di Nicola Biondo - 24 dicembre 2010 Ma chi si nasconde dietro quel soprannome da spy-story? Un killer di Stato, un uomo di cerniera tra mafia e servizi segreti o uno 007 sotto copertura? E quali sarebbero stati i suoi compiti? La favola nera di “Faccia da mostro” è aleggiata per un quindicennio sui misteri e i segreti di Palermo, sempre a cavallo tra mafia e antimafia, in quella terra di nessuno in cui i due eserciti si parlano, mediano e forse convergono. In tanti credono di averlo visto: mafiosi e vittime di mafia, buoni e cattivi. Fino all’estate del 2009 quando un collaboratore di giustizia, Vito Lo Forte, ha dato un nome e un cognome all’uomo del mistero. Trascinando con lui nel gorgo anche un altro uomo di Stato, un prefetto in pensione, ex dirigente dell’Alto commissariato antimafia. Indagini delicate partite d’impulso dalla Direzione nazionale antimafia e approdate alle procure di Caltanissetta e Palermo. Indagini scivolose al punto che gli stessi investigatori procedono tra molti dubbi e difficoltà. Il bruciato e lo zoppo. Vito Lo Forte ha identificato Aiello e l’uomo con cui spesso si accompagnava nel corso di una ricognizione fotografica avvenuta nell’agosto 2009. Si è scoperto così un altro soprannome di “Faccia da mostro”: «Li chiamavamo il bruciato e lo zoppo. Uno aveva il viso deturpato, l’altro camminava con un bastone». Lo Forte sostiene di aver visto entrambi «incontrarsi due o tre volte con Gaetano Scotto, il mio capo famiglia». Incontri che sarebbero avvenuti - sempre secondo Lo Forte - in esercizi pubblici, forse anche nel ristorante di proprietà del boss. Èl a prima delle pesanti accusa che Lo Forte lancia contro i due uomini di Stato. Dall’Addaura a Via D’Amelio. Questa la “geografia” che Lo Forte riporta ai magistrati: “Faccia da mostro” avrebbe avuto un ruolo nella mancata strage contro Giovanni Falcone e anche nell’attentato contro Paolo Borsellino. Su queste vicende - è bene ricordarlo - il collaboratore riporta notizie de relato. Lo Forte riscrive il film della tentata strage dell’Addaura. Secondo il pentito - e siamo alla seconda accusa - sul teatro della tentata strage contro il giudice Falcone, ma su sponde differenti, sarebbero stati presenti Aiello e altri due esponenti delle forze dell’ordine: il poliziotto Nino Agostino e il collaboratore del Sisde Emanuele Piazza, entrambi uccisi in circostanze misteriose rispettivamente nell’agosto 1989 e nel marzo 1990. Piazza e Agostino - sembra suggerire Lo Forte – avrebbero fatto fallire il complotto contro il giudice e sarebbero quindi stati eliminati per evitare che raccontassero il coinvolgimento di apparati dello Stato nell’attentato. Ma non finisce qui. Lo Forte sostiene anche che “Faccia da mostro” entrerebbe nella vicenda della strage del giudice Borsellino. Fin qui il racconto del pentito. Sarà un caso ma è la stessa “geografia” in cui è inserito proprio Scotto, condannato per la strage del 19 luglio 1992 e indagato per l’omicidio Agostino e l’Addaura. Ma come si è arrivati all’identificazione? Il file “Faccia da mostro” impegna da anni la procura nazionale antimafia che si è avvalsa anche di numerosi colloqui investigativi. Alla fine, l’identificazione di Lo Forte ha fatto chiudere il cerchio su Aiello. Il poliziotto di origine calabrese, oggi in pensione, ha lavorato nel capoluogo siciliano dall’86 all’89. La deformazione al viso sarebbe dovuta a un incidente, una fucilata gli avrebbe lasciato segni indelebili in faccia. Dubbi e certezze. Una certezza riguarda Gaetano Scotto. Per gli investigatori il boss del’Arenella ha avuto sicuramente rapporti con ambienti insospettabili. Lo dicono i tabulati dei suoi telefoni e la sentenza che lo ha condannato all’ergastolo per via D’Amelio. Lo conferma anche Gaspare Spatuzza: «Mentre veniva imbottita di esplosivo la Fiat 126 nel garage - ha dichiarato il pentito ricostruendo le fasi preparatorie della strage contro Paolo Borsellino - tra noi c’era uno elegante, biondino, mai visto prima, parlava con Gaetano Scotto». Per Spatuzza, l’uomo vicino a Scotto era uno sbirro, uno dei servizi. Su Lo Forte invece si procede con molta cautela. Le rivelazioni del pentito vengono valutate attentamente dalla Procure di Palermo e Caltanissetta, rispettivamente competenti per gli omicidi Piazza e Agostino e per l’Addaura.Manon sono pochi i dubbi sulla sua versione. Entrato nel programma a metà degli anni 90, Lo Forte racconta di droga e riciclaggio, coinvolgendo il suo boss Gaetano Scotto e tace su tutto il resto. Nel 1999 il pentito uccide un uomo. «Me lo sono trovato dentro casa, credevo fosse Scotto che mi voleva uccidere» dichiara agli inquirenti. Rientra nel programma di protezione, ma si scopre che in passato mentre trafficava droga faceva anche il confidente. Fino al 2009quando rimonta i pezzi della sua memoria. Ma i dubbi degli investigatori non si fermano qui. La teoria di Lo Forte, che Agostino e Piazza fossero presenti all’Addaura, non convince in pieno. Non c’è alcuna prova - sostengono gli