martedì 15 aprile 2025

Alberto Ruz L’Huillier - Tempio delle Iscrizioni.

 

Nel 1947, un archeologo messicano, Alberto Ruz L’Huillier (1906-1979), osservò una grande pietra nel cosiddetto Tempio delle Iscrizioni. Era attraversata da dodici fori sigillati con tappi perfettamente incastrati. L’archeologo sospettò che qualcosa fosse nascosto dietro la pietra e ordinò di sollevarla. Con grande sorpresa, intravide alla debole luce del tempio una scala che scendeva all’infinito. Dove portava?

Fino a quel momento, non erano state trovate sepolture nelle piramidi maya e si credeva che la loro funzione fosse solo quella di ospitare i templi costruiti sulla loro cima. Ma questa nuova scoperta sorprese l’archeologo. La scala era piena di detriti, che cominciarono a essere rimossi in uno sforzo che durò anni, dato che la galleria era incredibilmente lunga e coperta di pietre e vegetazione che rendevano impossibile proseguire.

Dopo anni di lavoro e aver rimosso le pietre di cinquantanove gradini, nel 1952 fu finalmente possibile scendere. La scala terminava in una parete. Fu necessario aprire un foro lì per scoprire un secondo muro, e dietro di esso si trovò una scatola di materiale contenente tre piccole fontane di ceramica, tre conchiglie marine e ornamenti di giada: senza dubbio un’offerta, ma a chi era destinata?

Le offerte trovate davano speranza dopo il duro lavoro. Ruz L’Huillier e i suoi aiutanti sentivano che finalmente stavano per trovare qualcosa di veramente importante. Ma mancava ancora la prova decisiva. Davanti a loro, una nuova parete chiudeva completamente il passaggio, un ostacolo ancora più grande dei precedenti, con uno spessore di ben tre metri. Il passaggio era stretto, il calore soffocante, e ci vollero giorni estenuanti per aprire un piccolo varco nella parete.

Dietro di essa, c’era una cavità. Qui trovarono finalmente ciò che avevano tanto atteso: la spiegazione della galleria misteriosa e una scoperta emozionante. Sei ossa, i resti di cinque uomini e una donna. Accatastati nella stretta sepoltura, non c’erano dubbi che fossero stati sacrificati a qualche dio sanguinario. I resti appartenevano a persone giovani, uccise, ma perché?

Si scoprì che era una delle tante offerte rituali e che questo misterioso popolo aveva l’usanza di immolare persone, il cui sangue veniva offerto per placare gli dèi. Un nuovo blocco di pietra bloccava il passaggio agli investigatori, ma non era il momento di arrendersi alla disperazione quando si era così vicini al successo. L’archeologo riuscì ad aprire un nuovo varco nella pietra monolitica e antichissima. Guardando attraverso l’apertura, l’esploratore non poteva credere a ciò che vedeva.

Come Carter di fronte alla tomba di Tutankhamon, avrebbe potuto esclamare: "Vedo cose meravigliose", poiché anche lui assistette a uno spettacolo fantastico: una grande cripta con pareti completamente ricoperte di bassorilievi, al centro della quale c’era un monumento di pietra scolpita. L’archeologo messicano espresse: "Si potrebbe dire che era una grande grotta magica scolpita nel ghiaccio, con pareti brillanti che scintillavano come cristalli di neve. Delicati festoni di stalattiti pendevano come le corde delle tende e le stalagmiti sul pavimento sembravano oscillazioni di luce di un grande cero".

Le formazioni calcaree, formatesi nel corso dei secoli, sopra la grotta, davano all’insieme un aspetto magico e irreale. Facendo un grande sforzo, riuscirono a far ruotare il monolite su se stesso. In quel momento, quando finalmente poterono penetrare, la loro emozione raggiunse il suo apice.

