lunedì 27 giugno 2011

Diritto d'autore Il controllo spetta al giudice. - Juan Carlos De Martin.


Ameno di un cambio di direzione dell’ultimo minuto, l’Italia si appresta a mostrare al mondo come un grande Paese democratico possa distrarsi al punto da permettere a un’autorità amministrativa, invece che a un giudice, di decidere cosa è lecito pubblicare.

Secondo i resoconti di un recente incontro a Roma tra alcuni esponenti della società civile e il presidente dell’Agcom Corrado Calabrò, infatti, l’Autorità si accinge a varare un provvedimento che si preannuncia a dir poco controverso. In base alle linee guida pubblicate dall’Autorità in occasione di una consultazione pubblica tenutasi a inizio anno, l’Agcom vorrebbe istituire una procedura veloce e puramente amministrativa di rimozione di contenuti online considerati in violazione della legge sul diritto d’autore. L’Autorità potrebbe sia irrogare sanzioni pecuniarie molto ingenti a chi non eseguisse gli ordini di rimozione, sia ordinare agli Internet Service Provider di filtrare determinati siti web in modo da renderli irraggiungibili dall’Italia. Il tutto senza alcun coinvolgimento del sistema giudiziario.

Anche ammettendo che l’Agcom abbia tali poteri sanzionatori su questa specifica materia – e ci sono esperti che lo dubitano – e trascurando per il momento gli aspetti pratici (è in grado l’Agcom di gestire potenzialmente migliaia di richieste di intervento?), concentriamoci sulla modalità - amministrativa invece che giudiziaria. Perché il passaggio da un giudice, in pieno contraddittorio e con tutte le garanzie del caso, è indispensabile? Perché se alcuni casi di violazione del diritto d’autore sono relativamente semplici da determinare, la liceità o meno della pubblicazione di un contenuto genera spesso considerevoli dubbi anche agli esperti della materia. Il diritto d’autore, infatti, è di una complessità a volte notevole, come è possibile riscontrare, per esempio, quanto si cerchi di determinare con certezza se una certa opera è o non è nel pubblico dominio in un dato Paese. Inoltre, anche contenuti protetti dal copyright possono essere utilizzati, con dei limiti, per critica, discussione, insegnamento, ricerca, eccetera. E’ davvero concepibile che possa essere un organo amministrativo, per di più con tempi molto stretti, a decidere, per esempio, se un cittadino possa pubblicare o meno sul suo blog l’estratto di una trasmissione di informazione televisiva per finalità di discussione?

L’Agcom – che pure in passato aveva dimostrato altra sensibilità sul tema del diritto d’autore online (si pensi, per esempio, all’indagine conoscitiva pubblicata a inizio 2010) – ha scelto di percorrere, tra l’altro con una fretta e con modalità che lasciano perplessi, una strada sbagliata e potenzialmente pericolosa.

Innanzitutto, la fretta. Alla pubblica consultazione di inizio anno, infatti, doveva seguire la redazione di una proposta di provvedimento seguita da una nuova consultazione: che fine hanno fatto queste fasi? E perché il relatore del provvedimento, il consigliere Nicola D’Angelo, critico dell’impostazione prevalente in Autorità, è stato esautorato dal dossier senza preavviso e senza motivazione? Su una materia così delicata l’assenza di risposte pesa.

Strada sbagliata perché qualunque materia che riguardi diritti fondamentali deve passare dal Parlamento. Quindi, che si proponga eventualmente una legge e che tale legge venga pubblicamente discussa, come per altro chiesto a febbraio da un’interpellanza urgente a prima firma del deputato Roberto Cassinelli (PdL) e sottoscritta da 45 parlamentari del Pdl, Pd, Udc, Fli e Lega Nord. In Spagna si è seguita tale strada: la legge cosiddetta Sinde, dal nome del ministro della Cultura, che intendeva introdurre un meccanismo simile a quello pensato dall’Agcom, è stata lungamente discussa in Parlamento, che l’ha infine bocciata.

Come ricordato di recente dall’avvocato generale presso la corte di giustizia europea, Pedro Cruz Villalon, l’art. 52 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea recita: «Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge». L’Agcom è ancora in tempo a fare un passo indietro, lasciando, come è giusto, la parola al Parlamento.



L'eccitato immobilismo della politica. - di Gian Enrico Rusconi


La stampa internazionale «liberal» ha registrato con enorme attenzione, carica di simpatia, quanto è successo in Italia nelle settimane scorse. Dopo l’esito dei referendum ci si aspettava che da un giorno all’altro, sotto la spinta di quello che era stato presentato come un grande movimento democratico dal basso contro Berlusconi, accadesse ancora un «miracolo italiano». Invece non è accaduto nulla e non sta accadendo nulla di politicamente innovativo.

Non è facile, soprattutto dall’estero, seguire e decifrare le contorsioni della Lega, che sembra essere l’unico fattore in grado di modificare il quadro politico. In compenso sullo sfondo è ricomparsa la spazzatura di Napoli - diventata l’icona della vergogna nazionale.

Episodio apparentemente inspiegabile, ma carico di allusioni criminose. Insomma si riconferma l’immagine dell’Italia degradata e paralizzata.

