di Francesco Merlo, da Repubblica, 14 settembre 2009
Ogni giorno c'è un ministro dell'Astio, il sovrauomo Brunetta innanzitutto, che vomita trivialità ora su uno ora su un altro pezzo d'Italia: i cineasti sono parassiti, la borghesia è marcia, i professori sono ignoranti, gli statali sono fannulloni, gli studenti sono stupidi, gli economisti sono sconclusionati… Insomma ogni giorno arriva un insulto, un dileggio o una derisione a carico di una categoria sociale diversa. E sono parole rivelatrici, più di un album di fotografie, parole che sono la verità di questi uomini.
Parole che esprimono il senso compiuto di questi cortigiani del Principe che hanno un conto aperto con la natura o con la società e approfittano del loro potere per sfogarsi, come quei personaggi di Stendhal che cercavano a Parigi il risarcimento degli affronti subiti in provincia.
E infatti non si erano mai visti governanti così furiosi contro i governati. Giganti in esilio dentro corpi politicamente troppo angusti, Brunetta, Gelmini, Bondi e, qualche volta, anche Sacconi e Tremonti, trattano l'Italia come una pessima bestia da addomesticare, hanno elevato il disprezzo ad arte di governo, vogliono far espiare al Paese le loro inadeguatezze e le loro frustrazioni.
Bondi per esempio crede che la cultura sia il computo di sillabe in versi sciolti. Brunetta, che non sopporta la bassezza degli indici di produttività, vorrebbe disitalianizzare l'Italia per farne un campo di concentramento laburista: il lavoro detentivo rende liberi, belli, grandi e anche biondi. La Gelmini persegue un sessantotto al contrario che lobotomizzi fantasia e dottrina e mandi al potere i ragionieri con la lesina come scettro.
Di Bossi è inutile dire: vanta una lunga carriera fondata sulla parolaccia, sul dito medio, sulla scatole rotte, sulla carta igienica, sul ce l'ho duro…
Benché nessun governo abbia mai teorizzato e praticato l'offesa dei propri elettori come scienza politica, l'attacco alla cultura non è certo una novità. Goebbels, che era piccolo, nero e zoppo, metteva la mano alla pistola. Scelba, che era calvo e rotondo come un arancino, coniò il neologismo - culturame - ora rilanciato da Brunetta. Anche Togliatti sfotteva in terronio maccheronico il terrone Vittorini, e più in generale il Partito comunista riconosceva solo gli intellettuali organici, cioè gli intellettuali senza intelletto ma con il piffero…
Insomma, fare guerra alla cultura è sempre nevrosi, alla lunga perdente, ed è comunque manganello nelle sue varie forme, reali e metaforiche. Oltraggiare la cultura è uno scandalo penoso: è come sparare in chiesa, impiccare i neri, imputare all'immigrato clandestino la sua miseria, punire la sofferenza come un reato. Ed è un altro modo di organizzare ronde, magari sotto forma di squadracce ministeriali: prediche, comizi, fatwa…
Se Brunetta potesse pesterebbe i vari Placido d'Italia, da Dario Fo a Umberto Eco e, per imparzialità, anche Pippo Baudo e Fiorello. Per Brunetta e Bondi, infatti, gli uomini colti sono la misura della propria dannazione, lo specchio della propria nudità, come Berlusconi visto dalla D'Addario.
Con quegli uomini, che ora chiamano parassiti, Brunetta e Bondi non sono mai riusciti ad intrattenersi neppure quando militavano a sinistra. È da allora che covano rancori. Odiano i salotti (cioè le buone maniere) che li tenevano a distanza. Disprezzano i libri che non hanno letto né tanto meno scritto e che per il popolo della Padania sono ciapa pulver, acchiappa polvere, deposito di pulviscolo.