investigatori - che Agostino e Piazza si conoscessero,non c’è prova che fossero sul luogo della tentata strage, non si capisce, infine, perché uccidere Piazza dieci mesi dopo l’Addaura con il rischio che in questo lasso di tempo potesse rivelare qualcosa. Le morti deidue giovani agenti sono davvero legate alla mancata uccisione di Giovanni Falcone? Domande che potrebbero trovare una risposta tra poche settimane quando i risultati delle analisi sulla borsa con l’esplosivo e su altri reperti lasciati dagli attentatori all’Addaura arriveranno sul tavolo degli inquirenti. Una scia di morti e segreti. L’Addaura, le morti di Agostino e Piazza, i depistaggi sulle indagini, gli uomini senza volto che compaiono nella strage di via D’Amelio. È una lunga scia di morte quella che gli investigatori stanno provando a ricomporre. Per farlo bisogna «ripulire i fatti» dai tanti luoghi comuni, vere leggende metropolitane, fiorite nel corso degli anni. Come quella che mette in bocca al giudice Falcone una frase precisa il giorno dei funerali di Agostino e della moglie: «Devo la vita a questi ragazzi». Legando così la morte del poliziotto con la mancata strage. Esclamazione che secondo un testimone al di sopra di ogni sospetto, non sarebbe mai stata pronunciata. Tutti elementi che fanno emergere un terribile dubbio: le voci di mafia, anche in buona fede, fatte filtrare fino ai giornali e finite in atti giudiziari che legano Agostino e Piazza all’Addaura potrebbero essere l’ennesimo depistaggio. Tirare in ballo i morti, Agostino e Piazza, per lasciare in pace i vivi. Il tutto per non fare emergere il vero movente. La confessione del pentito Lo Forte che trascina nel gorgodue uomini dello Stato e un pezzo da novanta come Gaetano Scotto apre scenari imprevedibili. Segreti non solo di mafia, visto che più volte i Servizi hanno negato ai magistrati documenti importanti sugli omicidi dei due agenti... E siamo ad oggi. Le indagini diranno se Aiello e il suo referente abbiano siano dentro questo puzzle in cui i confini tra mafia e Stato si assottigliano fino a scomparire. Se dietro quelle carriere insospettabili si nascondano davvero “Faccia da mostro” e “Lo zoppo”, due 007 pronti a tutto. http://www.antimafiaduemila.com/content/view/32237/78/ |
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
domenica 26 dicembre 2010
Mafia, stragi e depistaggi. ''Faccia da mostro'' ha finalmente un nome
sabato 25 dicembre 2010
venerdì 24 dicembre 2010
Botta e risposta tra Berlusconi e Telese
Durante la conferenza stampa di fine anno del premier il giornalista del Fatto pone una domanda, il Cavaliere risponde ma in serata con una nota corregge il tiro solo sulla Brambilla. E il ministro del Turismo annuncia una querela
“Buongiorno presidente, lei sa che la seguiamo con particolare attenzione”. Berlusconi tenta di interromperlo: “Sì direi non con imp..” ma Telese aggiunge: “anche con affetto, simpatia, slancio. Siamo i principali esegeti dell’operato del suo governo”. Il premier sorride: “Se non ci fossi io non esistereste editorialmente”. Telese arriva alla domanda: “Oltre alle realizazzioni del suo governo, che lei ha elencato in estrema sintesi, ce n’è anche altre: il ministro Scajola ha sistemato la casa a sua insaputa, l’ex ministro Lunardi ha sistemato l’azienda e ha avuto il buon cuore di ammetterlo, il ministro Brambilla ha sistemato il compagno all’Aci, il ministro Bertolaso ha sistemato moglie e cognato, non poteva non farli lavorare; il ministro Bondi ha avuto la simpatia di sistemare il figliastro e l’ex marito della compagna con una consulenza al suo ministero, diceva però che erano casi umani. Allora volevo chiederle: visto che molti elettori del centrodestra sono delusi da questo, non del centrosinistra, che cosa pensa di questo passaggio dal governo del fare a quello del sistemare? Si sente di condannare questi atteggiamenti?”.
Il premier risponde: “Se andiamo a vedere cosa ha fatto la sinistra, e cosa fa dove è al governo nelle regioni rosse dove c’è l’occupazione della sinistra, questi diventano casi di puro dilettantismo, a fronte del professionismo della sinistra. Sono casi spiacevoli, ma su 100 persone è impossibile trovare 100 santi, qualcuno può essere abbastanza lontano dalla santità. Succede nell’apparato umano, succede in tutta la società. Succede nei corpi che ammiriamo. Succede tra i Carabinieri, l’86% degli italiani ama l’arma dei Carabinieri, ma abbiamo visto che ci sono Carabinieri che fanno cose indebite. Succede tra i sacerdoti, in altre categorie. Succede perché l’uomo e la donna non sono esseri perfetti”.
Una risposta chiara, esauriente. Con tanto di sondaggio sul gradimento dei Carabinieri. Certo non entra nel merito della domanda, non una parola sui casi di cui Telese aveva chiesto chiarimenti o una condanna da parte del Presidente del consiglio. Solo alle 19 verrà toccato il caso del ministro Brambilla: nel comunicato stampa inviato da Palazzo Chigi. Una nota battuta dalle agenzie dal titolo “Illazioni e accuse infondate”.
