martedì 5 maggio 2020

Buona fede. - Marco Travaglio

Polemica a viso aperto | L'HuffPost
Tutto potevamo immaginare, nella vita, fuorché di vedere il centrodestra (e dunque anche l’Innominabile e la sua Italia Morta) schierato come falange macedone in difesa di Nino Di Matteo, il magistrato più vilipeso e osteggiato (soprattutto dal centrodestra, ma non solo) degli ultimi vent’anni. Del resto, questa vicenda che lo contrappone al ministro Alfonso Bonafede è tutta un paradosso. Il Guardasigilli viene accusato di cedimenti alla mafia e alle scarcerazioni dagli stessi che gli davano del “giustizialista”, “manettaro” e per giunta colluso col “grillino” Di Matteo. Tant’è che l’altra sera, a “Non è l’Arena: è Salvini”, s’inchinavano deferenti a Di Matteo il capitano “Ultimo” (il neoassessore dell’immacolata giunta Santelli in Calabria, che Di Matteo fece a pezzi in varie requisitorie per la mancata perquisizione al covo di Riina) e l’ex ministro Claudio Martelli, che lo definì “uno stupido, forse anche in malafede” che “naviga nel caos” e “non escludo che si inventi delle balorde” nel processo Trattativa che “finirà in un nonnulla” (infatti, tutti condannati). Una lezione di legalità resa ancor più credibile da maestri del calibro di Flavio Briatore (imputato per evasione fiscale) e dello stesso Martelli (pregiudicato per la maxitangente Enimont). Gl’imputati, ovviamente assenti, erano due pericolosi incensurati: Bonafede e il suo capo uscente del Dap Francesco Basentini, che la vulgata salviniana e dunque gilettiana vuole colpevoli delle decine di scarcerazioni di detenuti (opera di altrettanti giudici di sorveglianza iper “garantisti”), quando tutti sanno che il Dap è corresponsabile solo in quella del fratello del boss Zagaria, scarcerato da un giudice di Sassari con la scusa del Covid e spedito a casa sua a Brescia (epicentro Covid).
Nel bel mezzo di quel frittomisto di urla belluine miste a notizie vere, verosimili e farlocche, fatto apposta per non far capire nulla, ha chiamato Di Matteo per raccontare la sua versione della mancata nomina a capo del Dap a metà giugno 2018. I lettori del Fatto sapevano già tutto. Il 27 giugno 2018 Antonella Mascali la raccontò insieme alle esternazioni di alcuni boss al 41-bis contro l’ipotesi di Di Matteo al Dap. Poi Marco Lillo criticò Bonafede per la “figuraccia” fatta con Di Matteo. L’altra sera l’ex pm ha evocato le frasi dei boss a proposito della presunta retromarcia del ministro sulla sua nomina al Dap. E, anche se non ha fissato alcun nesso causale fra le due cose, Giletti l’ha dato per scontato. Noi ovviamente non eravamo presenti ai tre colloqui (uno telefonico e due al ministero) intercorsi fra Bonafede e Di Matteo. E non ne conosciamo i particolari.
Ma già due anni fa ci facemmo l’idea di un colossale equivoco fra due persone in buona fede. Ecco la cronologia. Quando nasce il governo Salvimaio, voci di stampa parlano di Di Matteo al Dap o in un altro ruolo apicale del ministero della Giustizia. E fanno impazzire i boss (che evidentemente preferivano le precedenti gestioni). Il 3 giugno il corpo speciale della polizia penitenziaria (Gom) sente alcuni di loro inveire contro l’arrivo del pm anti-Trattativa. E il 9 giugno annota quelle frasi in una relazione al Guardasigilli e ai pm. Il 18 giugno, già sapendo quel che dicono i boss, Bonafede chiama Di Matteo per proporgli l’equivalente della direzione Affari penali (che già era stata di Falcone con Martelli) o il Dap. Il 19 giugno Di Matteo incontra Bonafede e dà un ok di massima per gli ex-Affari penali (questa almeno è l’impressione del ministro): ruolo che il Guardasigilli s’impegna a liberare riorganizzando il ministero e ritiene più consono alla storia di Di Matteo, oltreché alla sua esigenza di averlo accanto per le leggi anti-mafia/corruzione che ha in mente (all’epoca il problema scarcerazioni non era all’ordine del giorno). Il pm invece ritiene l’incontro solo interlocutorio. Bonafede offre il Dap a Basentini, ma in serata Di Matteo lo chiama chiedendo un nuovo incontro. E lì, il 20 giugno, gli dice di preferire il Dap e di non essere disponibile per l’altro incarico, forse per aver saputo anche lui delle frasi dei boss. Bonafede insiste per gli ex-Affari penali, imbarazzato perché il Dap l’ha già affidato al suo collega. Invano.
Il 27 giugno il Fatto pubblica le frasi dei boss: a quel punto, come osserva Lillo sul Fatto, Bonafede potrebbe accantonare Basentini e richiamare Di Matteo per dare un segnale ai mafiosi; ma, per non mancare alla parola data, non lo fa. In ogni caso l’ipotesi che la contrarietà dei mafiosi l’abbia influenzato è smentita dalla successione dei fatti, oltreché dalla logica: chi vuol compiacere i boss non offre a Di Matteo il posto di Falcone, ucciso proprio per il ruolo di suggeritore di Martelli agli Affari penali, non al Dap. Ma Di Matteo si convince, memore dei mille ostacoli incontrati nella sua carriera, che “qualcuno” sia intervenuto sul ministro per bloccarlo. Intanto Bonafede continua a sperare di portarlo con sé. Ma ormai il rapporto personale è compromesso, anche se poi Di Matteo non manca di sostenere le riforme di Bonafede (voto di scambio, spazzacorrotti, blocca-prescrizione ecc.) e la recente nomina a vicecapo del Dap del suo “allievo” Roberto Tartaglia, giovane pm del processo Trattativa. Un’altra mossa che a tutto può far pensare, fuorché a un gentile omaggio a Cosa Nostra.

