Quando Conte teneva le conferenze stampa che illustravano le misure del suo governo, molti dicevano che il luogo corretto per comunicare sarebbe stato il Parlamento (cosa per la verità non del tutto infondata: in teoria si sarebbe anche potuto verificare che da Camera o Senato venisse qualche osservazione utile). Ora Draghi fa le conferenze stampa, e nessuno dice nulla. Ma si insinuava anche che non fosse casuale la scelta degli orari, quelli di grande ascolto in concomitanza con i Tg. Ora Draghi parla addirittura nell’orario de L’Eredità, la seguitissina trasmissione pre-serale dell’ottimo Flavio Insinna, e anche qui silenzio-assenso.
Se possiamo però interrompere questo giochino del comportamento della grande stampa, e degli stessi politici, “prima” e “dopo”, bisogna un po’ affrontare il problema del “come”. Purtroppo, malgrado l’eccezionale levatura del personaggio, le conferenze stampa di Draghi non sono soddisfacenti. Intanto, l’occhio vuole la sua parte: a confronto con le aule parlamentari o con le fin troppo scenografiche ambientazioni di Conte-Casalino, la sede ora scelta in nome di una lodatissima “sobrietà”, a ben vedere, più che sobria è povera. Qualcuno si è spinto a lodare l’azzurro della parete di fondo. Be’, non è brutto ma è normale. Aggiungendo qualche logo di sponsor sembrerebbe una sala conferenze per allenatori di calcio prima e dopo le partite. A dominare la scena lì è però un altro Conte, il tecnico che sta conducendo l’Inter a un meritato scudetto…
Ma veniamo ai contenuti e (se ci si consente) alle tecniche oratorie, soffermandoci proprio sulle comunicazioni in zona-Insinna. Intanto, le scelta di dare direttamente la linea alle domande dei giornalisti rischiava di essere un boomerang, e boomerang è stato. Un personaggio di alto profilo come Draghi non può avviare una discussione senza una robusta relazione iniziale che fissi limiti e paletti, altrimenti poi le domande, che già di solito sono un po’ troppo variegate, rimbalzano per ogni dove. E qualche rimbalzo, in questo caso, è stato un falso rimbalzo.
Sui due casi, il caso-Erdogan e il caso-psicologi, si è già detto molto, ma resta spazio per qualche osservazione ulteriore. A proposito di Erdogan “dittatore”, si potrebbe premettere che forse il leader turco non si aspettava una definizione così ostile perché uno dei predecessori di Draghi, e cioè Berlusconi, ha più volte tenuto con lui ben diversi atteggiamenti: nel 2003 facendo addirittura il testimone di nozze al figlio del presidente turco, con tanto di baciamano-gaffe alla sposa (gesto da quelle parti inconsueto, per usare un’espressione cauta), e nel 2018 partecipando alla cerimonia di insediamento di Erdogan stesso dopo una vittoria elettorale peraltro non sorprendente. Alla domanda sulla poltrona negata a Ursula von der Leyen si sarebbe potuto rispondere con vari tipi di riprovazione, alludendo per esempio genericamente alla condizione della donna in quel Paese: un tema grave, ma ormai talmente dibattuto da non suscitare sorprese. L’impressione è che Draghi parlasse un po’ a ruota libera, anche una o due altre frasi sono risultate un po’ traballanti, ma quel “dittatore” è sembrata proprio una “voce dal sen fuggita”, e i tentativi di metterci una pezza non sono stati brillantissimi.
Quanto agli psicologi (a cui questo giornale ha già dato voce nei giorni scorsi), non si sa se sia peggiore la non-comprensione di una professione o la non-conoscenza di un decreto dello stesso governo. Individuato il criterio, peraltro condivisibile (e in questo caso ben illustrato) della fasce di età, sul resto il Presidente non era forse del tutto concentrato. Una cosa che da una testa ordinata come la sua non ci si aspetta. Il timore è che Draghi abbia compiuto una scelta: occuparsi prevalentemente della situazione economica (e questo ben venga, tenendo conto anche che i suoi ministri hanno già correttamente dichiarato che il Recovery Plan di Conte e Gualtieri va corretto ma non di molto), delegando ad altri la situazione sanitaria. Se per “altri” si intende il ministro Speranza, benissimo, e benissimo anche la fiducia nei suoi confronti perentoriamente confermata negli incontri con Salvini; ma, se si intendono altri ministri o commissari (specialmente ora che sembra si alzi un polverone-Arcuri) è bene che il Presidente vigili con tutta la sua autorevolezza.
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