mercoledì 10 giugno 2020

Il mitomane recidivo. - Marco Travaglio

filippo facci: non è chiaro se renzi miri meramente ai soldi o al ...
E niente, l’Innominabile ha capito di essere l’Innominabile (furbo lui) e ha ripreso con le cause civili al Fatto. Ormai abbiamo perso il conto, forse siamo alla quindicesima, forse alla sedicesima (in sei mesi). Se voleva comunicarci che, oltreché di voti, ha bisogno di soldi, l’abbiamo capito. Solo ci domandiamo che senso abbia intasare i tribunali, così impegnati a giudicare i suoi cari per reati gravi e non di opinione, con liti temerarie che calpestano il diritto di critica e di satira (oltreché di cronaca). Liti che, se il Rignanese non avesse l’immunità e gli altri lo giudicassero col metro che pretende di applicare a noi, passerebbe in tribunale il resto dei suoi giorni. Nell’ultimo atto di citazione che ci ha fatto recapitare, chiede non so più che cifra perché l’ho definito “mitomane molesto”. In realtà gli facevo il favore di fornirgli un alibi, perché l’unica alternativa alla suddetta patologia (psico-politica, s’intende: non conosco la sua vita privata) sarebbe la malafede. Il bello è che, mentre nega di essere un mitomane e trascina in tribunale chi afferma che lo sia, non perde occasione per dimostrare di esserlo.
Leggete qui: “Tendenza a mentire e ad accettare come realtà, in modo più o meno volontario e cosciente, i prodotti della propria fantasia. Nel bambino normale, entro certi limiti, il fenomeno è frequente come alterazione della realtà dovuta soprattutto al prevalere dell’immaginazione, o all’inesperienza, o al desiderio di evitare un castigo. Nell’adulto, e talora anche nel bambino, ha invece significato patologico, come espressione di una personalità anomala, generalmente isterica, che, mediante la falsificazione della realtà e con racconti fantastici, cerca di attirare su di sé l’attenzione di quanti lo circondano allo scopo di soddisfare l’esagerata vanità e il bisogno di stima (pseudologia fantastica). Mentre alcuni di questi soggetti sanno perfettamente di abbandonare il terreno della realtà, altri al contrario non hanno piena consapevolezza delle proprie menzogne”. Pare il suo ritratto sputato, invece è la definizione di “mitomania” sul dizionario Treccani. Sarà uno spasso, dunque, vedere l’Innominabile che tenta di dimostrare al giudice di non essere così. Io, per parte mia, mi limiterò ad allegare alla mia memoria difensiva le interviste che denotano non solo la mitomania, ma anche un’altra patologia (sempre intesa in senso psico-politico): la “proiezione”, cioè il “processo difensivo per il quale il soggetto attribuisce ad altri sentimenti, desideri, aspetti propri che rifiuta di riconoscere in sé stesso”. Prendete la sua ultima comparsata (definirla intervista sarebbe eccessivo) chez Giletti. Si parlava del caso Bonafede-Di Matteo-Basentini.
E lui spiegava che il ministro scelse come direttore del Dap Francesco Basentini perché questi aveva indagato a Potenza su Tempa Rossa: “un’inchiesta fuffa”, fatta apposta per colpire il suo governo “con un enorme dispiegamento di forze, intercettazioni sulla vita privata delle persone”, di talché “la bravissima ministra Guidi fu costretta a dimettersi. Eppure l’indagine non portò a nulla”. Naturalmente l’indagine, tutt’altro che fuffa, portò a un processo tuttora in corso. E a indurre la bravissima ministra Guidi a dimettersi non furono né Basentini, né Bonafede. Fu l’Innominabile. Quando uscirono le telefonate fra la ministra dello Sviluppo e il suo compagno Gianluca Gemelli, lobbista petrolifero, che premeva per farle inserire un emendamento pro petrolieri e la trattava “come una sguattera del Guatemala”, l’allora premier le chiese di dimettersi. E se ne vantò al Tg2: “Non c’è niente di illecito, ma il ministro Guidi ha fatto un errore e ne va preso atto. In Italia adesso chi sbaglia va a casa”. Quale errore? Fu lui stesso a spiegarlo: “Quando l’emendamento è stato presentato, il ministro dello Sviluppo l’ha comunicato in anticipo al suo compagno, che si è scoperto poi essere interessato al business. Così facendo Federica Guidi ha compiuto un errore e giustamente ha deciso subito di dare le dimissioni, per evidenti ragioni di opportunità”. L’altra sera, invece, vaneggiava di “intercettazioni sulla vita privata” (come se gli emendamenti a una legge fossero equiparabili a un amplesso o a un bacetto) e attribuiva le dimissioni della Guidi a Basentini (che non disse una parola) e a Bonafede (che dall’opposizione chiese le dimissioni della ministra, ma fu anticipato dal premier più “giustizialista” di lui). E il cosiddetto intervistatore Giletti, che ha il pregio di non avere mai la più pallida idea di ciò di cui si parla, s’è ben guardato dallo smentirlo. Nessun’obiezione neppure quando l’Innominabile, in un attacco congiunto di mitomania e proiezione, ha accusato Bonafede di aver “chiesto le dimissioni non solo della Guidi, ma anche di Alfano e di altri miei ministri”. Ora, sapete chi fu il primo a invocare le dimissioni di Alfano? L’Innominabile, che 7 anni fa chiedeva la testa dei ministri di Letta prima di prenderne il posto. Il primo fu proprio Alfano, per il sequestro Shalabayeva: “Se Alfano sapeva, ha mentito e questo è un piccolo problema. Se non sapeva è anche peggio… Se si è sbagliato, qualcuno si assuma la responsabilità” (18.7.2013). Poi, appena andò al governo, lasciò Alfano al Viminale. E ora, grazie alla smemoratezza di chi dovrebbe contraddirlo, confonde Bonafede con se stesso. Mitomania o malafede? Scelga e ci faccia sapere.

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