Carceri, Forza Italia ora usa Di Matteo per attaccare Bonafede. Ma fino a sei mesi fa lo insultava (perché parlava di Dell’Utri e i boss mafiosi). - Giuseppe Pipitone

Carceri, Forza Italia ora usa Di Matteo per attaccare Bonafede. Ma fino a sei mesi fa lo insultava (perché parlava di Dell’Utri e i boss mafiosi)

Tutto il centrodestra, guidato dai berlusconiani, è andato all'attacco del Guardasigilli sfruttando il botta e risposta col pm antimafia in diretta televisiva. Ma fino a pochi mesi fa sono molteplici gli attacchi e gli insulti (soprattutto dei forzisti) indirizzati proprio all'ex pm di Palermo, che ha indagato sulla Trattativa Stato-mafia, ha ottenuto la condanna di Dell'Utri a 12 anni di carcere, e ha spesso ricordato pubblicamente come Forza Italia sia stata fondata da un uomo riconosciuto colpevole di concorso esterno a Cosa nostra.

Chiedono le dimissioni del guardasigilli, vogliono che l’intero governo vada in Parlamento a spiegare, definiscono “gravi” le accuse al ministro e vorrebbero fosserro addirittura sollevate “nelle sedi opportune”. Il primo giorno della cosiddetta Fase due della lotta al coronavirus si fa segnalare per un fatto inedito che però nulla ha a che fare con l’epidemia: tutto il centrodestra si schiera compatto a difesa del più noto magistrato antimafia del Paese. Persino Forza Italia che in passato ha parecchio polemizzato con lo stesso pubblico ministero, arrivando più volte a insultarlo. Tutto pur di avere l’occasione di attaccare il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Anche usare le parole di Nino Di Matteo, l’ex pm della procura di Palermo ora consigliere del Csm, che i berlusconiani definivano “mitomane” non più tardi di sei mesi fa. D’altra parte Di Matteo è il magistrato che ha indagato sulla Trattativa Stato-mafia, che ha ottenuto la condanna di Marcello Dell’Utri a 12 anni di carcere, che ha spesso ricordato pubblicamente come Forza Italia sia stata fondata da un uomo che la Cassazione ha riconosciuto colpevole di concorso esterno a Cosa nostra.

L’assist per il centrodestra – La vicenda che fa da assist al centrodestra, con i berlusconiani tornati a guidare la coalizione almeno nella guerra di comunicati stampa, è quella che si consuma nello studio di Non è l’Arena su La7. In studio si discute di carceri, e si evoca la nomina di Di Matteo a capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria nel giugno del 2018, poi mai concretizzatasi. Il consigliere del Csm chiama in diretta per raccontare che nel 2018 il ministro gli aveva effettivamente offerto di dirigere il Dap. Alcuni giorni prima era iniziata a circolare la relazione con le reazioni rabbiose esternate dai boss mafiosi al 41bis sull’ipotesi di Di Matteo al capo del Dap. Quell’offerta sarebbe poi venuta meno. “Andai a trovare il ministro – è la ricostruzione di Di Matteo – dicendo che avevo deciso di accettare l’incarico al Dap, ma improvvisamente mi disse che ci aveva ripensato e nel frattempo avevano deciso di nominare il dottor Basentini. Mi chiese di accettare il posto di direttore generale del ministero, ma il giorno dopo gli dissi di non contare su di me”. Sempre in diretta ecco la replica di Bonafede: Non sono uno stupido sapevo chi è Di Matteo, sapevo chi stavo per scegliere, e tra l’altro l’altro quella intercettazione era già stata pubblicata sul Fatto Quotidiano e sono intercettazioni di cui il ministro dispone perché le fa la polizia penitenziaria. Il fatto che il giorno dopo avrei ritrattato quella proposta in virtù di non so quale paura sopravvenuta non sta né in cielo né in terra. E’ una percezione del dottor Di Matteo”.