Magari adesso anche all’estero si prenderà nota delle parole di Nanni Moretti secondo cui «personalmente Berlusconi è più confuso che mai», ma non è il caso di «dare per morto il Caimano». Di questo fatto però non viene data dall’uomo di cinema una spiegazione convincente, ma agli occhi della stampa internazionale le opinioni dei Moretti o dei Saviano valgono di più delle analisi dei commentatori professionali. E quindi gli interrogativi sul perché il berlusconismo dichiarato finito vada avanti resteranno senza risposta.

Eppure la spiegazione è semplice e pesante: mentre da un lato si continua a coltivare un’enfatica idea della «società civile italiana» in fase di risveglio «per mandare a casa il Cavaliere», dall’altro non emerge alcuna classe politica alternativa autorevole. Non c’è neppure un serio rinnovamento dei gruppi dirigenti delle forze partitiche che da anni stanno all’opposizione. Ma senza una forte e autorevole guida politica alternativa, i movimenti sono insufficienti se non impotenti.

La retorica della «società civile» rischia di portare fuori strada. Non è forse «società civile» anche quella che abita la città di Napoli con le sue inestricabili connivenze e contraddizioni impietosamente portate alla luce oggi dalla questione della spazzatura? Non ha forse le sue radici nella «società civile» il contrasto che paralizza da anni la questione della Tav in Valle di Susa? Non è espressione della «società civile» il vergognoso ripiegamento su se stesse di aree della Lombardia e del Veneto, un tempo civilissime prima che si lasciassero sedurre e traviare dal leghismo? Non attraversano forse verticalmente la «società civile» i contrasti sempre latenti sull’etica pubblica o sull’etica familiare?

Di fronte a queste contraddizioni della «società civile» soltanto una classe politica autorevole potrebbe governare discriminando al suo interno tra interessi legittimi e interessi illegittimi, tra impulsi innovativi e impulsi regressivi. Solo un gruppo politico autorevole saprebbe staccare e attirare a sé alcune significative componenti disilluse se non disgustate dal berlusconismo, ad esempio quella cattolica. Ma i cattolici dentro il Pdl sono paralizzati e timorosi di abbandonare il Cavaliere per un’alternativa che sembra spaventarli più che attirarli. Se la leadership del centro-sinistra (o come lo si vuole chiamare) non riesce a guadagnare politicamente il mondo cattolico, il berlusconismo durerà - nonostante tutto.

Il punto critico è dunque il nesso tra la capacità di guida della classe politica e i fermenti o i mutamenti importanti di opinione pubblica. Un esempio positivo viene dalla Germania (ovviamente in un contesto partitico assai diverso dall’italiano) dove la cancelliera Angela Merkel ha colto tempestivamente il netto cambiamento dell’opinione pubblica circa l’abbandono del nucleare, non ha esitato a modificare i piani del suo governo pur di intercettare a proprio favore il netto mutamento dello spirito pubblico, rivelandosi ancora una volta una leader d’istinto. A costo di sollevare malumori all’interno della propria colazione.

Nulla di paragonabile nell’eccitato immobilismo della politica italiana. Il nucleo duro del berlusconismo - a dispetto delle sue incompatibilità interne - è costituito da un blocco di potere indifferente ai movimenti della «società civile» perché sente d’istinto che in realtà non esiste più una vera «società civile», ma soltanto una società, frammentata, incattivita, incivile. Tanto vale ricompattarne di volta in volta pezzi di interessi di settore, di categoria, possibilmente più forti, senza preoccuparsi di alcun disegno o interesse generale. Il leghismo è l’apoteosi di questo atteggiamento.

In questa situazione nessuno è in grado di fare previsioni. Nel caso italiano questa impossibilità di prevedere non è semplicemente segno della incapacità degli osservatori e degli analisti, ma del livello di irrazionalità raggiunto dalla politica.



Crosetto attacca Tremonti: «Manovra da psichiatria».


Il sottosegretario alla Difesa: «vuole fare saltare il banco e il governo» Bonaiuti: «Parla a titolo personale»

Guido Crosetto (Ansa)
Guido Crosetto (Ansa)
MILANO - E' scontro nel governo sulla manovra. Le bozze della manovra di Giulio Tremonti «andrebbero analizzate da uno psichiatra» e dimostrano che il ministro dell'Economia vuole solo «trovare il modo di far saltare banco e governo».

L'ATTACCO - È questo il durissimo attacco che Guido Crosetto, sottosegretario alla Difesa, lancia all'indirizzo del titolare di via XX settembre, in cui il deputato del Pdl - al telefono con l'Ansa - si dice «stufo» di «sentire pontificare una persona che predica benissimo e razzola malissimo» visto che «l'unico ministero che non ha subito tagli alla spesa corrente, ma anzi l'ha aumentata, è il suo!». «Le bozze che sono filtrate sulla manovra - dice il sottosegretario che, fino a tre anni fa, era responsabile economico di Forza Italia -, più che connotate dal punto di vista economico, finanziario e di bilancio andrebbero analizzate da uno psichiatra. E evidente che il ministro dell'Economia vuole trovare esclusivamente il modo di far saltare banco e governo. In questi tre anni ha fatto di tutto per tenere in vita il malato Paese, ma l'ha fatto tenendolo in coma farmacologico. Ha dimostrato di non volere andare nel dettaglio della spesa pubblica, ma di preferire tagli senza razionalità. Non ha capito che l'economia reale andava aiutata ed anzi l'ha bloccata con regole di oppressione fiscale uniche al mondo che hanno distrutto lo statuto del contribuente».

