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Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
venerdì 6 novembre 2020
La vignetta di Mannelli su ilFQ di oggi.
DIVENTERÀ ARANCIONE, IL COLORE DEL FALLIMENTO DI MUSUMECI. - Giancarlo Cancelleri
Ci sono due modi di amministrare e fare politica: con serietà e affrontando i problemi con pragmatismo per provare a risolverli, oppure con faccia tosta, mentendo spudoratamente a tutti e provando ad accollare ad altri responsabilità e inadempienze tutte proprie. Indubbiamente il presidente siciliano Musumeci appartiene a questa seconda categoria.
Per chiarezza e onestà intellettuale nei confronti dei miei corregionali siciliani, Musumeci, anziché attaccare in maniera pretestuosa il governo Giuseppe Conte, dovrebbe dire che i parametri che hanno determinano il colore delle Regioni non sono stati dati dal numero dei contagi, ma dalla situazione del sistema sanitario di ogni singola regione che, come sappiamo, in Italia viene gestito dalle stesse regioni.
Musumeci dovrebbe spiegare a noi siciliani perché in questi mesi, dei 301 posti di terapia intensiva richiesti, il suo governo ne ha realizzato solo poco più di 100. Eppure il governo Conte ha messo a disposizione dell’Isola ben 125 milioni da spendere nella sanità per fronteggiare l’emergenza Covid, il governo regionale ne ha spesi ad oggi solo meno di 50.
La verità è che il presidente della Regione Siciliana ha perso l’ennesima occasione per tacere.
Lo scarica barile, la polemica martellante per ogni decisione del governo Conte, il goffo atteggiamento di rivendicare risultati inesistenti, sono lo sport preferito di Musumeci che con l’assessore Razza perde tempo che sottrae al lavoro per la Sicilia e per il bene dei siciliani.
Il colore arancione della Sicilia è il colore del fallimento di Musumeci, della lentezza e dell’incapacità del suo governo.
Musumeci dovrebbe semplicemente assumersi le proprie responsabilità, lavorare, se ne è capace, a testa bassa per migliorare il sistema sanitario dell’isola e dare più ascolto alle sagge parole del presidente Mattarella, che ripeto: ‘ogni sforzo deve avere l'obiettivo comune di difendere la salute delle persone e di assicurare la ripresa del nostro Paese.
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MINCHIONI PER SCELTA E MINCHIONI PER CONTRATTO. - Rino Ingarozza
Pagliacciata sediziosa. - Marco Travaglio
Dopo le mosse eversive delle giunte di Lombardia, Piemonte e Calabria, aizzate dal mestatore Salvini, si spera che nessuno rompa mai più le palle con le prediche al governo sul dialogo con le opposizioni. Almeno finché le opposizioni non saranno qualcosa di diverso dal Cazzaro Sedizioso. Ormai anche il leghista più sfegatato dovrebbe aver capito che la salute e la vita sono cose troppo serie per affidarle a una banda di spostati che si fanno chiamare “governatori” e non riescono a governare neppure il ballatoio di casa loro. Hanno voglia Conte, Speranza, Brusaferro e gli altri con la testa sul collo a spiegare che la divisione dell’Italia in zone rosse, arancioni e gialle non è una pagella politica per punire le giunte di destra e premiare quelle di sinistra: è la presa d’atto di un contagio che, in certe aree, galoppa e minaccia gli ospedali più che in altre. Le gabbie numeriche per incasellare le Regioni sono state concordate fra governo, Iss, Cts e sgovernatori in lunghe e defatiganti riunioni. Quindi nessuno ha scavalcato nessuno. E gli squilibrati che contestano i dati come “vecchi”, “superati” o financo “truccati” fanno ridere per non piangere: perché sono i dati che forniscono loro.