Sono rancorosi, Brunetta e Bondi, perché sono stati di sinistra e ora ne sono pentiti visto che solo la destra plebea e indecorosa li ha "capiti", promossi e ben ripagati. Come gli ebrei convertiti dell'Inquisizione cristiana rimproveravano a Cristo la debolezza di amare tutti, così questi ministri cortigiani rimproverano alla casa di produzione Medusa, che appartiene al loro dio, di investire sui nemici di dio, sudditi infidi che loro conoscono come se stessi.
Dunque i ministri dell'Astio danno del parassita agli artitisti di sinistra perché non sopportano che siano sovvenzionati dal loro stesso padrone senza neppure baciargli la mano. Addirittura quelli gliela addentano! Ebbene questa, signori ministri dell'Astio, è stizza.
È la stizza di chi, per avere i favori del Principe, non ha badato a spese, ha cambiato i propri connotati, ha ceduto l'anima, si è legato a doppie catene al suo carro. E ora vede che i vari Placido - non importa se bravi o meno - non si sono fatti ipnotizzare dalla medusa che li paga.
In buona sostanza, l'insulto come forma governo è espressione di malafede e di malessere, un impasto di vita vissuta male e di autoespiazione forcaiola: un film drammatico insomma. Dunque Michele Placido non li quereli, ma li metta in scena. Con i soldi della Medusa. Titolo? "La bava dei servi".
http://temi.repubblica.it/micromega-online/i-ministri-dellastio-e-lassalto-alla-cultura/
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
mercoledì 23 settembre 2009
Noi “farabutti” che sogniamo ancora un’Italia democratica
Andrea Scanzi, collaboratore di MicroMega e curatore su questo sito del blog "Il criminoso" , spiega le ragioni "criminose" della sua adesione alla manifestazione per la libertà d'informazione promossa dalla FNSI. Prevista per sabato 19 settembre, la mobilitazione è stata rinviata a seguito dell'attentato ai militari italiani in Afghanistan.
È vero, non c'è nessuna emergenza democratica. È vero, la libertà di stampa non è in pericolo. È vero, la pasionaria Binetti è la reincarnazione di Rosa Luxemburg.La manifestazione sarà solo una scampagnata, l'ennesima, a uso e consumo di farabutti insufflati di grumosità giustizialista.
È vero, Silvio Berlusconi è il più grande statista italiano dai tempi di Memo Remigi.
È vero, non si è mai visto un baluardo della Costituzione ficcante (?) come Niccolò Ghedini.
È vero, non tutti i paesi occidentali hanno la fortuna di avere un Ministro semplificatore come Calderoli (e un altro di larghissime vedute come Maroni).
Per tutti questi motivi, e mille altri ancora, non ci sarebbe neanche mezzo motivo per andare a scodinzolare con i delinquenti di Repubblica, i terroristi del Fatto e gli sfollati de L'Unità.
Quindi ha ragione Berlusconi. Come sempre.
Già.
Epperò (?), io andrò. Anche il criminoso parteciperà al coro di vibrante protesta (cit). Perché, direte voi. Bah, non saprei dire. Forse perché mi gira così. Forse perché questo concetto di democrazia mi pare vagamente opprimente. Forse perché mi piacerebbe che l'Italia non fosse più un'anomalia.
Forse perché, in qualsiasi altro paese, sarebbero già scesi in piazza per molto, molto, molto meno.
Ci vediamo a Roma, dunque. Noi, velleitari e sconfitti come sempre. Eppur vivi. Più o meno.
Andrea Scanzi
http://temi.repubblica.it/micromega-online/noi-farabutti-che-sogniamo-ancora-unitalia-democratica/
È vero, non c'è nessuna emergenza democratica. È vero, la libertà di stampa non è in pericolo. È vero, la pasionaria Binetti è la reincarnazione di Rosa Luxemburg.La manifestazione sarà solo una scampagnata, l'ennesima, a uso e consumo di farabutti insufflati di grumosità giustizialista.
È vero, Silvio Berlusconi è il più grande statista italiano dai tempi di Memo Remigi.