NON HA AIUTATO LE PICCOLE IMPRESE -Crosetto imputa a Tremonti anche altro: «Ha promesso un aiuto alla piccola e media impresa - sottolinea il deputato del Pdl, da sempre molto in sintonia con le idee economiche dell'ex ministro Antonio Martino -, ma in realtà ha flirtato con le grandi banche ed i grandi gruppi. Visto che è una persona di cultura ed intelligenza non comune, lo dimostri proponendo un progetto serio per il Paese al consiglio dei ministri ed alle Camere». Ma, avverte il sottosegretario, nel farlo «sia aperto ai miglioramenti» perchè «lui non è il depositario del verbo e della verità; e non sono più i tempi nei quali il governo potrà permettersi di approvare in Consiglio una cartellina vuota che verrà riempita in seguito a via XX settembre, da un uomo solo e dai suoi pretoriani». Insomma, aggiunge, «non è più il momento di tacere per rispetto anche perché‚ mi sono stufato di sentire pontificare una persona che predica benissimo e razzola malissimo: l'unico ministero che non ha subito tagli alla spesa corrente, ma anzi l'ha aumentata, è il suo! Il ministero nei quali i dirigenti sono più pagati è il suo!». Infine, un'ultima stoccata sui tagli alla politica: «Se adesso l'ultima crociata di Tremonti, sullo stile di De Magistris, è quella di lanciarsi contro i privilegi - attacca Crosetto -, gli ricordo che ci sono privilegi ben maggiori delle auto blu e degli aerei di Stato che, tra l'altro, se vengono utilizzati nell'interesse del Paese non sono privilegi. Parlo, ad esempio, dei privilegi di poter disporre di migliaia di nomine all'interno dello Stato o altre cose meno evidenti sulle quali il Tesoro non ha mai coinvolto nessuno».

BONAIUTI - «Quella del sottosegretario alla Difesa Crosetto è un'uscita a titolo personale. Fa testo la dichiarazione del presidente del Consiglio ai Promotori della Libertà». Così il sottosegretario alla Presidenza e Portavoce del premier, Paolo Bonaiuti, commenta la dichiarazione di Guido Crosetto con cui ha criticato il ministro Tremonti.



domenica 26 giugno 2011

Lucca, la corruzione nel Pdl e il megaprogetto edilizio. - di Ferruccio Sansa.


Arrestati un assessore, un costruttore e un dirigente comunale. Indagato anche il sindaco Favilla. Per spingere il sovrintendente amico anche una gita a Roma dai consiglieri di Frattini e Bondi. Nelle intercettazioni anche il ruolo del Pd.


Il sindaco Pdl di Lucca, Mauro Favilla, in missione a Roma dai consiglieri dei ministri Frattini e Bondi. Con Favilla c’è “il nostro aspirante sovrintendente”, un funzionario pubblico favorevole a un mega-progetto edilizio sponsorizzato dal Comune. E dopo poche settimane ecco assessori e imprenditori che brindano alla nomina del nuovo Sovrintendente. È tutto nelle 110 pagine dell’ordinanza che ha disposto l’arresto dell’assessore Marco Chiari (Pdl) accusato di corruzione, di un dirigente comunale e del noto imprenditore toscano Giovanni Valentini (ai domiciliari). Nell’inchiesta sono indagati anche il sindaco Mauro Favilla (che le cronache dicono vicino a Marcello Pera) e l’assessore alle Finanze Giovanni Pirami.

Non è una piccola Tangentopoli di provincia. Dopo il terremoto dell’indagine sulla caserma dei Marescialli di Firenze si ripropone pari pari il modello G8: a Firenze, secondo i pm, era statoRiccardo Fusi a conquistare al Provveditorato alle opere pubbliche la nomina dell’ingegner Fabio De Santis, favorevole ai suoi progetti, grazie all’intervento dell’amico Denis Verdini e di Altero Matteoli. Stavolta, stando ai pm, è il sindaco Favilla che va a Roma insieme con Francesco Cecanti (non indagato) che viene presentato come “il nostro aspirante Sovrintendente”. Così ci si sbarazza diGlauco Borella, funzionario che al mega progetto non si voleva rassegnare.

L’ennesima inchiesta giudiziaria su un’amministrazione Pdl pone anche interrogativi sul ruolo del Pd e suscita curiosità sulla Curia con il vescovo (“era contentissimo”) che riceve i costruttori poi arrestati per studiare le opportunità edificatorie dei suoi terreni. Un’indagine che tocca perfino la magistratura: con l’arresto di Andrea Ferro, figlio del presidente del Tribunale di Lucca (non indagato) che, preoccupato come padre, avrebbe chiesto ai colleghi pm “dettagli sull’accusa”.