Gelmini: da “supposizioni infamanti” a “gravissime accuse” – È su questo botta e risposta che il centrodestra tutto si è trovato unito vicino al magistrato ed è andato all’attacco del Guardasigilli. “Riassumendo: prima Bonafede permette che diversi boss escano dal carcere. Poi Di Matteo dichiara di non essere stato nominato a capo del Dap per le pressioni della mafia e i 5s non ne chiedono le dimissioni? Il Governo deve riferire in Aula e dare spiegazioni agli italiani”, twitta Gabriella Giammanco, vicepresidente del partito azzurro al Senato. “Dopo le parole di Nino Di Matteo da Giletti a Non è l’arena, Alfonso Bonafede venga immediatamente in Parlamento. Le gravissime accuse del pm non possono cadere nel vuoto: o Di Matteo lascia la magistratura o Bonafede lascia il Ministero della Giustizia”, scrive sempre sui social Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati. La stessa che il 3 novembre scorso definiva quelle di Di Matteo “le solite farneticanti teorie“, “ancora una volta ridicole accuse“, “supposizioni infamanti” “illazioni inaccettabili e insultanti“. Quel giorno il magistrato aveva ricordato in diretta televisiva su Rai3 il patto tra le famiglie mafiose e Silvio Berlusconi, durato almeno fino al 1992 e al centro di una sentenza definitiva della Cassazione che ha condannato il braccio destro del Cavaliere e fondatore di Forza Italia per concorso esterno in associazione mafiosa.
Mulè: da anarchia informativa a censura preventiva – Un intervento inattaccabile dal punto di vista giuridico. E forse proprio per questo aveva fatto finire l’ex pm nel mirino dei berlusconiani. “Contro l’ex Cavaliere un vaniloquio da mitomane“, aveva detto il deputato Fi e membro della Vigilanza Rai Andrea Ruggieri. “Vergognosa propaganda senza contraddittorio”, erano le accuse di Maurizio Gasparri. Per la senatrice azzurra Alessandra Gallone, si trattava “ad accuse infondate” e a una “delle più brutte pagine” della Rai. Per Giorgio Mulè eravamo addirittura “all’anarchia informativa“. Dopo le parole di Di Matteo su Bonafede cosa avrà detto il portavoce dei gruppi parlamentari berlusconiani? Mulè se la prende di nuovo con la Rai per i motivi completamente opposti a quelli di novembre. Sei mesi fa era anarchia informativa far parlare un pm di processi e sentenze, oggi “lascia basiti che il Tg1 non abbia dato alcuno spazio allo scontro avvenuto in diretta tv tra il pubblico ministero e componente del Csm e il ministro della Giustizia”. Di più: “È che si sia totalmente taciuta la notizia. Oramai siamo alla censura preventiva pur di compiacere e non disturbare il governo, un comportamento indegno per chi ha il dovere di informare: il Tg1 ha definitivamente tradito la missione di servizio pubblico”. Insomma: seguendo la logica di Mulè censurare Di Matteo è giusto quando parla di Berlusconi e Dell’Utri, sbagliato quando invece cita Bonafede.
Zanettin, che voleva Di Matteo punito da Bonafede – Un altro deputato berlusconiano, Pierantonio Zanettin, nel settembre scorso aveva presentato un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia per chiedere di valutare l’apertura di azioni disciplinari nei confronti del pm antimafia. Adesso riesce in una piroetta completa: prende spunto dallo scontro con Di Matteo per attaccare Bonafede: “Il ministro dimostra ancora una volta la propria inadeguatezza, o ha mentito o ha dimostrato in diretta televisiva di non conoscere l’organizzazione del ministro della Giustizia”. Tra i grandi sostenitori del pm palermitanno anche Giorgia Meloni. “Ai disastri si aggiungono ombre sul comportamento del guardasigilli. Fossi Alfonso Bonafede domani mattina rassegnerei le mie dimissioni di ministro della Giustizia”, dice la leader di Fratelli d’Italia, nota estimatrice della figura di Paolo Borsellino. Nel 2008, però, quand’era ministro del governo Berlusconi, non si smarcò dalla sequela d’insulti lanciati quotidianamente da esponenti del Pdl nei confronti della procura di Palermo. Erano talmente tanti che alcuni pm definirono “pericolosa la violenza verbale usata nei confronti della magistratura”. “Non credo che il problema della lotta alla mafia sia legato alla veemenza verbale nei confronti della magistratura“, disse una giovane Meloni. Per inciso, all’epoca, tra i pm di Palermo quotidianamente sotto attacco c’era anche Di Matteo.

lunedì 4 maggio 2020

Di Matteo: “Bonafede mi propose di dirigere il Dap. Poi ci ripensò. I boss al 41bis contrari”. Il ministro: “Esterrefatto. Solo sue percezioni”.

Di Matteo: “Bonafede mi propose di dirigere il Dap. Poi ci ripensò. I boss al 41bis contrari”. Il ministro: “Esterrefatto. Solo sue percezioni”

