mercoledì 1 luglio 2020

Conte: 'Decreto Semplificazioni indispensabile per il rilancio. Nessun legame tra Mes e politica di bilancio'.

Il premier Conte alla Camera © ANSA

"La pandemia ha determinato una recessione senza precedenti. Tra gli strumenti per rilanciare la crescita vi è senz'altro il decreto semplificazioni, che ritengo indispensabile per modernizzare l'Italia e far correre tutto il Paese. Ed è per questo che in queste ore ci stiamo confrontando in maniera costruttiva per trovare una soluzione". Lo spiega il premier Giuseppe Conte al Question Time alla Camera tornando a definire il provvedimento "la madre di tutte le riforme".



"Le misure che saranno introdotte con il decreto semplificazione puntano a velocizzare l' iter delle opere e il rafforzamento dei presidi di legalità. Pensiamo a semplificare le procedure affidando i contratti in modo più rapido, in questo momento, transitorio. Compatibilmente introdurremo procedure negoziate anche senza bando, compatibilmente alla normativa europea. Deroga associata a misure di trasparenza e controlli antimafia rafforzati", aggiunge Conte 
"Nel decreto sono state studiate e in parte accolte le proposte di Iv. Vogliamo superare la cosiddetta "paura della firma'" per i dipendenti pubblici" nel comparto opere pubbliche
Sulle crisi industriali, Conte ha detto che "attualmente la trattativa sta proseguendo" con ArcelorMittal. "Come è noto in queste ore si sta lavorando alla nuova compagine societaria e si sta valutando anche l'intervento pubblico perché riteniamo che questo sia la garanzia migliore".
Per quanto riguarda il Mes, il presidente del Consiglio ha spiegato come "non vi è alcuna connessione tra le linee di credito, relativo alle spese sanitarie, e le scelte generali di politica di bilancio relative alla spesa pubblica e la tassazione". 
La risposta del presidente del Consiglio è alla Lega che aveva chiesto al premier se non ci fosse un' ipotesi di accordo e di trattativa che porti all'utilizzo di questo fondo in cambio di un taglio del'Iva.
"In queste ore il governo sta conducendo un'intensa attività diplomatica per garantire una risposta Ue adeguata" alla crisi, spiega Conte. "Ne ho parlato in questi giorni con il premier Rutte e la cancelliera Merkel: da parte italiana resta l'obiettivo di un'intesa rapida che mantenga l'ambizione di partenza. Il risultato finale non dovrà discostarsi dalla proposta della commissione quanto a volume e modalità" di erogazione del Recovery Fund, aggiunge.
Sul Quadro Finanziario Pluriennale "abbiamo già detto di ritenere anacronistici i "rebates" (gli sconti che usano i Paesi che usano meno di fondi europei). Sappiamo che per alcuni Stati sono importanti ma vogliamo ritenere che questa stessa sensibilità venga mantenuta da questi Stati membri rispetto al piano Nex Generation Ue".
Conte è intervenuto anche sulla scuola. 'In vista dell'apertura a settembre, ha detto, "dovremo arrivare, si stima, a un incremento di 50mila unità tra docenti e personale Ata". 

Gimme - thatgirlwithgorgeoushair



Second song I made during the lockdown.