L’ha detto pochi giorni fa Antonio Di Pietro: le mazzette non esistono più. Oggi i pagamenti arrivano con le consulenze. E i magistrati di Lucca lo scrivono esplicitamente: “Dietro formali pagamenti di parcelle a compenso di prestazioni d’opera di professionisti si concretizza una sistematica condotta corruttiva”.

L’indagine condotta dal pm Fabio Origlio, come ha ricordato Il Tirreno, ruota intorno a due megaprogetti: 200 appartamenti e palazzi da 7 piani nella zona di Sant’Anna e il rifacimento dello stadio. Scrive il gip: “Maurizio Tani, dirigente del Comune, redigeva una relazione approvata dal consiglio comunale, ove falsamente attestava l’esistenza di un quantitativo di superficie” destinata all’edilizia residenziale “superiore di 134.675 metri quadrati a quello massimo consentito dal Piano Strutturale”. Insomma, secondo i pm, un regalo da decine di milioni. L’attività corruttiva dell’assessore Chiari invece sarebbe consistita “nella sua completa disponibilità nei confronti delle istanze del Valentini per favorire gli interessi della società Valore spa (anch’essa sotto inchiesta) e contribuire a risolvere grazie al suo ruolo pubblico gli ostacoli politici e amministrativi”. I pm sostengono che “per la sua attività Chiari (che di professione fa il geometra, ndr) conseguiva compensi per almeno 40 mila euro relativi a incarichi professionali legati all’accatastamento di immobili della Valore spa e promesse per altri incarichi professionali formalmente impartiti a terzi”, Andrea Ferro, appunto.

Ma la rete dei carabinieri raccoglie tanti pesci. Interessanti i passaggi sui rapporti tra le imprese e la minoranza di centrosinistra in vista di un voto favorevole al progetto. Certo, le scelte dell’opposizione potrebbero avere motivi leciti: un nuovo stadio, il consenso dei tifosi. Però il centrosinistra qualche chiarimento dovrà darlo. Valentini al telefono parla dei rapporti con le cooperative legate al centrosinistra: “Ci hanno chiamato da Unicoop perché vogliono in tutti i modi che noi si dia la “prelazione” sullo stadio… Io legherei anche le due cose… vorrei dirglielo… guardate che politicamente potete fare un’operazione da fine del mondo, cioè se la Lega (cooperative, ndr) si presenta a Lucca facendo questo tipo di operazioni oltretutto in viale Einaudi (altro progetto che sta a cuore a Valentini, ndr) io ho edilizia convenzionata, no?”. I magistrati annotano: “Emergono sempre più chiaramente le rinnovate volontà di Valentini di collaborare con le cooperative”.

Ma le telefonate mostrano anche “gli accordi tra il consigliere comunale Pd Andrea Tagliasacchi e il costruttore Valentini… relative alla variante urbanistica dello stadio”. Tagliasacchi (intercettato, ma non indagato) ne parla con il suo capogruppo Alessandro Tambellini: “Voglio capire come si fa ad andare avanti con una posizione pregiudiziale…”. Poi una frase sibillina di Tagliasacchi: “Perché ci si taglia tutti i ponti, poi non si va da nessuna parte…”. Valentini al telefono si spinge oltre: “Perché ho fatto in modo che passasse un ordine del giorno che li coinvolge nella formulazione della convenzione e del progetto… l’opposizione va coinvolta”. Alla fine, il centrosinistra si asterrà, per la gioia del costruttore. Ma gli investigatori studiano soprattutto un’intercettazione del 23 dicembre 2010 tra Giovanni Valentini e il figlio Marco (non indagato) su un incarico che la sua società dovrebbe attribuire a Tagliasacchi (Pd). Il padre sbotta: “Tagliasacchi non è un architetto! Forse non hai capito che sto dicendo”. Figlio: “E allora che incarico gli dai? Paesaggista?”. Padre: “Lo sai chi è Tagliasacchi?!!!”. Figlio: “È l’opposizione”. Padre: “E allora che vuol dì?”. Ma il figlio non vuol capire: “È la maggioranza che comanda e te lo dai anche all’opposizione?”. Il padre perde le staffe: “Capito mica! Non sa mia che vuol dire questo”. Pare che la consulenza al consigliere Pd non sia arrivata. Ma l’inchiesta, se travolge il Pdl, tocca (pur non penalmente) tutto il potere di Lucca. E potrebbe essere solo il primo capitolo: c’è da chiarire il grande affare della Manifattura Tabacchi, 50 milioni di lavori che il comune diede in mano a Fabio De Santis. L’uomo arrestato nelle indagini sulla Cricca.


Una zattera in tempesta senza timoniere. - di EUGENIO SCALFARI


I RIFIUTI di Napoli.
La manovra fiscale da quarantacinque miliardi.
La speculazione contro le banche e contro il debito sovrano.
La P4 di Bisignani.

Sono queste le questioni attorno alle quali si stanno riposizionando le figure del teatro politico con una differenza rispetto al passato: non sono più le ideologie a guidare i loro movimenti, ma problemi estremamente concreti e un nuovo vento che ha trasformato i modi di sentire degli italiani.

