Cortocircuito tra magistratura e giustizia amministrativa: la società di Maria Paola Canegrati, agli arresti domiciliari e sotto processo per corruzione, si riprende l'odontoiatria dell'ospedale di Desio, da cui era partita l'inchiesta. "Non c'erano anomalie nel bando". A firmare il ricorso in appello i commissari del Prefetto. Solo quattro giorni prima il Tribunale di Monza aveva ottenuto il sequestro d'urgenza di beni e conti correnti. Il revisore che fece saltare il sistema: "Non mi meraviglia, le cose non funzionano".
Escono dalla porta per rientrare dalla finestra. Il Tribunale sequestra a Lady dentiera beni per 2,5 milioni, quattro giorni dopo il Consiglio di Stato le riapre le porte dell’Ospedale di Desio-Vimercate riaffidando all’imprenditrice Maria Paola Canegrati l’appalto da 103 milioni, proprio quello per “servizi di assistenza specialistica di odontoiatria” che le costò l’arresto per corruzione insieme ad altre venti persone, tra le quali Fabio Rizzi, braccio destro sulla Sanità del governatore Roberto Maroni (che ha patteggiato). Meno noto che l’appalto al centro dello scandalo avesse anche una storia di ricorsi iniziata nel 2015 e finita il 20 dicembre scorso, quando la terza sezione del Consiglio di Stato lo ha riassegnato alla Servicedent della Canegrati, ritenendo che il bando fosse tecnicamente regolare. Un cortocircuito tra magistratura e giustizia amministrativa: quattro giorni prima il Tribunale di Monza otteneva il sequestro d’urgenza di beni e conti correnti per la titolare tuttora agli arresti e sotto processo (prossima udienza il 15 febbraio), dopo che il Gup ha respinto la sua richiesta di patteggiamento a 4 anni e 2 mesi, ritenendo la pena esigua.
La notizia non trapela finché il nuovo direttore generale Pasquale Pellino – in carica dal 1 gennaio 2016 proprio in seguito alla bufera giudiziaria – il 27 gennaio annuncia via mail a dipendenti e collaboratori quanto segue: “Abbiamo il piacere di informarvi che la Giustizia Amministrativa ha deciso l’affidamento a favore di Servicedent, tutto ciò si traduce col fatto che la suddetta società sarà legittimata al continuare l’attività per altri 6 anni +2”. Nessuna menzione delle implicazioni della decisione e del fatto che la titolare della società che fornirà il servizio, già commissariata a giugno dell’anno scorso, è sotto processo.
Ma c’è dell’altro. Perché a proporre appello contro la decisione del Tar, che aveva accolto il ricorso di una concorrente (Smart Dental Clinic s.r.l., già Pentadent s.r.l. del gruppo San Donato) non è la titolare agli arresti ma i commissari che il prefetto di Monza ha nominato al suo posto a giugno: un altro paradosso. Lo spiega l’avvocato della Canegrati, Michele Saponara, mostrando soddisfazione per la sentenza: “Il Consiglio di Stato alla fine ha ritenuto legittimo il bando che aveva provocato tanto scandalo e sul quale sono appese alcune delle accuse contro la mia cliente. L’appello proposto e vinto dai commissari dimostra che non era poi così irregolare”.
Non si meraviglia Giovanna Ceribelli, il revisore dei conti che ha dato il via all’inchiesta setacciando appalti e fatture alla Canegrati. “E’ un’altra stortura delle leggi italiane, quando si trova qualcuno che ha ottenuto non uno ma diversi appalti in maniera “non ortodossa”, anziché vederseli revocare se lì vede riaffidare e per mano dei commissari”. “E’ vero che all’epoca dell’appalto non era ancora successo niente, ma oggi c’è un processo Canegrati in corso. La direzione sanitaria forse dovrebbe considerare che nell’ambito dell’indagine penale sono emerse irregolarità sui lavori eseguiti e sulle prestazioni fatte ai cittadini abbastanza pesanti, per non dire dei pagamenti doppi o fatti pagare in regime privato quando rientravano nell’assistenza sanitaria regionale”. Le carte del Gip raccontavano anche di materiali “diversi e più scadenti” proposti ai pazienti rispetto a quelli utilizzati solitamente dalle strutture sanitarie.
Da settembre la Ceribelli siede nel consiglio direttivo nell’Agenzia regionale anticorruzione (Arac), nata sull’onda di quello scandalo. “Ma non ha la struttura adeguata per occuparsi di queste cose, siamo solo in due ad avere le qualifiche per setacciare le gare. Qualcuno dei componenti ritiene possa diventare una specie di “centro studi” anziché di prevenzione della corruzione, cosa non prevista dalla legge istitutiva. Personalmente continuo a credere nella trasparenza, tanto che sto cercando di far rispettare la legge laddove le aziende del sistema regionale non lo fanno”. Una cosa fin banale, ma poi non così tanto.
I documenti del bando finito nel mirino dell’autorità giudiziaria (e riammesso ora da quella amministrativa) dovrebbero essere disponibili sul sito dell’Azienda ospedaliera. La nuova gestione ha però preso tutto il pacchetto della vecchia e l’ha messo in una sezione separata tramite un link, che avvisa: “Per accedere ai documenti della precedente Azienda Ospedaliera di Desio e Vimercate, cliccare qui”. Il link però… non funziona. Il direttore Pellino ci fa chiamare al volo dal responsabile dell’area tecnica che assicura “provvederemo al più presto, grazie della segnalazione”. Un’ora dopo richiama dicendo che è stato ripristinato. Al momento in cui scriviamo però le sezioni (bandi, avvisi, concorsi etc) ci sono, ma sono vuote. “Accidenti, provvederemo. Grazie della segnalazione”.
Benedetta trasparenza.
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