sabato 12 marzo 2022

Bce, l’ora dei falchi. “Sparita” la guerra, via ai rialzi dei tassi. - Francesco Lenzi

 

INFLAZIONE - Precipita il potere d’acquisto dei salari.

Nella conferenza stampa di giovedì scorso, la presidente della Bce non è stata esplicita come avvenne esattamente due anni fa. La frase “non siamo qui per chiudere gli spread”, che fece esplodere lo spread di tutti i titoli di Stato della periferia della zona euro, compreso il Btp italiano, non è stata ripetuta, ma la sensazione sul mercato non è quella di uno scampato pericolo. L’avvio dell’invasione russa in Ucraina aveva fatto ritenere che la Banca centrale europea potesse avere un atteggiamento molto più prudente rispetto a quanto si immaginava a inizio anno. La politica monetaria non può aumentare l’offerta di petrolio e altre materie prime, non può fornire al mercato i beni alimentari o i fertilizzanti che mancano dalla Russia, e così si era portati a ritenere che l’abbassamento delle stime di crescita avrebbe giustificato un atteggiamento più attendista. È compito della politica fiscale intervenire per ridurre il peso di queste strozzature e dell’aumento dei prezzi che determinano. La politica monetaria può far ben poco, ma rischia di far collassare ancor più domanda, consumi e investimenti.

Nelle pieghe del discorso della Lagarde, però, non si è visto alcun ragionamento di questo tipo. Il tema centrale della conferenza stampa è stato l’inflazione e la sua evoluzione per la guerra. Il rischio al ribasso per la crescita e il pericolo di una crisi finanziaria a causa delle sanzioni non ha trovato molto spazio. Per frenare l’inflazione, che si ipotizza possa raggiungere il 5,1% nel 2022, il programma di acquisti di titoli finanziari varato per contrastare la pandemia terminerà questo mese e anche il programma ordinario di acquisti si ridurrà più velocemente, passando dai 40 miliardi al mese di aprile al 20 di giugno, per concludersi nel terzo trimestre. Se non ci saranno sconvolgimenti particolari a raffreddare l’inflazione, dal terzo trimestre, la Bce non interverrà più sul mercato dei titoli di Stato e sarà pronta a rialzare i tassi d’interesse. Sebbene non sia stato fornito un timing preciso per l’avvio di questi rialzi e Lagarde abbia più volte ripetuto che le decisioni dipenderanno esclusivamente dai dati, l’impressione è che si sia arrivati a una svolta. Il Financial Times ha titolato che i falchi sono ormai al comando della Bce. In un Consiglio direttivo diviso al suo interno, focalizzare l’attenzione solo su inflazione e impatto della guerra sui prezzi vuol dire lasciare la guida a chi tradizionalmente vede nel rialzo dei prezzi il nemico principale, senza tener conto del contesto e delle ragioni.

Il mercato valuta adesso che nel 2022 ci saranno almeno due rialzi dei tassi della Bce, ciascuno da 25 punti base, rialzi che continueranno anche nel 2023. I rendimenti dei titoli di Stato sono saliti di conseguenza, penalizzando in particolare l’Italia e gli altri Paesi periferici. La sorpresa di questa virata è che è stata compiuta quando le aspettative di inflazione a lungo termine rimangono ancorate intorno al target del 2% e non c’è alcuna pressione salariale. Lagarde ha fatto notare che nel 2021 i salari sono cresciuti meno che nel 2020. Se si mantenesse questa dinamica, il colpo sul potere d’acquisto dei cittadini europei sarebbe tremendo. La Bce dovrebbe evitare di aggiungere anche il colpo dei tassi d’interesse. Sembra che si sia deciso di abbandonare il regime affermatosi negli otto anni di Draghi. Si ritorna a prima del 2012 e il problema dell’inflazione non è più affrontato in modo prudente, ma anticipando gli eventi. L’ultima volta che questo avvenne, con i due rialzi del 2011, non andò molto bene e l’eurozona si trovò poi vicina al rischio di frantumarsi. Quello che servirebbe in questa fase è invece una politica monetaria attendista e una politica fiscale invece più aggressiva, che riesca a partorire velocemente delle risposte che lo stesso vertice di Versailles di ieri ha affrontato: tassazione degli extra-profitti delle società energetiche e prezzi calmierati dell’energia. Il compito è evitare che il rialzo dei prezzi dei beni energetici contagi tutto il sistema produttivo amplificando gli effetti sui prezzi per il consumatore. La speranza è che si riesca a far qualcosa di concreto prima che questo accada, ma il tempo stringe e i segnali che arrivano non ispirano molta fiducia.

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