È vero, non si è mai visto un baluardo della Costituzione ficcante (?) come Niccolò Ghedini.
È vero, non tutti i paesi occidentali hanno la fortuna di avere un Ministro semplificatore come Calderoli (e un altro di larghissime vedute come Maroni).
Per tutti questi motivi, e mille altri ancora, non ci sarebbe neanche mezzo motivo per andare a scodinzolare con i delinquenti di Repubblica, i terroristi del Fatto e gli sfollati de L'Unità.
Quindi ha ragione Berlusconi. Come sempre.
Già.
Epperò (?), io andrò. Anche il criminoso parteciperà al coro di vibrante protesta (cit). Perché, direte voi. Bah, non saprei dire. Forse perché mi gira così. Forse perché questo concetto di democrazia mi pare vagamente opprimente. Forse perché mi piacerebbe che l'Italia non fosse più un'anomalia.
Forse perché, in qualsiasi altro paese, sarebbero già scesi in piazza per molto, molto, molto meno.
Ci vediamo a Roma, dunque. Noi, velleitari e sconfitti come sempre. Eppur vivi. Più o meno.
Andrea Scanzi
http://temi.repubblica.it/micromega-online/noi-farabutti-che-sogniamo-ancora-unitalia-democratica/
martedì 22 settembre 2009
Tar Lazio: no alimentazione imposta, sceglie il paziente
Biotestamento - (ASCA) - Roma, 17 set tembre
''I pazienti in stato vegetativo permanente, che non sono in grado di esprimere la propria volontà sulle cure loro praticate o da praticare non devono in ogni caso essere discriminati rispetto agli altri pazienti in grado di esprimere il proprio consenso, e possono, nel caso in cui loro volontà sia stata ricostruita, evitare la pratica di determinate cure mediche nei loro confronti". E ancora: il paziente ''vanta una pretesa costituzionalmente qualificata di essere curato nei termini in cui egli stesso desideri, spettando solo a lui decidere a quale terapia sottoporsi".
Così la sentenza del Tar del Lazio n. 8560/09 emessa sul ricorso presentato dal Movimento Difesa del Cittadino, che ne ha diffuso il testo, ''contro la direttiva con cui il ministro Sacconi aveva intimato a tutte le strutture del servizio sanitario nazionale di impedire sempre l'interruzione dell'idratazione e alimentazione forzata in pazienti in stato vegetativo permanente e, quindi, di impedirlo persino nel caso in cui la volontà degli stessi fosse ricostruita nel senso di rifiutare tale somministrazione''.
Il Tar, dopo aver evidenziato che si tratta di questioni che coinvogono il ''diritto di rango costituzionale quale è quello della libertà personale che l'art. 13 (della Costituzione) qualifica come inviolabile'' e che da ultimo è entrata in vigore la convenzione internazionale sui diritti delle persone con disabilità che impone che anche alle stesse venga garantito il consenso informato, ha sottolineato come ''il rilievo costituzionale dei diritti coinvolti esclude che gli stessi possano essere compressi dall'esercizio del potere dell'autorità pubblica, con conseguente esclusione della giurisdizione del giudice amministrativo spettando, in caso di violazione dei principi richiamati dal TAR, al giudice ordinario garantire il pieno rispetto dei diritti della dignità e della libertà della persona".
http://temi.repubblica.it/micromega-online/tar-lazio-no-alimentazione-imposta-sceglie-il-paziente/
''I pazienti in stato vegetativo permanente, che non sono in grado di esprimere la propria volontà sulle cure loro praticate o da praticare non devono in ogni caso essere discriminati rispetto agli altri pazienti in grado di esprimere il proprio consenso, e possono, nel caso in cui loro volontà sia stata ricostruita, evitare la pratica di determinate cure mediche nei loro confronti". E ancora: il paziente ''vanta una pretesa costituzionalmente qualificata di essere curato nei termini in cui egli stesso desideri, spettando solo a lui decidere a quale terapia sottoporsi".
