giovedì 28 agosto 2025

La fisica quantistica compie un balzo epocale: Risolto l'enigma del secolo.

 

In un momento storico in cui la scienza sembra spesso sfiorare i confini dell’inconoscibile, due ricercatori dell’Università del Vermont hanno compiuto un passo avanti monumentale, risolvendo un enigma che ha tormentato la fisica quantistica per quasi un secolo.
Dennis Clougherty, professore di fisica, e il suo studente Nam Dinh hanno svelato il mistero dell’oscillatore armonico smorzato quantistico, un problema che aveva resistito a ogni tentativo di soluzione fin dai tempi della formulazione della meccanica quantistica. La loro scoperta, pubblicata il 19 agosto 2025, non solo chiude un capitolo irrisolto della fisica teorica ma apre nuove frontiere per la tecnologia e la misurazione di precisione, promettendo di rivoluzionare campi che vanno dalle nanotecnologie alla rilevazione delle onde gravitazionali.
Il cuore del problema risiede nella descrizione matematica di come una particella atomica perde energia nel tempo. Nel mondo macroscopico, il fenomeno è intuitivo: una corda di chitarra, una volta pizzicata, vibra fino a fermarsi a causa dell’attrito e della resistenza dell’aria. Ma nel regno quantistico, le regole sono radicalmente diverse. Le particelle non obbediscono alle leggi di Newton e l’energia non si dissipa in modo lineare. Qui, il principio di indeterminazione di Heisenberg impone limiti insormontabili alla precisione con cui possiamo conoscere simultaneamente grandezze come posizione e quantità di moto.
La soluzione di Clougherty e Dinh si basa su un modello proposto nel 1900 dal fisico britannico Horace Lamb, che aveva intuito come una particella vibrante in un solido perda energia attraverso onde elastiche generate dal suo stesso movimento. Tuttavia, mentre il modello di Lamb era coerente con la fisica classica, non esisteva una descrizione quantistica che potesse preservare il principio di Heisenberg. I due ricercatori hanno colmato questo vuoto attraverso una trasformazione di Bogoliubov multimodale, una complessa operazione matematica che ha permesso di diagonalizzare l’Hamiltoniana del sistema e definire uno stato di vuoto compresso multimodale.
Questo approccio ha consentito di descrivere con precisione come l’incertezza quantistica si modifica quando una particella interagisce con tutte le altre di un solido, affrontando il problema a molti corpi che aveva reso impossibile una soluzione esatta fino a oggi. Il risultato è una descrizione matematica che non solo risolve l’enigma dell’oscillatore armonico smorzato ma riduce l’incertezza quantistica oltre i limiti standard, aprendo la strada a strumenti di misurazione di precisione estrema.
Le implicazioni pratiche di questa scoperta sono immense. La possibilità di descrivere con esattezza la posizione di un singolo atomo potrebbe portare alla creazione del “metro più piccolo del mondo”, una tecnologia che permetterebbe di rilevare variazioni infinitesimali in campi come la sensoristica quantistica e la rilevazione delle onde gravitazionali. Questi strumenti, simili a quelli già utilizzati nei rilevatori Premio Nobel, potrebbero rivoluzionare non solo la fisica ma anche settori come la medicina, l’ingegneria e l’esplorazione spaziale.
Ma oltre alle applicazioni tecnologiche, la scoperta rappresenta un trionfo della fisica teorica, dimostrando come intuizioni del passato possano essere trasformate in strumenti per il futuro. Clougherty e Dinh hanno non solo risolto un problema centenario ma hanno anche mostrato che la scienza, anche quando sembra avvicinarsi ai limiti della comprensione umana, può ancora compiere balzi in avanti straordinari.
Questa scoperta è un monito e un’ispirazione: un monito per chi crede che i grandi enigmi della scienza siano ormai irrisolvibili, e un’ispirazione per chi continua a cercare risposte nelle profondità dell’universo. La fisica quantistica, con le sue leggi controintuitive e i suoi paradossi, ci ricorda che il mondo è molto più complesso e affascinante di quanto possiamo immaginare. E grazie a ricercatori come Clougherty e Dinh, siamo un passo più vicini a svelarne i segreti.
In un’era in cui la tecnologia avanza a ritmi vertiginosi, questa scoperta ci ricorda che il vero motore del progresso è la curiosità umana, la volontà di guardare oltre l’orizzonte e di sfidare i limiti del conosciuto. E mentre il mondo celebra questa svolta epocale, possiamo solo immaginare quali nuove frontiere si apriranno nel futuro prossimo, guidate dalla luce della conoscenza e dall’inesauribile desiderio di scoprire.

mercoledì 27 agosto 2025

La manovra che verrà. - Daria Paoletti

 

I partiti aprono il cantiere delle richieste, con un occhio alle prossime scadenze elettorali.