Le colpe sono tante e di tanti, ma la pandemia è mondiale e colpisce anche i Paesi meglio governati e organizzati. Non è il momento di affrontarle: prima si limitano le occasioni di contagio e dunque gli ingressi negli ospedali, poi si fanno i conti. I dati dicono che i Dpcm del 13, 18 e 25 ottobre qualche risultato l’hanno già sortito, stabilizzando la crescita giornaliera della curva: non quella dei morti, sempre più spaventosa (quasi tutti anziani contagiati in famiglia da parenti asintomatici che tornano da scuola e dal lavoro), ma riferita a contagi di 15-20 giorni fa; bensì quella del rapporto positivi-tamponi e dei nuovi ricoveri. Quindi anche il Dpcm, il più severo, che parte oggi migliorerà verosimilmente le cose. E forse ci risparmierà il lockdown totale, ora meno duro di marzo anche nelle quattro Regioni “rosse”. Bisogna saperlo e farlo sapere, per dare una prospettiva ai cittadini incolpevoli chiamati a sacrificarsi al posto dei colpevoli: quei sacrifici servono e stanno già producendo risultati. L’importante è concentrarsi su ciò che è utile ed essenziale e lasciar abbaiare negazionisti, catastrofisti e perdigiorno del Mes, del rimpasto, delle larghe intese, del dialogo con opposizioni e Regioni. Chi sgoverna la Lombardia non sa neppure comprare i vaccini antinfluenzali (e, quando li trova, attiva un call center che manda dal dentista gli anziani che chiamano). E chi sgoverna la Calabria è riuscito in sei mesi ad aumentare i posti letto in rianimazione di 6 unità (sei!). Il minimo sindacale è negargli il diritto di parola.
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Salvini aizza i presidenti. E Fontana, Cirio e Spirlì chiedono il “riconteggio”. - Giacomo Salvini
Regioni rosse - La Lega accusa: “Punite” solo le amministrazioni guidate dal centrodestra. La Calabria fa ricorso.
Il registro chiamate del telefono è monotona, perfino noiosa. “Fontana, Cirio, Musumeci, Spirlì, Fontana, Cirio, Musumeci, Spirlì” e così via. Matteo Salvini chiama, ascolta e, se necessario, incita i governatori delle zone rosse e arancioni. A impugnare il Dpcm al Tar, come annunciato ieri dal governatore della Calabria Nino Spirlì, o a chiedere trumpianamente il riconteggio ché “i dati di Conte sono vecchi di dieci giorni”. Certo, il Piemonte, la Lombardia e la Calabria non saranno il Michigan, la Georgia o la Pennsylvania e la richiesta di lasciare aperto non sarà come conquistare la Casa Bianca, ma in serata la sintesi la fa il governatore del Piemonte, Alberto Cirio, che da mercoledì sera è il più arrabbiato di tutti: “I dati sono vecchi di dieci giorni, il nostro Rt è passato da 2,16 a 1,91. Chiedo una verifica”. E a ruota si associano anche Fontana, Spirlì e il siciliano Nello Musumeci. Al punto che il ministro Speranza deve intervenire: “È surreale che anziché assumersi la loro parte di responsabilità ci sia chi faccia finta di ignorare la gravità dei dati nei propri territori”.
Ma il problema è politico e le telefonate tra Salvini e i governatori in lockdown sono drammatiche: “Matteo, così non teniamo più i commercianti e i ristoratori”, gli dice mercoledì sera Fontana dopo aver appreso che da oggi la sua Regione chiude. “I calabresi così muoiono di fame” gli confida Spirlì, già vice di Jole Santelli che si candiderà alle prossime Regionali: sicché il ricorso al Tar è cosa quasi scontata. E allora ieri mattina, dopo aver risentito Fontana, il leader del Carroccio è furioso e lo dice dritto: “Dobbiamo reagire contro questo governo indegno, non staremo a guardare le previsioni del tempo”.
Cosa questo voglia dire non è dato saperlo, ma il ricorso del governatore della Calabria è un buon inizio. Qualche collega potrebbe seguirlo, qualcuno chiedere di allentare la stretta tra due settimane se i dati dovessero migliorare, ma nel centrodestra circola anche l’ipotesi di ordinanze à la Trentino per disobbedire alle norme nazionali. E Salvini non si opporrebbe di certo. D’altronde il leader del Carroccio legge la “zona rossa” di Conte come un marchio per colpire le Regioni leghiste almeno fino al 3 dicembre: “Per un mese non si tocca palla – attacca – ma così si mette in ginocchio un Paese. I ristori sono mance o elemosina”. Così ieri ha sentito anche diversi sindaci leghisti della bassa Lodigiana dove a marzo era esplosa l’epidemia – tra cui Francesco Passerini (Codogno), Sara Casanova (Lodi) e Elia Delmiglio (Casalpusterlengo) – che sono pronti a impugnare singolarmente il Dpcm perché “oggi non possiamo essere paragonati ad altre parti d’Italia”.