Botta e risposta, durante la trasmissione Non é l’Arena su La7, tra il magistrato e il guardasigilli. Il primo ha affermato che nel 2018 il ministro gli aveva offerto di dirigere il Dipartimento amministrazione penitenziaria, offerta che sarebbe poi venuta meno, dopo la reazione di alcuni boss detenuti al 41 bis, intercettati. Il ministro ha controreplicato: la circostanza che lui avrebbe cambiato decisione dopo aver saputo dell’intercettazione ("che peraltro era già stata pubblicata") "non sta né in cielo né in terra". Il centrodestra all'attacco del guardasigilli: "Si dimetta". Il Pd lo difende. Renzi: "Sfiducia? Vediamo".
La guida del Dipartimento amministrazione penitenziaria o la poltrona che fu di Giovanni Falcone, un incontro tra l’allora neoministro della giustizia e il magistrato antimafia più noto del Paese, una proposta fatta e poi ritirata. E in mezzo le intercettazioni dei boss mafiosi al 41bis che esternano tutti i loro timori per quella nomina al vertice delle carceri. Una nomina che alla fine non ci sarebbe mai stata. È un duro botta e risposta quello andato in onda su La7 durante la trasmissione Non è l’Arena. Un dibattito con due protagonisti d’eccezione: il magistrato Nino Di Matteo e il guardasigilli Alfonso Bonafede. Nessuno dei due è presente in studio ma entrambi alzano il telefono e chiamano in diretta per intervenire nel dibattito in corso.
Il dibattito sul Dap – Al centro della discussione c’è la poltrona al vertice del Dipartimento amministrazione penitenziaria. Un incarico che nelle ultime 48 ore ha cambiato titolare: il nuovo numero uno del Dap e il magistrato Dino Petralia, che ha lavorato per anni con Di Matteo alla procura di Palermo. Ha preso il posto di Francesco Basentini, dimissionario dopo le polemiche per le scarcerazioni dei boss, la circolare sulla gestione dei detenuti per combattere il contagio del coronavirus, le violentissime rivolte nelle carceri di inizio marzo. Vice di Petralia il ministro Bonafede ha voluto Roberto Tartaglia, anche lui ex pm di Palermo e molto vicino a Di Matteo: insieme hanno fatto parte del poll che ha indagato sulla Trattativa tra pezzo dello Stato e Cosa nostra.
“Il ministro mi ha proposto quell’incarico, poi ci ha ripensato” – Quella poltrona al vertice del Dap, però, in passato è stata accostata direttamente allo stesso Di Matteo. Durante la trasmissione su La7 viene evocata una “trattativa” tra il magistrato e l’allora neoministro della giustizia nel giugno del 2018. È a questo punto che Di Matteo chiama in diretta. L’ex pm, oggi consigliere del Csm, ha preso il telefono per chiarire cosa fosse successo due anni fa. “Io non ho mai fatto trattative con nessun politico né ho chiesto nulla ad alcun politico. Le cose sono andate diversamente. Venni raggiunto da una telefonata del ministro che mi chiese se ero disponibile ad accettare l’incarico di capo del Dap o in alternativa quello di direttore generale degli Affari penali, il posto che fu di Falcone”, è la ricostruzione del magistrato. “Io – continua – chiesi 48 ore di tempo per dare una risposta. Nel frattempo alcune informazioni che il Gom della polizia penitenziaria aveva trasmesso alla procura antimafia e anche al Dap avevano descritto la reazione di importantissmi capimafia. Dicevano: se nominano Di Matteo per noi è la fine”. Di Matteo racconta quindi che “andai a trovare il ministro dicendo che avevo deciso di accettare l’incarico al Dap, ma improvvisamente mi disse che ci aveva ripensato e nel frattempo avevano deciso di nominare il dottor Basentini. Mi chiese di accettare il posto di direttore generale del ministero, ma il giorno dopo gli dissi di non contare su di me”. Il magistrato siciliano puntualizza: Ci aveva ripensato o forse qualcuno lo aveva indotto a ripensarci”.
“Esterrefatto, che avessi ritirato la proposta per paura è sua percezione” – Passano pochi minuti ed ecco che durante la trasmissione arriva la replica di Bonafede. Il mezzo è sempre lo stesso: una telefonata in diretta. “Rimango veramente esterrefatto – ha esordito il guardasigilli – nell’apprendere che viene data un’informazione grave nella misura in cui si lascia trapelare un fatto assolutamente sbagliato e cioè che sarei arretrato dalla mia scelta di proporre al dottor Di Matteo un ruolo importante all’interno del ministero perché avrei saputo di intercettazioni. Di Matteo lo stimo, ma dobbiamo distinguere i fatti dalle percezioni, perché dire che agli italiani che lo stato sta arretrano rispetto alla lotta mafia è un fatto grave”. La replica di Bonafede è piena di distinguo: “Non sto chiamando né per difendermi né per dare chiarimenti, io metto davanti i fatti perché nei miei quasi due anni da ministro ho portato avanti solo leggi scomode, che mi fanno vivere sotto scorta, ho firmato 686 atti per il 41 bis. La questione – ricostruisce Bonafede – è molto semplice: io ho chiamato il dottor Di Matteo per la stima che ho nei suoi confronti, parlandogli della possibilità di fargli ricoprire uno dei due ruoli, o capo del Dap o direttore degli Affari penali, dicendogli che era mia intenzione farlo scegliere praticamente a lui, anche se ne avremmo parlato insieme. Nella stessa telefonata Di Matteo mi chiarisce che c’erano state nelle carceri delle intercettazioni nelle quali i detenuti avrebbero espresso la loro contrarietà alla sua nomina al Dap, credo abbiano detto ‘facimmo ammuinà“.
