martedì 28 luglio 2020

La disperazione dell’ex capitano, futuro martire. - Antonio Padellaro


Fa tenerezza l’autoselfie di Matteo Salvini che s’immortala sulla fatale (per lui) spiaggia di Milano Marittima mentre armeggia con biglie e secchiello. Vuole banalmente comunicarsi come un pap affettuoso, come i tanti papà (sono uno di voi, uno di noi) che una domenica di fine luglio costruiscono piste di sabbia con gli amati figlioletti. Mentre (sottotesto) quei bastardi della sinistra vogliono processarlo per avere difeso gli italiani dall’invasione africana (in settimana c’è il voto del Parlamento sul caso “Open Arms”). È l’arma del vittimismo aggressivo che da ministro degli Interni egli ha utilmente praticato quando costringeva 124 disgraziati a stare sotto il sole ustionante per 19 giorni a largo di Lampedusa negando il permesso di sbarco. Per poi mostrare in video, con annessa lacrimuccia, il pervenuto avviso di garanzia giustizialista. Vedrete che farà il martire anche questa volta: 
a) per spaccare la maggioranza, dalla quale il “compare” Matteo Renzi infatti già si distingue. 
b) per sfruttare politicamente l’eventuale voto che autorizzi il processo, e proprio quando (come da sempre con il mare calmo) ritornano gli sbarchi. E dunque per attaccare il governo Conte, buonista con i clandestini che portano il Covid, e cattivista con gli autentici patrioti come il suddetto.
È la campagna d’estate salviniana, propedeutica all’apocalisse autunnale quando (così si augura la destra) il paese allo stremo scenderà in piazza attanagliato dalla fame.
Attenzione, per l’ex capitano sono le carte della disperazione ma non ancora quelle del suo tramonto politico, soprattutto con il sodale presidente della Lombardia nei casini, e la Lega sotto attacco. Quando si sente dire da un leader (o presunto tale), a proposito di un’inchiesta che riguarda la sua parte politica: “giustizia a orologeria”, la reazione può essere, o che il commento risale minimo a vent’anni fa (e già allora provocava sbadigli), o che costui non sa cosa diamine rispondere. Nel biascicare qualcosa sul caso Fontana, Matteo Salvini alle due ipotesi ne aggiunge una terza: la desolante povertà del suo discorso pubblico. Con i bestseller: “Il cazzaro verde” e “I cazzari del virus” (per sua fortuna ignorati dai giornaloni che preferiscono dare spazio alle opere invendibili degli amici), Andrea Scanzi ha colto in pieno la tragedia di un uomo ridicolo. Ma non per questo meno pericoloso.

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