Poi c’è la sindrome dell’accerchiamento. O meglio, dell’accanimento politico. E anche se l’esercizio nel dialetto lascia un po’ a desiderare, il concetto di Salvini è chiaro: “La Campania dove De Luca chiude tutto e dove c’è il disastro negli ospedali dov’è finita? Perché è zona gialla? Ccà nisciuno è fesso”. Come dire: il governo ha chiuso le Regioni di centrodestra (Lombardia, Piemonte, Sicilia e Calabria) e lasciato aperte quelle di centrosinistra. Un’accusa che rimbalza per tutto il giorno, dalla Camera dove anche Forza Italia e Fratelli d’Italia protestano animatamente contro il “mero calcolo politico” del governo (la deputata calabrese Maria Tripodi) ai leghisti vicini a Salvini: “Le zone rosse sono state decise dal colore politico”, si agita il segretario lombardo del Carroccio, Paolo Grimoldi. E anche il segretario, all’ora di pranzo, dal suo ufficio in Senato, attacca: “Le nuove norme sono una lotteria basata su dati vecchi: perché Lombardia sì, Toscana e Campania no? A Milano, Torino e Palermo non ci sono fessi, e a Roma c’è qualcuno attaccato alla poltrona”. L’unico leghista che si dissocia è il governatore del Veneto Luca Zaia, Regione che è ancora zona gialla ma presto potrebbe diventare arancione: “Le proteste sono legittime e anch’io avrei qualcosa da replicare, ma tutti abbiamo un obiettivo, cioè di uscire presto da questa crisi”. Un altro segnale di distanza da Salvini. E infatti nel Carroccio nessuno ci fa più caso: “Ormai Luca va per conto suo”.
giovedì 5 novembre 2020
Il problema dei tamponi, focolai nelle Rsa e l’incognita dei posti in ospedale: ecco perché la Sicilia è diventata zona arancione. - Manuela Modica
L'inserimento dell'isola nella zona arancione, con criticità elevata, ha sollevato le proteste del governatore Nello Musumeci, che ha fatto notare come Campania e Lazio facciano registrare spesso numeri assoluti maggiori nell'incremento dei contagi. Il monitoraggio dell’Iss fatto nella settimana che va dal 19 al 25 ottobre, però, si basa su parametri suddivisi in 21 macroaree: la lotta alla pandemia nella Regione più a Sud d'Italia va tutt'altro che bene.
Sicilia in zona arancione, ed è subito polemica. Un minuto dopo il discorso del presidente del consiglio, che annuncia la serrata totale per bar e ristoranti sull’isola, è lo stesso governatore siciliano, Nello Musumeci, a infiammare gli animi: “La scelta del governo nazionale di relegare la Sicilia a zona arancione appare assurda e irragionevole. L’ho detto e ripetuto stasera al ministro della Salute Speranza, che ha voluto adottare la grave decisione senza alcuna preventiva intesa con la Regione e al di fuori di ogni legittima spiegazione scientifica”.
Ed elenca subito una serie numeri: “Un dato per tutti – prosegue il governatore siciliano – oggi la Campania ha avuto oltre quattromila nuovi positivi; la Sicilia poco più di mille. La Campania ha quasi 55 mila positivi, la Sicilia 18 mila. Vogliamo parlare del Lazio? Ricovera oggi 2.317 positivi a fronte dei 1.100 siciliani, con 217 in terapia intensiva a fronte dei nostri 148. Eppure, Campania e Lazio sono assegnate a zona gialla. Perché questa spasmodica voglia di colpire anzitempo centinaia di migliaia di imprese siciliane? Al governo Conte chiediamo di modificare il provvedimento, perché ingiusto e ingiustificato. Le furbizie non pagano”.