L’ufficio del portavoce del premier, Paolo Bonaiuti, scrive: “In relazione alla risposta data dal presidente Berlusconi alla domanda del giornalista Luca Telese de Il Fatto Quotidiano, si deve precisare che le indicazioni esposte dal giornalista stesso sono frutto di mere illazioni e sue personali supposizioni. La risposta del presidente perciò non conteneva alcun giudizio di disvalore su quelle vicende, da lui mai approfondite; si trattava soltanto di un’osservazione di carattere generale. In particolare, il presidente Berlusconi ha potuto verificare l’assoluta e totale inconsistenza delle infondate accuse mosse al ministro Brambilla in cui il presidente ripone assoluta fiducia e che ha sempre dimostrato grandi capacità nella più assoluta trasparenza del suo agire. Inoltre, le elezioni dell’Aci sono avvenute con la massima regolarità e i consiglieri ricoprono un incarico meramente onorifico e non retribuito”.
Passa un’altra ora e, sempre dalle agenzie, arriva la voce del ministro Brambilla che comunica di “avere dato mandato ai suoi legali di procedere nelle sedi competenti nei confronti del giornalista Luca Telese, per le affermazioni del tutto mistificatorie e distorsive della realtà, riguardanti l’Automobile club di Milano, da lui fatte durante i programmi televisivi Exit, Mattino cinque e la conferenza stampa del presidente del Consiglio trasmessa quest’oggi sulle reti Rai”. Un recidivo dell’informazione, questo Telese, per Brambilla. Che non dimentica il lato umano della vicenda e annuncia che “devolverà la somma richiesta in sede di causa civile per il risarcimento del danno di immagine subito ad un ente benefico”. Telese si sentirà in colpa: se vince la causa (quando e se perverrà) l’ente benefico non vedrà neanche un euro.
Dunque il ministro del Turismo, Michela Vittoria Brambilla, non avrebbe sistemato nessuno all’Aci, scrive la presidenza del Consiglio. Per le dichiarazioni riguardo Sandro Bondi, Claudio Scajola, Pietro Lunardi e Guido Bertolaso, nulla da eccepire, non ha approfondito. Ricapitolando: “Il ministro Scajola ha sistemato la casa a sua insaputa, l’ex ministro Lunardi ha sistemato l’azienda, il ministro Bertolaso ha sistemato moglie e cognato, non poteva non farli lavorare; il ministro Bondi ha avuto la simpatia di sistemare il figliastro e l’ex marito della compagna con una consulenza al suo ministero, diceva però che erano casi umani”.
Secondo il premier senza di lui il Fatto Quotidiano non esisterebbe, ma anche i suoi ministri gli danno una buona mano.
- Camera, Fini alla Lega: "Inammissibile la discussione sulle funzioni del presidente"
- Maroni a Berlusconi: "Tavolo con terzo polo inutile, meglio le elezioni"
- LA POLEMICA: Berlusconi parla e il Tg1 di Minzolini slitta.
giovedì 23 dicembre 2010
Berlusconi: “Commissione su associazioni a delinquere a fini eversivi nella magistratura”
Il premier a tutto campo durante la conferenza stampa di fine anno. Oltre due ore di intervento trasmesso in diretta-fiume da Sky e Rai. Minzolini ha fatto slittare il Tg1
Il siparietto ha aperto lo spazio riservato alle domande della stampa, cui il premier non si è tirato indietro. Dai rapporti con Fini alla possibilità di candidarsi al quirinale, ipotesi negata: “Se mi si chiede chi possa essere il capo di Stato migliore, io rispondo che ho un mio candidato e che non sono io. Io mi auguro che con le nuove elezioni ci sia una maggioranza capace di eleggere un presidente della Repubblica di centrodestra, dopo tre di centrosinistra”. Persino sulle dichiarazioni della figlia Barbara critiche nei confronti del ministro Mara Carfagna, Berlusconi ha risposto: “Non c’è stata nessuna debolezza, i figli naturalmente sono influenzabili dalle madri e come tutte le famiglie si possono verificare situazioni di questo genere. Voglio bene a Barbara, è molto brava, ma in questo caso ha subito le influenze della madre”.
I passaggi chiave riguardano la magistratura. Berlusconi bolla i processi che lo riguardano come “esilaranti. E non credo che ci siano dei pm che possano esporsi al pubblico ludibrio”, ha detto, sottolineando di “essere preoccupato dei miei processi”. Così come sull’atteso pronunciamento della Consulta riguardo il legittimo impedimento. “Il legittimo impedimento tiene conto di tutti i rilievi fatti per le leggi precedenti . C’è un limite all’indecenza e quindi credo che nessuna Corte, seppure con una maggioranza di magistrati provenienti da un’altra area politica, possa arrivare a superare il limite dell’indecenza e arrivare a negare il diritto a chi si occupa del governo Paese di veder diminuità la capacità di difendersi davanti alle accuse di una magistratura politicizzata”, ha detto ed ha annunciato la volontà di aprire una commissione di inchiesta per valutare l’esistenza di undisegno eversivo da parte della magistratura: “Non si può negare – ha detto Berlusconi – che ci sia una volontà di una associazione, all’interno della magistratura, tesa all’eversione”.