L'ipnosi in cui da alcuni anni erano caduti è terminata, si sono risvegliati dall'indifferenza e non danno più retta alle promesse: vogliono i fatti e li vogliono subito.

Questo positivo risveglio non è tuttavia privo di rischi e pericoli. La soluzione di problemi complessi e antichi non si improvvisa, l'epoca dei miracoli è finita, non esistono bacchette magiche. I risvegliati debbono partecipare con tenace intelligenza alla costruzione della nuova società; è giusto che chiedano fatti e non parole, ma i fatti non cadono dal cielo, sono le tappe d'un percorso e d'un impegno.

I risvegliati debbono contribuire alla costruzione di quel percorso e garantire il loro impegno, altrimenti il vento nuovo si affievolirà, tornerà la bonaccia e l'indifferenza, l'attesa di improbabili miracoli e d'una nuova figura carismatica che si proponga come l'ennesimo uomo della provvidenza.

Non esistono uomini della provvidenza se non nella fantasia di sudditi che si rifiutano di diventare cittadini.

Le esperienze antiche e recenti dovrebbero averci insegnato che il popolo sovrano esiste soltanto se la sovranità viene esercitata ogni giorno, da tutti e da ciascuno, operando al meglio nel proprio privato e partecipando alla costruzione del bene pubblico. Se il vento nuovo servirà ad infonderci questi sentimenti e questi comportamenti, il risultato ci sarà.

Berlusconi è sempre più cupo e si rende conto sempre meno di quanto sta accadendo nel Paese e intorno a lui. Bossi versa in analoghe condizioni. Sono i due capi della maggioranza parlamentare ma hanno perduto lucidità e credibilità, avvinti da un comune destino. "Simul stabunt simul cadent".

Maroni lo dice ormai apertamente. Lo dicono Casini e Fini. Lo dice Bersani e perfino Bisignani lo dice con i suoi mille interlocutori.

Tra le cause dell'umor nero del Cavaliere quella più dolorosa per lui è stata la scoperta dei veri sentimenti che i suoi più fedeli sostenitori nutrono nei suoi confronti. Le conversazioni di Bisignani con ministri e ministre, dirigenti di partito, giornalisti a stipendio, manager di enti pubblici, sono state altrettante coltellate per lui che aveva lanciato il partito dell'amore.

In realtà non l'ha mai amato nessuno; le profferte di fedeltà intrise di amorosi sensi erano una mascheratura per ottenere benefici, carriere, ricchezza, potere. La sua cupezza proviene soprattutto dall'aver scoperto questa realtà. Pensava di rappresentare un Paese, un'ampia cerchia di fedeli, un gruppo di innamorati. Si ritrova solo, intrappolato, irriso. E quindi disperato. Ma ancora indispensabile per la cricca.

La cricca si è divisa in gruppi e gruppetti. Se lui facesse adesso il passo indietro la guerra civile si scatenerebbe
all'interno del berlusconismo.

Perciò se lo tengono stretto in attesa di nuovi equilibri. Ma quali? Si tratta in realtà di una zattera sconquassata, senza più timoniere né timone, a bordo della quale c'è il governo d'un Paese che è ancora uno dei dieci più importanti paesi del mondo.

Questa è la nostra sciagura, dalla quale prima usciremo meglio sarà per tutti.

***
Il tema dei rifiuti di Napoli ha soverchiato tutti gli altri negli ultimi tre giorni sebbene sia un fatto locale, limitato ad una città e ad una provincia.

Per consentire il trasferimento provvisorio dell'immondizia napoletana in attesa che entrino in funzione gli altri necessari meccanismi previsti dal sindaco de Magistris, è necessario un decreto del governo che superi i contrasti locali e imponga alle Regioni una solidarietà nazionale che altrimenti non si manifesta. Ma la Lega si è messa di traverso, non vuole il decreto e non lo voterà in Consiglio dei ministri né in Parlamento. Calderoli ha parlato a nome di tutto il partito e ha messo nero su bianco il no leghista.

Nel frattempo il Presidente Napolitano ha fatto urgente appello a tutte le parti in causa e in particolare al governo affinché scongiuri attraverso apposita decretazione d'urgenza una calamità sanitaria che avrebbe conseguenze incalcolabili. Ma la Lega non ha cambiato atteggiamento e questa è la ragione che ha fatto balzare i rifiuti napoletani a problema numero uno. Poiché Pontida ha registrato una generale insoddisfazione del movimento leghista e poiché quel partito è dilaniato da una guerra intestina che si svolge ormai alla luce del sole, l'unico modo per superare la difficoltà è quello di alzare al massimo i toni dello scontro. Sembra che Berlusconi risponderà a muso duro ai "niet" di Calderoli anche se il decreto sui rifiuti si limiterà allo stretto necessario.

Restano tre giorni di tempo per vedere se ancora una volta la Lega, dopo aver abbaiato, tornerà a cuccia oppure voterà effettivamente contro il governo di cui fa parte.

