Presentato il rapporto 2011 di Legambiente. Quasi trecento clan impegnati in 30mila illeciti accertati. Per un business da più di 19 miliardi di euro. In testa alla classifica ancora il Sud, ma il fenomeno è in espansione in Lazio e Lombardia. L'associazione denuncia: “Sui rifiuti le cifre del ministero sono sballate”
Il traffico illecito di rifiuti? Il ministero dell’Ambiente non ne sa nulla. Nei suoi dati ufficiali, i veleni non esistono e l’Italia gestisce anzi più immondizia di quanti ne produca. E nel Paese, intanto, si fa largo la “strada dell’ecomafia”, un’immaginario percorso da
Reggio Calabria a
Milano coperto da più di 80mila tir carichi di rifiuti illeciti. Quelli che ogni giorno circolano in Italia o vengono esportati in
Cina, per poi rientrare sotto forma di giocattoli o attrezzi. Ma sono anche gli spazi, grandi come 540 campi da calcio, occupati dalle abitazioni abusive del Paese. “Come un virus, con diverse modalità di trasmissione e una micidiale capacità di contagio”. Si tratta solo di una piccola parte del quadro ricostruito nel rapporto annuale di
Legambiente sulla criminalità ambientale, ma che non figura nei rapporti dell’organo di ricerca del dicastero guidato da
Stefania Prestigiacomo. Un business da più di
19 miliardi di euro solo nel 2010, in mano a quasi
300 clan. “Fenomeni che continuano a diffondersi senza incontrare adeguate resistenze – spiega
Enrico Fontana, responsabile dell’Osservatorio ambiente e legalità dell’associazione -, approfittando di gravi sottovalutazioni, molte complicità e troppi silenzi”. Un’espansione “sempre più insidiosa” anche per il presidente della Repubblica,
Giorgio Napolitano, secondo cui “su tali fenomeni la vigilanza istituzionale deve essere particolarmente attenta per evitare pericolose forme di collegamento tra criminalità interna e internazionale, distorsioni del mercato e rischi per la salute dei cittadini”. Eppure l’Italia è ancora carente di una normativa adeguata, denuncia Legambiente. Un “piccolo passo positivo”, secondo il procuratore nazionale antimafia
Piero Grasso, è stato fatto “con il coinvolgimento della Direzione nazionale antimafia con competenze specifiche in materia di rifiuti”. Dall’altro lato, però, ricorda ancora il procuratore, il ministero dell’Ambiente ha approntato il
sistema Sistri per il trattamento dei rifiuti – utile a registrare i passaggi dal produttore allo smaltitore – che “non è ancora operativo per una serie di rinvii”.
In una situazione in cui la cattiva gestione dei rifiuti e il ciclo del cemento assorbono la metà degli illeciti ambientali compiuti in Italia, il governo è fermo al 1997. Quando, spiega nel dossier
Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente, è stata fatta la prima proposta di inserimento dei reati ambientali nel codice penale. Negli anni è arrivato solo un timido schema di decreto, osteggiato da Confindustria e che comunque non accoglieva i dettami delle direttive europee in materia. Che “chiedono sanzioni efficaci, proporzionate, dissuasive”, precisa Dezza. Al momento, invece, “per il reato di discarica abusiva e omessa bonifica l’ammenda sale da 2.600 euro a 26.000 – aggiunge il presidente -, per una cava abusiva o l’inquinamento dell’aria al massimo si arriva a 1.032 euro, per lo sversamento in corpi idrici di acque reflue industriali l’ammenda raggiunge i 52.000 euro. Mentre non si prevede nulla per i reati relativi al ciclo del cemento”. E la carenza normativa è evidente anche nell’assenza di organi istituzionali in possesso di dati ufficiali e verificati. Come
l’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale che fa capo al ministero dell’Ambiente. Secondo le indagini dell’istituto, in Italia non esisterebbe nessun giro illegale di rifiuti: un dato che si basa su autodichiarazioni delle ditte, fa notare Legambiente. Anzi, per il Sipra, vengono gestite 4,6 tonnellate di rifiuti in più di quelli che si producono. Una cifra che non è sballata dall’import di scorie altrui, ma da un metodo di raccola dei dati – sconsigliato dalla Ue, si dice nel dossier – che favorisce il rischio di duplicazione dei dati nei passaggi intermedi della vita del rifiuto: dalla raccolta allo stoccaggio, o riciclo. Insomma, i conti non tornano e in mezzo ci si perde la fetta illegale. “Sarebbe stato, invece, importante che l’Istituto fornisse i dati sulla quantità di rifiuti pericolosi effettivamente gestiti, un dato da sempre mancante”, si denuncia nel dossier.