Se il Tribunale di Milano accoglierà la tesi del Pubblico ministero nel processo Mills, sarà la dimostrazione che c’è nella magistratura una “associazione tesa all’eversione” e per accertare questa realtà Berlusconi presenterà una proposta di legge che istituisce una commissione parlamentare di inchiesta. Il premier ha criticato la tesi dell’accusa secondo la quale “la corruzione si perfeziona non quando c’è il passaggio di denaro ma quando i soldi vengono spesi”. “E quando anche altri giudici convergono su questa tesi, non si può negare che ci sia nella magistratura una associazione tesa all’ eversione”. Da qui l’ipotesi del premier di presentare alle camere un ddl per istituire una commissione bicamerale che verifichi se non ci siano dentro la magistratura associazioni a delinquere a fini eversivi. “In tutte le democrazie - ha aggiunto il premier – quando una persona deve dedicarsi al governo del Paese non ci possono essere possibilità per dedicarsi come è suo diritto alla difesa, quando finisce il mandato c’è tutto il tempo per la magistratura di continuare i processi”.
“Senza Fini nel Pdl sarà più facile approvare la riforma della Giustizia”, ha detto il premier parlando di ciò che il governo intende fare nel nuovo anno e dicendosi fiducioso che non ci saranno nuove elezioni. “Sono d’accordo con Napolitano, andare al voto sarebbe irragionevole”. L’esecutivo potrà arrivare “al termine naturale con una maggioranza reale”, ha aggiunto smentendo di aver avvicinato deputati di altri partiti per convinceri a entrare nell’area governativa. “Non c’è stato calcio mercato, abbiamo messo a disposizione i posti nel governo lasciati liberi dalla componente finiana”. E a prescindere dai numeri, il premier ha ricordato quanto realizzato: “Abbiamo già approvato tre dei cinque punti strategici proposti a settembre dal governo”. Ed ha annunciato che è in lavorazione un documento che stila il bilancio del lavoro svolto. “E’ in esecuzione un fascicolo pubblico a cura del ministero della programmazione. Quello che voi avete ricevuto è stato fatto a spese del Popolo della Libertà. Allo studio c’è un altro fascicolo” sulle agevolazioni per “imprenditori e cittadini meno abbienti: speriamo che si riesca a farlo avere a un gran numero di cittadini, perchè l’informazione non sempre rende il servizio di informare i cittadini sulle cose che lo Stato mette loro a disposizione”.
Poi torna sul nodo della maggioranza attuale: “La cosa migliore per il nostro Paese è continuare questa legislatura, il primo a pensarlo sono io, ma se alla fine di gennaio, contro le nostre previsioni, non dovessimo avere una maggioranza sufficiente per continuare a governare e non galleggiare, anche se ci sono in Europa governi di minoranza, io credo che si possa ritenere come cosa migliore quella di avere una nuova maggioranza. I sondaggi ci dicono che otterremo di nuovo la maggioranza sia alla Camera sia al Senato”. Secondo il premier “la cosa migliore per il nostro Paese è continuare questa legislatura, il primo a pensarlo sono io, ma se alla fine di gennaio, contro le nostre previsioni, non dovessimo avere una maggioranza sufficiente per continuare a governare e non galleggiare, anche se ci sono in Europa governi di minoranza, io credo che si possa ritenere come cosa migliore quella di avere una nuova maggioranza. I sondaggi ci dicono che otterremo di nuovo la maggioranza sia alla Camera sia al Senato”.
Il premier affronta apertamente il rapporto con Gianfranco Fini. “La collaborazione è durata 16 anni, ed è con estremo dolore che io ho recepito gli accadimenti degli ultimi mesi”, ha detto. “Da circa un anno il presidente Fini ha portato critiche e distinguo nei confronti della maggioranza, del governo, del Pdl e verso di me personalmente. Non lo abbiamo espulso dal partito, ma abbiamo detto che in un documento dell’ufficio di presidenza che le sue posizioni erano ‘allo statò incompatibili con le posizioni del Pdl. La determinazione di Fini credo sia stata preventiva – aggiunge il premier -. Ricordo l’ultimo incontro che ho avuto con lui: io, quarta carica dello Stato, sono sempre stato riguardoso ed ho sempre accettato di andare io da Fini, terza carica dello Stato, ogni volta che lui ritenne di invitarmi. Quando mi disse che voleva fare gruppi autonomi, lo scongiurai per tutta la durata di quella colazione e sulla porta gli dissi che non sarebbe mai riuscito a litigare con me perchè per litigare bisogna essere in due. Mi guardò in modo fisso e freddo e mi rispose: ‘Sì, ma per divorziare ne basta uno solo…’. Io lì capii che era una cosa lungamente preparata e determinata”. Quindi, ha concluso, “io non credo ci possa essere un cambiamento, anche se talvolta in politica questo può accadere. Ma io non sono un politico e da persona normale credo che certi limiti non si possano oltrepassare”.
Spazio anche alla riforma Gelmini, che nel frattempo è diventata legge dopo il voto del Senato: “I giovani si lamentano di non avere avuto un dialogo con il governo sulla riforma dell’Università. Non è vero, ci sono stati 120 incontri, di cui 20 ufficiali con i rappresentanti degli studenti e il ministroGelmini ha parlato con tutti i rettori. La riforma Gelmini cancella il clientelismo”, ha aggiunto il premier: “Non è una riforma che è un castello di promesse come quella del ’98. Si tratta di una riforma di cui possiamo essere orgogliosi”.