Così la sentenza del Tar del Lazio n. 8560/09 emessa sul ricorso presentato dal Movimento Difesa del Cittadino, che ne ha diffuso il testo, ''contro la direttiva con cui il ministro Sacconi aveva intimato a tutte le strutture del servizio sanitario nazionale di impedire sempre l'interruzione dell'idratazione e alimentazione forzata in pazienti in stato vegetativo permanente e, quindi, di impedirlo persino nel caso in cui la volontà degli stessi fosse ricostruita nel senso di rifiutare tale somministrazione''.
Il Tar, dopo aver evidenziato che si tratta di questioni che coinvogono il ''diritto di rango costituzionale quale è quello della libertà personale che l'art. 13 (della Costituzione) qualifica come inviolabile'' e che da ultimo è entrata in vigore la convenzione internazionale sui diritti delle persone con disabilità che impone che anche alle stesse venga garantito il consenso informato, ha sottolineato come ''il rilievo costituzionale dei diritti coinvolti esclude che gli stessi possano essere compressi dall'esercizio del potere dell'autorità pubblica, con conseguente esclusione della giurisdizione del giudice amministrativo spettando, in caso di violazione dei principi richiamati dal TAR, al giudice ordinario garantire il pieno rispetto dei diritti della dignità e della libertà della persona".
http://temi.repubblica.it/micromega-online/tar-lazio-no-alimentazione-imposta-sceglie-il-paziente/
Testamento biologico, la Germania ce l’ha fatta. E noi?
Una legge laica e un modulo per il paziente cristiano.
"Nessuno può essere costretto a sottoporsi, contro la sua volontà, a trattamenti diagnostici o terapeutici per quanto promettenti essi siano". Lo ribadiscono anche i presidenti della Conferenza episcopale tedesca e del Consiglio della Chiesa evangelica di Germania, che hanno partecipato fino all'ultimo, con dettagliati quanto pacati statement congiunti, ai lavori preparatori della legge, votata il 18 giugno 2009 ed entrata in vigore il 1° settembre.
L'intero articolo è al link:
http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-germania-ce-lha-fatta-e-noi/
"Nessuno può essere costretto a sottoporsi, contro la sua volontà, a trattamenti diagnostici o terapeutici per quanto promettenti essi siano". Lo ribadiscono anche i presidenti della Conferenza episcopale tedesca e del Consiglio della Chiesa evangelica di Germania, che hanno partecipato fino all'ultimo, con dettagliati quanto pacati statement congiunti, ai lavori preparatori della legge, votata il 18 giugno 2009 ed entrata in vigore il 1° settembre.
L'intero articolo è al link:
http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-germania-ce-lha-fatta-e-noi/
Striscia La Notizia - 21.09.09 - Petix - Il vascello fantasma e il sindaco di Palermo Cammarata
Il nostro odiato sindaco non perde occasione per farsi odiare sbeffeggiare giornalmente.
" FAZIO VA A PROCESSO, LA GANG DI LEHMAN BROTHERS NO. PERCHE' ? " EDITORIALE DI GIANNI CREDIT .
Negli ultimi giorni i grandi media - italiani e internazionali - hanno riservato spazi enormi al primo anniversario del crack di Lehman Brothers, collasso topico della finanza di mercato. Ma ben pochi osservatori si sono interrogati - e tanto meno si sono sorpresi - del fatto che l'ex capo della banca fallita - (Dick Fuld, "Knife", coltello per gli amici) sia tuttora a piede libero: impegnato a liquidare il suo patrimonio e, si dice, a tentare di rifarsi come consulente. Ben poco si sa, d'altronde, dodici mesi dopo sulle indagini giudiziarie in corso oltre Atlantico sulla più grave bancarotta sistemica della storia. Il presidente della Fed Ben Bernanke si è guadagnato nel frattempo una riconferma anticipata fino al 2014 (anche se molto criticata da un commentatore italiano ultraliberista come Luigi Zingales, molto ascoltato anche negli Stati Uniti).
