mercoledì 13 luglio 2011

Mafia, chiesto processo per Romano Il ministro: «Non mi dimetto»


È imputato di concorso in associazione mafiosa.

I pm: rapporti con esponenti di spicco di Cosa Nostra.

Saverio Romano (IPP)
Saverio Romano (IPP)
MILANO - Il ministro delle Politiche agricole Francesco Saverio Romano è formalmente imputato di concorso in associazione mafiosa. La Procura di Palermo ha depositato la richiesta di rinvio a giudizio. L'atto, firmato dal pm Nino Di Matteo e dall'aggiunto Ignazio De Francisci, segue di quattro giorni la decisione del Gip del capoluogo siciliano di rigettare l'istanza di archiviazione inizialmente presentata dalla Procura e di imporre ai magistrati inquirenti l'imputazione. Ora il Gup dovrà fissare entro due giorni l'udienza preliminare, ma il termine è solo ordinatorio. «Non intendo commentare un atto al quale la Procura di Palermo è stata obbligata dopo 8 anni di indagini e due richieste di archiviazione. Continuo a non comprendere come non ci si scandalizzi invece di un corto circuito istituzionale e giudiziario che riguarda chi da un lato ha condotto le indagini e chi dall'altro le ha severamente sanzionate» ha reagito Romano.

«RESTO AL MIO POSTO» - Il ministro ha assicurato inoltre che non farà alcun passo indietro e che anzi è determinato ad andare avanti con il suo lavoro al ministero delle Politiche agricole. Dall'opposizione sono già partite richieste di dimissioni. Duro anche il commento del presidente della Camera Gianfranco Fini che ha detto che non è opportuno che Romano rimanga al suo posto. Romano ha replicato che resta «a testa alta» nel governo Berlusconi e si considera «vittima di un a ritorsione politica» per «aver salvato con il mio voto a dicembre insieme ad altri colleghi la maggioranza e il governo». E intende «tutelare in ogni sede giudiziaria e politica» il proprio «buon nome e onorabilità», denunciando «ad alta voce la strumentalità non dell'atteggiamento delle opposizioni che hanno tutto il diritto di chiedere le mie dimissioni, se lo ritengono» ma dell'«intervento a gamba tesa in una vicenda squisitamente politica da parte del presidente della Camera Gianfranco Fini» che ha denunciato la inopportunità della sua permanenza al governo. «Perché ad oggi - ha affermato Romano in conferenza stampa- di inopportuno c'è solo l'intervento della stessa persona che a dicembre, spogliandosi della terzietà che impone il rivestire la terza carica dello Stato ha raccolto le firme per far cadere il governo».

«IL SUO RUOLO A DISPOSIZIONE DI COSA NOSTRA» - Per i pm che hanno firmato la richiesta di rinvio a giudizio, il ministro Romano avrebbe nel tempo sostenuto Cosa nostra e avuto rapporti diretti o mediati con diversi elementi di spicco dell'associazione mafiosa. «Nella sua veste di esponente politico di spicco, prima della Dc e poi del Ccd e Cdu e, dopo il 13 maggio 2001, di parlamentare nazionale - scrivono i magistrati - Romano avrebbe consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno ed al rafforzamento dell'associazione mafiosa, intrattenendo, anche alla fine dell'acquisizione del sostegno elettorale, rapporti diretti o mediati con numerosi esponenti di spicco dell'organizzazione tra i quali Angelo Siino, Giuseppe Guttadauro, Domenico Miceli, Antonino Mandalà e Francesco Campanella». Secondo i pm, inoltre, il ministro avrebbe «messo a disposizione di Cosa nostra il proprio ruolo, contribuendo alla realizzazione del programma criminoso dell'organizzazione tendente all'acquisizione di poteri di influenza sull'operato di organismi politici e amministrativi».

LA CANDIDATURA DI MICELI - In particolare, nella richiesta di rinvio a giudizio i pm fanno cenno all'interessamento di Romano a candidare, su input del boss Guttadauro, Mimmo Miceli, poi condannato per mafia, alle regionali del 2001. Romano si sarebbe inoltre adoperato per accreditare Miceli e «il suo referente mafioso Guttadauro quali interlocutori da ascoltare nella gestione degli equilibri politici all'interno e all'esterno del Cdu». Infine il ministro, assieme all'ex governatore siciliano Totò Cuffaro, avrebbe assecondato le richieste del capomafia Nino Mandalà inserendo Giuseppe Acanto nelle liste dei candidati del Biancofiore per le regionali del 2001, «nella consapevolezza di esaudire desideri di Mandalà e, più in generale, della famiglia mafiosa di Villabate».



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