Per quanto riguarda il nome del Pdl, Berlusconi ribadisce la volontà di rinnovarlo. “Cambieremo la denominazione del Pdl ma non torneremo a Forza Italia. L’acronimo Pdl non dà più emozione, non commuove, stiamo cercando un nome che dia un’emozione, ma non si torna al passato. Vogliamo unire tutte le forze dei moderati, tutti coloro che non si riconoscono nella sinistra”, quindi, “è necessario trovare una nuova denominazione. Sono state avanzate pretese da parte di coloro che hanno formato Fli – ricorda il premier – pretese infondate ma, avendo avuto l’esperienza della lista del Pdl a Roma, non vorremmo correre il rischio di vedercele impugnare alle prossime elezioni politiche”. Il nome Popolo della Libertà, inoltre, “produce un acronimo che alcuni citano al femminile e non commuove, non dà emozione. Cerchiamo un nome che non sia riducibile a un acronimo e che possa dare emozione, che faccia capire qual è direzione politica del nostro progetto”.
Fatti un regalo, adotta un Droide Doll. - di Andrea Scanzi
Natale, tempo di regali (bell’inizio: sembra un attacco di Moccia prima dell’editing). Voi comunisti snobbate questa festa, ritenendola consumista e tutto sommato destrorsa. Una trovata della Chiesa. La verità è che siete pallosi. Pallosi dentro. Con una mano rifuggite lo sfavillio della modernità, con l’altra vi riducete all’ultimo momento a regalare un paio di mutande beige dell’Upim al vostro fidanzato sovversivo (e probabile omosessuale represso).
Io invece amo il Natale. Mi piace la neve, mi piacciono i moonboot, mi piacciono gli ingorghi di due giorni sulla A1. E mi piacciono pure i Babbo Natale che calano dalle finestre: quando li vedo, lancio molotov in segno di affetto e misericordia.
Proprio per questo mio amore natalizio, la settimana scorsa mi sono trasferito sull’isola di Guam (almeno credo sia un’isola) e ho aperto un e-store, che non so cosa sia ma di solito se metti la e- davanti vuol dire che hai a che fare con l’elettronica, Internet, eccetera. Ho aperto un negozio di giocattoli, l’ho chiamato Babbo Natale esiste e si chiama Luigi Amicone. Dentro ci trovate solo bambole. Scala uno a cinque. Costruite in pura ghisa ignifuga a compartimenti stagni.
La mia serie preferita, di cui gli abitanti di Guam (guammiti) son golosi e ghiotti, è la Droide Doll - I Trudini del Potere. Una collezione di dieci bambolotti ghiso-formi, verniciati con uranio impoverito e solfiti incendiabili, che riproducono in tutto e per tutto gli statisti italiani contemporanei più rappresentativi.
Sono regali simpatici, scherzosi e avvincenti. Il prezzo è conveniente, 768 euro l’uno detraibili nel 740 e pagabili in comode 768 rate mensili da un euro l’una. I Droidi Doll regaleranno gioie e sorrisi a grandi e piccini, fascisti e comunisti, uomini e finocchi. Piaceranno perfino a voi sovversivi, che fino a un minuto fa scagliavate mele all’indirizzo delle forze d’ordine per il puro gusto di farvi intervistare dal Fatto e recitare la parte dei martiri solo perché uno vi ha disgraziatamente frantumato mascella e scatola cranica con un casco in kevlar. Pallosi: siete proprio pallosi.
Ecco la collezione completa, disegnata in tiratura limitata da quella sagoma di Santo Versace.
Lady Blackvetto. Una simpatica Barbie di media piacenza, vestita con sobrietà vedovile e caratterizzata da un manto crinoso di colore biondastro. Sotto il (la?) glottide ha un pulsante: se lo premerai, Lady Blackvetto emetterà un trillo paragonabile alla ricezione di un sms. A quel punto la bambolotta ghiso-forma farà “no” con la manina e ripeterà 87 volte il mantra “Non è un telefonino è un Blackberry”. La bambolina è indicata anche per l’apprendimento delle sillabe, dacché (?) si caratterizza per la curiosa pronuncia allungata di vocali (“aaaaaaaa”, “eeeeeee”). Era un difetto della prima serie Blackvetto, ma i consumatori hanno così apprezzato questa particolarità da spingere i produttori – e lo stesso Santo Versace – a rendere custom tale requisito. Lady Blackvetto è un’ottima compagna di gioco, essendo dotata di una memory card limitata e per questo non invasiva. Se le parli, non capisce. Se parla lei, non capisci tu. Dei Droidi Doll, è la meno impegnativa. Alcune versioni tradiscono una lieve inflessione sarda: per tarare gli altoparlanti, posizionati tra il deltoide e l’ulna, basterà digitare la parola “C-r-o-z-z-a” sulla consolle in dotazione. Lady Blackvetto indosserà allora uno sguardo fieramente corrucciato, esalerà tre frasi senza senso (la più frequente è “Mgrghr beeeeeeee”) e si chiuderà in un rassegnato silenzio.