La riesumazione di Berlusconi. - Tommaso Merlo



Berlusconi non ci ha ancora lasciato ma pare che i suoi servetti vogliano già corrompere il giudizio postumo che il paese ha maturato su di lui e sulla sua parabola. 
È spuntato qualche spiffero dall’oltretomba e Forza Italia invoca una commissione d’inchiesta per far luce sulla sentenza che ha bollato Berlusconi come grande evasore. Già che ci sono vorrebbero riscrivere pure la storia degli anni in cui Berlusconi ha spadroneggiato. 
La pagina di gran lunga più buia della storia repubblicana e per molti aspetti ancora tutta da chiarire. 
Al punto che l’idea di una commissione d’inchiesta non sarebbe neanche male. 
Una commissione d’inchiesta che faccia luce sull’infinito curriculum delinquenziale del tre volte Presidente del Consiglio. Una grande occasione per andare a fondo sugli sfregi e le umiliazioni subite dalla democrazia Italia nei decenni in cui Berlusconi è stato il dominus della vita politica nostrana. Una commissione d’inchiesta per capire come è stato possibile che il parlamento italiano sia diventato lo studio legale privato di Berlusconi con leggi approvate per salvarlo dai processi e dalla galera. Una commissione d’inchiesta per comprendere quanto e come gli interessi privati della lobby di Berlusconi abbiano intaccato e compromesso quelli collettivi. Una commissione d’inchiesta per conoscere tutta la verità su quei processi che Berlusconi è riuscito ad impantanare tra prescrizioni e furbizie, facendo luce là dove una Giustizia manomessa dall’onorevole imputato ha dovuto arrendersi. Davvero un’idea non male. I terribili anni berlusconiani sono ancora piani zeppi di ombre. Questo perché Berlusconi ha ancora un piede qua e uno là anche in politica. Una presenza più spettrale che altro ma che consente alle trombe della sua propaganda personale di continuare a starnazzare. Ma non solo. Una grande fetta dell’informazione italiana è ancora di sua proprietà. Incatenata ad un mastodontico conflitto d’interessi che nessuno è mai riuscito a scalfire. A dimostrazione che checché ne dicano i suoi servetti, nessuno è riuscito a fermare Berlusconi. Se è finito politicamente nel cassonetto della storia, la colpa è solo sua, non degli altri. Berlusconi ha preso per in fondelli i cittadini italiani raccontandogli una miriade di balle. E mentre lui era occupato a farsi gli affaracci suoi, il paese è finito sull’orlo del baratro. Anni buttati via tra scandali, becera propaganda e promesse al vento. Ma non solo. Berlusconi ha sdoganato il malcostume, minando la credibilità delle istituzioni e favorendo la degenerazione morale della società italiana. Con lui al potere la Repubblica ha toccato il punto più basso in assoluto. Oggi Forza Italia vorrebbe una commissione d’inchiesta per levare a Berlusconi una delle poche condanne che si è beccato dopo una vita in fuga dalla giustizia e da se stesso. Ma con la propaganda ci inquini il presente, non manometti il giudizio della storia. Oggi il paese ha altre priorità che perdere tempo con la patetica riesumazione di Berlusconi. Ma una commissione d’inchiesta prima o poi potrebbe servire affinché certe pagine buie non si ripetano mai più.

https://repubblicaeuropea.com/2020/07/01/la-riesumazione-di-berlusconi/

Salvini special guest dei casini. Come tutti gli attori il Capitano prevede tutto e sa già come andrà a finire. - Giuseppe Vatinno