Furbizie, scelte assurde, irragionevoli: Musumeci dà voce così ad una buona parte dell’opinione pubblica siciliana, colta di sorpresa non tanto dalla posizione in zona “chiusura”, quanto dall’assenza nella stessa posizione di regioni considerate a rischio molto più alto di quello della Sicilia, come appunto Lazio e Campania. I contagi in Sicilia sono inferiori, non c’è dubbio, ma c’è un dato che Musumeci non menziona e che affiora anche alla luce dei chiarimenti successivi alle dichiarazioni di Giuseppe Conte. La divisione in zone si basa infatti sul monitoraggio dell’Iss fatto nella settimana che va dal 19 al 25 ottobre e si basa su parametri suddivisi in 21 macroaree. Tra queste c’è l’attività di screening effettuata dai territori. Ed è su questo punto che la differenza tra la Sicilia e le altre due regioni prese a paragone dal governatore può spiegare perché l’isola è considerata a rischio elevato: nella settimana presa in analisi la Sicilia ha processato 43.630 tamponi, mentre la Campania ha fatto quasi il doppio, con 81.321 e il Lazio ha raggiunto quota 130.265 tamponi processati (mentre la Puglia, posizionata al pari della Sicilia in zona arancione si attesta a 31.747 test). L’isola ha dunque fatto 86.635 tamponi in meno del Lazio (12.376 in meno, in media, al giorno) e 37.691 meno della Campania in una settimana (5.384 in meno, in media, al giorno), a fronte di una popolazione più numerosa in queste due ultime regioni. Il Lazio conta 910mila abitanti circa in più della Sicilia, mentre la Campania circa 850mila in più, tutte e tre oscillano su una cifra che sfiora e supera i 5 milioni di abitanti. Dunque, anche se il fattore Rt – l’indice di contagio – in Sicilia più basso (nel periodo preso in esame era di 1.42, mentre in Lazio di 1.51, in Campania di 1.49 e in Puglia di 1.65) è stata l’inferiore capacità di monitorare i contagi a pesare nella scelta del governo.
Un ruolo hanno giocato anche i numeri della terapia intensiva. Lo scorso 21 ottobre Nicola Zingaretti firma un’ordinanza per l’incremento dei posti letto, per raggiungere la soglia di 552 posti Covid in terapia intensiva e sub intensiva. In Campania al 25 ottobre ne risultano 320 tra attivati e attivabili. La cifra dei posti letto di terapia intensiva in Sicilia è invece difficile da reperire con precisione. Bisogna chiamare ogni azienda ospedaliera provinciale per sapere il numero esatto, alla fine risultano circa 245 posti di terapia intensiva già attivati (Enna non ne ha nessuno e Palermo dà un dato che oscilla tra 80 e 100). Dall’assessorato regionale alla Salute però assicurano che quelli attivabili sono 500, già predisposti. Mentre da giorni indicano la vera criticità per l’attivazione: gli anestesisti. Non c’è personale a sufficienza per attivare i posti, un problema che riguarda tutto il Paese.
“Dalla Regione c’hanno fornito tutte le attrezzature. Manca il personale”, assicura, per esempio, Angelo Aliquò, direttore generale dell’Asp di Ragusa. Sono 31 i posti attivati nel Ragusano, lì dove da poco è stata dichiarata una nuova zona rossa a Vittoria, comune con quasi 64mila abitanti. E non sono poche le zone rosse siciliane, tutte concentrate in paesi di montagna: Centuripe (5249 abitanti), Torretta (4278), Galati Mamertino (2419), Randazzo (10599), Sambuca (5792), Mezzojuso (2799), Villafrati (3275). Piccoli comuni con pochi abitanti, ma con alta contiguità tra le persone, e soprattutto con centri di Rsa, come Villafrati che è stata zona rossa sia a marzo che ad ottobre. O come Sambuca dove le immagini delle ambulanze in fila per evacuare la Rsa hanno fatto il giro del web.
Ed è proprio la gestione delle residenze degli anziani uno dei 21 parametri presi in esame dall’Iss per suddividere le regioni in zone di rischio più o meno elevato. Secondo l’assessore regionale alla Salute, Ruggero Razza, però, il tasso di occupazione di posti letto in terapia intensiva nella settimana presa in esame è passato “dal 15 al 19 percento”. Per questo sottolinea: “Leggo sulla stampa farneticazioni (qualche volta strumentali, qualche altra dettate dalla voglia di fare polemica a tutti i costi) in ordine all’occupazione dei posti letto in Sicilia e mi pare, quindi, indispensabile pubblicare il report settimanale utilizzato da Roma. Come vedete i nostri indici di occupazione erano ben al di sotto della soglia di allerta. E, riferendosi i dati alla scorsa settimana, essi non tengono neppure in considerazione il piano approvato dal Comitato tecnico scientifico che li aumenta ancora di più. Sono fatti, non analisi”. Intanto nella settimana presa in analisi, i positivi in terapia intensiva sono stati 35 in più nel Lazio, 28 in più in Campania e 23 in più in Sicilia. L’isola segna dunque un incremento in terapia intensiva molto vicino a quello campano e non lontano da quello laziale, dove processano più tamponi e quindi forse intervengono prima sui contagiati.