Ciccio Scilipoti
Il bambolotto ideale per le famiglie. Opulento, massiccio, pittoresco. Santo Versace si è qui ispirato a un ardito morfing tra il vintage Cicciobello e Boss Hogg di Hazzard. Pesa leggermente più dei Droidi Doll, 89 chili invece di 85 (la ghisa è stata riempita di piombi azionabili come petardi per Capodanno). La caratteristica di Ciccio Scilipoti è la sbarazzina incoerenza. Nato per soddisfare l’ego innocente dei bambini, è in grado di dire sì a chiunque si trovi davanti. Se sarà il bambino Giorgio a chiedergli chi sia il bimbo più bello del mondo, lui risponderà: Giorgio.Se sarà Paolo, risponderà: Paolo. Se sarà Lucio, risponderà: Lucio. Per non scontentare nessuno. Se poi il bambino che lo interpella si chiamerà Silvio, Ciccio Scilipoti si agiterà tutto, shakererà la pingue figura, marcerà con le gambette (vestite alla marinara) fino agli studi di Un giorno da pecora di RadioDue e lancerà buffi strali contro il suo acerrimo nemico, Skeletor Santoro (della ditta concorrenziale Travagli Preziosi). Ciccio Scilipoti ha una garanzia di tre giorni, durante i quali avrà cambiato almeno mille volte idea. Sempre per il bene del consumatore e mai per interessi personali.
Big La Rissa
Il Droide più incazzoso, utile per destare nel bambino i basilari istinti di sopravvivenza, affinché non vadano sopiti o peggio corrotti da una educazione melliflua e non sufficiemente virile. E’ quindi perfetto se non volete che vostro figlio diventi frocio. Big la Rissa insulta a caso, a prescindere dalla frase che gli viene rivolta. E’ venduto in tre versioni: Big La Rissa Fascio Remix, con vestigia littorie e la colonna sonora di Giovinezza riletta da Dj Molella; Big La Rissa Ricino, con un pistolino retrattile da cui sgorga il suddetto olio atto a punire i bambini più effeminati e vigliacchi: e l’imperdibile Big la Rissa Geronimo, in cui Santo Versace ha sapientemente unito i tratti migliori di Big La Rissa e Mini-Big Gery, vale a dire suo figlio. La caratteristica di Big La Rissa Geronimo è quella di essere leggerissimo, snello come un manganello e sulfureo come un peto di Bontempo persosi in una scena tagliata di Pierino e la maestra Gelmini.
Vulvia Santanché
Tuo figlio tradisce istinti sadomaso? I tuoi gemelli sognano di essere calpestati da Bocchino in ciabatte? Tua figlia si diverte frustando la bambola gonfiabile di Barbacetto, spengendogli le sigarette sul prepuzio bolscevico? Regala loro Vulvia Santanché, l’unica Droide Doll in tacco 12 con meccanismo azionabile per distibuire allegri calci negli zebedei a tutti quegli eunuchi che non hanno un albero genealogico attestanti la presenza di almeno 37 Balilla e 41 cugini repubblichini di primo grado. Vulvia Santanché, in puro lattice di ghisa, è adatta anche per gli adulti. Rallegra le serate, diversifica il rapporto di coppia e trasuda l’erotismo dei glicini malati di psoriasi. Un prodotto di cui Santo Versace si vanta molto, nonostante il lieve difetto di fabbricazione prognatico-mascellare, che fa sì che alla bambola piova spesso e non volentieri in bocca.
Gasparrin Burrasca
Il più tenero dei Droidi Doll. Sguardo fieramente bovino, espressività non pervenuta, cipiglio delle triglie reazionarie: non puoi non amare Gasparrin Burrasca. E’ tenero come un Fassino. Dotato di una personalità tutta sua, si caratterizza per l’assoluta mancanza di logica e raziocinio in ogni cosa che fa. Premi il pulsante “cammina”, e lui si siede. Premi “parla”, e lui rutta. Premi “saluta”, e lui tende il braccio destro. Premi “arresto preventivo”, e dà una testata sullo stipite della porta in alabastro. Premi “democrazia”, e ti lancia una granata in bocca. Ma solo per simpatia.
Pippi Brambilla Calzelunghe
L’unica bambola in autoreggenti. Un vero e proprio prodotto da collezione. Ne esistono solo pochi esemplari. Non ha caratteristiche particolari, se non una predisposizione a compiacere il bambino più ricco e a lui più congeniale. Ideale per quelle bambine che vogliono farsi una carriera poggiante su solide basi di gossip e blando sentito dire. Esiste una versione più casta, Pippi Brambilla Leggings, in cui la ghisa è stata riempita da calze ascellari in puro acrilico color pelle 50 denari.
Donna Benitandra
Una bambola d’altri tempi, sempre sopra le righe, sboccata e di vedute antiche. Utile nei casi in cui non si abbia certezza sulla sanità sessuale della propria prole. Temete che vostro figlio sia culattone e vostra figlia addirittura lesbica? Nascondete un agile plotone di Donna Benitandra in camera. Scoveranno ogni segreto ed estrarranno il Maligno dalle loro menti perverse con la sola imposizione dell’ignoranza. Donna Benitandra è un prodotto altamente tecnologico, va a pile ariane e ha un debole per suo nonno, Big Jim Benito, tornato in catalogo stante il grande affetto del pubblico. Santo Versace ha poi pensato a una versione a tiratura limitata, Benitandra Geisha, in infradito e vestaglia di fustagno. Umile e servizievole, si eccita visibilmente se la chiami Donna Rachele.