Tim Geithner, l'ex capo della Fed di New York (cioè il "banchiere centrale" direttamente impegnato su Wall Street) è divenuto segretario al Tesoro nell'amministrazione Obama, mentre il suo predecessore (ed ex capo della Goldman Sachs) Hank Paulson, è tornato a vita privata, in apparente tranquillità. L'ex numero uno della Fed, Alan Greenspan (così benevolo per anni con "l'esuberanza irrazionale dei mercati", cui non ha mai fatto mancare abbondante liquidità "ad alto potenziale") è un ricco pensionato, solo un po' in ansia per il suo nome appannato: da tutelare con un intervento ben piazzato sul Financial Times o con un'accorta partecipazione a un convegno.
La Sec, la "polizia" di Wall Street, ha cambiato capo in modo alla fine fisiologico nonché politicamente corretto: il nuovo presidente "rosa" - Mary Schapiro - ha pubblicato qualche giorno fa un paper di 477 pagine per dire che la Sec (anzi: la Sec che c'era prima) avrebbe effettivamente potuto vigilare meglio sulle attività Bernard Madoff. Stop. A proposito: l'eccentrico e truffaldino gestore di decine di miliardi di dollari (in gran parte affidate dalla pur attentissima comunità ebraica statunitense) è stato condannato, lui sì, a un'infinità di anni di carcere. Ma l'unico vero "cattivo" finora esemplarmente punito era a ben guardare un "utilizzatore finale" di Wall Street: non uno dei proprietari-macchinisti del mercato, non un banchiere "originatore" di finanza ultrarischiosa e opaca, non un "cane da guardia" distratto o addormentato con qualche polpetta.
Sempre la scorsa settimana il Gup di Milano ha invece deciso di rinviare a giudizio, dopo quattro anni di indagini, l'ex Governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio per il caso della scalata italiana alla Bnl organizzata nel 2005 per contrastare l'Opa lanciata dal gruppo spagnolo Bbva (in parallelo alla controscalata della Banca Popolare Italiana su AntonVeneta, in opposizione al take over dell'olandese Abn Amro) Sono state riconosciute dunque valide - ai fini della meritevolezza di processo - le tesi della pubblica accusa: In sintesi e in sostanza: la contro-Opa organizzata da Unipol - e appoggiata dalla stessa Bpi, da Banca Carige, dagli immobiliaristi romani (Ricucci, Coppola, Statuto, Caltagirone, etc) e da colossi esteri come Deutsche Bank - ha violato penalmente molte regole del mercato, a cominciare da quelle sull'aggiotaggio (manipolazione di informazioni e transazioni).
Il Governatore della Banca d'Italia - cui faceva capo allora in via esclusiva la vigilanza sulle aggregazioni bancarie - ne sarebbe stato pesante complice, abusando del suo ruolo di authority indipendente sul mercato per favorire il "giocatore italiano rispetto a quello estero. Il caso, com'è noto, ha avuto una robusta interfaccia di tipo politico: l'Opa Unipol-Bnl veniva apertamente sostenuta dai Ds e il recente scontro attorno al Gip milanese Clementina Forleo (riguardante la perseguibilità del leader Ds Massimo D'Alema) vi è direttamente innestato. Per di più - come emerge da documenti di una parallela inchiesta romana - la vicenda ebbe per protagonisti anche l'allora premier Silvio Berlusconi e personaggi del calibro di Antoine Bernheim, presidente (oggi in scadenza) delle Generali.