La polemica, non a caso, provoca la reazione anche del ministro della Salute, Roberto Speranza: “Le regioni alimentano i dati con cui la cabina di regia effettua il monitoraggio dal mese di maggio – sottolinea il ministro in una nota -. Nella cabina di regia ci sono tre rappresentanti indicati dalle regioni. È surreale che anziché assumersi la loro parte di responsabilità ci sia chi faccia finta di ignorare la gravità dei dati che riguardano i propri territori. Serve unità e responsabilità. Non polemiche inutili”. E anche le opposizioni si scatenano contro il governo regionale: “La Sicilia è area arancione perché, pur avendo meno ammalati Covid di altre regioni area gialla, non ha un numero adeguato di posti letto di terapia sub-intensiva e intensiva per garantire le cure necessarie. Se Musumeci avesse utilizzato il periodo estivo per adeguare le strutture sanitarie la Sicilia sarebbe area gialla”, dice il capogruppo dem all’assemblea regionale, Giuseppe Lupo.
“Andavano aumentati posti letto, tamponi e tracciamento, invece cosa è arrivato? L’aumento delle pensioni e dell’assegno di fine mandato dei deputati dell’Ars”, sottolineano i Cinquestelle siciliani, componenti della commissione Salute all’Ars, Giorgio Pasqua, Salvatore Siragusa e Antonio De Luca. Nei giorni scorsi i consiglierei del M5s hanno, infatti, denunciato l’avvenuto aumento della pensione per i consiglierei regionali. E adesso insistono sui tamponi: “Ci dicano perché facciamo solo 6000 tamponi al giorno. Se con 6.000 tamponi giornalieri abbiamo 1.000 contagiati al giorno, vuol dire che un siciliano controllato su 6 risulta positivo e allora quanti ce ne sarebbero se facessimo 20 o 30.000 tamponi giornalieri? Altro che arancione…”.
Per la “terapia” Salvini non è il giorno giusto. - Antonio Padellaro
Quando un giorno, ci auguriamo non lontano, si racconterà la storia di questi tempi difficili, con il distacco dello scampato pericolo, una parola chiave sarà: idrossiclorochina. Che non è soltanto un farmaco antimalarico (prescritto anche per l’artrite reumatoide), ma un efficace strumento della strategia del discredito. Volta a dimostrare che i lockdown servono unicamente alla dittatura sanitaria di Conte, della Merkel, di Macron per soggiogare i popoli attraverso la paura del contagio e la minaccia della segregazione. Mentre con il costo “di sei, sette euro in farmacia”, la miracolosa pillola “ha salvato migliaia di pazienti a primi sintomi”. Parola di Matteo Salvini che, l’altroieri, affiancato da un paio di infettivologi di stretta fiducia, e dal celebre scienziato leghista Armando Siri, ha propinato la medesima patacca propagandata mesi fa da Donald Trump. Per dimostrare che i nove milioni e mezzo di contagi negli Stati Uniti, e i 233mila decessi, erano una fake news di quel menagramo di Anthony Fauci. Visto e considerato che il Commander in Chief, aveva sconfitto in un baleno il virus grazie a quell’idroqualchecosa. Sulle pesanti controindicazioni a livello cardiaco di queste cure fai-da-te si è già espressa l’Agenzia del farmaco, ma è il format, diciamo così, politico, a suscitare un rinnovato interesse nel momento in cui la stella (di latta) di Trump non sembra più splendere incontrastata nel cielo d’America. Infatti Salvini, che dall’estate del mojito non ne azzecca una, ha scelto proprio il giorno giusto per provarci con l’ennesima spallata a Conte, riciclando la trovata che non ha portato molta fortuna al suo mentore. Il fatto che nel presiedere quel consesso di premi Nobel egli indossasse la mascherina “Trump 2020” conferma in pieno la teoria marxiana della storia che si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa. Speriamo che l’inquilino della Casa Bianca rinunci a drammatizzare l’esito del voto a lui non favorevole, visto il clima abbastanza teso. Perché la farsa ce la prendiamo volentieri noi.