MATTEO SALVINI

Matteo Salvini è un vecchio guitto della politica che recita a soggetto seguendo un paio di canovacci logori e stantii. Come tutti gli attori prevede tutto e sa già come andrà a finire. Recita anche nella passionalità – che lui non possiede – ma ha imparato ad utilizzare sapientemente. Uno dei suoi canoni preferiti e collaudati è il seguente: c’è casino nel luogo X, io ci vado, ma prima mi cautelo che vengano a contestarmi e poi mi prendo un po’ di improperi e me ne vado piagnucolando contro la cattiveria del mondo. E così è stato a Mondragone, vicino Caserta, là dove il Sud – e la sua disperazione – si sente pieno e forte, nell’odore dei pomodori raccolti dai braccianti a caporalato.
E recita: “Era in programma un incontro con mamme e agricoltori e inquilini di un quartiere di Mondragone, ma i soliti delinquenti criminali teppisti dei centri sociali hanno sfasciato tutto”. Dite la verità, quante volte l’avete sentito? Avete notato che va solo in luoghi dove è sicuro che lo contestino i “centri sociali”, come li chiama lui che se ne intende avendo frequentato il Leoncavallo a Milano, quando faceva il leaderino orecchinato di una fantomatica corrente della Lega, i “Comunisti padani” che al verde delle Alpi univano riflessi rosso Lenin. Il fatto è che Salvini non solo recita per la ditta, ma fa anche danni perché Mondragone è una polveriera razziale, viste le ataviche tensioni tra i lavoratori bulgari che abitano negli ex palazzi Cirio e i residenti.
E in questa Santa Barbara mancava solo il virus che ha colpito gli stranieri per far detonare una tragica guerra tra poveri. Salvini però se ne frega, l’importante è solo il suo interesse elettorale. E adesso, dove servirebbe calma e mediazione, per uscirne, lui invece getta benzina sul fuoco perché questo è il suo mestiere. Così sbaracca contento, lasciando i disperati al caldo feroce dell’estate e alla malattia, mentre lui se ne torna sulle Alpi, al fresco, a progettare il prossimo blitz acchiappa-consensi. D’altra parte il segretario leghista è contento così, magari con una bella Nutella al salame a chiudere la giornata. Ma senatore, mi raccomando, non se la metta la mascherina che ‘sto virus è tutto una cospirazione della Cia che vuole “schiavi e non uomini”.

Nastro Lindo. - Marco Travaglio

berlusconi doveva essere condannato a priori'' - gli audio-bomba ...