La controreplica: “Nessuna interpretazione, racconto fatti” – Il ministro della Giustizia continua: “Non sono uno stupido sapevo chi è Di Matteo, sapevo chi stavo per scegliere, e tra l’altro l’altro quella intercettazione era già stata pubblicata sul Fatto Quotidiano e sono intercettazioni di cui il ministro dispone perché le fa la polizia penitenziaria. Il fatto che il giorno dopo avrei ritrattato quella proposta in virtù di non so quale paura sopravvenuta non sta né in cielo né in terra. E’ una percezione del dottor Di Matteo. Quando lui è venuto al ministero gli ho detto che tra i due ruoli per me sarebbe stato molto più importante quello di direttore degli Affari penali perché era molto piu di frontiera nella lotta alla mafia. Quindi non gli ho proposto un ruolo minore nella lotta alla mafia. E a me sinceramente era sembrato che alla fine dell’incontro fossimo d’accordo”. Di Matteo, da parte sua, ha controreplicato: “Io oggi non ho fatto interpretazioni ho raccontato dei fatti precisi e li confermo. Preciso che non si trattava di una sola intercettazione, ma in piu sezioni di 41 bis c’erano state dichiarazioni fatte ostentatamente dai detenuti che, gridando da un piano all’altro, dissero che ‘se e arriva Di Matteo questo butta la chiave. Mi pare che il ministro abbia confermato i fatti, io non do interpretazioni”.
“Se mettono Di Matteo ci chiudono come topi” – Le intercettazioni alle quali fanno riferimento sia Di Matteo che Bonafede sono quelle pubblicate del Fatto Quotidiano il 27 giugno. Registrate dal Gom, il Gruppo Operativo Mobile della polizia penitenziaria, riportano i commenti di boss di Cosa nostra e camorra il giorno dopo che i ministri del nuovo governo formato da Lega e M5s hanno giurato al Quirinale. Nel carcere de L’Aquila Cesare Lupo, braccio destro di Giuseppe Graviano, il boss delle stragi, dice a un agente di polizia penitenziaria: “Appuntato, avete visto che come capo dipartimento (direttore del Dap, ndr) mettono a Di Matteo? Che vogliono fare? Stringerci ancora di più? Noi siamo già stretti, più di questo non possono fare”. Stesso giorno, stesso carcere, parla il camorrista Ferdinando Autore: Questi ci vogliono di nuovo chiudere come i topi. Qui c’è scritto che vogliono fare Di Matteo capo delle carceri. Questi so’ pazziamma a’ fa ammuina (dobbiamo fare rumore, ndr)”. Tre giorni dopo Sandro Lo Piccolo, capomafia della cosca di San Lorenzo, sta guardando in Tv la diretta sul voto di fiducia alla Camera: “Siete dei vigliacchi, avete solo la mafia in testa, questi ci toglieranno pure la liberazione anticipata”. Una strana affermazione per uno che come Lo Piccolo è condannato all’ergastolo.
Il centrodestra all’attacco del guardasigilli: “Si dimetta” – Il botta e risposta è immediatamente diventato argomento di dibattito politico, con il centrodestra che ha chiesto le dimissioni di Bonafede. “Ai disastri si aggiungono ombre sul comportamento del guardasigilli. Fossi Alfonso Bonafede, domani mattina rassegnerei le mie dimissioni di ministro della Giustizia”, scrive su facebook la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni. “Bonafede non può più essere il ministro della Giustizia. Dopo le dichiarazioni gravissime del dottor Di Matteo e le risposte imbarazzanti rese dallo stesso Guardasigilli, non resta che questa decisione già indicata da tempo dalla Lega sin dal primo giorno dello scandalo sulle scarcerazioni ai boss mafiosi”, dicono i parlamentari del Carroccio in commissione Antimafia. Persino Forza Italia usa le dichiarazioni del magistrato antimafia – in passato attaccato e insultato per le sue indagini su Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri – per attaccare il guardasigilli. “Riassumendo: prima Bonafede permette che diversi boss escano dal carcere. Poi Di Matteo dichiara di non essere stato nominato a capo del Dap per le pressioni della mafia e i 5s non ne chiedono le dimissioni? Il Governo deve riferire in Aula e dare spiegazioni agli italiani”, twitta Gabriella Giammanco, vicepresidente del partito azzurro al Senato. In Forza Italia c’è però chi non riesce proprio ad avvicinarsi alle posizioni di Di Matteo, e attacca sia l’ex pm che Bonafede: “L’unica certezza nella diatriba tra il pubblico ministero, Nino Di Matteo, e il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, è che il senso dello Stato è stato calpestato”, scrive in una nota Giorgio Mulè, portavoce unico dei gruppi azzurri di Camera e Senato.
Il Pd difende Bonafede. Renzi: “Sfiducia? Vediamo” – Difende il guardasigilli, invece, il vicesegretario del Pd – ed ex ministro della Giustizia – Andrea Orlando: “So che Bonafede forse non ragionerebbe così, ma se un ministro dovesse dimettersi per i sospetti di un magistrato, si creerebbe un precedente gravissimo. Il sospetto non è l’anticamera della verità, sinché non verificato resta un sospetto”. I dem sono tutti dalla parte di Bonafede. Il capogruppo al Senato Andrea Marcucci defini le parole di Di Matteo “oggettivamente molto più inquietanti di quelle usate dal guardasigilli. Da un membro del Csm ci si aspetterebbe la scelta di luoghi più consoni per rivelare le sue verità. Che sulla intera vicenda, ci sia bisogno di fare chiarezza in Parlamento, non c’è dubbio. Dall’idea che mi sono fatto, però il Guardasigilli è la parte lesa: il sospetto non può mai diventare l’anti camera della verità”. Matteo Renzi, come spesso accade, usa invece toni più simili all’opposizione nonostante sia ancora formalmente sostenitore del governo. “Siamo in presenza di una clamorosa vicenda giudiziaria che rischia di essere il più grave scandalo giudiziario degli ultimi anni”, sostiene il leader di Italia Viva. Che è il primo a parlare di una mozione di sfiducia a Bonafede: “Prima di parlare di mozioni di sfiducia, che fa la destra, vogliamo vedere. Prima ancora di arrivare lì voglio vedere se è un regolamento di conti, voglio sapere la verità”. In realtà nessuno all’opposizione aveva mai parlato di una sfiducia al guardasigilli.