Se resta difficile capire il volume reale dei traffici ambientali illegali, sicura è invece l’associazione riguardo ai responsabili. Circa 300 clan – venti in più rispetto al 2009 – con la collaborazione necessaria di “un esercito di colletti bianchi”. Personaggi con un “ampia disponibilità di denaro linquido da una parte – spiega Fontana -, competenze professionali e società di copertura dall’altra”. Per un volume di affari che solo nel 2010 è stato di 19,3 miliardi di euro, comunque in ribasso di 1,2 miliardi rispetto al 2009. Una fortuna costruita su più di
30mila illeciti accertati: 7,8 per cento in più rispetto al 2009. Una cifra che, rapportata al quotidiano, significa più di 84 reati al giorno, 3 e mezzo ogni ora. Tra questi, quasi la metà sono rappresentati dallo smaltimento illegale dei rifiuti e dal ciclo del cemento: i primi in crescita del 14 per cento rispetto allo scorso anno, i secondi in diminuzione a causa della crisi, ma solo di poche centinaia di interventi. L’“attuale abusivismo edilizio non è frutto di necessità e attacca le aree a maggior valore aggiunto”, si spiega nel dossier. L’altra metà delle violazioni ambientali è invece formata dal traffico internazionale di specie animali e vegetali, alterazioni agroalimentari, incendi dolosi. In cima alla non lusinghiera classifica ci sono ancora una volta le regioni con un tradizionale radicamento mafioso: prima tra tutte la
Campania – con il 12,5 per cento del totale nazionale degli illeciti -, seguita da
Calabria,
Sicilia e
Puglia. La loro incidenza è però diminuita. Frutto del contributo delle regioni del nord ovest, prima tra tutte la
Lombardia: cresciuta rispetto allo scorso anno dal 9,8 per cento degli illeciti nazionali al 12 per cento.
Il 2010, riporta il dossier, è stato un anno record per le inchieste sul traffico dei veleni. Ogni ora e mezza, in Italia, viene compiuto un illecito relativo allo smaltimento dei rifiuti, per un totale di 6mila violazioni lo scorso anno. Circa 2 milioni le tonnellate di immondizia sequestrate in 12 delle 29 inchieste condotte. Di non tutte sono disponibili i dati, spiega Legambiente, e di certo si tratterebbe solo di una parte dei reali traffici nel Paese. In cui sono cambiate le rotte, “sempre più circolari, coinvolgendo tutte le regioni, con l’unica eccezione della Val d’Aosta e proiettandosi pure su scala mondiale”. Un business sempre più internazionale, con 10 inchieste condotte nel 2010 che hanno coinvolto 15 Paesi tra Europa, Asia e Africa. “Italia-Germania-Olanda-Hong Kong-Cina, un percorso tipico – spiega Legambiente -. Cinque, sei, sette passaggi per ogni carico, questa è la regola”. Gli scarti di plastica e carta sono diretti soprattutto in Cina, mentre i rottami ferrosi in Africa. “Escono rifiuti, entrano prodotti finiti”, ricorda l’associazione, come giocattoli o oggetti, spesso sequestrati perché tossici. La tecnica classica per coprire gli illeciti è quella del ‘giro bolla’: falsificare i codici che accompagnano gli scarti, così da rendere legale quello che non lo è. Almeno sulla carta. “I codici più esibiti dai trasportatori sono quelli relativi a materie prime seconde o imballaggi – si legge nel rapporto -, spesso solo un trucco per nasconde il traffico illegale di sostanze molto velenose”. Nello scorso anno l’Agenzia delle dogane ha inoltrato alle autorità competenti più di 100 notizie di reato per traffico internazionale di rifiuti e sequestrato nei porti italiani più di 11 tonnellate di rifiuti speciali e pericolosi. Più del doppio rispetto al 2009. Di queste, il 16 per cento riguarda ad esempio pneumatici fuori uso. Ogni anno, secondo le stime ufficiali, ne spariscono dalla contabilità 80mila. Più di 800 campi da calcio, in parte ritrovati in 1250 discariche abusive. Quando non vengono rivenduti nei mercati illegali o usati per bruciare altri rifiuti, più pericolosi. “Come nel