Ma nel frattempo incalza l'altro tema fondamentale, quello della manovra fiscale che sta massimamente a cuore della Lega e non soltanto di essa. Sta a cuore ai lavoratori e alle loro organizzazioni sindacali, alla Confindustria e alle imprese, alle famiglie, al lavoro in tutte le sue forme. Sta a cuore alle agenzie di rating, ai mercati, alle banche, all'Europa. E sta a cuore - ovviamente - a Giulio Tremonti che su quel tema e su quella politica gioca la sua credibilità e la sua carriera.

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La Lega vuole ottenere un allentamento del rigore fiscale che premi soprattutto le aziende della Lombardia e del Nordest, i lavoratori autonomi, le infrastrutture padane e le finanze dei Comuni virtuosi. Ma anche l'opposizione vorrebbe provvedimenti che favoriscano la crescita, fermo restando il rigore e i vincoli di stabilità. Il punto di riferimento di questa politica è il discorso che Mario Draghi pronunciò il 31 maggio scorso nel salone della Banca d'Italia: liberalizzazioni, tagli della spesa mirati e selettivi, doppio pedale di rigore e di rifinanziamento della crescita.
Le differenze tra le richieste della Lega e le proposte dell'opposizione sono quelle che passano tra politica nazionale e interessi localistici.

L'opposizione vorrebbe iniziare un percorso che parta da una diversa distribuzione sociale del carico tributario. La Lega privilegia invece una diversa distribuzione geografica. Tra queste due concezioni la differenza è molto elevata tanto più che l'opposizione accetta il paletto tremontiano delle riforme a costo zero mentre per la Lega (ed anche per Berlusconi) il costo zero è un intralcio e nient'altro.

Tremonti sembra più vicino alle tesi dell'opposizione che a quelle leghiste anche se tenda a collocare la crescita e le relative riforme che la rendano possibile in una prospettiva di tre-quattro anni. Rifugge da interventi immediati che scontentino alcune fasce sociali a beneficio di altre; è scettico su una ripresa dei consumi e non vuole dissipare risorse per obiettivi illusori.

Se vogliamo trarre una prima conclusione da questa analisi diciamo che Berlusconi, Bossi, Tremonti sono tutti e tre in una condizione di estrema solitudine politica, con una differenza: i primi due possono esser rimossi dai loro attuali incarichi senza conseguenze catastrofiche, il terzo è per ora inamovibile a meno di non far ricorso a nomi che diano all'Europa e ai mercati garanzie di tenuta e credibilità. Viene in mente Mario Monti. Purtroppo altri non se ne vedono.

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Che cosa rappresenta il caso Bisignani, esploso proprio mentre è in atto un positivo risveglio della coscienza nazionale? Il caso Bisignani è l'epilogo d'un regno, d'un costume, d'una devianza strutturale purtroppo non nuova per la società italiana.

Qualcuno ne trae argomento per suggerire la legalizzazione delle "lobbies", ma non si tratto di questo. Il sistema Bisignani non è una "lobby", non tutela alla luce del sole un interesse specifico e legittimo.
Il sistema Bisignani è la messa in comune di informazioni riservate d'ogni genere, provenienti da fonti d'ogni genere, utilizzabili per raggiungere obiettivi d'ogni genere.

Le informazioni riguardano procedimenti giudiziari, appalti, nomine nel governo, negli enti pubblici, nei giornali, nelle televisioni. Le fonti sono ministri, magistrati, uomini d'affari, faccendieri, ma anche uffici riservati dei carabinieri, dei servizi segreti e soprattutto della Guardia di Finanza.

È strano il destino di questo corpo armato dello Stato. È quello che con più tenacia e più lucidità persegue evasori e corrotti ma è quello anche che, specie nei dintorni del suo comando generale, fa parte da trent'anni di cosche e reti di malaffare.

Gli obiettivi di questa P4 sono di procurare vantaggi alle fonti.

Un'immensa massoneria che non ha neppure la forma d'una società segreta come fu la P2. Bisignani fu nella P2, ha esperienza, è stato condannato per le malefatte che compì allora; perciò la sua P4 è una rete molto più estesa ma molto più leggera dove la corruzione è il cemento, l'ex magistrato e deputato Papa è il simbolo più smaccato e Bisignani il confessore di tutti. Tutti si confessano, non per essere perdonati ma perché le loro confessioni hanno un valore di scambio e un valore d'uso. Le confessioni sono il patrimonio e l'avviamento della P4, la loro messa in comune è la ricchezza di Bisignani.

Di reati ce ne saranno una infinità e spetta alla magistratura perseguirli, ma la rete scoperchia una realtà obbrobriosa, un sistema istituzionale metastatizzato, un archivio di malefatte e di gossip di cui Bisignani è il paziente raccoglitore e il furbo custode.

Quando il potere si manifesta con queste fattezze lo schifo ti serra la gola. Il vento nuovo che spira da qualche tempo potrà, speriamolo, dissipare questi miasmi e scacciare i loschi mercanti che hanno venduto l'interesse pubblico alle cupidigie private corrompendo e deformando la democrazia, calpestando la giustizia ed elevando il privilegio a canone d'una politica.

Tutto questo deve finire.



Da Pavese a Guccini e Zappa I tanti mondi del movimento No Tav. - di Andrea Giambartolomei.