Per misurare il peso (nullo) delle “nuove prove” che dovrebbero cancellare la condanna di Silvio B. a 4 anni per frode fiscale, basta la credibilità (nulla) delle fonti: il suo impiegato Nicola Porro sulla sua Rete4, il suo Giornale e il Riformista vicediretto dalla sua ex portavoce Debora Bergamini. Ma anche la statura dei politici che le han prese sul serio: FI, Salvini, FdI e l’Innominabile. Tutto in famiglia. Casomai ciò non bastasse, ci sono i fatti: una recente sentenza del Tribunale civile di Milano e l’audio di una conversazione del 2013, poco dopo la condanna irrevocabile, fra il giudice relatore Amedeo Franco e il neocondannato B. davanti a misteriosi testimoni. Ora, anche uno studente al primo giorno di Giurisprudenza sa che: a) una sentenza civile di primo grado non può smentirne una penale di Cassazione e in ogni caso (vedi pag. 8) questa riguarda profili diversi dalla frode fiscale Mediaset; b) i processi si celebrano nelle aule di giustizia, non a casa dell’imputato col registratore più o meno nascosto.
Ma la scena del giudice che firma con gli altri quattro colleghi la condanna di B. e poi corre da lui per dire che non voleva, non era d’accordo, è tutta colpa del presidente e degli altri tre cattivoni la dice lunga sulla sua serietà, correttezza e attendibilità. Tantopiù che nei tre mesi successivi il relatore Franco partecipò alla stesura delle 208 pagine di motivazione, che alla fine – caso raro – tutti e 5 i giudici (lui compreso) firmarono in calce e addirittura siglarono pagina per pagina (207 volte a testa). Il che dimostra che anche lui era d’accordo sulla condanna o, se dissentiva, a non innescare polemiche politiche. Altrimenti avrebbe potuto legittimamente non firmare (di solito le sentenze le firma solo il presidente). E, se davvero fosse stato convinto che si stava consumando “una grave ingiustizia” da “plotone di esecuzione”, con una condanna “a priori” e “guidata dall’alto”, frutto di “pregiudizio” per “colpire gli avversari politici”, una “porcheria” del presidente Antonio Esposito “pressato” per i guai giudiziari del figlio, cioè una serie di reati gravissimi, come poi disse a B. nella conversazione registrata, si sarebbe cautelato con uno strumento previsto dalla legge per i giudici in minoranza nei collegi giudicanti: motivare il suo dissenso in una busta chiusa allegata alla sentenza a futura memoria (come fece il presidente della Corte d’appello di Milano Enrico Tranfa, messo in minoranza dai due giudici a latere nella sentenza che assolse B. su Ruby). Invece Franco non solo non formalizzò alcun dissenso, ma espresse pieno consenso con la sua firma e 207 sigle. Noi ovviamente non sappiamo come si era comportato prima, in camera di consiglio.
Infatti nessuno dovrebbe saperlo, tantomeno l’imputato. Chi viola il segreto della camera di consiglio commette reato e illecito disciplinare. Il che spiega perché B. abbia atteso 7 anni e la morte di Franco nel 2018 per divulgare il nastro: per risparmiargli un processo per rivelazione di segreto d’ufficio e omessa denuncia (il giudice non aveva mai segnalato ai pm i gravissimi reati spiattellati a B.), la cacciata dalla magistratura e una raffica di querele e cause per diffamazione dagli altri quattro colleghi (casomai non bastasse l’indagine per corruzione giudiziaria aperta su di lui nel 2017 per presunti scambi di favori col senatore forzista e re delle cliniche Antonio Angelucci). In ogni caso nulla di ciò che dice Franco può ribaltare la condanna di B. né interessare la Corte di Strasburgo (che, con buona pace del Giornale e di Sansonetti, ha archiviato il caso nel 2018 perché B. ritirò il ricorso in extremis). B. è stato condannato perché ritenuto colpevole, in base a una valanga di prove documentali e testimoniali, di una gigantesca frode fiscale da 368 milioni di dollari sui diritti tv di Mediaset: e non solo da Esposito e i suoi tre colleghi (o quattro, a prender sul serio le firme di Franco), ma anche dagli altri 9 magistrati che si sono occupati del caso: i pm De Pasquale e Robledo; il gup che lo rinviò a giudizio; i tre giudici di Tribunale e i tre di Appello che lo condannarono in primo e secondo grado. Giunto in Cassazione nell’estate 2013, il processo finì alla sezione Feriale (presieduta da Esposito e composta anche da Franco) perché la III sezione che l’aveva in carico scoprì che si sarebbe prescritto per metà il 1° agosto e in base alle sue regole la Corte doveva celebrarlo subito senz’attendere la ripresa ordinaria a settembre (la sentenza arrivò il 31 luglio). E sapete chi presiedeva la III sezione che lo girò alla Feriale come “urgente”? Amedeo Franco. Il quale poi andò a contar balle a B., tipo che “han fatto una porcheria perché che senso ha mandarlo alla sezione feriale?”. Ecco: non era una porcheria, era la regola; e la decisione fu della sua sezione.
Quindi il nastro è il classico due di coppe quando a briscola comanda bastoni. E un clamoroso autogol. Perché dimostra vieppiù il coraggio del presidente Esposito e degli altri tre (o quattro), che condannarono il colpevole B. resistendo a indicibili pressioni politiche (che spingevano per l’assoluzione, al grido di “Salviamo il governo Letta-Napolitano!”). Ricorda ai tanti smemorati chi è davvero B.: un delinquente seriale che i giudici o li paga o li induce a delinquere. E riporta il dibattito sulla riforma della giustizia nei giusti binari: in Italia le uniche carriere da separare sono quelle degli imputati eccellenti da quelle dei giudici collusi.