Nel merito deciderà - dal febbraio prossimo - il Tribunale di Milano in un processo che si annuncia in ogni caso di estremo interesse "civile" perché Fazio sarà obbligato a difendersi in pubblico: esattamente come tanti altri protagonisti di quella vicenda dovranno (e potranno) fornire la loro ricostruzione dei fatti. E non è un caso che dal vertice della Consob (la Sec italiana) sia già filtrata l'ipotesi che il presidente Lamberto Cardia - peraltro uscente - possa essere teste a discarico dell'allora "collega" di Bankitalia: se non altro per difendere l'autorizzazione allora concessa dalla stessa Consob all'Opa Unipol-Bnl. E mentre a Parma continua - peraltro a fari mediatico spenti - il processo Parmalat per la "madre di tutte le bancarotte" - cresce l'aspettativa anche per la chiusura delle indagini su AntonVeneta. Là, tra l'altro, il ruolo di Fazio è più rilevante ancora: avrebbe infatti violato la sua princale consegna istituzionale, la vigilanza sulla stabilità del sistema bancario, in particolare sulla solidità patrimoniale delle banche (Bpi e AntonVeneta).
Vale la pena di ricordare (questa nota settimanale lo ha fatto più volte) che il crack Lehman - e i suoi gemelli - hanno avuto alla loro base l'abbandono deliberato di ogni regola di prudenza su leva finanziarie coefficienti patrimoniali e la cecità (o il silenzio) delle authority di controllo americane. Di più: la bolla finale - che esplodendo ha travolto banche, Borse, risparmi, bilanci statali, Pil, imprese e occupazione - era stata gonfiata dallo snaturamento corruttivo del business immobiliare.
Lo stesso di molti azionisti Bnl rinviati a giudizio, peraltro dopo anni di violentissime polemiche sul ruolo arrembante dei "nuovi ricchi" del mattone: il primo dei quali, è in fondo, il presidente del Consiglio in carica. Due pesi e due misure in Italia e America? L'interrogativo si pone nel mentre alcuni intellettuali cosiddetti riformisti, hanno avviato un dibattito giornalistico sul rapporto storico in Italia tra le cosiddette "élite" e gli "outsider" (nella fattispecie Silvio Berlusconi). Procede in modo carsico, inoltre, un altro confronto: quello sul ruolo della magistratura "come pensiero e come azione", con l'intento dichiarato di bonificare "il mercato" (finanziario, degli appalti pubblici, etc), ma lasciando taola l'impressione oggettiva di proteggerne gli equilibri costituiti.
Il ruolo dei "media" è d'altronde ancora una volta sotto i riflettori. Il processo Bnl si radica nelle paginate di intercettazioni telefoniche pubblicate dai grandi giornali italiani nell'estate del 2005. Registrazioni che - dopo il caso Telecom-Tavaroli - non si è più neppure certi che fossero quelle ordinate dai magistrati e che in ogni caso erano i primi materiali di fascicolo istruttori appena aperti. In alcuni casi su reati nuovi di zecca ("market abuse") e "in tempo reale" su vicende in pieno svolgimento, con effetti diretti sull'esito delle stesse.
Nulla di questo si è visto sull'archetupica stampa anglosassone impegnata sul crack Lehman. Solo il New York Times ha provato a sollevare - ma basandosi esclusivamente su "record" pubblici) il caso della proporzione tra le telefonate fra Paukson e i suoi ex colleghi della Goldman Sachs rispetto a quelle intercorse con i top manager delle altre banche d'affari nei gionri più concitati a Wall Street. Ma su cosa si siano detti o sulla consistenza dei potenziali conflitti d'interesse dell'ex banchiere divenuto ministro nulla si è detto. Invece resta la proporzione tra gli spazi riservati dalla stampa italiana alle intercettazioni nel 2005 e al "colore" del crack Lehman nel 2008 e 2009 rispetto a quello (limitato e asettico) sulla decisione senza precedenti dei giudici italiani di processare un ex banchiere centrale per gravissime imputazioni finanziarie. C'è voglia di rimozione? L'appuntamento - anche per i colleghi giornalisti - è per le udienze del processo. ( Fonte: www.ilsussidiario.net)
http://www.finanzainchiaro.it/dblog/articolo.asp?articolo=5365
Tim Geithner, l'ex capo della Fed di New York (cioè il "banchiere centrale" direttamente impegnato su Wall Street) è divenuto segretario al Tesoro nell'amministrazione Obama, mentre il suo predecessore (ed ex capo della Goldman Sachs) Hank Paulson, è tornato a vita privata, in apparente tranquillità. L'ex numero uno della Fed, Alan Greenspan (così benevolo per anni con "l'esuberanza irrazionale dei mercati", cui non ha mai fatto mancare abbondante liquidità "ad alto potenziale") è un ricco pensionato, solo un po' in ansia per il suo nome appannato: da tutelare con un intervento ben piazzato sul Financial Times o con un'accorta partecipazione a un convegno.