Nell’estate delle spiagge vuote, del caro vacanze che pare aver colpito il mitologico ceto medio, nel Ferragosto dei saldi negli stabilimenti balneari, la politica fa i conti. Quelli della manovra che arriva con l’autunno, come sempre, ma pure con il voto delle regionali: uno stillicidio di urne che si aprono quando sulla riviera marchigiana si staranno mettendo via gli ombrelloni e i tedeschi, se ci fossero, avrebbero ancora fatto il bagno, e che potrebbero chiudersi non prima di novembre. Persino inoltrato. All'incirca un voto al mese, giusto per accompagnare la messa a punto della prossima legge di bilancio. Che dunque più di altri anni rischia di finire preda degli appetiti elettorali dei partiti.

Ed ecco dunque che la prima richiesta che arriva punta proprio a quel ceto medio che mai come quest’anno pare soffrire il caro tutto, e gli stipendi fermi al palo da anni. Ed è Forza Italia a battere sul tempo tutti: vuole abbassare l’aliquota intermedia dell’Irpef dal 35% al 33% cercando di ampliare lo scaglione fino a 60mila euro. Un’operazione che a via XX Settembre potrebbe costare circa 4 miliardi ma che potrebbe aiutare i consumi.

L'altro grande nodo da sciogliere è quello della rottamazione. La quinta. A cui Matteo Salvini non vuole rinunciare: obiettivo consentire la rateizzazione dei debiti con il fisco in dieci anni senza sanzioni e senza interessi. Tace per ora il ministro, leghista, Giorgetti. Mentre si fanno i conti, che raccontano di un impatto immediato di circa 5 miliardi di euro sul primo anno di bilancio, anche se diluito negli esercizi successivi. Il ritorno elettorale, quello, è invece imponderabile.

E non sarebbe estate – e manovra – senza il capitolo pensioni, anzi “la vera soglia di libertà pensionistica” come la chiamano dalle parti del sottosegretario Durigon: 64 anni e 25 anni di contributi. Le risorse? Quello che conta - dice - è la volontà politica.

Tacciono dalle parti di via XX Settembre, dove il ministro Giorgetti ha la priorità di tenere conto del vincolo dei saldi di bilancio da mantenere in linea con gli impegni europei. La strategia adottata sinora ha conquistato un miglioramento del rating sul debito pubblico e un abbassamento dello spread con il Bund in area 80 punti base. E se è vero che meno interessi da pagare significano, con un’equazione grossolana, minore necessità di prelievo fiscale al ministero sanno che bisogna far quadrare la riduzione della prima aliquota Irpef e il taglio del cuneo fino a 40mila euro, che assorbono già quasi 18 miliardi, con quelle che saranno richieste e necessità. Un punto di equilibrio sempre fragile.

Gira quasi tutto intorno ai partiti di maggioranza. A quelli di opposizione resta raccontare del Paese con i lettini deserti e i salari erosi dall’inflazione e dai rincari. E macinare chilometri di campagna elettorale. In attesa di limare alleanze e intese, chiudere sui candidati, una battaglia comune resta quella sul salario minimo. Che dunque assume una nuova declinazione e diventa la promessa della variante regionale: dove si vince, è la sfida della stagione estate/autunno 2025, lo faremo. Almeno lì.

https://tg24.sky.it/politica/2025/08/14/manovra-bilancio-2026-programmi-partiti-regionali?utm_source=Klaviyo&utm_medium=campaign&intcmp=nl_editorial_insider_null

Cosa non torna dell'accordo sui dazi: tre punti che non coincidono. - Carlo Cottarelli

 

L'intesa tra Trump e von der Leyen viene vista in modi diversi dai documenti diffusi da Ue e Usa. E anche se si prende in considerazione solo la dichiarazione della Commissione europea, a emergere è la posizione di debolezza di Bruxelles nei confronti di Washington.