Al presidio di Chiomonte in Val di Susa sale la tensione. Il 30 giugno scadono i termini Ue, dopodiché svaniranno i finanziamenti. A breve, dunque, inizieranno i lavori. Il movimento è lì per impedirli. E il rischio scontri si fa sempre più serio.


“Quando un movimento così riesce a padroneggiare un territorio gli altri non passeranno mai”. È giovedì notte e alla “Libera repubblica della Maddalena”, a Chiomonte, in Val di Susa, si parla di “resistenza all’autorità ed esperienze di autogestione nell’arco alpino”, un excursus storico dai celti ai partigiani. Il dibattito cresce. In attesa di infiammarsi. Perché questi sono giorni di attesa. Attendono i manifestanti No Tav raccolti attorno al museo di archeologia, a ridosso della galleria “Ramat” dell’autostrada Torino-Bardonecchia. Entro il 30 giugno (ultimo giorno concesso dall’Unione europea per erogare i finanziamenti) qui partiranno i lavori. O meglio: lo scavo del tunnel geognostico per studiare la conformazione della montagna in cui far passare il treno. I lavori, dunque, devono iniziare. Così vuole il governo. Ma il governo è disposto allo scontro? Il dubbio resta. la paura anche. Qui la voce è seria. E sostiene che già all’alba di lunedì qualcosa potrebbe succedere.

L’inaugurazione del cantiere, visto l’aut aut europeo, è diventato ormai una priorità del governo che ogni giorno ribadisce il concetto. Negli ultimi giorni ci hanno pensato il capo degli industriali e Emma Marcegaglia e il ministro delle Infrastrutture Aletro Matteoli. E tutti lo fanno criticando il blocco attuato da circa cinquecento persone, abitanti della valle a cui si sono uniti alcuni ragazzi dei centri sociali torinesi. Dall’altra parte, per scongiurare il sempre più probabile uso della repressione, i sindaci e gli amministratori delle liste civiche No Tav hanno scritto al ministro dell’Interno Roberto Maroni dicendo un secco “No all’uso della forza per sgomberare gli uomini e le donne”, mentre Nilo Durbiano, sindaco Pd di Venaus, teatro delle violenze nel dicembre 2005, propone al governo “una soluzione in extremis: convocare le istituzioni della valle di Susa che, per la loro posizione di dissenso sull’opera, negli ultimi due anni sono state escluse da tutti i tavoli”. E ora “le persone contrarie in Valle pronte a scendere in piazza sono 20-30 mila”. In vista di eventuali scontri il segretario generale Nicola Tanzidel Sindacato autonomo di polizia fa sapere ai propri iscritti che “potranno contare su tutta l’assistenza possibile, anche legale se sarà necessario” negli interventi contro “alcuni gruppi minoritari che si oppongono, spesso con forme violente e commettendo reati, alla realizzazione dell’opera”. Eppure le istituzioni sembravano aver trovato a Chiomonte un clima tranquillo per avviare il sondaggio del terreno, che inizialmente doveva essere effettuato a Susa. Il sindaco Renzo Pinard (Pdl), che si è sempre dichiarato neutrale, ha detto di voler fare una marcia della “maggioranza silenziosa” contro i No Tav.

Intanto, in questo giovedì sera di prima estate il dibattito è terminato e mentre il leader storico del movimento Alberto Perino e il sindaco di San Didero Loredana Bellone discutono dell’ordine del giorno approvato in consiglio, qualcuno inizia a suonare musica manouche. Nei giorni scorsi ci sono stati i concerti degli Statuto e dei Lou Dalfin, band folk-rock occitana. Sono modi per passare la notte, come mangiare la pizza cotta nel forno a legna costruito dai giovani dei centri sociali, o bere il “vinotav” e altri vini prodotti nei campi circostanti. “La produzione del vino di Chiomonte è stata compromessa dai lavori per la autostrada Torino-Bardonecchia negli anni Novanta – ci spiega il fotografo Carlo Ravetto – . Le vigne si riempirono di polvere e le concentrazioni di piombo e altre sostanze nell’uva aumentarono rendendo il vino imbevibile. Alcune famiglie ci hanno rimesso”.

Nella tenda-cucina si continua a servire cibi preparati da loro, panini e bevande calde. Osservando l’interno si nota l’umanità varia del movimento: dall’icona dell’arcangelo Michele che “ci difende, ci ispira e ci rassicura”, alla dissacrante immagine di Raoul, “il re del sacro Hokuto” che “è no Tav e combatterà con noi”, dalle citazioni di Cesare Pavese e Francesco Guccini a quella di Frank Zappa. Dentro il tendone c’è Swen, argentino della Valle di Susa. Dovrà controllare il presidio fino alle sei del mattino. Dotato di radiotrasmittente e del cellulare del presidio si tiene in contatto con le sentinelle disposte negli altri presidi. Alle sei del mattino, finito il turno, farà aprire i cancelli e andrà a lavorare come fanno anche altri uomini che stanno al campeggio del presidio. Fa l’artigiano edile ed è convinto che l’occupazione non aumenterà: “Le grosse aziende hanno i loro lavoratori e passando di grado a noi resterà poco”.