L’algoritmo “marino” modificato per dare la caccia al coronavirus. - Alessio Jacona

Nazioni ad alto fattore di rischio stimate (rosso) e vere (pallino viola) ©
Nazioni ad alto fattore di rischio stimate (rosso) e vere (pallino viola)


Un’IA sviluppata dal Cnr-Isti per monitorare le specie ittiche, si rivela efficace nell’individuare potenziali zone ad alto contagio da SARS-CoV-2.

Immaginate che, grazie all’intelligenza artificiale, sia possibile prevedere in anticipo dove una pandemia colpirà con più forza nel mondo. Che si possa cioè individuare su una mappa quali saranno le zone a più alto tasso di contagio e, di conseguenza, sia possibile combattere meglio non solo il virus SARS-CoV-2, ma ogni altra epidemia tra quelle che secondo gli esperti dovremo affrontare nel futuro.
È esattamente questo l’obiettivo con cui Gianpaolo Coro, ricercatore presso l'Istituto di Scienza e Tecnologie dell'Informazione "A. Faedo" del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Isti), ha creato e sta sperimentando il “modello globale per predire zone ad alto tasso di contagio per COVID-19”, sistema basato su IA che già oggi ha dimostrato di saper predire con promettente precisione dove il virus farà più danno. E che, un domani, potrebbe consentirci di organizzare per tempo strategie di prevenzione più efficaci, salvando vite ed intere economie con azioni mirate su territori delimitati.
L’importanza (sottovalutata) dei fattori ambientali. Il modello produce una mappa che rappresenta la probabilità, su scala globale, che in un'area sussistano condizioni ambientali e umane che potrebbero favorire una crescita dei contagi di COVID-19. Attualmente la mappa ha una risoluzione di circa 50 chilometri e identifica zone a tasso potenziale alto, medio, basso oppure nullo di crescita dei casi infezione.
Qui la cosa notevole è che l’IA ci riesce combinando in maniera complessa dati ambientali come temperatura, precipitazioni e altitudine con altri fattori relativi all’attività umana quali ad esempio emissioni di anidride carbonica e densità di popolazione.
«Per addestrare l'algoritmo - rivela Gianpaolo Coro - gli abbiamo indicato quali fossero le province italiane con la maggiore diffusione del virus chiedendogli di trovare correlazioni, quindi di proiettarle sul resto del mondo per cercare altri territori con condizioni simili dove il virus potesse proliferare»
Precisione al 77%. Nella prima fase della sperimentazione, quando l’IA prendeva in considerazione parametri come temperatura, precipitazioni e inquinamento da CO2, il sistema ha subito individuato correttamente la regione dell’Hubei (il cui capoluogo è proprio Wuhan, città tristemente nota come epicentro del contagio da SARS-CoV-2) e altri territori in Europa e nell’Ovest degli Stati Uniti.
A oggi, il modello del CNR identifica correttamente oltre il 77% dei paesi che stanno effettivamente riportando un'alta diffusione del virus, rilevando come caratteristiche comuni nelle zone a più alto rischio una temperatura media tra 11° e 12°, una quantità moderata di precipitazioni ed un alto tasso di inquinamento.
Altro dato interessante è che, stando alle risposte fornite dal modello di Gianpaolo Coro, la densità di popolazione è una variabile che non influisce sul tasso di contagio: «il modello indica che, superata una soglia abbastanza bassa di popolosità e con determinate caratteristiche ambientali, il virus riesce ad espandersi senza difficoltà».
Il SARS-CoV-2 come il pesce palla. Può sembrare incredibile, ma l’intelligenza artificiale sviluppata da Coro (e basata su "Maximum Entropy", un principio statistico che consente di trovare le similitudini), potrebbe essere definita di “seconda mano”: «Appena scoppiata la pandemia - rivela infatti il ricercatore - i colleghi della FAO mi hanno suggerito di usare i miei modelli applicati al monitoraggio delle specie marine per provare a prevedere l'andamento dell’epidemia».
Cnr-ISTI e Fao collaborano ormai da tempo a progetti che mirano a migliorare la gestione delle risorse ittiche in mari e oceani. Una partnership regolata dai principi dell’open science, secondo cui gli scienziati condividono in modo aperto e trasparente metodologie, conoscenze, processi, dati e risultati di ogni ricerca, e che ha permesso a Gianpaolo Coro di riutilizzare un modello matematico originariamente realizzato per dare indicazioni precise alla Commissione Europea sui limiti alla pesca in Europa.
«Il mio modello serviva a identificare le nicchie ecologiche e cioè a individuare, data l'osservazione delle abitudini di un certa specie ittica, dove sarebbe andata a stabilirsi», spiega. Oggi è uno degli approcci più utilizzati al mondo, ed è stato usato anche per compiti complessi come prevedere i movimenti del pesce palla argenteo, che infestante e velenoso invade le acque del Mediterraneo passando dal Canale di Suez, e persino del raro e misterioso calamaro gigante, «ma allo stesso modo funziona anche con i virus, che al posto dei luoghi vanno ad infestare le persone».
Estendere il modello. Ora la sfida è lavorare sul modello riconvertito alla caccia del SARS-CoV-2 «per estenderlo e renderlo in grado di individuare altri fattori ambientali che possono causare la diffusione del virus - conclude il ricercatore del Cnr-ISTI - oppure per definire le possibilità che un individuo, data la sua storia medica, possa finire in terapia intensiva».
Intanto il prossimo step sarà aumentare la risoluzione della mappa da 50 a 10 chilometri entro la fine dell’anno, obiettivo che Gianpaolo Coro perseguirà grazie a finanziamenti Europei.
PS. Alessio Jacona - Giornalista, esperto di innovazione e curatore dell’Osservatorio Intelligenza Artificiale ANSA.it