L’Unione Europea ha finalmente raggiunto un accordo con gli Stati Uniti sui dazi. O no? Il fatto è che c’è ancora parecchia incertezza sui termini dell’accordo, compreso su importanti aspetti. Verba volant, scripta manent e di scripta per ora non ne abbiamo molti. C’è la dichiarazione di Ursula von der Leyen pubblicata sul sito della Commissione Europea e c’è il “Fact Sheet” pubblicato sul sito della Casa Bianca. E i due documenti non coincidono in diversi punti:

Il documento americano dice che l’Ue importerà prodotti energetici per 750 miliardi di dollari dagli Usa da qui al 2028; quello dell’Ue dice che gli acquisti diversificheranno le nostre fonti di approvvigionamento” e che “sostituiremo il gas e il petrolio russo con acquisti significativi di GNL, petrolio e combustibili nucleari statunitensi”.

Quello americano dice che l’Ue investirà negli Stati Uniti, in aggiunta ai 100 miliardi attuali da parte di imprese europee, 600 miliardi di dollari, sempre da qui al 2028. Di questo non c’è traccia nel documento Ue.

Quello americano dice che i dazi su acciaio e alluminio resteranno al 50%; quello europeo che “per ridurre le barriere tra di noi, i dazi saranno tagliati e un sistema di quote sarà introdotto”. L’incertezza è aumentata dal fatto che, nonostante entrambi i documenti indichino che ci sarà una lista di beni a dazi zero in vari settori, tale lista non è pubblica se non in termini molto generici e, probabilmente, non è stata ancora negoziata.

Insomma, se questo accordo doveva servire a eliminare l’incertezza e consentire alle imprese di pianificare la propria attività, siamo ancora lontani dall’obiettivo.

https://tg24.sky.it/economia/2025/07/30/accordo-dazi-ue-usa-punti-critici-documenti-ufficiali

Dazi, trova le differenze: tutti gli squilibri nell'accordo tra Ue-Usa - Carlo Cottarelli

 

Il documento congiunto tra Stati Uniti e Ue sui rapporti commerciali tra i due Paesi è stato pubblicato: molti aspetti sono stati chiariti, ma altrettanti rimandati a data da destinarsi. Proviamo a fare chiarezza.

La scorsa settimana è stato pubblicato il documento congiunto tra gli Stati Uniti e l’Ue sui rapporti commerciali tra le due aree. Al termine dell’incontro del 27 luglio in Scozia tra Ursula Von der Leyen e Trump erano stati pubblicati sul sito della Commissione e su quello della Casa Bianca, due diversi documenti. Ci sono volute tre settimane e mezzo per giungere a un documento congiunto. Questo documento chiarisce i principali aspetti dell’accordo, ma rinvia comunque al futuro punti non irrilevanti. A dire il vero, il documento sembra essere stato chiuso in modo frettoloso. Per quanto sia un aspetto solo formale, stupisce che un testo di questa importanza, peraltro di sole tre pagine, contenga un ovvio refuso: al punto 5, nella penultima frase, dopo “United States” doveva esserci una virgola invece di un punto. Una pignoleria? Certo, ma in un documento ufficiale, per giunta breve, è inusuale trovare un tale refuso. Partiamo dalle cose più chiare, quelle sui dazi veri e propri. L’accordo è, come noto, squilibrato: il paragrafo 1 dice che l’Ue intende eliminare tutti i dazi sui prodotti industriali americani e dare un trattamento preferenziale a un ampio elenco di prodotti agricoli e ittici. Il paragrafo 2, invece, dice che gli Stati Uniti si impegnano ad applicare un dazio, omnicomprensivo, del 15% su tutti i beni provenienti dall’Europa, salvo nel caso inusuale di prodotti per cui il cosiddetto dazio applicato alla Most Favored Nation (MFN) non sia più alto. Per alcuni prodotti (risorse naturali non disponibili negli Stati Uniti, aerei e relative parti, farmaceutici generici e relativi precursori chimici) si applica invece il MFN, che varia da prodotto a prodotto, ma che è molto più basso del 15%. Il paragrafo 3 dice che, una volta azzerati i dazi europei citati nel paragrafo 1, i dazi americani su auto e relative componenti saranno pure ridotti al 15%. Lo stesso paragrafo dice che UE e USA “intendono considerare la possibilità di cooperare” per separare le loro economie dalla sovraccapacità nei settori dell'acciaio e dell'alluminio, anche attraverso una “soluzione di contingente tariffario” (espressione peraltro vaga). Nel frattempo, i dazi restano al 50%. Che ci sia uno squilibrio è ovvio. Superior stabat lupus, verrebbe da dire, anche se lo squilibrio è minore di quello applicato da Trump ad altri Paesi. E, come sottolineato dalla Commissione, il 15% complessivo non peggiora la situazione rispetto a quella attuale per alcuni prodotti (il sito della Commissione cita i formaggi su cui già gravavano dazi del 14,90%). Il resto è “work in progress”. I paragrafi 5-7 elencano gli impegni di acquisto di prodotti americani da parte dell’UE, ma i termini non sono chiari. Per l’energia (gas naturale liquefatto, petrolio e prodotti relativi all’energia nucleare) si dice che l’Ue “intends to procure” beni per 750 miliardi di dollari entro il 2028. Cosa significa “intends to procure”? Un documento sul sito della Commissione piega che “gli acquisti non sono realizzati dall’UE o dalla Commissione. La Commissione agisce come facilitatore per aiutare ad assicurare che gli Stati Membri abbiano abbastanza risorse energetiche”. Insomma, non si sa come questo impegno sarà rispettato. E, in linea di principio, è un impegno rilevante. Secondo Reuters, nel 2024 l’UE ha importato dagli USA combustibili fossili per 76 miliardi, ben al di sotto dei 250 miliardi all’anno ora previsti (assumendo che la data d’inizio del conteggio sia il gennaio del 2026). Si tratta di una “intenzione” però, non di un vincolo legale, anche se, politicamente, importare molto di meno sarebbe problematico. C’è un problema anche per gli Stati Uniti. Il loro totale delle esportazioni di combustibili fossili in tutto il mondo è stato di 318 miliardi nel 2024. Se iniziano a esportarne 250 nell’Ue, che succede agli altri Paesi? Ancora più vago è l’impegno relativo agli investimenti di imprese europee negli USA. In realtà, non è neppure un impegno, ma una semplice previsione della Commissione, basata su colloqui con le principali imprese europee: 600 miliardi di dollari entro il 2028. L’impressione è che questi investimenti sarebbero avvenuti comunque. Infine, c’è un generico impegno di “aumentare sostanzialmente” gli acquisti di materiale per la difesa. Il che è la conseguenza logica dell’impegno che ci siamo presi in sede Nato di aumentare la spesa militare (negli ultimi dieci anni oltre tre quarti della spesa relativa ad armamenti è venuta dagli Usa).

