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giovedì 26 agosto 2021

Tutti dentro tutti fuori. - Marco Travaglio

 

Basta solo aspettare, poi la resa dei conti arriva sempre. Fino a un mese fa, tra i gargarismi “garantisti” contro i magistrati di Lodi che avevano osato arrestare e condannare l’ex sindaco Uggetti (poi assolto in appello), le pompe magne ai referendum radical-leghisti per una “giustizia giusta” (come no) e i salmi in gloria della “riforma Cartabia” per una giustizia rapida e senza la barbarie delle manette, la custodia cautelare in carcere era ai minimi storici del consenso politico-mediatico. Poi, ad Aci Trezza, lo stalker Tony Sciuto ha ucciso a colpi di pistola la sua ex Vanessa Zappalà dopo mesi di minacce. E ora tutti a strillare: ma perché non era in galera? La Procura, dopo l’arresto in flagranza per stalking, aveva chiesto i domiciliari, ma il gip aveva optato per la misura meno afflittiva introdotta dalle leggi sullo stalking e sul “codice rosso”: il divieto di avvicinamento alla vittima. Perché non il carcere? Senza precedenti penali specifici e violenze gravi, è impossibile che sia concesso per lesioni lievi e minacce come quelle denunciate dalla povera Vanessa: a furia di riformare al ribasso la custodia cautelare per non finirci loro, i politici l’hanno prevista solo come extrema ratio. Sta al giudice dimostrare che nessun’altra restrizione può impedire la reiterazione del reato. Infatti il gip ha ritenuto che il divieto di avvicinamento bastasse. Ma neppure i domiciliari avrebbero impedito a Sciuto di sparare alla ex: le evasioni dal domicilio sono all’ordine del giorno e non ci sono forze dell’ordine sufficienti per piantonare tutti.

Ora Francesco Merlo spiega su Rep che “solo il carcere ferma lo stalker”. Giusto. Chissà se è solo un omonimo di quel Francesco Merlo che il 6 luglio, sempre su Rep, esaltava “i sei referendum come una spinta e un aiuto al governo Draghi e alla ministra Cartabia, e come un monito al Parlamento… perciò mi fiderei ancora dei radicali” perché “dal 1946 solo i referendum hanno fatto volare l’Italia”. Ecco: mentre lui vola, magari scopre che il quesito n. 5 abolisce la custodia cautelare in carcere per tutti, salvo che si dimostri il “concreto e attuale pericolo” che uno reiteri “gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale o di criminalità organizzata”. Per tutti gli altri, niente manette. E, fra questi “altri”, oltre a ladri, scippatori, bancarottieri, evasori, frodatori, corrotti, corruttori, concussori, truffatori, falsari ecc, ci sono gli stalker. Le forze dell’ordine dovranno continuare ad arrestarli in flagrante. Però, dopo 48 ore, il gip non solo potrà (come oggi), ma dovrà scarcerarli. Se la porcata passerà, segnatevi chi l’ha voluta: radicali, Lega, FI, Iv, Udc e Merlo. Così, per sapere chi andare a ringraziare.

ILFQ

martedì 21 luglio 2020

Cosa Nostra si riorganizza con traffico droga: 15 arresti a Palermo.

Cosa Nostra si riorganizza con traffico droga: 15 arresti a Palermo (Video)

Nuovo colpo al mandamento mafioso di Pagliarelli a Palermo. I Carabinieri del Comando Provinciale hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dall’Ufficio Gip del Tribunale di Palermo su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia, nei confronti di 15 indagati, ritenuti a vario titolo responsabili di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e detenzione e vendita di droga, commessi con l’aggravante delle finalità mafiose.

L’indagine, diretta dal Procuratore Aggiunto Salvatore De Luca, costituisce un’ulteriore fase di un’articolata manovra condotta dal Nucleo Investigativo di Palermo sul mandamento mafioso palermitano di Pagliarelli e in particolare sulla famiglia mafiosa di Corso Calatafimi che ha consentito di comprovare la perdurante operatività di quell’articolazione di Cosa nostra.
Alcuni degli elementi indiziari emersi nel corso delle indagini erano già confluiti nel provvedimento di fermo d’indiziato di delitto emesso dalla Dda di Palermo ed eseguito il 4 dicembre 2018 - operazione “Cupola 2.0” - con la quale era stata smantellata la nuova commissione provinciale di cosa nostra palermitana, che si era riunita per la prima volta il 29 maggio 2018.

In quel contesto erano state già tratte in arresto 10 persone ritenute appartenenti al mandamento mafioso di Pagliarelli, tra cui Settimo Mineo, capo del mandamento mafioso, Filippo Annatelli, reggente della famiglia mafiosa di Corso Calatafimi e Salvatore Sorrentino, referente del Villaggio Santa Rosalia.
Cosa nostra di Palermo ha riorganizzato la sua "struttura criminale" occupandosi della "gestione del traffico e della vendita di stupefacenti nel territorio controllato dalla famiglia mafiosa di Corso Calatafimi", dicono gli inquirenti nell'ambito dell'indagine che all'alba di oggi ha portato all'arresto di 15 persone. "La rimodulazione degli assetti veniva proposta a Filippo Annatelli, reggente della famiglia mafiosa, da un affiliato della consorteria, Salvatore Mirino, deciso a convincere il proprio referente mafioso ad affidargli, a pochi giorni dalla sua scarcerazione, la direzione operativa delle attività legate allo smercio di droga nell’area controllata dal sodalizio", spiegano gli investigatori. "Il progetto proposto da Mirino otteneva l’avallo della figura verticistica della famiglia e comportava la contestuale estromissione dei soggetti sino a quel momento deputati a gestire il traffico illecito".
Attraverso lo stretto monitoraggio degli affiliati, i magistrati hanno documentato "le fasi precedenti, concomitanti e successive all’incontro riservato, avvenuto nel febbraio del 2017 all’interno di un’agenzia di onoranze funebri, tra Annatelli e Mirino in cui si decideva, in favore del secondo, di estromettere il sodale precedentemente incaricato della gestione del traffico di stupefacenti, individuando la necessità di affidare a nuovi personaggi di massima fiducia il controllo della vendita di droga su Corso Calatafimi".

La nuova struttura era così articolata: Filippo Annatelli, al vertice della famiglia mafiosa di Corso Calatafimi, "demandava la gestione operativa ad altri sodali, autorizzandone le iniziative di volta in volta prospettate, e manteneva i rapporti con le figure qualificate delle altre famiglie mafiose palermitane, intervenendo in prima persona in caso di frizioni tra i membri delle diverse consorterie". Mirino ed Enrico Scalavino "deputati alla gestione operativa dei traffici e dello smercio della droga, fungevano da intermediari". Giuseppe Massa, detto “Chen”, e Ferdinando Giardina, responsabili della fornitura dello stupefacente ai pusher di livello inferiore, erano incaricati anche della riscossione del denaro derivante dalla vendita della droga.
Gli incassi del traffico di droga sul territorio palermitano confluivano direttamente nelle casse dei boss di Cosa nostra, secondo quanto emerge dall'operazione antimafia. "La complessa indagine rivelava uno spaccato della realtà mafiosa palermitana e del suo diretto coinvolgimento in dinamiche legate al traffico e alla vendita al dettaglio di sostanze stupefacenti di diverso genere, i cui proventi, decurtati del guadagno dei singoli spacciatori individuati e autorizzati a smerciare droga dal sodalizio, confluivano nelle casse dell’organizzazione", dicono gli inquirenti.