La Sec, la "polizia" di Wall Street, ha cambiato capo in modo alla fine fisiologico nonché politicamente corretto: il nuovo presidente "rosa" - Mary Schapiro - ha pubblicato qualche giorno fa un paper di 477 pagine per dire che la Sec (anzi: la Sec che c'era prima) avrebbe effettivamente potuto vigilare meglio sulle attività Bernard Madoff. Stop. A proposito: l'eccentrico e truffaldino gestore di decine di miliardi di dollari (in gran parte affidate dalla pur attentissima comunità ebraica statunitense) è stato condannato, lui sì, a un'infinità di anni di carcere. Ma l'unico vero "cattivo" finora esemplarmente punito era a ben guardare un "utilizzatore finale" di Wall Street: non uno dei proprietari-macchinisti del mercato, non un banchiere "originatore" di finanza ultrarischiosa e opaca, non un "cane da guardia" distratto o addormentato con qualche polpetta.
Sempre la scorsa settimana il Gup di Milano ha invece deciso di rinviare a giudizio, dopo quattro anni di indagini, l'ex Governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio per il caso della scalata italiana alla Bnl organizzata nel 2005 per contrastare l'Opa lanciata dal gruppo spagnolo Bbva (in parallelo alla controscalata della Banca Popolare Italiana su AntonVeneta, in opposizione al take over dell'olandese Abn Amro) Sono state riconosciute dunque valide - ai fini della meritevolezza di processo - le tesi della pubblica accusa: In sintesi e in sostanza: la contro-Opa organizzata da Unipol - e appoggiata dalla stessa Bpi, da Banca Carige, dagli immobiliaristi romani (Ricucci, Coppola, Statuto, Caltagirone, etc) e da colossi esteri come Deutsche Bank - ha violato penalmente molte regole del mercato, a cominciare da quelle sull'aggiotaggio (manipolazione di informazioni e transazioni).
Il Governatore della Banca d'Italia - cui faceva capo allora in via esclusiva la vigilanza sulle aggregazioni bancarie - ne sarebbe stato pesante complice, abusando del suo ruolo di authority indipendente sul mercato per favorire il "giocatore italiano rispetto a quello estero. Il caso, com'è noto, ha avuto una robusta interfaccia di tipo politico: l'Opa Unipol-Bnl veniva apertamente sostenuta dai Ds e il recente scontro attorno al Gip milanese Clementina Forleo (riguardante la perseguibilità del leader Ds Massimo D'Alema) vi è direttamente innestato. Per di più - come emerge da documenti di una parallela inchiesta romana - la vicenda ebbe per protagonisti anche l'allora premier Silvio Berlusconi e personaggi del calibro di Antoine Bernheim, presidente (oggi in scadenza) delle Generali.