https://tg24.sky.it/economia/2025/08/27/dazi-usa-ue-accordo-squilibri-differenze?m_source=Klaviyo&utm_medium=campaign&intcmp=nl_editorial_insider_null

domenica 24 agosto 2025

L'amico terrorista - Marco Travaglio

 

Che ingenui: speravamo che l’arresto in Italia dell’agente ucraino, ricercato dai giudici tedeschi per il più grave attentato degli ultimi decenni a un’infrastruttura strategica europea (i gasdotti Nord Stream), aprisse gli occhi a qualcuno sul terrorismo di Stato made in Kiev.
Tantopiù che per la magistratura italiana è un “terrorista” e i pm di Genova lo sospettano pure per l’attacco a una delle quattro petroliere sabotate di recente in acque italiane. Invece niente. Silenzio di tomba da Ue, Nato, governo, Quirinale, politici, esternatori e twittatori compulsivi su ogni stormir di fronda dal fronte ucraino.
Volete mettere il “contenitore per le feci” che Putin avrebbe portato in Alaska per nasconderci le sue 70-80 malattie mortali? Quella sì che è una notizia, mica il fatto che il regime ucraino, come profetizzato da Biden, fece saltare il gasdotto più lungo del mondo che forniva il gas russo all’Europa. Cioè decise con un atto terroristico la politica energetica dell’Ue, fece schizzare prezzi e bollette e ci costrinse a spendere il quadruplo col gas Usa. E le vittime dell’atto di guerra, per punire l’Ucraina, continuano a riempirla di soldi e di armi perché “combatte per noi” (figurarsi se combattesse contro). E a invitarla a entrare in Europa (non più via mare, si spera).
La stampa di regime tiene bassa la notizia, come se il capitano Kuznietsov, capo di un’unità d’élite ingaggiato dai Servizi ucraini con altri sei per l’Operazione Diametro contro i gasdotti, avesse fatto tutto di testa sua e si fosse arruolato da solo. E come se un anno fa il governo polacco non avesse ospitato e poi fatto fuggire sull’auto diplomatica dell’ambasciata di Kiev un altro terrorista ucraino ricercato, Zhuravlov, ora ben protetto nel suo Paese dal mandato di cattura tedesco.
Nell’imbarazzante e imbarazzato silenzio generale, il ministro della Giustizia tedesco Hubig, che dovrebbe pretendere da Roma e Kiev l’estradizione dei due fuggiaschi, comunica: “Restiamo fermamente dalla parte dell’Ucraina, ma siamo anche uno Stato di diritto che indaga i crimini fino in fondo” (manca poco che aggiunga “purtroppo”). Ma certo, in fondo l’Ucraina ci ha solo chiuso il rubinetto del gas a suon di bombe e ci manda solo i suoi spioni a farci gli attentati in casa, che sarà mai.
Immaginate se – come sostennero comicamente Usa e Ue – i gasdotti li avessero distrutti i russi. Ora i governi e la stampa al seguito sarebbero in assetto di guerra (più di quanto già non siano) per sanzionare e bombardare il nemico che ha attaccato un socio della Nato. Invece tutti zitti, sennò dovrebbero dichiarare guerra all’amico, cioè all’unico Paese che finora ha attaccato l’Ue: l’Ucraina.
Chi invoca l’articolo 5 Nato e le altre garanzie di sicurezza per difendere Kiev dovrebbe invocarli per difenderci da Kiev.