Il Piccolo Bondi
L’allegro bambolotto poeta. Liscio come un’anguilla, tondo come un uovo e satollo di crasso scibile, Il Piccolo Bondi è un simpatico compagno di giochi. Dotato di un sistema alfanumerico denominato Rimeadminchiam 2.0, Il Piccolo Bondi riesce a poetare partendo da qualsiasi parola: dici amore, e lui sillaba “c-u-o-r-e”. Dici palla, e lui sillaba “g-a-l-l-a”. Dici coglioni, e lui sillaba “V-e-l-t-r-o-n-i”. Un fastidiosotrojan horse, denominato Di Pietris, lo manda a volte in corto circuito. E’ allora che Il Piccolo Bondi fa rime apparentemente errate. Nelle ultime prove, effettuate agliAmicone Studios di Manhattan, Il Piccolo Bondi ha tradito errori in concomitanza con le parole “vergogna”, che per il bambolotto glabro fa rima con “comunisti”, e “Dio”, che per il Droide Doll coincide con la parola “Silvio” (da lui pronunciata con incipiente trasporto ascetico). A causa della forte connotazione intellettuale, se ne consiglia l’acquisto a un pubblico mediamente smaliziato. Santo Versace, nella confezione, lo raccomanda per questo a bambini dai 6 ai 12 mesi. Prima dell’uso, agitare la capoccia e colpire Il Piccolo Bondi all’altezza dei piccoli zebedei a forma di fagiolo zolfino. E’ una maniera empirica non tanto per migliorare il funzionamento del bambolotto, quanto per stare meglio con se stessi.
Mahatma Marra
Un pezzo da collezione, inserito a sorpresa da Santo Versace nella decina dei Droidi Doll (sono usciti all’ultimo momento Mastro Cicchitto, Arsenio Lupi, Cinderella Carfagna eMinchiapezzone). Mahatma Marra è un bambolotto-sufi. Si caratterizza per la bizzarra inclinazione a scrivere tomi del tutto privi di legami con la più elementare sintassi. Dotato di multi-funzioni, nella modalità Strategismo Sentimentale On lampeggia e profferisce frasi pregne di significato, ricordando al consumatore d’esser vittima – come l’umanità tutta – dellacultura degli orifizi e delle strullate. Lo fa per il nostro bene: per elevarci. Test in laboratorio – sempre agli Amicone Studios – hanno dimostrato come una dose giornaliera di Mahatma Marra agevoli il naturale cammino della civiltà. Nella confezione Manuela Extended, Mahatma Marra è venduto con Arcurina, Barbie priva di espressività e sfumature vocali, teneramente convinta d’essere attrice, impagabile come soprammobile o centrotavola inanimato.
Bunga Bunga Il Sultano
Schiacci il tasto ed esce lo sfaccimm (cit): così recita lo slogan pubblicitario, anch’esso del grande Santo Versace. Bunga Bunga Il Sultano è un bambolotto pelato, brutto, basso, erotomane, volgare, narciso, rissoso, prevaricante e megalomane. E’ quindi ideale come compagno di giochi di tuo figlio, meglio ancora di tua figlia, a cui insegnerà sin dalla tenera età le più inenarrabili posizioni del sesso gheddafico. Nella confezione Duomo RuleZ, Bunga Bunga Il Sultano si presenta con una ferita posticcia al volto. Tale versione, cristologica, ne agevola la parabola messianica, facendo sì che il simpatico giocattolino possa ultimare la propria trascendenza: da ometto insignificante a ometto insignificante. Nel mezzo, però, come minimo sarà diventato ricco e avrà costruito Milano 2 e Bahamas 3. Bunga Bunga Il Sultano si diverte a distruggere camere, aprire società off shore e collezionare calciatori desueti, ma la Garanzia Ghedini-Lerch allegata al prodotto vi premunirà da qualsiasi danno morale e materiale. L’unico difetto è l’attitudine ciclica del prodotto, ammessa dallo stesso Versace, a mostrare a tutti le diapositive dei suoi viaggi in Russia. E lì, dopo un po’, uno si rompe i coglioni. Basta però sostituire alle Batterie Feltri le meno ingombranti Stilo AA Fini: il bambolotto alopecico cesserà di arrecare fastidio e, al massimo, vi ricorderà con media sicumera come lui abbia sconfitto terremoti e monnezza, malattie e ordalie, guerre e catastrofi. Riuscendo perfino, da solo, a demolire dalle fondamenta una nazione.
Terminato l’utilizzo, si può riporre il simpatico giocattolo nel lettone - in scala 1/1 - compreso nella scatola.
Cosa aspetti? Acquista anche tu un Droide Doll. Apri il gruppo Facebook “Vogliamo anche noi Gasparrin Burrasca”. Posta i tuoi fotomontaggi dei bambolotti: Paolo Flores D’Arcais li pubblicherà personalmente in questa pagina. Regala un sogno ai tuoi figli e ai tuoi cari. Il Natale ti sorriderà e la vita ti sembrerà ancora più meritevole d’essere vissuta.
GENERAZIONE RABBIA.
ilsecoloxix.it
Ho manifestato i miei sdegni e i miei aneliti per le strade d’Italia dal 1968 al 1977. Ho smesso di farlo a Bologna, una bella mattina di fine estate quando, arrivato in ritardo al corteo delle “mitiche” giornate contro la repressione, lo lasciai sfilare da cima a fondo senza trovare dove inserirmi, senza riconoscermi in nessuno dei gruppi, delle facce, degli slogan, degli abbigliamenti. Ero diventato troppo vecchio per quella roba, o troppo prudente, o troppo saggio, o troppo codardo; non so, ma ero davvero e definitivamente da un’altra parte.