B. e la bufala che vuole riscrivere la storia. - Gianni Barbacetto

B. e la bufala che vuole riscrivere la storia

Immaginatevi un giudice che andasse a casa di un suo imputato potente (non dico Totò Riina, anche un condannato, per dire, di frode fiscale) e, per ingraziarselo, gli dicesse: “Io non ero d’accordo, sa, con la sentenza, ma il presidente della Corte ha tanto insistito, è stato un verdetto guidato dall’alto…”. Sarebbe inaccettabile anche per i garantisti alle vongole: un giudice non deve andare a casa di un suo condannato, non deve parlare delle sue sentenze, se non era d’accordo doveva opporsi fieramente durante la camera di consiglio, se avesse constatato una manovra illegale avrebbe dovuto denunciarla immediatamente. Ma siamo in Italia. Così succede che un giudice, Amedeo Franco, vada da Silvio Berlusconi e gli dica – registrato di nascosto – che lui non era d’accordo sulla sua condanna definitiva a 4 anni per frode fiscale emessa dalla Cassazione nel 2013. Un talk-show a corto d’argomenti in un’estate post Covid (Quarta Repubblica di Nicola Porro) tira fuori questa vecchia vicenda per tentare l’impossibile: ribaltare la storia. Silvio Berlusconi fu processato e condannato per aver organizzato un sistema per frodare il fisco italiano e creare fondi neri per le sue “operazioni riservate” (tipo pagare tangenti e comprarsi giudici e sentenze).
Così un film, comprato negli Stati Uniti a 10, passava attraverso intermediari e prestanome, e arrivava in Italia nelle tv di Berlusconi a 100: tasse abbattute e 90 messi da parte all’estero. Con questo sistema – provano i giudici, carte alla mano – “le maggiorazioni di costo realizzate negli anni” sono state di ben “368 milioni di dollari”, nascosti al fisco e infrattati all’estero. Prove solide, testimonianze, ma soprattutto documenti bancari. Condanna in primo grado, condanna in appello, conferma in Cassazione. Dodici giudici si sono pronunciati in modo univoco. Le motivazioni delle sentenze sono di fuoco. Ma ai garantisti alle vongole – specie se sono stipendiati dal condannato o da altri pregiudicati – non basta. Si dicono contro i “processi mediatici”, ma poi celebrano in tv (e su giornali senza lettori, tipo il Riformista) per anni lo stesso processo, per difendere il padrone, ripetendo gli stessi argomenti già puntualmente smentiti da testimoni, prove, documenti, sentenze, buon senso, ragionevolezza.
“Adesso ci sono le prove che la sentenza che condannò Silvio Berlusconi al carcere, nel 2013, era una sentenza assolutamente sbagliata e faziosa. Addirittura orchestrata dall’alto”, scrive il Giornale di famiglia. Che aggiunge una perla giuridica: c’è “una sentenza del Tribunale civile di Milano che ribalta la sentenza penale”. Non è vero, la sentenza civile non “ribalta” un bel niente, e anche un bambino capisce che un reato penale è altro da un addebito civile e che le pere sono altro dalle angurie. Da dove viene, dunque, questo scoop stagionato come una forma di gorgonzola lasciato al caldo? Dagli “audio choc” mandati in onda lunedì sera da Quarta Repubblica in cui parla Amedeo Franco, deceduto un anno fa, giudice del collegio della Cassazione presieduto da Antonio Esposito. Dice: “Berlusconi deve essere condannato a priori perché è un mascalzone! Questa è la realtà, a mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia… l’impressione che tutta questa vicenda sia stata guidata dall’alto. In effetti hanno fatto una porcheria perché che senso ha mandarla alla sezione feriale? Voglio per sgravarmi la coscienza, perché mi porto questo peso del… ci continuo a pensare. Non mi libero. Io gli stavo dicendo che la sentenza faceva schifo”. In una seconda conversazione registrata da Berlusconi, Amedeo Franco aggiunge, riferendosi al presidente Esposito: “Sussiste una malafede del presidente del consiglio, sicuramente, lui sa che è una porcheria”. Poi butta lì che Esposito era “pressato” per il fatto che il figlio, anch’egli magistrato, era “stato beccato con droga a casa di…”. Ferdinando Esposito, allora pm presso la Procura di Milano, non ha avuto alcuna denuncia per droga, è stato indagato dalla Procura di Brescia per tutt’altro (e poi ha lasciato la magistratura), ma per una vicenda iniziata un anno dopo la sentenza del padre, che non aveva dunque alcun motivo di temere le (inesistenti) “pressioni” della Procura di Milano.
Se “pressioni” – o comunque soavi sollecitazioni – ci furono, furono nella direzione opposta: per far assolvere Berlusconi. Cosimo Ferri, leader storico di Magistratura indipendente e allora sottosegretario alla Giustizia nel governo Letta, sostenuto anche da Berlusconi con la benedizione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, avvicinò il giudice Esposito e a luglio lo invitò a Pontremoli, al premio Bancarella. Esposito, per motivi d’opportunità, a due settimane dalla sentenza, ringraziò e declinò l’invito. Poi l’intercettazione di Amedeo Franco è tutto un inconcludente balbettare: “I pregiudizi per forza che ci stavano… si potesse fare… si potesse scegliere… si potesse… si poteva cercare di evitare che andasse a finire in mano a questo plotone di esecuzione, come è capitato, perché di peggio non poteva capitare… Questo mi ha deluso profondamente, questo… perché ho trascorso tutta la mia vita in questo ambiente e mi ha fatto… schifo, le dico la verità, perché non… non… non è questo, perché io… allora facevo il concorso universitario, vincevo il concorso e continuavo a fare il professore. Non mi mettevo a fare il magistrato se questo è il modo di fare, per… colpire le persone, gli avversari politici”. Se avessi saputo di questa “porcheria mi sarei dimesso, mi sarei dato malato. Non volevo essere coinvolto in questa cosa… È destino che Berlusconi debba essere condannato a priori. Purtroppo c’è una situazione che è veramente vergognosa… è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia… Tutti i miei colleghi e anche i suoi che pure non la supportano sono convinti che questa cosa sia stata guidata dal- l’alto”. Contestazioni precise, argomenti solidi, come ognuno può vedere.