domenica 3 maggio 2020

Coronavirus, appello sul Manifesto: “Basta con gli agguati al governo. Dalla destra populista non ci attendiamo nulla, ci preoccupano gli show permanenti dei ‘democratici liberali'”.

Coronavirus, appello sul Manifesto: “Basta con gli agguati al governo. Dalla destra populista non ci attendiamo nulla, ci preoccupano gli show permanenti dei ‘democratici liberali'”

Il documento, diffuso il primo maggio, è stato sottoscritto da intellettuali ed esponenti del mondo della cultura: da Lorenza Carlassare a Piero Ignazi e Stefano Bonaga. La presa di posizione, si legge, nasce come reazione a una "narrazione artificiosa e irresponsabile". L'esecutivo "non è il migliore", ma chi lo critica "non si prende la responsabilità di dire cosa farebbe al suo posto". Il dibattito è aperto e in rete c'è chi critica l'iniziativa.
“Basta con gli agguati al governo”. Inizia così l’appello pubblicato su il Manifesto del primo maggio e sottoscritto da intellettuali ed esponenti del mondo della cultura. Una presa di posizione arrivata poche ore dopo gli attacchi di Matteo Renzi in Senato contro il premier e le accuse di presunte violazioni costituzionali secondo le opposizioni (e non solo). “Dalla destra populista”, si legge nel testo, “non ci aspettiamo nulla”. Mentre a preoccupare di più i firmatari sono “gli show dei democratici liberali“. Tra le prime adesioni ci sono quelle di Stefano Bonaga, Lorenza Carlassare, Thomas Casadei, Anna Falcone, Nadia Urbinati, Marco Revelli e Piero Ignazi. Il dibattito è aperto, soprattutto per quanto riguarda le presunte violazioni della Carta. Sbandierate da alcuni, sono state infatti smentite dai costituzionalisti. Uno fra tutti, Gustavo Zagrebelsky che, intervistato da il Fatto Quotidiano, ha ricordato come i poteri del governo siano stati concessi dal Parlamento. Sullo sfondo, e uno dei motivi che ha spinto i firmatari a esporsi, le manovre di alcuni per indebolire il premier e fare un governissimo che si occupi della ricostruzione. Il documento diffuso sul Manifesto non è passato inosservato in rete, dove non sono mancate le perplessità di alcuni, sia da sinistra che da destra. Secondo la professoressa ed editorialista Sofia Ventura, sono “prove di regime”. Mentre il saggista Vladimiro Giacchè ha parlato di “orrore del giorno”.