Un quarto di secolo dopo mi sono trovato a Genova, residente della Zona Rossa con cartellino, inutile, di giornalista accreditato appeso al collo. Ho assistito a tutte le manifestazioni a cui mi è stato possibile, cercando di vedere e capire, e ho partecipato a quella del sabato, la grande manifestazione pacifica finita nei grandi pestaggi; ho salvato dalle manganellate due signore che portavano una maglietta con su scritto “un unico Padre, cinque miliardi di fratelli”, e sono io stesso stato salvato da una giovane famiglia che mi ha aperto la porta di casa.
Tornando al Secolo XIX, quella sera vidi all’Acquasola giovani togliersi le loro tute nere e rimettersi a modino sotto lo sguardo spensierato di un gruppo di poliziotti. Quella notte i “fatti” della Diaz, ed ebbi la certezza che il movimento pacifista internazionale era stato distrutto, intenzionalmente annientato. A parte l’affermazione di un principio di imperio – «l’abbiamo fatta finita con quei rompicoglioni!» fu l’articolata analisi che ascoltai dalla bocca di un alto dirigente del governo di allora – a parte la quasi fantascientifica supposizione che si volesse limitare con salda brutalità i limiti spaziali e di principio della partecipazione democratica, ancora oggi mi sfugge la lungimiranza di quell’opera demolitoria.
v Sono passati dieci anni e assisto, non più di persona ma attraverso i canali di informazione internazionali ufficiali e no, ad altre manifestazioni; ad Atene, a Parigi, a Londra, a Roma. Forse dovrei essere lì, e vedere e toccare con mano per capire davvero, ma se posso azzardare un giudizio su una realtà che percepisco solo virtualmente, allora mi sento di dire che quello che i giovani manifestanti, i loro volti e le loro azioni, le loro parole, io non le conosco, e men che meno le riconosco. Sideralmente lontani da quell’ultima mia manifestazione di Bologna e da quel sabato di Genova.
Giovani, e ancor più che giovani, ragazzi. Non sono marziani, sono i miei figli, sono la nuova generazione. Non parlano lingue sconosciute, ma la mia. Non chiedono cose a me ignote, ma cose che posso comprendere bene. Solo che dicono e fanno ogni cosa in modo diverso, nuovo. E la novità, la grande novità, è la rabbia. Non che io non conoscessi questo sentimento, ma la loro e una rabbia, un profondo, interiore, assoluto scontento, e un’energia nel manifestarlo, una forza che io non ho avuto, né visto, da ragazzo, giovane uomo, adulto. E con quella loro rabbia, che gli vedi insorgente come un geyser, intrattenibile nelle parole, hanno cominciato a rompere, a spaccare.
Vedendo i filmati dalle stupefatte capitali d’Europa, non è così difficile riconoscere i professionisti, quelli che lavorano con metodo a sfasciare e picchiare, quelli che da secoli fanno il lavoretto sporco degli infiltrati, ma è facile vedere che non ci sono solo loro, che il gesto di violenza è diffuso. Credo che lo sarà sempre di più. Perché è nella natura delle cose che sia così, irreparabilmente intrinseco allo stato delle nazioni. E lo sappiamo bene, non c’è nessuna analisi speciale da fare, nessun dibattito che non sia una ipocrita pappina consolatoria.
Non si può spedire un’intera generazione nel vuoto pneumatico pensando che non cerchi di tornare sulla terra, non la si può comprimere all’infinito nel nulla cosmico senza sapere che prima o poi esploderà. Questa generazione non ha niente di quello che hanno avuto i loro padri e che si sono ingegnati a dissipare, il pensiero per primo e la previdenza sociale per ultima. I loro padri che si sono mangiati il modo intero e ora li prendono anche in giro andandogli a spiegare che la festa è finita. Questa generazione non ha parole perché è da quando andava all’asilo che non trova un cane che la stia a sentire, che le dica qualcosa che valga la pena di essere ascoltato, buono o cattivo maestro che sia.
Questa generazione è frutto del ventre nostro, una pancia gonfia di supponenza e inverosimile egotismo. È come se non fossero mai nati quei ragazzi, tenuti nello stato inoffensivo di feti, ad avvizzire nella vita. E vorremmo che fossero ragionevoli. Portatori di una ragione tollerabile agli occhi di padri che si titillano nel sogno perverso di durare in eterno da eterni adolescenti, impotenti innamorati del potere. Ne abbiamo allevato qualcuno perché ci facesse da ventriloquo con toni più convincenti delle nostre voci screditate, ma non funzionerà, non ha mai funzionato.
Non sono tanti, al momento, quelli che ci stanno preoccupando; possiamo ancora illuderci che i più possiamo ancora tenerli a bada continuando a rifornirli di gadget e snack moderatamente aggiunti di anfetamine e narcotici. Ma se non fossimo dimentichi della storia, compresa la nostra, ricorderemmo che bastano pochi a renderci la vita scomoda, a tenerci in angosciante sgomento e paura per tutti i giorni che Iddio manda in terra, e alla fine sono i pochi quelli che fanno saltare in aria tutta la baracca.
Maurizio Maggiani
Fonte: http://www.ilsecoloxix.it/
19.12.2010
via http://www.libreidee.org