Storie dell'altro mondo. - Massimo Erbetti

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Una storia dell'altro mondo...due ragazzi camminano di sera, mano nella mano, sono innamorati, non potrebbe essere diversamente. Vanno per i fatti loro, in una sera d'estate, non danno alcun fastidio, si parlano, i soliti discorsi che fanno i ragazzi della loro età. 
Una scena che abbiamo visto distrattamente centinaia, migliaia di volte. Ma questa volta non è passata inosservata agli occhi di un gruppo di coetanei, fra loro c'è anche una ragazza. Ad un certo punto il "branco" perché di branco si tratta, non certo di un gruppo, si avvicina ai due innamorati e comincia a picchiare selvaggiamente uno dei due ragazzi, pugni e calci, nessuna pietà. Sono così violenti, da rompergli addirittura una mascella, secondo alcune fonti locali, si apprende che al giovane dovrà essere letteralmente ricostruita con placche metalliche.

Una bruttissima storia dal sapore medievale, che arriva addirittura in consiglio comunale, dove alcuni consiglieri decidono di presentare una mozione che impegna l'amministrazione a costituirsi parte civile per esprimere vicinanza e solidarietà al giovane. Ma lì accade una cosa ancor più triste, la mozione viene bocciata, undici voti contrari e dieci a favore. Il ragazzo viene praticamente abbandonato a sé stesso.

Una storia veramente dell'altro mondo, una storia che non dovrebbe in un paese "civile" come il nostro, purtroppo invece è accaduta e la politica si è girata dall'altra parte.

Ah...dimenticavo di dirvi che i due ragazzi che andavano mano nella mano erano gay, che i consiglieri che hanno bocciato la mozione sono di Lega, FdI e FI e la città in cui sono accaduti i fatti è Pescara.
E questo sarebbe un paese civile? Ci sono volte in cui mi vergogno di essere italiano e di appartenere a quel genere umano, che di umano non ha proprio niente...e questa è una di quelle.