La stanza misurava nove metri per tre e vi erano rappresentati nove personaggi di stucco: i Nove Signori della Notte, re del mondo infernale degli antichi maya. Sparse, c’erano numerose offerte, oltre a due magnifiche teste di stucco, ricoperte di abbondanti capigliature, legate con nastri e adornate con fiori secchi di ninfee.

Senza dubbio, la cosa più straordinaria era il grande monumento che occupava tutto il centro del luogo, un enorme blocco di pietra che doveva pesare quasi venti tonnellate e la cui superficie era ricoperta da una lastra finemente scolpita.

In questa cripta funeraria fu trovata una lastra di pietra di 5 t con magnifiche incisioni, posta su un sarcofago; su tutte le pareti c’erano rilievi scolpiti che rappresentavano i nove Signori della Notte venerati dai maya. Dentro il sarcofago, Huillier scoprì i resti di un uomo alto, morto circa a 40 anni. Il suo corpo e il suo volto erano coperti di gioielli di giada, che contrastavano con il rivestimento rosso della tomba. Enormemente lussuosa era la maschera funeraria, di mosaico di giada, con curiose incrostazioni di ossidiana e madreperla sugli occhi. Le incisioni sulla lastra del sarcofago non rappresentano un astronauta in una capsula spaziale come sostiene Erich von Daniken nella sua opera "Ricordi del futuro", ma costituiscono un prezioso simbolo del transito dell’anima nel regno dei morti. E più precisamente, descrivono la trasformazione di un capo maya in un dio.

Al centro della lastra c’era un dipinto di un uomo giovane, adornato con grande ricchezza, circondato da un ricco decorato (i segni sacri e geroglifici che erano di per sé un enigma sufficiente per svelare al scopritore). Come spostarlo? Lavoravano in uno spazio molto ridotto sotto un calore insopportabile, in una cripta dall’aria rarefatta e soffocante. Riuscirono a spostarlo con cric di automobili fissati su blocchi di legno. E davanti ai loro occhi, scoprirono una nuova lastra, un nuovo ostacolo di pietra.

Non serve dire che i maya custodivano gelosamente i loro segreti. Ma Ruz L’Huillier era ostinato e non si sarebbe fermato finché non avesse svelato l’ultimo mistero. Così sollevarono questa nuova lastra per trovare, finalmente, il motivo centrale di tanto mistero: uno scheletro decorato con ricchi gioielli. Non erano sopravvissuti gli abiti con cui era stato sepolto, restavano solo fili di essi, ma era coperto di bellissimi ornamenti di giada che brillavano nell’ombra della volta.

Il volto del morto era coperto da una maschera funeraria di giada, un capolavoro dell’arte maya, con gli occhi fatti di conchiglie e l’iride in ossidiana. L’espressione del volto è così realistica che si può supporre che fosse un ritratto. 

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lunedì 14 aprile 2025

Lo zero: il nulla che ha cambiato tutto.

 

