fondi necessari agli imprenditori danneggiati dalla crisi finiscano nelle mani sbagliate.
In effetti, le probabilità che ciò avvenga sono tantissime e, pertanto, c'è il rischio che questi soldi finiti in pessime mani, inneschino problemi legali per cui il beneficio verrebbe a cadere in un nulla di fatto.
C.