Molti credono che i lavori e gli interventi di polizia saranno a ridosso della scadenza o già lunedì, ma c’è sempre qualcuno che teme una sorpresa: “Sono 33 giorni che andiamo avanti così – dice Simonetta, rappresentante di Resistenza Viola -. Arrivano o non arrivano?”. Altri credono che “sarà düra” per le forze dell’ordine arrivare al presidio. Lo spiega Alessandro, di Sant’Ambrogio, mentre mostra le due vie di accesso: “Una è la strada da Chianocco su cui ci sono i posti di blocco fatti con le pietre all’interno di gabbie in rete metallica. L’altro è il sentiero per Giaglione”. Indossa una lampada frontale da trekking e si incammina nel sentiero che – fa capire – è difficile da percorrere di notte o all’alba. Si spera di rallentare gli agenti, lasciando il tempo ai No Tav di riunirsi. In questo week end giungeranno alla Maddalena altri sostenitori della causa, come piega Giorgio, 25enne arrivato da Palermo: “Ho sentito amici da Pisa e Bologna che arriveranno sabato e domenica. Dopo 20 anni questa è diventata una lotta storica”. Eppure alcuni “resistenti” iniziano a essere segnati dai giorni d’attesa: chissà che il presidio non finisca per la stanchezza? “Tutto può succedere – dice Perino -. Però sono 22 anni che resistiamo. Giorno più o giorno meno cambia poco”.



Rifiuti, indagato presidente della Regione Campania Caldoro per epidemia colposa.


Nell’inchiesta si contestano la mancata attivazione di discariche in altre province per fronteggiare l’emergenza. Al vaglio degli inquirenti, in particolare, i dati sul consumo di farmaci per allergie o eruzioni cutanee, un monitoraggio già sperimentato nell'inchiesta relativa alla precedente emergenza 2007-2008.


Il presidente della Regione Campania Stefano Caldoro è indagato nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Napoli sui rischi per la salute pubblica determinati dalla mancata raccolta dei rifiuti. Nell’inchiesta del procuratore aggiunto FrancescoGreco e del pm Francesco Curcio si contestano al presidente della giunta campana la mancata attivazione di discariche in altre province per fronteggiare l’emergenza. Al vaglio degli inquirenti, in particolare, i dati sul consumo di farmaci per allergie o eruzioni cutanee, un monitoraggio già sperimentato nell’inchiesta relativa alla precedente emergenza 2007-2008.

”Sono profondamente colpito, ogni azione diversa da quella messa in campo avrebbe reso la situazione ancora più drammatica. Tutto quello che ho fatto lo rifarei in piena coscienza”, ha commentato Caldoro in un comunicato. “Questa inchiesta consentirà di chiarire alcuni aspetti relativi alla responsabilità delle singole istituzioni nel ciclo dei rifiuti – afferma Caldoro – appena possibile fornirò, nello spirito della piena collaborazione istituzionale, tutte le informazioni, anche documentali”. “La Regione – sottolinea il presidente della giunta campana – come è noto, ha competenze limitate nel ciclo dei rifiuti. Abbiamo fatto tutto quanto era nelle nostre possibilità, ci siamo spesi ben oltre le nostre competenze, supportando gli enti locali e sollecitando utili iniziative”. “Lavoriamo giorno e notte senza un attimo di respiro per affrontare una delle emergenze più gravi della storia amministrativa della nostra città e della nostra Regione, che ereditiamo da 15 anni di inerzia e fallimenti”, aggiunge Caldoro. “La magistratura svolge il suo dovere, ma soprattutto attendo che tutte le Istituzioni facciano tutto quanto è nelle rispettive competenze, a partire dal Governo fino ad arrivare al più piccolo dei Comuni. Per tornare alla normalità ognuno deve fare il proprio dovere”, prosegue Caldoro. “Eventualmente fossero provate, in questa vicenda, responsabilità penali per fatti commessi inconsapevolmente – e siamo convinti di aver fatto fino in fondo tutto il nostro dovere – non esiterei a dimettermi da presidente della Regione”.

Oggi Caldoro aveva rilasciato un’intervista al Corriere della Sera illustrando le differenze e le affinità con il neo sindaco Luigi de Magistris: ”Dobbiamo raggiungere un’intesa istituzionale e ci stiamo lavorando con impegno”, e “l’unica differenza è sull’impianto finale. Discarica, impianti e termovalorizzatore. A mio avviso non c’è altra strada. Naturalmente la differenziata è un’ottima cosa nel lungo periodo. Ma nel breve si limita a ridurre i volumi. E se non hai un luogo dove portarli, si ricomincia da capo”. Il presidente della Regione spiegava che “in questa storia di errori ne abbiamo commessi tutti”, “certamente” anche il governo che “nel 2008 era riuscito a far ripartire il ciclo” ma poi “bisognava aprire le discariche”, cosa che non è avvenuta, perché, affermava, “il dramma dei rifiuti viene sempre sacrificato a ragioni di forza maggiore, al mantenimento delle alleanze”.
Inoltre, attaccava Caldoro, “il decreto che sta per varare il governo andava fatto venti giorni fa. Siamo già in ritardo. E all’interno del governo la posizione della Lega è irragionevole, come inaccettabili sono le parole di Roberto Calderoli”.