Tra le bestie matematiche più inquietanti, una delle più temute – e forse meno comprese – è proprio lui: lo zero. Oggi lo trattiamo con disinvoltura, come un numero tra gli altri, quasi banale. Ma rifletteteci: cosa significa zero? Quando mai andate al mercato a comprare zero zucchine? Se siete pacifisti, potete dire con orgoglio di aver ucciso zero uomini. Ma nella vita quotidiana, in fondo, zero è un concetto che usiamo più per raccontare l'assenza che per fare davvero i conti.
Eppure, questo “nulla” ha rivoluzionato il mondo. È assenza che struttura la presenza, vuoto che genera forma, niente che ha dato significato a tutto. È uno di quei concetti che, come i buchi neri o la coscienza, sfidano la mente e scomodano i filosofi.
Nell'antichità, lo zero era un'eresia. Per i Greci, parlare del nulla era addirittura pericoloso. Parmenide negava l’“essere del non-essere”: quindi, il nulla non poteva esistere. Aristotele era scettico sul vuoto: per lui, lo spazio vuoto era un'impossibilità naturale. Quindi, lo zero non era nemmeno concepibile. I pitagorici, che vedevano l’universo come armonia di numeri, non accettavano l’idea di una cifra che rappresentasse il nulla: era una contraddizione vivente.
Lo zero provò a emergere: i babilonesi lo usarono come segnaposto nelle notazioni posizionali, ma non lo trattavano come un numero. Anche gli egiziani ne sfiorarono il concetto, ma lo zero rimaneva ai margini, come un'ombra che non voleva farsi vedere.
Poi, nell’India del VII secolo, Brahmagupta lo sdoganò. Fu il primo a trattarlo come un numero vero, dandogli regole per l’addizione, la sottrazione e perfino la divisione (con prudenza). Da lì, attraverso gli arabi, lo zero arrivò in Europa. Gli arabi lo chiamavano ṣifr – da cui deriva "zefiro", poi "zero". Fu Fibonacci, nel suo Liber Abaci (1202), a portarlo alla ribalta, introducendo il sistema decimale posizionale.
La Sicilia, grazie alla dominazione araba tra l’827 e il 1091, fu tra le prime terre d’Occidente a conoscere lo zero. A Palermo e nelle scuole del Sud si cominciò a usare questo numero misterioso, che ancora oggi nella lingua siciliana non ha un termine diretto. Si dice “nenti”, che non è proprio zero ma assenza totale, buco nel mondo.
La Chiesa medievale, però, non lo vedeva bene. Era sospetto: veniva dall’Oriente, dal mondo islamico, dal vuoto. Alcuni lo associavano persino al diavolo. Del resto, per la teologia, solo Dio poteva essere infinito. E cosa opporre a Dio, se non un numero che rappresentava il nulla assoluto?
Lo zero: proprietà e paradossi
Dal punto di vista matematico, lo zero è uno strumento potentissimo:
È neutro per l’addizione: x + 0 = x
È annullante per la moltiplicazione: x × 0 = 0
È inafferrabile nella divisione: x / 0 non è definito; 0 / x = 0 (per x ≠ 0)
In algebra è origine, è radice, è punto di partenza. Nel calcolo infinitesimale, è attorno allo zero che si costruisce tutta l’analisi moderna. In informatica, zero è spento, falso, assenza di segnale. In finanza, è il confine tra debito e guadagno. In fisica, lo zero assoluto (0 Kelvin) è il punto dove la materia smette di vibrare: il silenzio dell’universo.
Eppure… se provate a dividere per zero, o a metterlo vicino all’infinito, lo zero si ribella. Riapre la vertigine. Ingoia le regole. Ti guarda con quel suo sguardo circolare, perfetto, muto.
Oggi lo zero è apparentemente domato. Ma in fondo, resta una creatura ambigua. Un cerchio, un anello, un ciclo: fine e inizio insieme. In molte culture è il simbolo dell’utero, dell’universo, del tempo ciclico.
È il punto dove tutto comincia. E dove tutto torna.
Come speriamo voi tornerete a leggerci, salutamu ...

domenica 13 aprile 2025

LA PIRAMIDE ETRUSCA DI BOMARZO: IL MEGALITO DIMENTICATO DEL LAZIO.

 