Parco dell’Alta Murgia – racconta, il documento – dove uno di questi siti illegali era stato preparato come una torta: sotto l’amianto, poi scarti di varia tipologia e sopra i copertoni da bruciare”. Una perdita economica per lo Stato di
140 milioni di euro l’anno per il mancato pagamento dell’iva sulle attività di smaltimento e vendita illegale, senza contare i soldi spesi per lo smaltimento dei siti illegali smaltimento. A guidare la classifica delle regioni più esposte è ancora una volta il sud ma, dopo il
Lazio al quinto posto, a soprendere è il negativo balzo in avanti della Lombardia: passata dal quattordicesimo posto del 2009 al sesto dello scorso anno. Colpa della “intraprendenza delle famiglie, soprattutto calabresi, nell’intera provincia milanese”, spiega Legambiente.
Una classifica in parte diversa quella che riguarda invece il ciclo del cemento. Con una media di 19 violazioni accertate al giorno nel 2010. Illeciti che riguardano in gran parte l’abusivismo che, lo scorso anno, è cresciuto al ritmo di più di
26mila casi gravi, secondo le stime del
Cresme, istituto di ricerce specializzato nell’edilizia. Con 18mila nuove abituazioni costruite non a norma, mentre gli altri casi riguardano gli ampliamenti e i cambiamenti di destinazioni d’uso compiuti illegalmente. “Questa prassi devastante – denuncia Legambiente – rischia di trovare legalizzazione nelle premesse di condono degli esponenti politici della maggioranza di governo. Dallo stesso
Berlusconi, a Napoli, in appoggio al candidato sindaco Lattieri”.
Quando il premier, in vista delle elezioni amministrative, ha promesso lo stop agli abbattimenti delle costruzione abusive a Napoli. Ma il ciclo del cemento riguarda anche il calcestruzzo depotenziato: il cemento scadente usato per costruire, ad esempio, una serie di palazzine di edilizia popolare a
Campagna, in provincia di
Salerno, “destinate alle vittime del terremoto del 1980”. E sequestrate nei primi giorni di aprile. Ma la Campania, storicamente in testa alla classifica, quest’anno è stata superata dalla Calabria, dove gran parte degli illeciti riguardano gli appalti per l’autostrada. Non solo maxi inchieste, sottolinea l’associazione, nel settore sono diversi i segnali della criminalità nei cantieri autostradali. “E’ ottobre 2010 il mese più nero”, spiegano, quando si sono registrate la maggior parte delle intimidazione, dei furti, del ritrovamento dei finti ordigni. Al terzo posto è invece il Lazio, dove dal 2004 al 2009 si sono compiuti una media di 20 illeciti edilizi al giorno. “Il 22 per cento di questi – si specifica nel dossier – si concentra nei 23 comuni costieri della regione, in aree vincolate paesaggisticamente”. Resta invece prima tra le regioni del nord la Lombardia, ottava nella classifica generale. A preoccupare di più, però, è il fenomeno della costruzione delle case in zone ad alto rischio idrogeologico. In Calabria, dove tutti i comuni hanno delle aree a rischio, che ospitano torrenti e fiumare, il cemento abusivo ha coperto l’anno scorso gran parte della costa, facendo registrare un abuso ogni 100 metri. Si tratta di più di 5mila illeciti in tutta la regione e, tra questi, circa 2mila nella sola provincia di Reggio Calabria. E non va meglio in Campania dove, secondo il
Cnr, frane e inondazioni hanno ucciso più di 600 persone dal 1950 al 2008. Eppure nella regione, in dieci anni, sono state costruite 60mila case abusive: 6mila all’anno, 16 al giorno.