Nel merito deciderà - dal febbraio prossimo - il Tribunale di Milano in un processo che si annuncia in ogni caso di estremo interesse "civile" perché Fazio sarà obbligato a difendersi in pubblico: esattamente come tanti altri protagonisti di quella vicenda dovranno (e potranno) fornire la loro ricostruzione dei fatti. E non è un caso che dal vertice della Consob (la Sec italiana) sia già filtrata l'ipotesi che il presidente Lamberto Cardia - peraltro uscente - possa essere teste a discarico dell'allora "collega" di Bankitalia: se non altro per difendere l'autorizzazione allora concessa dalla stessa Consob all'Opa Unipol-Bnl. E mentre a Parma continua - peraltro a fari mediatico spenti - il processo Parmalat per la "madre di tutte le bancarotte" - cresce l'aspettativa anche per la chiusura delle indagini su AntonVeneta. Là, tra l'altro, il ruolo di Fazio è più rilevante ancora: avrebbe infatti violato la sua princale consegna istituzionale, la vigilanza sulla stabilità del sistema bancario, in particolare sulla solidità patrimoniale delle banche (Bpi e AntonVeneta).
Vale la pena di ricordare (questa nota settimanale lo ha fatto più volte) che il crack Lehman - e i suoi gemelli - hanno avuto alla loro base l'abbandono deliberato di ogni regola di prudenza su leva finanziarie coefficienti patrimoniali e la cecità (o il silenzio) delle authority di controllo americane. Di più: la bolla finale - che esplodendo ha travolto banche, Borse, risparmi, bilanci statali, Pil, imprese e occupazione - era stata gonfiata dallo snaturamento corruttivo del business immobiliare.
Lo stesso di molti azionisti Bnl rinviati a giudizio, peraltro dopo anni di violentissime polemiche sul ruolo arrembante dei "nuovi ricchi" del mattone: il primo dei quali, è in fondo, il presidente del Consiglio in carica. Due pesi e due misure in Italia e America? L'interrogativo si pone nel mentre alcuni intellettuali cosiddetti riformisti, hanno avviato un dibattito giornalistico sul rapporto storico in Italia tra le cosiddette "élite" e gli "outsider" (nella fattispecie Silvio Berlusconi). Procede in modo carsico, inoltre, un altro confronto: quello sul ruolo della magistratura "come pensiero e come azione", con l'intento dichiarato di bonificare "il mercato" (finanziario, degli appalti pubblici, etc), ma lasciando taola l'impressione oggettiva di proteggerne gli equilibri costituiti.
Il ruolo dei "media" è d'altronde ancora una volta sotto i riflettori. Il processo Bnl si radica nelle paginate di intercettazioni telefoniche pubblicate dai grandi giornali italiani nell'estate del 2005. Registrazioni che - dopo il caso Telecom-Tavaroli - non si è più neppure certi che fossero quelle ordinate dai magistrati e che in ogni caso erano i primi materiali di fascicolo istruttori appena aperti. In alcuni casi su reati nuovi di zecca ("market abuse") e "in tempo reale" su vicende in pieno svolgimento, con effetti diretti sull'esito delle stesse.
Nulla di questo si è visto sull'archetupica stampa anglosassone impegnata sul crack Lehman. Solo il New York Times ha provato a sollevare - ma basandosi esclusivamente su "record" pubblici) il caso della proporzione tra le telefonate fra Paukson e i suoi ex colleghi della Goldman Sachs rispetto a quelle intercorse con i top manager delle altre banche d'affari nei gionri più concitati a Wall Street. Ma su cosa si siano detti o sulla consistenza dei potenziali conflitti d'interesse dell'ex banchiere divenuto ministro nulla si è detto. Invece resta la proporzione tra gli spazi riservati dalla stampa italiana alle intercettazioni nel 2005 e al "colore" del crack Lehman nel 2008 e 2009 rispetto a quello (limitato e asettico) sulla decisione senza precedenti dei giudici italiani di processare un ex banchiere centrale per gravissime imputazioni finanziarie. C'è voglia di rimozione? L'appuntamento - anche per i colleghi giornalisti - è per le udienze del processo. ( Fonte: www.ilsussidiario.net)
http://www.finanzainchiaro.it/dblog/articolo.asp?articolo=5365
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