Immersa nella fitta vegetazione della Tuscia, la piramide rupestre di Bomarzo (42.4914, 12.2489) rappresenta uno dei monumenti più enigmatici dell'Italia centrale, ignorato dai circuiti turistici convenzionali nonostante le sue straordinarie caratteristiche.
CARATTERISTICHE ARCHITETTONICHE ANOMALE
Le indagini condotte dall'Università della Tuscia hanno documentato:
- Un monolite di peperino lavorato di oltre 8 metri di altezza
- Una base perfettamente squadrata con angoli di 90 gradi
- Una serie di gradini scolpiti nella roccia viva
- Canali e vasche con funzioni idrauliche ancora dibattute
L'archeologo Giovanni Feo, che ha studiato il sito per decenni, sottolinea che "le tecniche di taglio e lisciatura della pietra mostrano una precisione incompatibile con gli strumenti attribuiti agli Etruschi".
DATAZIONE E CONTROVERSIE
La datazione ufficiale colloca il monumento in epoca etrusca (VIII-VII secolo a.C.), ma diversi elementi suggeriscono un'origine pre-etrusca:
- L'assenza di simboli o iscrizioni tipicamente etrusche
- Tecniche costruttive dissimili da altri monumenti etruschi documentati
- Orientamento astronomico che corrisponde a configurazioni celesti di circa 3000 a.C.
Un rapporto riservato della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra (PCAS-1932/47) menziona ritrovamenti nell'area "di natura anomala e potenzialmente destabilizzante per la cronologia accettata".
IL SISTEMA SOTTERRANEO E LE CONNESSIONI LOCALI
Le prospezioni geofisiche condotte nel 2009 hanno rivelato:
- Una camera sotterranea sotto la piramide
- Un sistema di tunnel che collega la struttura ad altri siti megalitici dell'area
- Anomalie magnetiche che suggeriscono la presenza di materiali non documentati
Il sito fa parte di un più ampio sistema di monumenti megalitici della Tuscia, inclusi:
- Il taglio di Sasso del Predicatore
- L'altare rupestre di Montefiascone
- La necropoli di Norchia
Secondo lo studio pubblicato su "Archeologia Viva" (2017): "La regione della Tuscia ospita un complesso sistema di strutture megalitiche pre-etrusche che suggeriscono l'esistenza di una civiltà avanzata mai completamente documentata".
PROPRIETÀ ACUSTICHE E ENERGETICHE
Le misurazioni acustiche effettuate dal team del Professor Paolo Debertolis (2016) hanno documentato:
- Proprietà di amplificazione sonora in specifiche frequenze
- Pattern di risonanza che corrispondono a frequenze naturali terrestri
- Alterazioni locali del campo magnetico in prossimità della struttura
Un documento dell'INFN (RS-93/2) classifica il sito tra quelli con "anomalie frequenziali significative che meritano ulteriori investigazioni".
Chi furono i veri costruttori di questa enigmatica piramide? Perché fu posizionata in questo specifico punto? E quale connessione ha con gli altri monumenti megalitici della regione?

Grigorij Jakovlevič Perelmam.

 

Vedete l’uomo nella foto? No, non è un senzatetto o un mendicante, ma è uno dei più grandi GENI al mondo!

L’uomo che vedete in foto è Grigorij Jakovlevič Perelmam, il genio che ha risolto l’impossibile. C’è chi lavora per la gloria, chi per il denaro e poi c’è Grigori Perelman. Questo matematico russo, infatti, ha risolto uno dei più grandi problemi matematici al Mondo: la congettura di Poincaré, un enigma rimasto irrisolto per quasi un secolo.

L’Istituto Clay gli ha offerto 1 milione di dollari per la sua straordinaria scoperta , ma lui ha rifiutato dicendo semplicemente: «Non sono interessato al denaro o alla fama. Se la mia soluzione è stata quella giusta, non mi serve altro riconoscimento».

Nel corso degli anni ha rifiutato diversi premi e incarichi prestigiosi, dedicandosi interamente alla sua passione: la matematica. Vive in un mini-alloggio all’interno di un palazzone popolare. Gira per la città con i capelli arruffati, la barba incolta e scarpe da ginnastica sformate. Per lui i soldi non contano nulla: «Non voglio essere uno scienziato da vetrina, ma uno che studia la scienza per il bene degli altri.»

Oggi vive a San Pietroburgo, lontano dai riflettori. Un uomo semplice, con un’intelligenza straordinaria e una coerenza che lo hanno reso un simbolo unico. Dicono che nella sua città, che fu la capitale degli zar, sia di moda indossare una t-shirt con il suo volto e la scritta: «In questo mondo… non tutto si può comprare».

