Quaranta nomi, quaranta motivi, quaranta Sì al taglio dei parlamentari. Nei giorni scorsi, i più noti costituzionalisti, intellettuali, giornalisti, professori, attori, comici e personaggi dello spettacolo italiani si sono espressi favorevolmente al referendum di domenica sulla riforma costituzionale per ridurre 345 eletti tra Camera e Senato. Nel giorno in cui anche Conte ribadisce il suo Sì (“non si riduce la rappresentanza”) si sono aggiunte anche la giornalista Selvaggia Lucarelli secondo cui questo “è un bel segnale di un Parlamento che si autodisciplina” e l’attrice Monica Guerritore che vota per “ridare forza e autorevolezza al Parlamento”.
In primis tra i favorevoli alla riduzione dei parlamentari ci sono le migliori menti del diritto costituzionale italiano – da Enzo Cheli a Lorenza Carlassare passando per Mauro Volpi, Gian Candido De Martin, Roberto Zaccaria e gli ex presidenti della Corte costituzionale Valerio Onida e Ugo De Siervo – che argomentano il proprio Sì sulla base di decenni di studi sull’argomento: Carlassare ha ricordato come, già nella Costituente del 1946, gli onorevoli Francesco Saverio Nitti e Giovanni Conti “avevano chiesto di ridurre i parlamentari”, Cheli, che “con le Regioni e il Parlamento Ue oggi non c’è più l’esigenza di avere 945 parlamentari”, e Onida spera che con il taglio “le due Camere potranno lavorare meglio”.
I due economisti Roberto Perotti e Tito Boeri, oltre a mettere in evidenza un miglioramento “nell’efficienza del Parlamento”, invece, spiegano il proprio Sì facendo i conti in tasca alla riforma: il taglio, secondo i loro calcoli, dovrebbe portare un risparmio totale di 100 milioni all’anno, pari a mezzo miliardo a legislatura per i contribuenti. Non proprio bruscolini. Sempre Boeri e Perotti, nei giorni scorsi, hanno sottolineato come il 40% dei deputati e il 30% dei senatori nella passata legislatura hanno disertato un terzo delle sedute: quindi, basterà non pagare più gli assenteisti e il gioco è fatto.
Poi ci sono molti intellettuali di sinistra che si oppongono a coloro che, dall’altra parte, votano No gridando al “vulnus di rappresentanza” e al rischio di una ipotetica “deriva autoritaria”: da Barbara Spinelli (“Molti sono contrari solo per far fuori il Movimento 5 Stelle”) a Erri De Luca (“Così si ridurrà un privilegio”), passando per Salvatore Settis fino all’ideologo del Partito democratico, Michele Salvati, che spera nelle ulteriori “riforme” e per aiutare il governo Conte. Sempre tra i padri nobili dei dem, ieri Enrico Letta sul Fatto ha spiegato che “negli ultimi decenni già un terzo dei parlamentari non lavora” mentre l’ex senatore dem Felice Casson ha ricordato ai compagni di partito che “già nel 2008 questa era una riforma voluta dal Pd”. Nella formazione dei Sì ci sono anche molti noti giornalisti tra cui il fondatore del Fatto Antonio Padellaro, Gad Lerner, Giovanni Valentini, Antonio Polito, Beppe Severgnini e i volti televisivi come Lucia Annunziata e Giovanni Floris. Qui a fianco trovate tutti i loro motivi per votare Sì: il Fatto è in ottima compagnia.
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