“Non passa giorno”, è l’esordio del documento, “senza che opinionisti (e politici in cerca di visibilità) mettano in croce il governo, con ogni più vario argomento. Dopo la conferenza stampa del 26 Aprile, l’accanimento ha raggiunto livelli insopportabili. I ‘retroscena’ impazzano e molti fanno di tutto per accreditare un Conte poco autorevole e drammaticamente non all’altezza della situazione, oppure un Presidente del Consiglio che si atteggia quasi a dittatore calpestando i diritti e la Costituzione”. Proprio partendo da qui retroscena, l’appello solleva alcune domande: “Ma siamo di fronte ad una ‘notizia’ o piuttosto ad una ‘narrazione’ artificiosa e irresponsabile? O anche all’espressione degli interessi e delle aspirazioni di coloro che vogliono sostituire questo governo e la maggioranza che faticosamente lo sostiene, per monopolizzare le cospicue risorse che saranno destinate alla ripresa? Il governo Conte non è il migliore dei possibili governi, sempre che da qualche parte possa esistere un governo perfetto. In aggiunta, viviamo in una condizione di inedita emergenza e anche di straordinaria incertezza, di cui nemmeno le discipline scientifiche vengono a capo pienamente”.
Il documento continua riconoscendo alcuni dei punti deboli dimostrati dall’esecutivo: “È certo che i messaggi di Palazzo Chigi non hanno sempre la chiarezza necessaria e che, con l’intento di orientarci nei meandri della nostra vita quotidiana, possono generare ambiguità interpretative e incertezza. Si possono (e si dovrebbero) discutere le priorità, comunque provvisorie, che il governo ha indicato e gli strumenti normativi che ha di volta in volta adottato (alcuni costituzionalisti e opinionisti lo hanno fatto)”. E ancora, “non c’è dubbio, neppure, che siano stati limitati alcuni diritti fondamentali come quello alla libertà di movimento (limitazioni peraltro previste dall’art. 16 della Costituzione), e sia stato limitato il pieno esercizio del diritto al lavoro, all’istruzione, alla giustizia nei tribunali. Ma niente ha intaccato la libertà di parola e di pensiero degli italiani e questi interventi sono avvenuti nel rispetto delle prerogative emergenziali che la Costituzione assegna all’esecutivo”.
In generale, il giudizio sul governo è che “abbia operato con apprezzabile prudenza e buonsenso, in condizioni di enormi e inedite difficoltà, anche a causa di una precedente ‘normalità’ che si è rivelata essere parte del problema”. E le accuse sarebbero quindi da fare ad altri: “Molte di tali difficoltà dipendono infatti dallo stato di decadimento di gran parte del sistema sanitario, frutto di anni di scelte dissennate di privatizzazione e di una regionalizzazione sconsiderata e scoordinata. Ed invece sembra che tutto il male origini in questo governo, spesso bersaglio di critiche anche volgari e pretestuose, veicolate dai media”.
Quindi, basta agguati, è la tesi, anche perché “nessuno tra i critici si prende davvero la responsabilità di dire cosa farebbe al suo posto, come andrebbe ponderata una libertà con l’altra, una sicurezza con l’altra, e quale strategia debba essere messa in campo per correggere le lamentate debolezze dell’esecutivo”. E, proprio negli ultimi giorni, “la campagna che alimenta sfiducia e discredito ha raggiunto il suo acme“. Questo perché, “dietro alcuni strumentali e ipocriti appelli alla difesa dei diritti, o del sistema delle imprese e dell’occupazione, si coglie il disegno di gettare le basi per un altro governo: un governo dai colori improbabili o di pretesa unità nazionale, di cui non s’intravede nemmeno vagamente il possibile programma, tolto un disinvolto avvicendamento di poltrone ministeriali e la spartizione di cariche di alto rango”.
Infine, si conclude: “Il problema di questo Paese non sono gli italiani, che si stanno dimostrando in media più che all’altezza della situazione, peraltro aggravata in qualche caso da gestioni regionali arroganti e approssimative. Il problema sta nella sua classe dirigente, tra i registi dell’opinione pubblica o dentro quello che si diceva un tempo ‘il ceto intellettuale’. Dove il segmento per quanto ci riguarda più problematico è proprio quello ‘democratico’. Dalla destra populista non ci attendiamo nulla e ce ne guardiamo. Non ci incantano le sue repentine conversioni al liberalismo nel nome del “tutto subito aperto, tutti liberi”. A preoccupare sono invece “gli altri”, “i democratici ‘liberali’, i grandi paladini della democrazia e della Costituzione, i cui show disinvolti e permanenti non fanno proprio bene al paese, anzi lo danneggiano”.
Queste le adesioni finora: Luigi Alfieri, Manuel Anselmi, Daniele Archibugi, Luca Baccelli, Laura Bazzicalupo, Francesco Belvisi, Gabriella Bonacchi, Stefano Bonaga, Michelangelo Bovero, Lorenza Carlassare, Barbara Carnevali, Thomas Casadei, Adriana Cavarero, Rita Cenni, Pierluigi Chiassoni, Dimitri D’Andrea, Anna Falcone, Alessandro Ferrara, Luigi Ferrajoli, Davide Ferrari, Antonio Fico, Anna Fiore, Antonio Floridia, Simona Forti, Vittoria Franco, Rita Fulco, Giunia Gatta, Marco Geuna, Valeria Giordano, Gustavo Gozzi, Riccardo Guastini, Barbara Henry, Alfonso Maurizio Iacono, Piero Ignazi, Enrica Lisciani-Petrini, Anna Loretoni, Sonia Lucarelli, Andrea Mammone, Giovanni Mari, Giacomo Marramao, Oreste Massari, Alfio Mastropaolo, Tecla Mazzarese, Maurizio Melucci, Gian Giacomo Migone, Andrea Pisauro, Pier Paolo Portinaro, Mariano Puxeddu, Lucia Re, Marco Revelli, Gianpasquale Santomassimo, Anna Soci, Siriana Suprani, Annamaria Tagliavini, Francescomaria Tedesco, Fabrizio Tonello, Nadia Urbinati.