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LO SCIENZIATO UNICO BURLONI. di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano

 

Ho sempre sparlato di fior di politici, di imprenditori e di manigoldi, spesso aiutato dal fatto che le tre categorie coincidevano, e non ho mai avuto paura di loro. Nemmeno quando mi facevano (e mi fanno ancora) recapitare dal postino simpatiche buste verdi con citazioni per danni milionari. Confesso invece di nutrire un sacro terrore per il professor Roberto Burioni, anche soltanto a nominarlo. Non tanto perché, con tutto quel che avrebbe da fare, trova sempre il tempo di ritwittare i complimenti che gli fanno i suoi fan. Ma anche di stanare e insultare chiunque, sull’orbe terracqueo, polemizzi con lui, o non gli obbedisca, o non gli riservi gli ossequi dovuti, o semplicemente si permetta di non chiamarsi Roberto Burioni: sia esso ministro, politico, cattedratico, virologo, passante, fragolina83, gattino17, novax68. Quanto perché si è (o l’hanno) convinto che la sua indubbia competenza in materia biologico-virologico-infettivologica gli conferisca il diritto di brutalizzare chiunque osi contraddirlo in base all’assioma “la Scienza non è democratica”. Che potremmo tradurre nel classico “io so’ io e voi nun siete un cazzo”. Ai tempi del decreto Lorenzin, per esempio, scoprimmo all’improvviso che ai bambini andavano iniettati 12 vaccini in una botta sola: e guai se qualcuno osava obiettare che forse erano troppi. “Vade retro, No Vax!”. Poi lo stesso decreto scese a 10: buon peso, saldo di fine stagione. Ma era sempre la Scienza, notoriamente non democratica, a non sentire ragioni: né sui 12 né sui 10. Lo Scienziato Unico invocava (e spesso otteneva) l’immediata espulsione dall’Ordine dei medici e dal consesso civile di chiunque, anche con tanto di cattedre, lauree e master specialistici, osasse timidamente proporne 9, o 6, a riprova del fatto che la Scienza è una cosa seria, ma non una cosa sola: esistono financo scienziati che la pensano diversamente fra loro, anche se l’unico titolato a fregiarsi del titolo è ovviamente Lui. Un giorno, a corto di No Vax da mettere in riga, decise di mitragliare le racchie: “Quando in giro vedo una donna brutta la guardo sempre con attenzione. Nel 99,9% dei casi mi rendo conto che se si curasse, se dimagrisse e via dicendo non diventerebbe bella, ma certo di aspetto non sgradevole. Una volta che si è non sgradevoli la partita è aperta. Fidatevi”. Mancò poco che annunciasse l’undicesimo vaccino obbligatorio contro la racchiaggine, da prevenire fin dall’infanzia. Il suo congenito renzismo gli risparmiò l’accusa di sessismo, che per molto meno i renziani distribuiscono a piene mani per zittire chi osa criticare una loro suffragetta perché fa o dice scemenze.
In realtà la boria un po’ burina di Burioni è un preoccupante indice di insicurezza: chi è sicuro di sé dice ciò che sa e pensa argomentandolo, non imponendolo come Scienza infusa. Soprattutto se polemizza con altri scienziati che, per quanto possa apparirgli bizzarro, sono al suo stesso livello: tipo la virologa dell’ospedale Sacco di Milano, maria Rita Gismondo che, invece di burioneggiare, invita alla calma contro l’isteria dominante facendo notare che non c’è nessuna “pandemia”, ma solo una “follia” collettiva, visto che “la scorsa settimana la mortalità per influenza è stata di 217 decessi al giorno e per Coronavirus 1”. E subito il borioso Burioni la degrada a “signora del Sacco”, ma solo per gentilezza: “signora sostituisce un altro epiteto che mi stava