Marco Travaglio - il fallito di successo.

 

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sabato 23 agosto 2025

~ La serpe in seno ~

 


Chissà se l’arresto del terrorista di Stato ucraino per l’attentato ai gasdotti Nord Stream sveglierà l’Europa sul suo peggiore pericolo. Che non viene da Mosca, ma da Kiev: è il nazionalismo ucraino, con punte di fascismo e nazismo, che la Nato alleva, foraggia e arma dal 2014.

Una serpe in seno che rovesciò Yanukovich e ricattò Poroshenko e Zelensky per impedire che attuassero gli accordi di Minsk su tregua e autonomia in Donbass. E – ora che si parla di pace – ci espone a minacce mortali con i suoi colpi di coda.

I gasdotti russo-tedeschi Nord Stream 1 e 2 li avviano Putin e Schröder per portare il gas in Europa: costati 21 miliardi di dollari alla russa Gazprom in società con due compagnie tedesche, una francese, una austriaca e l’anglo-olandese Shell, inaugurati nel 2011 da Merkel e Medvedev, sono da sempre osteggiati da Usa, Kiev e Stati baltici. Il 7.2.22 Biden minaccia: “Se la Russia invade l’Ucraina prometto che non ci sarà più un Nord Stream 2. Vi porremo fine”.

Detto, fatto. Il 26.9.22 quattro esplosioni sottomarine al largo di Svezia e Danimarca fanno saltare tre condotte dei gasdotti su quattro. Il prezzo del gas va alle stelle. Usa e Ucraina accusano Putin di essersi sabotato da solo. Ma l’ex ministro degli Esteri polacco Sikorski twitta: “Thank you Usa”. Victoria Nuland, vicesegretaria di Stato Usa, esulta: “Sono molto soddisfatta, il gasdotto è un rottame in fondo al mare”. Il Pulitzer Seymour Hersh accusa Cia e Casa Bianca. La Procura tedesca individua sette sommozzatori delle forze speciali ucraine agli ordini del generale Zaluzhny, che usarono uno yacht noleggiato da un’azienda polacca per piazzare sul fondale un quintale di tritolo. Il 14.8.24 i giudici tedeschi spiccano un mandato di cattura per Volodymyr Zhuravlov: l’ucraino si era rifugiato in Polonia ed è appena fuggito in Ucraina sull’auto diplomatica della sua ambasciata. Varsavia è accusata di sabotare le indagini per coprire la sua complicità. Ma Berlino precisa che “nulla cambia nel sostegno a Kiev”: continuerà ad armare e a finanziare i mandanti del più grave attentato da decenni a un’infrastruttura europea.

Un giorno forse sapremo se Zelensky sapesse o se i suoi militari e 007 l’avessero tenuto all’oscuro. Il che sarebbe pure peggio: confermerebbe che sono fuori controllo.

Se finirà la guerra, l’Ucraina avrà un governo ancor più nazionalista (senza più gli elettori del Donbass filorusso) e l’esercito più grande e armato d’Europa. Se qualche testa calda ostile alla pace provocasse la Russia con un altro attentato per scatenarne la reazione, una Ue legata a Kiev da patti tipo articolo 5 Nato (o peggio) dovrebbe intervenire. E ci ritroveremmo da un giorno all’altro nella terza guerra mondiale.

Pensiamoci, finché siamo in tempo.

di Marco Travaglio

Il Fatto Quotidiano
22 agosto 2025

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