frullando nelle dita”. Che amore. Pare quasi che la Scienza Unica buriona venga sminuita dallo scarso numero di vittime da Coronavirus. E che, se defunge così poca gente, lui viva la cosa come un affronto personale. Ma dovrà farsene una ragione, almeno finché non troverà centinaia di volontari disposti a defungere per consentirgli di ripetere i suoi due refrain: “Avevo ragione io” e “Io l’avevo detto”. Che poi l’avesse detto, è tutto da vedere. Il web, impietoso, conserva un tweet di Che tempo che fa con una sua dichiarazione, al solito stentorea e definitiva, del 2 febbraio 2020: “In Italia il rischio è 0. Il virus non circola. Questo non avviene per caso: avviene perché si stanno prendendo delle precauzioni”. Ora che il virus è circolato eccome malgrado le precauzioni, dovrebbe ammettere che non aveva ragione lui, non l’aveva detto lui e sbaglia anche lui. Per fortuna la Scienza non è lui (senza offesa), altrimenti la Scienza diverrebbe democratica, oppure sarebbe addirittura la Scienza a sbagliare.
Quindi è molto meglio, per il buon nome della Scienza, tenerla ben distinta da Burioni. Onde evitare di coinvolgerla nelle epiche figuracce che va spargendo in giro. Tipo domenica a Che tempo che fa, dove il vero virologo pareva non lui, ma Fazio, costretto a correggere continuamente gli svarioni dello Scienziato. Si parlava del classico infettato dal Coronavirus che non sa di averlo, o perché pensa all’influenza o perché è asintomatico. Un dialogo degno del teatro dell’assurdo, o di Comma 22. Fazio: “Cosa bisogna fare?”. Burioni: “Allora noi cosa dobbiamo fare? Prima di tutto, nel momento in cui ci accorgiamo che questa persona è malata…”. F: “Se ne accorge lui, in realtà…”. B: “Se ne accorge in realtà il medico che gli fa il tampone”. F: “Se va dal medico…”. B: “Deve andare dal medico!”. F: “Eh no, non deve andare dal medico!”. B: “Giusto, dev’essere il medico che va da lui”. Nemmeno Ionesco avrebbe saputo inventare di meglio. Fino a domenica si pensava che Burioni fosse uno scienziato in dissenso – malgrado lo ritenga inconcepibile – con altri scienziati. Ora invece serpeggia un dubbio inquietante, incrementato dal suo tweet di ieri, in piena emergenza virus, di tema pallonaro: “Se mi danno pieni poteri, come prima cosa sciolgo l’As Roma”. Ecco, non sarà che lo Scienziato Unico è solo uno che ci prende per il culo? Non si chiamerà Burloni?

sabato 12 aprile 2025

Chiese in Etiopia scavate nella roccia.

 

Mentre in Europa si costruivano cattedrali verso l'alto, in Etiopia accadeva qualcosa di straordinario: si scavavano chiese verso il basso.
Nel XII secolo, maestri scalpellini etiopi realizzarono l'impossibile: 11 chiese monumentali, non costruite mattone su mattone, ma scavate nella roccia vulcanica partendo dalla superficie e scendendo in profondità.
Pensateci un attimo. Ogni chiesa è un unico blocco di pietra, senza giunture. Niente mattoni, niente cemento. Solo roccia scolpita con precisione millimetrica dall'alto verso il basso.
La cosa più incredibile? Gli architetti dovevano visualizzare l'intera struttura al contrario, pianificando ogni dettaglio prima ancora di iniziare a scavare. Un errore e l'intera opera sarebbe stata compromessa.
Queste meraviglie di Lalibela rappresentano un mistero ingegneristico che ancora oggi lascia perplessi gli esperti. Come abbiano fatto, con strumenti rudimentali e senza tecnologia moderna, rimane uno dei più affascinanti enigmi dell'architettura.
Un patrimonio che testimonia quanto possa spingersi lontano l'ingegno umano, anche senza tecnologie moderne.